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Autore: Donixmadness    16/09/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un dolcetto alla crema, poi un altro alla frutta. Mani gentili quanto senili poggiano con estrema delicatezza le paste sulla superficie argentea.
Poi un altro al cioccolato, un bignè alla panna con l’immancabile ciliegina vermiglia. Dispone tutto in modo regolare, diligente e curato.
Senza fretta. In seguito passa a disporre a ventaglio i biscotti: quelli di pasta frolla al latte, quelli con scaglie di cioccolato e infine quelli con uno strato di cioccolato fondente e una mandorla incastonata al centro, come la pietra di un medaglione.                                                     
La mandorla. Il profumo sottile e fragrante di quel frutto gli investì le narici. D’altronde con tutti i dolci che serviva, come non poteva riconoscere l’inconfondibile odore del vento d’autunno quando sferza sul manto di foglie variopinte. Inoltre, la mandorla non gli suggerisce solo questo ricordo.
I suoi capelli castani, erano della stessa tonalità di quel frutto.
Lei adorava la mandorla. Non l’avrebbe mai dimenticato: il suo mix preferito era mandorla e cioccolato.
Sorride lievemente sotto i baffi bianchi ripensando alla faccia di Shiro quando guardava stralunata L, il quale ingurgitava quantità industriali di dolci.
Non aveva una grande predilezione per i dolci, non ne mangiava a tonnellate come il detective.
Tuttavia mangiava più che volentieri le paste alla mandorla. Le ricordavano i dolci di sua madre, gli disse un giorno.
Solo adesso, soffermandosi si è risvegliata quella stretta a cuore. Come un rapace che arpiona il muscolo per strapparne le membra.
Sanguina, lento e corrode acido il senso di colpa: lo ha sempre afflitto da quel terribile giorno in cui Shiro sorrise per l’ultima volta.
Mantenne intatta la sua spensieratezza di bambina fino all’ultimo, fino a quando non esalò l’ultimo respiro.
Ancora oggi si chiede come sia potuta accadere una cosa simile.
Nel vorticare di pensieri e ricordi, termina di disporre i dolcetti sul vassoio d’argento e poggia il tutto sul carrello. Accanto c’è una teiera di porcellana inglese finemente decorata, contenente pregiato Earl Grey  ed è accompagnata da un’elegante tazzina della stessa ceramica. Dispone tutto in modo impeccabile, quell’uomo dall’aria di un maggiordomo inglese e si avvia con il carrello fuori dalla sala monitor: è ora di portare quelle leccornie al suo pupillo. Alle orecchie di Watari non sfuggono i rombi sordi dei tuoni, che imprecano dal cielo. E lo scrosciare battente della pioggia.
Non si trattiene ad osservarla, gli basta sentire.                      
 

Per quanto il primo giorno si fossero create delle asperità tra loro, Shiro ed L iniziarono in qualche modo a rapportarsi.
Quella ragazzina riuscì in ciò che io non seppi fare in quasi tre anni, da quando portai il bambino nell’istituto.
La smania ossessiva di L a voler esaminare le sue attitudini, gli aveva in qualche modo giovato: innanzitutto. era uscito dal buio della sua camera e pareva che Shiro, in qualche modo, fosse l’unico contatto esterno al di fuori della sua stanza. L era sempre freddo calcolatore, ma con mia grande sorpresa la presenza della bambina riusciva a tirar fuori quel lieve tepore di bambino, nascosto in un angolo remoto del suo cuore. Sapevo benissimo che mangiare dolci, sedersi in  quella posizione fetale- anche se aiutava le sue capacità intellettive – e soprattutto il gesto di porsi un dito alla bocca,
non erano altro che  riflessi della sua natura, del suo essere bambino. Avrebbe potuto avere tutta l’intelligenza del mondo, ma era innegabile che nel profondo lui sentisse la necessità di comportarsi spontaneamente.
E l’esempio lampante era proprio Shiro, indubbiamente. Una sera nel buio della sua stanza, lui era lì rannicchiato a pigiare la tastiera del computer.
Stava scrivendo il suo rapporto quotidiano su Shiro, era un rituale che si svolgeva ogni sera.
Io ero lì accanto a lui e poggiai il vassoio dei dolci su quella parte di parquet libera da tutti quei fili serpeggianti.
A quei tempi internet era poco diffuso, e procurarmi tutti quei processori e towers non fu affatto semplice.
Le sue dita scorrevano veloci ed abili, pigiando con precisione i tasti. Era davvero preso e lo notai subito, dal momento che non aveva lanciato nemmeno uno sguardo alla fetta di torta con fragola accanto a lui. Ero in piedi dietro quella figura rannicchiata davanti allo schermo, il quale inondava luce bianca.
Mai nella mia vita mi capitò di essere curioso come in quel momento. I miei occhi delinearono la figura di L.
Non mi premeva tanto sapere cosa scrivesse, quanto cosa lo spingesse a fare una cosa simile. Volevo sapere quale sarebbe stata la sua risposta in merito:                                                                                                              
-L, perdonami se ti interrompo. Ma posso sapere perché ti interessi tanto a Shiro?                                             
Silenzio. La mia voce rimbombò nel vuoto, solo il ticchettio della tastiera si udiva. Un attimo dopo L si fermò, cessando di scrivere.
Non si voltò a guardarmi, bensì continuò a fissare lo schermo. Dalla sua reazione mi parve che solo in quel momento avesse udito la mia domanda.                                                                                                                                                                                                                                       
–Perché è diversa.- rispose secco, riprendendo ad armeggiare con la tastiera. “Diversa”, questa parola, detta da lui, mi lasciò non poco perplesso.
Che cosa intendeva? In che cosa sarebbe diversa?                                                                                                                                                                
-E in che cosa?- azzardai a domandare, sperando di ottenere un’esauriente spiegazione.                                           
–E’ quello che cerco di scoprire- stavolta rispose prontamente, senza battere ciglio e allo stesso tempo aveva soddisfatto il mio implicito quesito:
cioè in che modo avesse intenzione di scoprire questo dato. La risposta ce l’avevo davanti agli occhi, ossia mettendo nero su bianco tutto ciò che aveva faceva Shiro ogni giorno.
In un certo senso, per un bambino normale sarebbe una cosa eccessiva, ma per L era assolutamente indispensabile per il suo nuovo gioco.
Me lo disse fin dall’inizio, quello era un nuovo gioco che si augurava avrebbe spazzato via la sua noia.
Eppure quella ragazzina glielo disse chiaro e tondo il primo giorno: lei non era un giocattolo!
Niente da fare, quando L si impuntava su qualcosa non c'era verso di fargli cambiare idea. Tuttavia, pensai che forse sarebbe stata l’occasione propizia per farlo aprire al mondo. Allo stesso tempo anch’io mi chiedevo cosa avrebbe fatto Shiro.
Avrebbe continuato a studiare per il suo progetto o avrebbe fatto una pausa momentanea?
Beh, sin dall’inizio prima che mettesse piede nella Wammy’s House, la sua priorità era sempre stata completare il progetto di suo padre.
Mi disse che le mancava qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa.
Non riferii nulla ad L riguardo alla sua genialità, perché sapevo che avrebbe preferito scoprire le cose da solo, altrimenti non sarebbe stato
più divertente per lui. Stavo per aprire la porta e portargli altri dolci, ma la sua voce monocorde mi bloccò inaspettatamente:                                                                                                                                                    
- Wammy, secondo te in che cosa sarebbe geniale Shiro? - stavolta si voltò leggermente per incrociare il mio sguardo.
La penombra lasciava intravedere l’occhio sinistro che mi fissava e la bocca  leggermente dischiusa, per poggiare l’indice.
Deglutii un attimo spiazzato, ma poi mi ricomposi sorridendo lievemente:                                                                                                                                                            
-Beh, permettimi di rigirarti la domanda: tu in che cosa pensi sia geniale?                                                             
Lui voltò il capo, indifferente ma rispose comunque:                                                                            
-Da quello che ho potuto vedere fin ora, ha una propensione per il furto e possiede molta elasticità mentale.
Ritengo dunque che sia geniale in un ambito che non è stato mai riscontrato fin ora nell’istituto. C’è una probabilità del 97%.                                                                                                                  
–Ne sei così sicuro?- domandai sbalordito da una analisi così accurata: aveva azzeccato tutto.                          
–E’ un’intuizione.                                                                                                                                                                                                                   
Successivamente i giorni passarono veloci. Shiro era nell’istituto da quasi un mese e intanto si avvicinava un test molto importante
per la nuova graduatoria di quell’anno.                                          
A pesarci bene, nei primi tempi Shiro non giocava molto fuori con i suoi compagni, anzi la trovavo quasi sempre della biblioteca.
Roger mi raccontò che la prima volta che la vide, ne rimase affascinata: mi disse che le brillarono gli occhi non appena si trovò dinnanzi a tutti quei volumi impilati negli scaffali. Già mi immaginai quella ragazzina  avventarsi con foga su quei volumi e divoragli con occhi euforici perché sì, Shiro era avida di sapere su questo non avevo il minimo dubbio. La biblioteca era il suo posto preferito, e lì spesso la trovavo assorta in un libro e c’era sempre accanto a lei un’altra fila di libri l’uno sull’altro, i quali non sapevo mai se li dovesse ancora leggere o li avesse già letti.
Un giorno di inizio ottobre, la trovai proprio in biblioteca. Stavolta, però, non con i capo chino sulle pagine ma con lo sguardo assorto fuori dalla finestra.
Mi avvicinai senza far troppo rumore, affinché non si spaventasse e mi sedei di fronte a lei.                                                                                                                                        
–Ciao Shiro- proruppi cauto, per non farla sobbalzare. A quel punto lei si ridestò e voltò il capo di scatto. Per un attimo rimase con la bocca dischiusa, quasi incantata:                                                      
-Oh, ciao Wammy . Non ti ho sentito arrivare.                                                                                                 
–Mi sembri un po’ sulle nuvole oggi, qualcosa non va?- domandai affabile, tranquillizzandola con un sorriso.                                                                                                                                                                         
–Beh … per la verità stavo pensando.- mi rispose, puntando le iridi verdi sulle pagine del libro davanti a sé. Era l’ennesimo sulla meccanica.                                                                                                                                        
–A che cosa? – domandai incuriosito.                                                                                                                                                   
–Veramente … - riprese, spostando lo sguardo alla finestra- Stavo pensando a mio padre.                                      
Io rimasi un attimo interdetto, ma del resto era comprensibile che pensasse ai suoi genitori. Anche se non lo dava a vedere, i suoi occhi chiari erano gonfi di malinconia e la sua risata mascherava una sofferenza immane: potei immaginare cosa provasse in quel momento.
Nel profondo del suo animo era una ragazzina disperata.                                                                                                                              
–Ah, sì?- proferii con una punta di melanconia. Lei assentì con un cenno del capo, ancora assorta. Poi si girò per guardarmi e notò la mia espressione cupa e triste.                                                                         
–Ma no, dai!! Wammy!! Non ci sto pensando in quel senso!! – mi disse sorridendo, mentre io mi riscossi accigliato.                                                                                                                                                
–Come?                                                                                                                                                                                 
-Stavo pensando al suo progetto, sono arrivata ad un punto morto! Eppure mi manca tanto così! – misurò con il pollice e l’indice.
Shiro, tu preferisci sempre sorridere che piangere? E’ una maschera, oppure è la tua forza?                                                                                                   
-Oh, capisco! E' per questo che stai leggendo tutti questi libri?                                                                                    
-Già, ma li leggo soprattutto perché sono interessantissimi!- si sporse sul tavolo, con il viso illuminato dalla gioia e gli occhi più luccicanti delle stelle.
Io abbozzai un sorriso: quella ragazzina era un’instancabile studiosa.                                                                                                                
– Ahah … mi fa piacere.                                                                                                                               
–Senti, Wammy … - a un certo punto si mise composta sulla sedia, abbassando lo sguardo imbarazzata – mi insegneresti a giocare a scacchi?
Sai l’altro ieri ho visto alcuni ragazzini che ci giocavano in sala comune.                                                                                                                             
-Non sai giocare? – domandai con una lieve punta di stupore.                                                               
–E non guardarmi così! In realtà, un giorno lo chiesi a mio padre, ma mi insegnò solo la disposizione dei pezzi e qualche mossa primaria.
Però il suo lavoro gli impedì di insegnarmi altro. –concluse il discorso quasi sussurrando. Non l’avevo mai vista in imbarazzo sino a questo punto.
Trattenni una risata divertita: era così carina e tenera quando arrossiva!                     
-D'accordo, allora ti insegno!                                                                                                                                                      
-Sì! Grazie Wammy!!! – saltò dall’entusiasmo, alzando la voce. Io mi portai l’indice sulle labbra in segno di silenzio:
tanta euforia ti fa dimenticare di essere in biblioteca! Lei si tappò la bocca all’istante in evidente imbarazzo e poi si guardò in giro circospetta.
Era davvero buffa, a stento riuscii a trattenere le risate. Presi la scacchiera e cominciai ad insegnarle le varie disposizioni dei pezzi, e come si muovevano. Gli scacchi sono un gioco di strategia, ed anch’io volli mettere alla prova le sue capacità intellettive. Mi sembrava di essere L!
Tuttavia dopo qualche incertezza iniziale e una partita di prova, giocammo sul serio.
Io mi basavo su uno schema semplice, essendo la prima volta per lei, ma fu un mio grande errore.                           
– Aahah! Scacco matto! – puntò decisa l’alfiere contro il  mio re.                                                                          
–Come? Cosa? – ero incredulo, mi aveva battuto ed avevamo appena iniziato.                                               
–A quanto pare non è così difficile come sembra! Anzi è divertente! – sorrise compiaciuta, mentre io ero a dir poco scioccato.
Fu a quel punto che decisi di fare sul serio.                                               
Niente da fare, in qualche modo riusciva a cambiare strategia a seconda delle situazioni: questa volta mi attirò in una trappola con le torri per distrarre la mia regina, mentre il cavallo face scacco matto al re. Era sorprendente, ed era solo la seconda partita.                         
–Complimenti, sei davvero brava! Ma sappi che  non ho ancora mostrato le mie vere potenzialità- commentai saccente.                                                                                                                               
–Che bugiardo! Si vedeva benissimo il fumo dalle orecchie per la concentrazione!!                               
Dovetti ammettere che aveva ragione e alla fine ridacchiammo entrambi a bassa voce, per non disturbare la lettura di nessuno.
A un certo punto Shiro si ammutolì di colpo. Cominciò a risistemare i pezzi  della scacchiera, pronta per un’altra partita.                                                                                              
–L , invece di guardare dietro quello scaffale  perché non vieni qui? – domandò Shiro fissando un punto alle mie spalle.
Io mi voltai di scatto e fu sufficiente ad intravedere la pupilla  pece di L, tra un volume e l’altro. La cosa che mi colpì di più, fu come Shiro se ne accorse.
Placido come sempre, L svoltò l’angolo indifferente con il consequenziale dito in bocca. Trascorsero minuti interminabili.
I due si scrutarono attenti. Shiro inarcava un sopracciglio scettica, mentre L restava apatico e silenzioso e continuava a torturarsi l’unghia del pollice.                                                                                                                                                                                                         
–Ahhh!!- la bambina sospirò profondamente, accasciandosi pigra sul tavolo – Sei davvero instancabile, lo sai? Quante volte te lo devo dire?!
Analizzami, squadrami, fammi una radiografia! Ma ti prego, ti scongiuro … Guarda, te lo chiedo come un favore personale. Non mi spiare!!                                                                     
Da L nessuna risposta: continuava a fissarla con i suoi onici bui, mentre Shiro gli lanciò un’occhiata spossata.
Poi la ragazzina rivolse la sua attenzione sulla scacchiera e come presa da un’improvvisa illuminazione disse:                                                                                                                         
-Invece di stare lì a fissarmi, perché non giochi con me?- domandò con sincera spontaneità, indicando con un gesto della mano la scacchiera dinnanzi a sé. L rimase interdetto, lo capii subito. Lo vidi sgranare leggermente gli occhi per la sorpresa, avevo la certezza assoluta che quel bambino tanto solitario non si aspettasse una richiesta simile. Per lui era alquanto difficile interpretare quella della ragazzina come una richiesta spontanea.
L era convinto che fosse una sfida, lui adorava le sfide.                                                                                                                                
–D’accordo.- proferì lapidario, mentre la sua bocca si distese in un ghigno sornione. Lo sapevo.
Senza che nessuno dei due me lo chiedesse, mi scostai dalla sedia per cedere il posto al bambino. Lui mosse a passi alquanto svelti e si accovacciò in posizione fetale sulla sedia. Si incurvò sulle ginocchia poggiando una mano sulla rotula sinistra.
Seguì con gli occhi le dita delicate di Shiro, le quali sistemavano gli ultimi pezzi nelle loro rispettive postazioni.                                                   
–Allora- soggiunse poi lei – bianchi o neri?                                                                                                                                       
-Bianchi- rispose L, senza indugio. A lui piaceva attaccare.                                                                               
–Ok, allora comincia!                                                                                                                                                    
Le punte delle dita di L andarono a spostare il primo pedone in f-3. Shiro fece lo stesso in c-7. La partita si svolse in maniera rapida e veloce:
non appena uno muoveva un pezzo l’altro lo mangiava. Era un testa a testa e non potevo che rimanere a bocca aperta.
Fu la prima volta che vidi un bambino così capace da mettere in difficoltà L; e pensare che Shiro aveva imparato a giocare circa 10 minuti fa.
Le sue capacità di apprendimento erano eccezionali!
La prima partita la vinse L, ma a mio parere la sua fu inaspettatamente una vittoria di Pirro: infatti perse molti pezzi importanti e solo alla fine riuscì a proteggere la regina per lo scacco matto. Shiro arricciò il naso quasi dispiaciuta, ma poi sorrise contenta:                                                                                     
-Ah! Accidenti c’ero quasi!! Ahh … - rise, si stava divertendo sul serio. L invece reclinò il capo confuso: sapevo già cosa gli frullava in testa in quel momento.                                                                   
–Perché ridi? – proruppe atono, non capendone davvero il motivo.                                                                   
–Perché? Perché mi sto divertendo, no?- rispose semplicemente, con un tono stranito non comprendendo la confusione del compagno.                                                                                                                                           
–Divertendo?- ribatté lui, alquanto perplesso – Ma hai perso!- nella sua voce monocorde, scorsi una nota di stupore.                                                                                                                                                                                                       
–Lo so. Ma mi sono divertita comunque! Pensavo di avercela fatta, ma alla fine hai saputo recuperare. Mi hai sorpresa!!
E quindi è per questo che mi sono divertita!! Quando vuoi sei uno spasso!! – sfoggiò un sorriso a trentadue denti, ed era tutto per L.
Io non potei fare a meno di intenerirmi di fronte a quella scena. Shiro non era competitiva, ma anche quando lo era sapeva accettare la sconfitta degnamente in modo sportivo.
Era davvero matura per la sua età,  in quel momento ebbi la certezza che avrebbe insegnato qualcosa di molto importante ad L.                                                                                                                                         
–Ma non darti arie! – riprese sardonica – Tanto nella prossima vincerò io!!- lo canzonò rimettendo i pezzi nuovamente nelle apposite caselle, ma stranamente anche L l'aiutò con uno sconosciuto entusiasmo, che mai avevo visto in lui. La seconda partita Shiro la vinse eccome, e dimostrò di possedere la mentalità di un perfetto generale. Fu una mossa eccezionale: avanzò il re esponendolo al pericolo, L si affrettò a fare scacco con il cavallo ma sorprendentemente lei postò semplicemente l’alfiere di una casella e fu scacco matto.
Fu la prima volta che L perse in assoluto ed anch’io rimasi spiazzato.                                                                         
–Bene , adesso siamo pari- commentò Shiro, puntando quelle luccicanti iridi verdi sul bambino ricurvo di fronte a lei.
Non se lo fecero ripetere due volte e iniziarono un’altra partita, e poi un’altra ancora. Arrivarono ad un totale di 36 giocate:
erano 18 a 18 assolutamente alla pari.
La 37° partita era quella decisiva, nel di silenzio della biblioteca si radunarono anche alcuni orfani, i quali si accorsero dell’accesa disputa.
L’esito lasciò sbalorditi sia me sia i presenti, giocatori compresi: patta. La partita si concluse patta.                                                                                                       
Rimasero entrambi in silenzio e intanto tenevano la presa sulla corona dei rispettivi re, tra il pollice e l’indice.
Si udii il vociare dei ragazzini che li attorniavano stupiti.
Nessuno era mai riuscito ad eguagliare L, fino a quel momento. E non credevo che L l’avesse lasciata vincere, non era nel suo stile,
perché  lui detesta perdere. Quindi …                                                                             
"Grrrr”. Questo, un semplice suono echeggiò in tutta la biblioteca. Quel silenzio religioso accompagnato dai bisbigli dei bambini si interruppe di colpo. Shiro avvampò improvvisamente imbarazzata: - Ehehheh … scusate!! – rise nervosa grattandosi la nuca – Ma ho una fame blu!!                                                                                                                                                                                  
Alcuni cominciarono a ridacchiare sommessi, altri esasperati dall’improvviso cambio di atmosfera si dileguarono. Shiro era nel pieno della vergogna, e le sue guance divennero purpuree. Era così carina quando aveva le gote arrossate: gli occhi verdi spiccavano ancora di più sul suo viso d’angelo.                                                                                                                                                
– Emh … Wammy, c’è un’emergenza … - si rivolse a me in segno di supplica. Io soffocai una risata, ma poi risposi:                                                                                                                                              
-Tranquilla puoi andare già in mensa, tra poco suonerà la campanella del pranzo.                                      
– Evvai! – disse sollevando le braccia- Coraggio andiamo! – fece gesto anche ad L, rimasto rannicchiato ad osservare la scena.
Lui la guardò con l’unghia del pollice fra le labbra.                            
–Hai fame L? Tra qualche minuto ti avrei portato i dolci.- mi intromisi e lui rispose con un cenno del capo.                                                                                                                                                                                          
–Coraggio!! Non penserai mica che ti lasciamo qui a morire di fame!! Arriverebbe un esercito si assistenti sociali a distruggere tutto il prato dell'istituto!!                                                                                               
Era inevitabile: Shiro aveva sempre la battuta pronta. Non sapevo se L avesse colto il suo umorismo, ma si limitò a reclinare in modo buffo il capo.                                                                                       
–Sai, credo che dovremmo giocare più spesso a scacchi. Che ne dici L? –disse poi camminando verso l’ingresso, guardando il piccolo dietro di lei con la coda dell’occhio.                                        
–Si- bofonchiò lui ancora con il dito in bocca. Questo significava che Shiro gli aveva offerto la sua amicizia ed L aveva in qualche modo accettato.
In quel momento guardai le figure dei ragazzi camminare davanti a me. Mi chiesi davvero se il loro legame un giorno non si sarebbe incrinato a causa dell’eccessiva competizione. Shiro sarebbe rimasta quella di sempre? Al pensiero il mio cuore fu affollato da una marea di dubbi e angosce.
Come avresti affrontato la graduatoria, Shiro? Come ti saresti comportata se la mole di lavoro fosse divenuta eccesiva?
Le mie paure e le mie debolezze erano queste.                                                                                        
Proprio ad ottobre cominciarono i test, anche Shiro si preparò come si conveniva e in classe non mancavano acute osservazioni da parte sua.
Il suo entusiasmo lo riversava nello studio, e questo non poté fare altro se non accorami. Lei mi diceva che più era difficile più c’era il gusto della sfida.
Per lei L non era solo un compagno con cui giocare a scacchi, aveva intuito subito la grande genialità del bambino, e diceva che per lei era l’avversario ideale per potersi migliorare sempre più. Nei test metteva tutta se stessa, ad esempio nel primo che fece raggiunse un risultato davvero elevato era solo un punto al di sotto di L. Questa era la nuova classifica: 1- L; 2- Shiro.
Ma lei non se ne preoccupava affatto. Non le interessava della graduatoria se per sé ma dal risultato da lei ottenuto.
Lei puntava all’apice dell’impegno, non le importava quanto tempo ci avrebbe messo ma anche se non avesse mai superato L, almeno voleva conoscere i suoi limiti. Questo mi disse una volta usciti i risultati dei test, inotre era più che sicura che avrebbe dato del filo da torcere ad L. Shiro notò subito l’espressione stupita, a volte scettica e malevola di alcuni orfani che si premeditavano ad essere i migliori. Lei lo sapeva: c’era troppa competizione.
Personalmente, io e Roger Ruvie prendemmo in esame questa situazione: da una parte volevamo allentare un po’ la presa,
dall’altra invece temevamo che questo avrebbe influito sul rendimento degli studenti. Non volevamo ricommettere lo stesso errore del passato.
Dal canto suo il primo in classifica né si curava di quest’ultima e né tanto meno metteva impegno nello studio.
Faceva tutto in modo svogliato senza alcun interesse. La ragazzina se ne accorse e la cosa, le dava un certo fastidio. Lo notai durante i primi mesi, quando si susseguirono altri test. Tutti con risultati eccellenti ed impeccabili, ma il primo posto era sempre e costantemente occupato da L.
Un giorno capitò un altro test, ma quando io e Roger ci apprestammo a correggerli ci capitò tra le mani qualcosa che ci lasciò letteralmente scioccati.
Dopo due giorni, invece che far uscire il tabellone con i risultati della graduatoria, consegnammo i compiti ai rispettivi alunni.
Arrivai tra i due banchi , quello di L e quello di Shiro.
Rilasciai sul banco di L il foglio del suo compito, scritto a tratti leggeri, mentre con l’altra mano sollevai quello di Shiro e lo mostrai alla ragazzina.
Era vuoto, completamente in bianco.
La castana era assorta a guardare fuori dalla finestra, con il viso appoggiato sul palmo. Si voltò solo per prestarmi attenzione.                                                                                                                                                                                                                                 
– Shiro, che cosa significa? Perché, il tuo foglio è completamente in bianco?- assunsi un tono serio, mentre alla parola “bianco” tutti gli alunni
si voltarono stupiti, di conseguenza cominciarono i primi vocii di sottofondo. Anche L con calma placida voltò il capo nella sua direzione.                                          
–La risposta è semplice, non mi andava.- tre lapidarie parole, proferite con un tono austero e fermo da non sembrare il suo.
Stavo per ribattere con qualcosa del tipo:” stai scherzando?”, ma cercai di contenermi. Non era nel mio stile sfociare senza una adeguata motivazione.
Lei non faceva mai niente a caso. Un motivo doveva esserci per forza.                                                                    
–Che vuoi dire?                                                                                                                                                                                                       
-Quello che ho detto: non mi andava.- seguirono interminabili minuti di silenzio. Quelle paure e angosce si fecero di nuovo strada in me,
che si fossero avverati i miei presentimenti.                    
–Non fraintendermi Wammy. Io mi sono preparata eccome a questo test, solo che ho deciso di non farlo.                                                                                                                                                                   
Io ero semplicemente accigliato, come tutto il resto della classe.                                                                                 
–Vedi ero concentratissima, solo che non appena ho preso la penna in mano ho perso interesse. Mi sono accorta che era solo una perdita di tempo e quindi ho preferito non farlo. Non ci sarebbe stata alcuna differenza  tra consegnarlo in bianco e consegnarlo scritto, poiché scrivendolo non avrei riversato la stessa costanza delle volte precedenti. Quindi ho optato per consegnarlo in bianco. Mi dispiace ma io sono una persona coerente.
A questo punto si girò verso L, continuando a parlare con me. Quell’atteggiamento mi ricordava molto … L.                                                                                                                                                                                  
-Ho preferito consegnare il compito di uno studente ribelle e capriccioso, piuttosto che quello di un fantasma.
Se l’avessi fatto avrei mancato di rispetto sia te, sia a miei compagni che si impegnano al massimo e sia alla mia intelligenza che alla sapienza in generale.                                        
E’ per evitare di trasformarmi in un fantasma, che ho deciso così.                                                                                            
L e Shiro si scrutarono intensamente come il primo giorno, in quel momento capii dove voleva andare a parare.                                                                                                                                                                        
–Comprendo le tue ragioni- ammisi abbassando il capo- Per questa volta passi, ma che non si ripeta più. Chiederò al direttore di farti rifare il test, ma davvero non rifarlo mai più.                                                     
–Certo, mi scuso. Non si ripeterà più.- assentì chinando lievemente il capo. Tutti gli sguardi erano puntati su di lei. E fu alquanto difficile distogliere l’attenzione di tutti da Shiro alla lezione del giorno. L continuava a guardarla: era indubbiamente riferito a lui.                                      
Convinsi senza fatica Roger a sottoporla ad un test di riparazione,il quale svolse nel tardo pomeriggio mentre tutti erano in pausa.
Aveva detto di aver studiato per il test, quindi non ci furono problemi.
Il giorno dopo affiggemmo la nuova graduatoria: pari merito. L e Shiro si posizionarono entrambi primi nella classifica. La cosa lasciò stuccati tutti.                                               
La folla dei ragazzini si aprì ad imbuto facendo passare Shiro, la quale osservò la graduatoria.                        
-Complimenti Shiro – soggiunsi alle sue spalle, sorridendo fiero.                                                                            
–Grazie Wammy, ho fatto davvero del mio maglio stavolta.                                                                                                
I tonfi sordi prodotti dai piedi nudi sul pavimento si avvicinarono alle  nostre spalle. L si accostò con espressione di indecifrabile apatia, sollevò il capo:
il suo nome era affiancato da un altro.                               
Poi abbassò il mento per guardare Shiro:- Brava- disse lapidario, conservando freddezza.                     
–Grazie!- ma dopo quel brevissimo scambio di battute, la ragazzina si avviò spensierata. Non c’era beffa nella sua espressione, e nemmeno estrema austerità. Pareva serena, un volto serafico direi.                                                                                                                                                                                   
–Lo sai L? – si fermò di fianco a lui, rivolgendogli una breve occhiata – E’ un po’ inquietante avere alle costole un cane-fantasma.                                                                                                                             
E detto ciò proseguì per il corridoio. In seguito si bloccò  nuovamente, a metà strada. Davvero era stata così seria e adulta?
Quell'atto di fermarsi, mi ricordò quell'episodio nel treno. Si voltò di scatto.               
Ci guardò un attimo, anzi guardò L. Questo si girò sentendosi gli occhi puntati addosso.
Shiro sorrise sardonica, subito abbassò un palpebra con l’indice, per fare l’occhiaccio e poi tirò fuori la lingua: - Bleeeh!!                                                                                                         
Quella che ne uscì fuori fu una spaventosa boccaccia di scherno. Ma poi distese il viso gli urlò: - Ti vuoi dare una mossa?! Se continui così alla fine finirò per superarti e tu non vuoi questo, vero cagnolino dei miei stivali???                                                                                                            
Me lo dovevo aspettare che avrebbe reagito così! Shiro era pur sempre Shiro!                                                                    
Infine, la ragazzina si voltò dispettosa e riprese il tragitto sino ad allontanarsi definitivamente. Io guardai L: aveva il capo chino, i ciuffi neri disordinati facevano ancora più ombra sul suo sguardo.                                                                                                                                                   
-100% - mormorò a fior di labbra. Il suono della sua voce fu quasi impercettibile al mio udito.                                                                    
–Cosa L?                                                                                                                                                                                   
-Niente …
 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    










































Ciaoo!! Finalmente posto scusate il ritardo!!
Le lacrime non sono ancora arrivate, ma che ne pensate?? 

  
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