Detto in parole povere, M. non riusciva più a vedere oltre al suo naso. Quella strada (o autostrada) che lo aveva accompagnato fin dall'inizio era ora solo polvere e cemento. Il sole all'orizzonte. Piccoli roditori che farfugliano e poi scappano via manco fossero inseguiti dal diavolo stesso. Il tempo che si ferma per qualche ora e poi torna a concepire incubi. Nella mente qualche nome, numeri di telefono, indirizzi e posti da non visitare più, nemmeno per tutto l'oro del mondo.

La città all'alba. Quando piove è meglio. M. si stiracchia, alza la testa dal cuscino per vedere se qualcuno gli ha rubato l'idea. Nessuno. A quel punto può pure girarsi dall'altra parte e continuare a dormire. L'idea rimarrà lì come un cancro pronta a divorarlo non appena ne sentirà la necessità.

La stanza è sempre la stessa. C'è la scrivania. C'è il computer. C'è il letto. C'è la libreria. Ci sono le foto ed i vetri son quasi tutti rotti. E le porte quasi tutte sfondate. E la coperta è decisamente la stessa. Buona per coprirgli piedi, gambe e torace ma non abbastanza grande da inghiottirlo, risparmiandogli la luce, il buio, la luce, il buio, la luce, il buio ed il passare delle ore. Questa volta M. apre solo un occhio. L'idea è ancora lì. Allunga una mano per afferrarla ed infilarsela nel taschino dei pantaloni del pigiama. Ora nessuno può più rubarla. O sapere che è mai esistita.

Ma c'è. Vive. Respira. Si nutre da sola. E'.