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Autore: Herm735    16/09/2012    10 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Come sempre ringrazio davvero tutti quelli che hanno recensito e aggiunto la storia tra le seguite e chi ha letto. Siete grandi ragazzi!

Ringrazio Trixie per il lavoro che ha fatto e sta facendo nel creare i banner per la storia :)


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Avvertimenti: Angst (pesantemente)




La nostra prima storia di vita e di morte


A volte mi guardavo intorno e tutto ciò che vedevo era oscurità.
Come se fossi sepolta viva.
Allora inspiravo a pieni polmoni e mi muovevo lentamente, come se avessi avuto paura di fare un passo nel vuoto da un momento all'altro.
Però mi muovevo.
C'erano altre volte in cui tutto ciò che vedevo era appannato.
Come se fossi circondata da ghiaccio.
Allora non riuscivo a respirare e mi paralizzavo, aspettando che il ghiaccio si sciogliesse o mi uccidesse.
Di solito si scioglieva.
Finché, un giorno, mi aveva ucciso davvero.
Mi guardo allo specchio ed è palese.
Sono morta.
La persona allo specchio, non sono io. Quello è il ricordo che ho di me.

“Arizona Robbins.”
“Calliope Torres.”
“Primo giorno da specializzanda?”
“Sì.”
“Anche per me.”
“Chi ti è toccato?”
“La nazista.”
“Sul serio? Anche a me.”


Eravamo state amiche prima di diventare amanti.
Forse era per quel motivo che le cose funzionavano così bene, tra di noi.
Adesso, quando penso a lei, tutto ciò che ho la forza di credere è che il mio destino fosse quello di incontrarla. Di conoscerla. Di sapere chi fosse. Prima che entrambe lo dimenticassimo.

“Hai deciso che specializzazione sceglierai?”
“Pediatria. Tu?”
“Ortopedia, credo.”
“Rimarrai qui al Seattle Grace?”
“Sì. E tu?”
“Certo.”
“Se ti offrissero un posto migliore?”
“Sai che questo per me è il posto migliore.”
“Potrebbe esserci un posto migliore, invece. Se ti chiamassero da New York, per esempio.”
“Ma lì non ci saresti tu.”


La amavo. La amo ancora.
Anche lei mi aveva amato.
Mi chiese di andare a vivere con lei ed io accettai.
Mi disse di volere un figlio, ma io la lasciai.
Le dissi che avrei avuto un figlio con lei, se era davvero quello che voleva.
Mi disse che non mi avrebbe mai costretto a fare qualcosa che non volevo fare solo per egoismo, solo perché era quello che voleva lei.
Solo perché sarebbe stato più facile per noi.
La amavo. E lei amava me. E tutto il resto mi era sembrato così inutile, allora, che non avrei saputo che farmene di una vita intera senza di lei.
Poi entrò un tizio con una pistola in ospedale ed iniziò a sparare a tutti i chirurghi che incontrava.
Entrò nella stanza dove eravamo noi.
Lei si mise tra me e lui.

“Sei un chirurgo?”
“Sì, signore.”
Caricò il colpo.
“Posso solo...posso dirle addio?”
Tutto ciò che mi era concesso vedere era il volto dell'uomo e il profilo dolce di Calliope.
Aveva le mani leggermente alzate. E, leggermente, tremavano.
L'uomo mi lanciò un'occhiata e poi annuì.
“Mi dispiace. Mi dispiace averci portato via del tempo per quella stupida storia di avere un bambino. Mi dispiace che tu mi veda tremare. Se potessi tornare indietro ti direi che non importa” scosse la testa inspirando. “Davvero. Non importa. Niente di niente. Quello che conta, quello che dovrai ricordarti di me, non devono essere i due mesi in cui ci siamo lasciate, e nemmeno adesso, nemmeno le mie mani che tremano. Ricorda invece tutto ciò che c'era prima. Ricorda quanto ti ho amata e quanto ti amo. E trova una donna che sia buona con te. E magari, un giorno, riuscirai a parlarle di me e sorridere.”
“Non ho avuto abbastanza tempo. Io ho...bisogno di più tempo”le risposi piangendo silenziosamente.
“Anch'io. Ma tutto ciò che devi sapere richiede solo un secondo per essere detto. Ti amo.”
Feci un passo verso di lei, e la pistola si spostò su di me. Era quello che volevo. Perché, anche se fossi sopravvissuta, non ci sarebbe stata vita, senza si lei.
“Dei chirurghi hanno ucciso la donna che amo davanti ai miei occhi.”
Fu allora che capii che mi avrebbe ucciso davanti ai suoi.
Mi chiesi quanto sarebbe stato doloroso.
E l'unica cosa che riuscii a rispondere a me stessa, fu che mi avrebbe fatto meno male di veder morire lei.
“È stato mille volte più terribile della cosa più atroce che avessi mai potuto immaginare.”
Lo capivo.
“Nessuno dovrebbe mai vedere la persona che ama morire. È come morire anche quello. Ma, al contrario, invece di andarsene, il dolore rimane. E cresce.”
Guardò Calliope guardare me.
E abbassò la pistola che aveva puntato alla mia testa.
Se ne andò, senza dire altro.


Lentamente, come un fiore che sboccia quando arriva la primavera, dopo quel giorno io e lei ci rialzammo in piedi.
Fu difficile.
Ma riuscimmo ad essere felici di nuovo.
Adesso, se dovessi ricordare uno dei momenti in cui eravamo felici, potrei descrivere il luogo in cui eravamo, cosa stavamo facendo, di cosa stavamo parlando.
Ma non sarei più in grado di descrivere quella sensazione che averla vicino risvegliava dentro di me.
Mi guardo attorno.
Lei è stata dove sono io adesso.
Ma quello è stato molto tempo fa.

“Rimani qui. E sii felice. Ed io andrò là, e sarò felice.”
“Arizona, no.”
“Non è un ordine, non te lo sto imponendo. Voglio solo darti la possibilità di scegliere. Rimani qui e sii felice. Laggiù non lo saresti, questo lo sappiamo benissimo entrambe. Quindi rimani a casa, come è giusto che sia.”
Non dimenticherò mai lo sguardo nei suoi occhi.
Si era arresa. Rassegnata.
Sapeva che avevo mentito. Non era una richiesta. Era un ordine.
E nei suoi occhi lessi tutto il dolore che le avevo inferto.
La stavo lasciando indietro.
“Trova qualcuno che ti ami più di me, Calliope. Anche se credo che sia impossibile.”
E fu impossibile.
Non avrebbe mai trovato qualcuno in grado di amarla più profondamente di quanto avevo fatto io, poca importanza aveva quanto a lungo avrebbe continuato a cercare.
“Trova qualcuno che ti renda abbastanza felice da farti scegliere di rimanere, Arizona. Tutto quello che sono stata capace di fare io è stato fartelo desiderare.”


Non trovai mai nessuno capace di farmi scegliere di rimanere.
Ma trovai qualcuno capace di convincermi a fare molto di più.
Trovai qualcuno che mi fece scegliere di tornare indietro.
Ma era troppo tardi, quando lo feci.
Dicono che c'è un momento in cui dobbiamo scegliere. C'è una persona, nella nostra vita, che ci ha cambiato per sempre. Una persona grazie alla quale non saremo mai più gli stessi.
E quando questa persona ci lascia, quando la nostra anima gemella ci abbandona, quando sappiamo che non riusciremo mai più ad amare qualcuno allo stesso modo, allora arriva un momento in cui siamo liberi di fermarci, prenderci tutto il tempo che ci serve, e scegliere.
Scegliere di passare il resto della nostra vita con qualcuno che ce la ricordi sempre, o con qualcuno che non ce la ricordi mai.

“Mark! Hai dimenticato le chiavi?”

Lei aveva scelto qualcuno che non le avrebbe mai ricordato di me.

“Sono stata via cinque mesi. Cinque mesi. E quando torno tu sei andata avanti.”
Pronunciai le ultime due parole con disprezzo.
“Sai che non è vero.”
“Sono stata solo cinque mesi nella fottuta Africa e quando torno tu sei incinta.”
“Solo cinque mesi, Arizona? Solo? Perché a me non sono sembrati solo cinque mesi, quando ogni minuto mi sentivo come se stessi sprofondando nella terra e l'inferno mi si stesse chiudendo addosso.”
“E come credi che mi sentissi io? Come credi che mi sentissi io che ero sul serio nel bel mezzo dell'inferno e non avevo te al mio fianco?”
“Ho aspettato tre mesi che tornassi senza neanche respirare, praticamente solo fissando la porta mentre piangevo, sperando di vederti magicamente apparire a chiedermi scusa.”
“Ti ho chiesto scusa” protestai.
“Dopo cinque mesi. E comunque con due mesi di ritardo.”
“Tre mesi che me n'ero andata e tu hai dormito con lui. Questo è semplicemente devastante, per me, non so se riesci a capire quanto.”
“Io ti ho guardato andar via. Credi davvero che non sappia a quanto dolore una persona può riuscire a sopravvivere?”
Provò a richiudere la porta, ma io la fermai con una mano.
“No, ti prego. Dammi ancora qualche minuto.”
“Per quale motivo, Arizona? Perché vuoi qualche minuto?”
“Perché per quanto faccia male stare qui, davanti a te, fa meno male del solito.”


Fu come radere tutto al suolo, come fare piazza pulita.
E poi caricarsi un enorme mattone sulla schiena per portarlo sulla vetta di una montagna. Un migliaio di volte. E quando ci furono abbastanza mattoni, ricominciammo con fatica a costruire da capo la nostra casa insieme. Solo che, finalmente, avevamo realizzato che la nostra casa eravamo noi.
Non fu facile.
La maggior parte del tempo, continuò a fare male.
Come l'inferno.
Come il fuoco.
A volte mi sentivo consumare l'anima dalla fatica che mi occorreva ogni giorno per decidere di rimanere.
Ma era comunque più facile di come ero stata senza lei.

“Sei innamorata di lui?”
“Questa è gelosia. Sei gelosa.”
“E mi biasimi?”
“Non ti ho mai dato nessun motivo per essere gelosa.”
“Eccetto la piccola parte in cui ti ha messo incinta.”
“Non stavamo insieme, allora. E sai che me ne sono pentita subito dopo, lo sai. Sai come stavo, in che stato ero, in che stato mi avevi lasciato.”
“Lo so. E non passa giorno che io non mi penta di essermene andata. Vorrei solo che anche a te dispiacesse di avermi ferita.”
“Arizona, sono mortificata. E tu lo sai, lo sai” mi prese le mani.
“Sei innamorata di lui?”
“No!” mi lasciò andare le mani. “Dio, no. Non sono innamorata di lui. Smetti di chiedermelo, Arizona.”
“Se non è vero perché dovrebbe infastidirti così tanto?”
“Perché lo insinui tutto il tempo. Costantemente. Se non ti fidi di me, forse tutto questo è stato un errore. Forse abbiamo affrettato troppo le cose.”
“Forse lo abbiamo fatto.”
“Forse dovremmo ricominciare da zero. Vivere in due appartamenti separati. Ricominciare ad uscire una sera alla volta e vedere come vanno le cose. O forse dovremmo solo...prenderci una pausa.”
“O forse dovresti sposarmi.”


Accettò nonostante quanto fosse stata scadente la proposta. Non avevo neanche un anello insieme a me.
Ma non potevo sopportare il pensiero di perderla ancora una volta.
Così avevo pensato all'unico modo che avevo per far sì che lei mi provasse che voleva davvero stare con me e rimanere con me.
Così accettò.

“Non voglio che ci siano molte persone. Potremmo fare una cosa intima.”
“Per quanto mi riguarda possiamo essere solo io e te. Questo è tutto quello che voglio, in assoluto.”
Lei mi sorrise.
“Dopo che il bambino sarà nato potremmo lasciarlo con Mark per un paio di giorni mentre facciamo una piccola fuga. Magari in Canada. O in California, se hai voglia di prendere un po' di sole.”
“Sarebbe molto romantico.”
“Sarai bellissima.”
“Come fai a dirlo?”
“Perché sei sempre bellissima.”
“Arizona?”
“Sì?”
“Ti amo.”


La cosa da sapere della vita, è che le cose non vanno sempre come avresti voluto che andassero. E non tutto accade nel modo in cui lo avevi programmato.
Le cose brutte accadono.
E, nonostante sembriamo essere convinti che non possano mai accadere a noi, a volte dobbiamo fare i conti con il fatto che la vita non è giusta.
Non c'è niente di giusto in un luogo in cui qualcuno vive e qualcuno muore. Anche quando si hanno le stesse probabilità, a volte capita che sia come lanciare una moneta e vederla roteare davanti ai propri occhi.
Destra o sinistra.
Testa o croce.
Vita.
O morte.

“Cosa diavolo è successo?”
“Mark stava guidando. Sono andati a sbattere contro un camion. Sono entrambi privi di sensi al momento. Arizona, potrebbero non farcela.”


Morte.
Questa è la parte della vita che fa sparire tutto il resto.
Che rende tutto ciò che è accaduto prima troppo importante per lasciare che anche solo un secondo ne vada sprecato, e tutto ciò che accadrà dopo troppo insignificante anche solo per essere preso in considerazione.
La morte cambia tutto.
Ed è chi rimane in vita che deve fare i conti con i cambiamenti. Con il dolore.

Mark si svegliò qualche minuto dopo l'arrivo in ospedale.
“Che cosa è successo dentro la macchina? Come hai fatto a non vedere un camion fermo in mezzo alla strada?”
“Stavamo discutendo, quando ha deciso di chiamarti per sentire come andavano le cose in ospedale. Le ho preso il telefono e l'ho gettato nei sedili posteriori. Le ho detto che avrebbe dovuto scegliere me. Che avremmo dovuto crescere nostra figlia insieme e che avrebbe dovuto sposare me.”
Non trovai la forza di reagire come avrei voluto.
Quell'uomo era su un letto di ospedale. Come potevo colpirlo senza rimorso con un pugno dritto in faccia?
“Si è sganciata la cintura di sicurezza ed ha ripreso il telefono. Tutto quello che mi ha risposto è stato 'Mark, sei impazzito. Io amo Arizona.' e tutto quello che ricordo dopo è il rumore dei vetri che si fracassavano.”
Il battito del cuore gli aumentò ed andò in arresto.
Entrò in coma.


L'impatto era stato dalla sua parte. Anche se stava ancora indossando la cintura, il colpo era stato così forte da causare danni irreparabili ai polmoni e al cuore. Se ne andò per primo.
Calliope era senza cintura. Era stata gettata attraverso il parabrezza dell'auto.
Rimasi affianco al suo letto per tutto il tempo.
Quando il suo cuore si arrese, io rimasi a guardare per ore, mentre la operavano tentando di farla continuare a vivere.
Teddy ogni tanto doveva voltarsi e chiudere gli occhi, per poter continuare ad operare, guardando mentre lei a poco a poco si spegneva.
Addison, invece, si voltava spesso di lato per versare qualche lacrima. Era l'unico modo in cui poteva pulirsi la visuale e tornare ad osservare con attenzione il monitor.
Cristina le aveva tenuto la mano per quasi tutto il tempo, convinta che nessuno fosse in grado di vederla.
Poi, all'improvviso, entrarono in arresto. Sia Calliope che il bambino.

“Togliti.”
Era una bambina.
Volevo essere io a far vivere quella piccola creatura.
Volevo essere io a farla respirare per la prima volta. A farle battere il cuore, per la prima volta, mentre ascoltavo il suo primo battito con lo stetoscopio. Volevo che vivesse. Avrei dato la mia vita senza difficoltà perché lei potesse vivere.
“Sento il battito.”
Tutto ciò che sentii in risposta fu un insistente bip.


Non ci furono risposte.
Nessuno disse niente.
Nessuno si mosse.

“Ora del decesso, 23 e 06.”

E fu allora che il ghiaccio sembrò uccidermi.
Dicono che il posto peggiore che esista è l'Inferno.
Nel senso comune, però, si parla di Inferno come di un luogo in cui chi in vita ha sbagliato dovrà assumersi la responsabilità delle proprie azioni, un posto in cui dovrà finalmente scontare una pena in base ai propri crimini.
L'Inferno è un posto in cui c'è giustizia.
Il posto peggiore che esista è il mondo. Qui, non c'è giustizia.
Basta guardarsi attorno.
La vita di tutti è appesa ad un filo. Basta un soffio. E si precipita nell'oscurità.

“Inizia a vedersi” si sfiorò la pancia davanti allo specchio.
Appoggiai una mano sul piccolo rigonfiamento che iniziava ad avere.
“Ciao. Come vanno le cose lì dentro?” chiesi stupidamente al suo ombelico. “Scommetto che fa caldo.”
La sentii ridere da lassù dove si trovava.
“Non ridere, mi distrai. Sto cercando di avere una conversazione con il mio bambino, quaggiù” le dissi sottovoce, come se il bambino in questione potesse davvero sentirmi.
“Mi spiace, continua pure.”
Mi schiarii la voce.
“Come stavo dicendo, scommetto che fa caldo. Deve essere un bel posto, confortevole. Però magari troppo cupo. Vedrai, ti piacerà il mondo. C'è molta luce qui fuori. E ti piacerà la tua camera. La sto sistemando tutta da sola, perché non voglio che la tua mamma salga su una scala mentre sei ancora lì dentro. Per adesso è solo bianca, ma appena saprò se sei un maschietto o una femminuccia, la dipingerò. Ho già sistemato il lampadario e ho montato un lettino e comprato una culla. So che è presto, ma mi sento come se dovessi essere pronta quando deciderai che è il momento di venire fuori da lì.”
Calliope rise di nuovo. Poi mi tirò in alto e mi baciò.


Ricordando in seguito le mie parole mi resi conto che avevo mentito a mia figlia.
Il mondo non avrebbe avuto molta luce, ma sarebbe stato molto più tetro del posto in cui allora si trovava.
Dopo aver sentito le parole di Hunt uscii dalla sala operatoria senza guardarmi indietro.
Come ho detto, mi sentivo immersa nel ghiaccio.
Tutto intorno a me era appannato.
Tutto scorreva lentamente, come se non fosse reale.
Per un secondo pensai che, se non fosse stata incinta, forse si sarebbe salvata. Subito dopo mi chiesi che razza di persona pensa una cosa del genere. Infine, realizzai che probabilmente anche per la bambina sarebbe stata questione di ore.
Era troppo piccola. Era indifesa. Non sarebbe potuta sopravvivere.

“Che ne dici di Lily?”
“Non lo so. Forse?”
“D'accordo, che te ne pare di Matthew?”
“Credevo stessimo discutendo i nomi femminili.”
“Giusto. Allora, vediamo...Jennifer?”
“Troppo comune.”
“Hai ragione. Jane?”
“Mi prendi in giro? Quello è tipo il nome più usato nella storia dell'umanità.”
“Il mio repertorio in questione di nomi non è molto vasto. Fino a qualche tempo fa non avevo mai preso in considerazione l'idea di avere un figlio.”
“Non ho mai pensato ad un nome, in tutta onestà. Pensavo che mi sarebbe venuto quando sarebbe stato il momento.”
“Abbiamo ancora tempo.”
“Se non troviamo niente di meglio scegliamo Jamie. Andrà bene sia per un bimbo che per una bimba.”
“Perché invece non cerchiamo un nome che le ricordi le sue origini latine?”
Lei mi sorrise.
Io la baciai affettuosamente. Mi piaceva starle così vicino, a parlare di cose che avremmo deciso insieme. A parlare del nostro futuro.
Ero sdraiata accanto a lei, con un gomito mi tenevo sollevata per guardarla negli occhi, mentre con l'altra mano le accarezzavo la pancia.
“Ce l'ho” sussurrò tra un bacio e l'altro.
“Dimmi.”
“Sofia.”


Le ultime parole di Calliope erano state 'Io amo Arizona'.
Quella bambina era nostra figlia. Era mia figlia.
Eppure non potevo avvicinarmi.
La guardavo dal vetro della stanza di terapia intensiva neonatale mentre lentamente si indeboliva sempre di più.
Se ne stava andando anche lei.

“Ti prego. So che sei una che combatte, proprio come lo è la tua mamma.”
Era. Lo era la sua mamma.
Ricominciai a piangere. Non sembravo capace di fare altro in quei giorni.
“So che puoi farcela. Lo so. Puoi vivere, se scegli di farlo. So che non vorresti, lo capisco, perché neanche io riesco a trovare una ragione per continuare a combattere. Ma se tu potessi solo...se potessi vivere per me, sarebbe fantastico. Se potessi riuscire a capire che anche io sono la tua mamma, che anche io sto morendo insieme a te, e che anche io darei la vita per te, perché ti amo più della mia stessa vita, allora credo che potresti trovare una ragione, nel tuo cuore, per provare a lottare. Non ti dirò che sarà facile per noi due, perché non lo sarà. Ci saranno momenti duri e non ci sarà lì la tua mamma per aiutarci a superarli. Ma alla fine ce la caveremo, ed io mi impegnerò al massimo per ricordarti ogni giorno quanto io ti voglio bene, questo posso promettertelo. Quindi sarebbe meraviglioso se decidessi di combattere per me. E vivere per me. Ci sono tante di quelle cose che ti perderesti, della vita. Tante cose brutte, sicuro, ma anche alcune cose belle. Quelle cose per cui vale la pena vivere, anche se il mondo è così ingiusto. La tua mamma era tra le cose belle, sai? Lei era...Lei è la cosa per cui io continuo a vivere. Può essere anche tra le tue ragioni, se lo vuoi. E posso esserci anche io. Ma ti prego, ti prego, scegli la vita.”


Qualche secondo dopo il suo cuore si fermò.

“Arizona?”
“Sì?”
“Sono felice che tu sia tornata da me.”
“Lo sono anche io, amore.”
“Non potrei sopravvivere se un giorno te ne andassi di nuovo.”
“Non andrò da nessuna parte. E neanche tu riuscirai a scappare, perché anche se ci provassi io ti seguirei fino in capo al mondo.”
“Andrà tutto bene, giusto? Saremo ridicolmente felici e invecchieremo insieme, vero?”
Avevo pensato che avesse paura che ci lasciassimo di nuovo.
Ma se ripenso adesso alla vibrazione nella sua voce, mi chiedo istintivamente se non si fosse in realtà aspettata qualcosa come quello che era accaduto.
A volte penso che lo sapesse.
Aveva qualcosa negli occhi. Come una pacata rassegnazione. Come se mi stesse chiedendo di mentirle.
Ed il fatto che credessi sinceramente alle parole che avevo detto, non le rendeva diverse da una qualsiasi altra bugia.
“Andrà tutto bene.”


Sono morta.
La persona allo specchio, non sono io. Quello è il ricordo che ho di me.
È come gli altri mi vedono.
Sono morta molto tempo fa.
Quando il cuore di mia figlia si fermò, io ero al suo fianco.
Fui veloce. Ho ottimi riflessi medici, dopotutto.
Tenere la vita di tua figlia tra le mani, vederla sfuggire al tuo controllo, è qualcosa in grado di farti dissolvere. Di farti capire quanto insignificante tu realmente sia.
Esco dal bagno ed entro nella mia camera.
Mi siedo sul bordo del letto.
Sono morta.
Eppure ancora vivo.
È sbagliato. È distorto. E non è davvero come se fossi ancora dentro la mia vita.
Però vivo. Cammino. Lavoro. Sorrido. Sono felice, la maggior parte del tempo.
Non davvero felice. Ma qualche volta quello che provo ci si avvicina, un po'.
E amo ancora.
Contro ogni previsione, c'è qualcuno che sono ancora in grado di amare.
Mi volto verso il centro del letto e la vedo.
Le accarezzo i capelli delicatamente, avvicinandomi.
Calliope rimarrà sempre la ragione principale per cui ancora combatto.
“Sofia, tesoro, svegliati. È ora di andare a scuola.”
Nostra figlia è il solo altro motivo per cui continuo a vivere.





Grazie mille a tutti voi che avete letto e, se ne avete voglia, sappiate che un commento è sempre ben gradito!


A presto!


  
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