Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: indiceindaco    14/09/2012    3 recensioni
"La lingua italiana è piena di parole terrificanti ed orribili. Parole come: broccoli, silenzio, tasse. Ecco, parole come queste le sopporto, anche se non mi piacciono, perché non sono terrificanti né orribili. Parole come: sangue, tradimento, topo. Queste invece mi fanno proprio schifo. [...] Parole come: Terapia intensiva. Barbiturici. Tiopental sodico. Edema. Coma farmacologico.
Ecco, parole come queste non avrei voluto sentirle mai."
Una storia che aveva bisogno d'essere scritta per essere raccontata.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Note: La verità è che è molto autobiografica. Che può non piacere, ed è giusto sia così. Sentivo il bisogno di scriverla. Grazie a chiunque leggerà.

 

 

 

I. Brutto sogno.

 

Il display si accende, un leggero ronzio e la stanza sembra quasi illuminata a giorno.

Nell'ovattata incoscienza del sogno quel ronzio mi arriva come il grattare della mia gatta sulla trapunta verde.

Poi apro alla bell'e meglio gli occhi, poggiando una mano sulla fastidiosa fonte di luce.

Sento sul palmo la vibrazione del mio cellulare e mentalmente perdono Kimba, per una volta innocente.

Dannata tecnologia e maledetta abitudine di lasciar il telefono -acceso- sul comodino.

L'affarino infernale continua a vibrare, a singhiozzo, come fosse disperato. 

Ottimo, mi dico, è una telefonata.

Non ho ancora familiarizzato con l'ultimo arrivato fra le componenti digitali, ed a causa di quel simpatico touch screen non riesco a rispondere subito. Faccio scorrere il dito un paio di volte sullo schermo, socchiudendo un poco gli occhi a causa dell'intensa luce del display. E pensare che una volta bastava semplicemente sollevare una cornetta…Ce l'ho fatta finalmente, rispondo:

-Pronto?- la mia voce è roca ed un po' impastata, tesa nello sforzo titanico appena compiuto.

-Matte, ci sei?- le corde vocali dall'altra parte le riconosco subito, sono tese, incrinate dal pianto. Le sento vibrare ansiose, come in stato confusionale.

-Marghe, ci sono. Mi hai svegliato! Razza di esaurita, lo sai che ore sono?

-È successo un casino, devi venire subito. Stiamo andando tutti lì…

Mi tiro a sedere sul letto, con la mano destra accendo il LED della radiosveglia: sono le 4:27.

-Marghe, stai scherzando? Che cazzo è successo?

-Non lo so, hanno chiamato Alessandro. Siamo in macchina, è appena passato a prendermi.- la voce di Margherita sfuma in un singhiozzo, anche se cerca di mascherarlo, poi un'altra voce, più lontana:

-Il Policlinico. Ci vediamo al posteggio del Policlinico. Sta venendo Leo a prenderti. Si tratta di Steff.

La voce mi arriva ovattata, irreale. Lo immagino sbraitare dal sedile del conducente, le nocche sbiancate di quando stringe il volante ed è nervoso, come tutte le volte che cerca parcheggio senza successo. 

Immagino Marghe accanto a lui, sprofondata nel sedile della vecchia Twingo verde.

Poi realizzo quello che Axel mi ha appena detto: Policlinico. Steff. 

-Merda. 

Margherita ha già messo giù.

Il mondo si frantuma, i pezzi sono sparsi un po' ovunque, sul mio letto.

 

***

 

Leo, ancora le pieghe del cuscino sulla guancia destra, guida come un pazzo. Io guardo la città scorrere oltre il finestrino, senza vederla realmente.

Sul sedile posteriore Duff ha la testa fra le mani.

Nessuno dice niente, sono salito in macchina pochi minuti fa, le parole sono rimaste rinchiuse nel post-it giallo sul frigo, lasciato ai miei.

Guardo i volti di Dafne e Sofia, dallo specchietto retrovisore.

Duff guarda nel vuoto, Sofi ha una mano sulla sua spalla e gli occhi gonfi di lacrime trattenute.

-Dicono gli siano andati addosso.- dice, incerto Leo.

Ho un nodo in gola, non riesco a replicare.

-Aveva appena accompagnato Pier a casa.- continua Leonardo, la voce mesta.- Era quasi a Tommaso Natale. 

Duff alza lo sguardo, mi fissa, gli occhi lucidi, come volesse che zittissi Leo.

-Ha svoltato al curvone ed un tipo gli è andato addosso. Questo è quello che l'Infortunistica ha riferito ad Axel.

Anche il motore sembra singhiozzare leggermente.

M'immagino la scena che è stata appena descritta, non ci riesco. Il cervello gira a vuoto, la ventola non si muove più, sembra bloccata. 

Frizione, quinta, acceleratore. In automatico Leo sfreccia per le vie silenziose ed addormentate della nostra città.

Mi sento dentro ad un brutto sogno.

-Poi hanno chiamato dal Policlinico. L'unico numero che hanno trovato era quello di Axel. Steff lo tiene sempre nel portafoglio, che diceva: "non si sa mai". 

-Ma non hanno ancora detto nulla?- sussurra Sofia.

Leo scuote la testa, accelera ancora.

-Vai piano, Leo, ti prego. 

La voce di Dafne mi riscuote, sta piangendo.

Il fottuto brutto sogno lo sto facendo ad occhi aperti.

Ed è fottutamente reale.

 

***

Non mi sono mai piaciuti gli ospedali. Sfido piacciano a qualcuno. Certo, a parte a Leo, che per via del tirocinio ci vive.

Al posteggio, le nostre auto si stringono, un po' come facciamo noi.

-La madre di Stef è dentro, con Michele e Piero.- dice Axel dopo aver abbracciato una tremante Duff.

Siamo entrati da cinque minuti e un'infermiera ci ha fatto accomodare in sala d'aspetto.

Margherita mi siede accanto, la mano sul mio avambraccio mi sembra sia la sua.

Dafne l'ha abbracciata ancora una volta, passandole una mano sui capelli scuri, e raccogliendo le lacrime per entrambe. Sofia è accanto alla finestra, guardare le luci accese nelle finestre degli altri palazzi l'ha sempre rilassata: dice di sentirsi meno sola, contando quei rettangoli luminosi.

Alessandro si è allontanato, come trasognante, a prendere dei caffè, insieme a Piero, ed al suo senso di colpa.

Leonardo parla fitto fitto con l'anziana infermiera, forse cerca di ottenere qualche informazione in più da una quasi collega. Accanto a lui la madre di Stef, con gli occhi rossi e senza un filo di trucco, lei sempre impeccabile.

Privi parla al telefono con sua madre, smozzicando frasi confuse e sussurrate.

Michele cammina nervosamente, su e giù. Ad occhi chiusi. Ogni tanto muove le labbra, ma non emette suono.

Le pareti bianche ci si incollano addosso, insieme a quel blu pastello, asettico. Il tanfo del disinfettante aggredisce le narici. C'è un silenzio irreale, qualche ticchettio strano, che viene da ogni parte o da nessuna.

Non mi sono mai piaciute le attese snervanti. Sfido piacciano a qualcuno.

 

***

 

Al liceo ero in classe con Margherita, Dafne e Sofia. Sono stati i cinque anni più belli, a pensarci adesso. Certo, ci vuol coraggio a dire di aver amato il periodo adolescenziale. No, non è quello che intendo. Io amavo l'aria che c'era, la nostra spensieratezza.

Leonardo ed Alessandro erano nella classe avanti alla nostra. Insomma, in quarta ginnasio, appena messo piede a scuola, questi due ragazzi della quinta ginnasio mi hanno accolto come fossi una persona che si aspetta da chissà quanto tempo.

I primi tempi chiedevo loro una mano, i soliti consigli utili. Poi, non so bene quando, abbiamo cominciato ad uscire insieme.

Si può dire ch'io abbia davvero conosciuto Leo ed Axel prima di tutti gli altri. All'epoca erano migliori amici, ora i rapporti sono si sono un po' raffreddati, senza per questo sfaldarsi.

Come Dafne abbia iniziato ad uscire con noi, in quei sabato sera dove tutto aveva il gusto del nuovo e del proibito, non saprei dirlo. 

Forse certe amicizie, nascono per caso, perché è così che doveva essere, tanto che poi è difficile ricordare come sono davvero andate le cose.

Com'era naturale accadesse il gruppo si è ulteriormente allargato, quando anche Sofia e Margherita hanno preso a farne parte.

Erano tempi in cui si riusciva a ridere per nulla. Non dimenticherò mai la faccia di Dafne, le braccia a reggersi la pancia per le risate, mentre Leo manovrava a mo' di marionetta un vecchio peluche di Sofia.

Poi per caso, una sera, credo fosse al primo liceo, Alessandro ha incontrato un vecchio compagno delle medie: Piero. 

Si può dire che la nostra comitiva abbia adottato anche lui e di conseguenza Michele e Stefano, che stavano in classe con Pier, in uno dei migliori licei classici che la nostra città possa vantare.

La stessa identica cosa è successa con Clara, un'amica d'infanzia di Sofia.

Da lì non ci siamo più separati.

Facevamo tutto insieme, ed era ogni volta come avere una seconda famiglia.

E si litigava, eccome se si litigava! Ma abbiamo sempre superato tutto...Forti di una cosa sola: la grande amicizia che ci legava.

Andare indietro con i ricordi, in un momento incerto come questo, mi rassicura. Un po' come per Sofi contare le finestre. O per Duff abbracciarci, per Leo chiacchierare con l'infermiera.

Ognuno cerca di attutire il colpo nel migliore dei modi, aspettando e pregando, sperando nel meglio.

Non tutti ce la facciamo…

Michele è seduto per terra adesso. La testa china sul petto. Non posso vederlo, ma so che sta piangendo. Stefano non è solo il suo migliore amico, è suo fratello.

No, non in senso metaforico. Stef e Mike sono fratelli a tutti gli effetti, secondo la legge.

I genitori di Michele sono morti due anni fa, entrambi in un incidente. Da allora la madre di Stef lo ha accolto in casa sua, come un figlio. Solo l'anno scorso, scherzando, il fratellino di Stefano aveva proposto l'adozione. Detto fatto, Mike è entrato a far parte davvero della famiglia Sorioli.

Capisco la cieca disperazione in cui sta annaspando il mio amico. Capisco la sua paura, ed il perché delle sue mani che tremano.

Vorrei alzarmi da questa sedia grigia, alzarmi ed abbracciarlo, dirgli che andrà tutto bene, che non è nulla di grave, che Stefano è uno tosto.

Ma non lo faccio, non ci riesco.

Diventiamo egoisti quando abbiamo paura. Diventiamo fragili e ci chiudiamo in noi stessi. 

Come Pier. So che cosa sta pensando, stringendo il bicchiere del caffè fra le mani. Vorrebbe accartocciarsi come la plastica bianca deformata dal calore della bevanda scura.

Vorrebbe essere risucchiato dalla sedia in ecopelle, assorbito dalle pareti candide.

Il senso di colpa lo consuma, non piange, non ha nessuna smorfia in viso, ma i suoi occhi sono vuoti, freddi e distanti.

Perché se Stef non lo avesse accompagnato a casa, quella sera, dopo la nostra uscita abituale, forse questa merda non sarebbe successa. Se la sua vecchia punto, quella con il blu scrostato e lo specchietto penzolante, avesse avuto le forze necessarie per far partire il motore, Pier avrebbe guidato e Stef avrebbe preso un'altra strada.

Non è inquietante come gli eventi possano assemblarsi e modificarsi? Pezzi di lego tenuti insieme, come mattoncini, che improvvisamente crollano giù.

Diventiamo cattivi quando soffriamo, quando ci viene tolto ciò che amiamo. Diventiamo ciechi e ci accaniamo con noi stessi.

-Ragazzi, arriva il dottor Domelli.- dice l'infermiera, poggiando una mano sulla spalla di Marghe.

Il cuore smette di battermi nel petto.

 

***

La lingua italiana è piena di parole terrificanti ed orribili. Parole come: broccoli, silenzio, tasse. Ecco, parole come queste le sopporto, anche se non mi piacciono, perché non sono terrificanti né orribili. Parole come: sangue, tradimento, topo. Queste invece mi fanno proprio schifo. Ma quando un tizio alto, calvo e baffuto, con i suoi occhiali tondi e spessi ti dice queste parole, il massimo che puoi fare è scoppiare a ridergli in faccia.

Quando un tizio così, con il camice candido e la targhetta lucida, a tal punto da non riuscire a leggerne il nome, ti dice invece altre parole, quelle veramente terrificanti ed orribili del nostro vocabolario, non puoi non rabbrividire. Parole come: Terapia intensiva. Barbiturici. Tiopental sodico. Edema. Coma farmacologico.

Ecco, parole come queste non avrei voluto sentirle mai.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: indiceindaco