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Autore: SellyLuna    16/09/2012    3 recensioni
"Un suono lungo e insistente la riportò alla realtà. Guardò il macchinario dove spiccava una lunga linea verde continua. Non ci credeva. Il suo Sasuke-kun aveva smesso di combattere per la propria vita. Riguardò lo schermo per avere un’ultima conferma mentre quel suono così definitivo le ronzava nelle orecchie."
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
- Questa storia fa parte della serie 'È perfetto il mondo dentro agli occhi tuoi'
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Invece no
 

 

Forse bastava respirare
Solo respirare un po’
Fino a riprendersi ogni battito.

 

Frastuono. Era quello che aveva sentito fino a quel momento, un rumore indefinito di voci, suoni e toni, uno sull’altro, tutti alla ricerca di prendere il sopravvento, ma mai nessun elemento riusciva ad avere la meglio. Si sentiva immersa in quel frastuono, ma a volte non le sembrava di percepirlo, le scivolava lieve sulla pelle come l’acqua, senza intaccarla, senza turbarla nel profondo. Comprendeva quella frenesia, almeno con una parte della sua mente, sebbene non la  stesse vivendo per davvero. Le sembrava quasi lontana e irreale.
In qualche modo era fuori dal tempo, ma alla stessa maniera lo sentiva passare, veloce e inesorabile. Era sempre talmente affaccendata che non aveva neanche un attimo di tregua e forse era un bene, così non si perdeva a pensare, a domandarsi tanti perché esistenziali e di conseguenza non cercava delle risposte definitive.
Non riusciva nemmeno a completare una visita che subito le segnalavano – quasi urgente – l’arrivo di un nuovo paziente. E lei faceva di tutto per mettere in sesto i ninja che capitavano all’accampamento medico, scacciando l’oscuro presentimento che sarebbe potuta essere l’ultima volta, perché, alla fine della convalescenza, sarebbero tornati a combattere in campo aperto e magari qualcuno di loro avrebbe potuto trovare la propria fine. Come avrebbero potuto informare le famiglie? Non osava pensarci.
Ogni tanto il suo pensiero, nonostante il continuo e incessante lavoro, andava oltre all’accampamento medico e arrivava nel vivo della guerra, là dove c’era Naruto a scontrarsi con il temibile nemico. Come se la stava cavando? Doveva ammetterlo, ogni tanto la preoccupazione faceva capolino, ma la scacciava con la ferma convinzione del valore di Naruto. In fondo era il loro eroe, il futuro Hogake.  Lei ci credeva, aveva piena fiducia in lui e nelle sue capacità.
Quando era particolarmente propensa  a fare un viaggio dentro sé, fra le sue emozioni, riusciva a indirizzare la sua mente verso un’altra figura importante della sua vita. Sasuke. Dov’era? Cosa faceva? Odiava ancora in modo folle tutti loro?

Non aveva avuto più sue notizie da quando si era messa in testa di poterlo eliminare, per salvarlo dall’oscurità in cui stava sprofondando. Ma le cose non erano andate esattamente come aveva progettato. Non sapeva definire se era stato un bene o un male.
In realtà anche di Naruto sapeva poco o nulla, lì dove erano loro le notizie non giungevano e questa situazione precaria l’affliggeva ulteriormente.
E, in quell’assurda percezione temporale, i secondi, i minuti e le ore trascorrevano ma nessuno, tra ninja e medici, se ne accorgeva veramente.
 
 
Qualcosa era cambiato, l’aveva percepito in modo inconscio. Quella spossante corsa contro il tempo e la paura di non farcela non erano più nell’aria. C’era più tranquillità, lo leggeva sui visi stanchi di Shizune e gli altri medici, suoi collaboratori. Aveva il permesso di emettere un leggero sospiro di sollievo.
E poi le aveva sentite arrivare un po’ dovunque, voci concitate, urla di gioia, di scampato pericolo. La guerra era terminata.
La sua pelle tirata si lasciò modellare in un sorriso sincero e vero, il suo primo sorriso dopo tanto, tantissimo tempo. Non ricordava nemmeno più quando avesse disteso le sue labbra l’ultima volta e, anzi a dirla tutta, non era più sicura di ricordare come si facesse.
Successivamente i protagonisti della quarta grande guerra raggiunsero l’accampamento ninja per curarsi le loro ferite, più o meno gravi.
Mano a mano aveva rivisto tutti i suoi amici, i suoi compagni, che tornavano sani e salvi dalla battaglia procurandole una piacevole sensazione, come se un improvviso vuoto venisse riempito. Sarebbe stata ancora meglio quando avesse visto anche Naruto tornare vittorioso, così da riempire quel vuoto quasi completamente. Per la parte mancante avrebbe lavorato in futuro.
Ad un tratto lo vide, in lontananza, arrivare in quella direzione. Era proprio lui, come poteva non riconoscere la sua capigliatura bionda e sbarazzina? Per non parlare del suo grande e luminoso sorriso.
Non era solo, insieme a lui c’erano il maestro Kakashi e il maestro Gai, entrambi sfiniti ma contenti. Naruto sosteneva, con l’aiuto del loro maestro, un’altra persona, che non era ridotta molto bene. Da quella distanza non riusciva a identificare quella sagoma, ma aveva notato che aveva capelli scuri e, pian piano che si avvicinava, l’aveva riconosciuto. Non poteva crederci.
Il suo cuore aveva fatto un enorme salto, seguito da inarrestabili battiti, sempre più frenetici; credeva di stare per morire e in fondo non le sarebbe dispiaciuto, aveva negli occhi impressa la sua immagine.
Non vedeva l’ora di rincontrare i suoi profondissimi occhi e iniziava a preoccuparsi nel constatare che Sasuke teneva il viso basso. Poi capì e fu un duro colpo. Il suo cuore si era fermato, solo per un attimo che le era parso infinito, durante il quale tutto ciò che c’era attorno a lei era sparito, era stato risucchiato in un’altra dimensione. Il suo organo vitale era ritornato a battere, ma il frastuono, così familiare, non era più tornato. I suoni non arrivavano alle sue orecchie, vedeva le bocche aprirsi e chiudersi, poteva leggere quello che stavano dicendo, ma non lo sentiva. Il mondo con i suoi toni alti e aspri si era attutito, ma non si era fermato, continuava la sua folle corsa. Ma ora, era lei a volersi fermare. Gliene era data la possibilità? Anche solo per un istante, non pretendeva molto.
Sapeva già la risposta al suo interrogativo. Lacrime nascoste e impetuose le sgorgarono dagli occhi, inondandole il viso già provato dalla fatica.
 

 
 
 

Chi resta qui
Spera l’impossibile
 

Alcuni mesi dopo
 
Un raggio di sole si posò sul fiore bianco nel vaso, donandogli calore e forza per animare quella stanza d’ospedale, dove era costretto a letto un ragazzo, perennemente addormentato.
Il giovane non poteva vedere la genuina delicatezza del fiore che, per volere di una ragazza, non mancava mai. E non poteva sentire il dolce e inebriante profumo di speranza che quel fiore, posto sul davanzale davanti alla finestra, emanava dai suoi petali, spargendosi per la stanza.
Era l’unico segno di vita, di movimento altrimenti tutto il resto era fermo, immobile, quasi sospeso nel vuoto, nel tempo e nello spazio.
Anche chi apriva la porta, simbolo dello spartiacque tra la vita e il limbo, ed entrava sembrava muoversi lentamente, soppesando le proprie azioni per paura di infrangere quell’equilibrio già di per sé molto labile, che dominava quel luogo.
L’unica a non sentirsi un’estranea era una ragazza che spesso faceva visita al malato, la stessa che portava il fiore fresco non appena il suo predecessore fosse appassito.
Dopo aver osservato le condizioni del fiore, rivolgeva la sua attenzione al ragazzo. Dava una rapida occhiata al macchinario accanto al letto con sguardo speranzoso, ma ogni volta quella pallida speranza se ne andava con la stessa velocità con cui si era affacciata nei suoi grandi occhi verdi.

Per il resto del tempo, che rimaneva seduta sulla misera e scomoda sedia affianco al paziente, concentrava la sua attenzione al ragazzo dormiente.
A volte stava, per ore, ad osservarlo, muta, mentre i suoi occhi si riempivano dell’immagine di lui, cercava di memorizzare ogni particolare con il timore che quella fosse l’ultima volta che avrebbe avuto l’occasione di vederlo.  Non si stancava mai di osservare il suo viso, credendo ormai di conoscerlo, e si soffermava ora sulle palpebre dolcemente abbassate che nascondevano i suoi occhi d’ossidiana, così vivi, così profondi, così inquieti, ora sui ciuffi scuri che gli ricadevano scomposti sulla fronte; altre volte si riscopriva ad osservare imbambolata le sue labbra, aspettandosi che da un momento all’altro emettessero suono, altre volte desiderava soltanto baciare quelle labbra, ora mute e statiche.
Poi sobbalzava, vergognandosi dei suoi pensieri poco consoni alla situazione, s’imponeva la calma e ritornava a guardarlo in quel letto, apparentemente tranquillo.
I suoi occhi non mancavano di offuscarsi e a volte si lasciava prendere da un pianto silenzioso, allora gli prendeva la mano cercando di infondergli calore, con la convinzione che la sensazione di quella stretta lo avrebbe raggiunto nell’oblio in cui si trovava. Altre volte ancora, gli parlava dolcemente per confessargli ancora una volta che lei ci sarebbe sempre stata e gli prometteva che al suo risveglio l’avrebbe trovata vicino, seduta su quella flebile sedia.
Ogni sua visita si concludeva con il richiamo di qualcuno – o Ino o Naruto – che, sbucato dalla porta, le intimava di lasciare la stanza e di tornare a casa a riposare. Lei, ubbidiente ma controvoglia, seguiva il consiglio della voce amica e, dopo un ultimo lungo sguardo al giovane, usciva senza far rumore dalla stanza.
E il giorno successivo tornava per ripetere la stessa routine.
Ormai la ragazza non lavorava più all’ospedale, vi si recava solo ed esclusivamente per vegliare il suo ex compagno di squadra, faceva la spola da casa alla clinica.
Non vedeva più i suoi amici, se non erano questi ultimi ad andare da lei. Non sgarrava mai alle sue ultime abitudini, quindi non c’era pericolo di trovarla più del dovuto per le vie di Konoha. Finita la sua giornata, tornava a casa, dove si ristorava e cercava di dormire, ma in realtà non ci riusciva. Il suo pensiero andava continuamente in quella stanza d’ospedale e talvolta le faceva compagnia l’angoscia che forse Sasuke sarebbe potuto morire durante quelle ore in cui si trovava comodamente a casa. Si rigirava più volte nel letto, finché stremata chiudeva gli occhi e sprofondava nel sonno. Dormiva sì e no due o tre ore al massimo, si alzava la mattina presto e in fretta si preparava per uscire, per avere la conferma che durante la notte non fosse successo niente di irreparabile.
Una volta che constatava di persona che tutto era normale, sospirava di sollievo e andava a comodarsi sulla sua sedia per passare un’altra giornata.
Ogni tanto veniva destata dai rumori che provenivano dall’esterno, dal tumulto cittadino e si ritrovava a considerare che erano alti e fastidiosi. Con tristezza giungeva alla conclusione che erano ormai estranei a lei e alla sua vita. Le sembrava passato troppo tempo da quando anche lei vi era immersa, come tutti i cittadini normali, e soleva rivolgere grandi sorrisi e occhi speranzosi verso il futuro. Era stato tanto, tanto tempo fa. Ora era tutto diverso e lei si sentiva vecchia, tanto vecchia, come se ad un tratto si era trovata a dover sopportare tutti gli anni sulle sue spalle. E, immaginando visi felici, si sentiva tremendamente fuori luogo, come se appartenesse alla generazione passata, a quella stantia. Era vuota, non aveva più nulla in cui sperare e anche quelle rare volte in cui i suoi occhi ormai stanchi e opachi brillavano per una timida speranza, antico riflesso di una più luminosa e accecante, quest’ultima l’abbandonava con la stessa velocità con cui un’anima lascia il corpo che dopo tanto tempo l’ha custodita, nutrita e coccolata, veloce come un battere di ciglia.
Non era rimasto niente della Sakura di un tempo, a stento si riconosceva lei stessa e provava vergogna perché non era più degna di essere considerata una cittadina di Konoha. Non credeva e non seguiva più la volontà del Fuoco, semplicemente si stava lasciando andare. Si sentiva viva per metà o forse anche meno, mentre l’altra era ormai assopita, legata a quella stramaledettissima macchina, insieme alla vita di Sas’ke. Non osava immaginare cosa avrebbe fatto e come si sarebbe sentita se, per disgrazia, avesse smesso di segnalare i battiti del suo cuore, di mostrare al mondo che Sasuke Uchiha continuava a lottare.
Osservò il suo viso pallido e si convinse che non sarebbe accaduto proprio quel giorno, così cercò di indirizzare la sua mente su pensieri più felici, anche se le risultò abbastanza faticoso.
Ripercorse gli avvenimenti degli ultimi mesi, la volontà del suo villaggio nella ripresa dopo una batosta come la quarta guerra. Tutti si erano rimboccati le maniche e con più vigore si erano messi all’opera per ricostruire tutto ciò che era andato distrutto, ovviamente non erano mancati i momenti di commemorazione dei ninja che avevano lasciato questo mondo, per iniziare una nuova avventura.
Tuttavia Sakura non era riuscita a partecipare a tutte queste emozioni da quando le avevano dato la notizia della gravità di Sasuke. Per lei, quei momenti erano stati un inferno e un po’ lo erano ancora, ma doveva ammettere non con la stessa intensità dei primi attimi.
Non riusciva a capire perché tutti continuavano a sorridere, ad alzare la testa e a guardare il cielo speranzosi, convinti che da quel momento in poi tutto sarebbe andato per il meglio. A lei, non sembrava affatto e, ogni volta che Naruto glielo ricordava, scacciava le sue parole nello stesso modo come si parava via una mosca fastidiosa. Un tempo le avrebbe accolte a braccia aperte, ora non riusciva a vedere la loro veridicità.
Un suono lungo e insistente la riportò alla realtà. Guardò il macchinario dove spiccava una lunga linea verde continua. Non ci credeva. Il suo Sasuke-kun aveva smesso di combattere per la propria vita. Riguardò lo schermo per avere un’ultima conferma mentre quel suono così definitivo le ronzava nelle orecchie.
Sasuke l’aveva lasciata per sempre. Non poteva essere vero, non voleva che lo fosse.
E pianse come mai aveva fatto nella sua vita.

 

Invece no
Non ho
Più tempo per spiegare
Che avevo anch’io, io
Qualcosa da sperare
Davanti a me
Qualcosa
Da finire insieme a te
 

 

 

Era in un luogo molto strano, non sapeva come descriverlo. Attorno a lui non c’era assolutamente nulla, gli si presentava dinnanzi un immenso spazio. Lasciò vagare il suo sguardo alla ricerca di limiti visibili, ma vi rinunciò in fretta poiché altrimenti si sarebbe perso.
L’atmosfera era molto luminosa, la luce che inondava quel luogo non era fastidiosa e i suoi occhi vi si abituarono subito poiché dovunque vi era la stessa intensità.
Notò che quello spazio era immerso nel più profondo silenzio. Provò a fare qualche passo e constatò di non sentirne il rumore.
Iniziava a spazientirsi e a sentirsi anche un po’ a disagio. Non sapeva dov’era, né come e quando era giunto fin lì. Non sapeva neanche se quel luogo esistesse per davvero; non gli era stato dato nessun indizio per farsi un’idea precisa di dove si trovasse.
Sconsolato, dopo aver camminato per un tempo imprecisato – perché aveva perso addirittura la concezione del tempo – ,si sedette in mezzo al nulla. Si osservò intorno, ma non vide niente di diverso che potesse indicargli una via di fuga.
Iniziava a sospettare di trovarsi in un manicomio, anche se non sapeva spiegarsene il motivo. Chi mai lo avrebbe voluto rinchiuso in una gabbia di matti?
O forse era all’interno della sua mente, possibile?
All’improvviso ricordò, in modo confuso, che aveva aiutato Naruto a combattere contro Madara e, dopo un colpo particolarmente potente, era svenuto perdendo i sensi. Da allora non aveva altre immagini della sua vita.
Iniziava a disperarsi. Chiuse gli occhi per calmarsi. Iniziò a sentire dei rumori, indistinti e lontani, con cadenza regolare. Si alzò e, sempre ad occhi chiusi, cercò di avvicinarsi alla loro provenienza. Inutilmente.
Se non altro ora poteva contare quei bip per farsi un’idea, un po’ distorta, del tempo, sempre meglio di niente.
Continuava a contare e iniziava ad annoiarsi, non aveva nulla da fare e quello che lo faceva sentire inquieto era non sapere quanto sarebbe durata quella tortura.

La cosa positiva era che poteva pensare senza essere interrotto da nessuno. Così lasciò liberi tutti i suoi pensieri e desideri più intimi. Ricordò con tristezza i suoi cari, sua madre, suo padre e Itachi.
Ti amerò per sempre. Quelle erano state le sue ultime parole, ma non credeva di meritarsele. Quanti anni era passato a rodersi il fegato dall’odio, perché non comprendeva come Itachi avesse potuto sterminare la sua famiglia. Che dolore immenso quando Tobi gli aveva rivelato la verità! E ancora aveva odiato, ma questa volta lo aveva indirizzato al suo villaggio natale. Ma quando aveva sentito pronunciare da Itachi quelle quattro semplici parole, tutta la sua ira si era ridimensionata, facendosi piccola piccola per nascondersi in un angolino del suo essere. E si era sentito un verme, come poteva suo fratello volergli ancora bene dopo tutto il male che aveva causato e assicurargli che non lo avrebbe giudicato qualunque scelta avesse preso d’ora in avanti? Da quel momento aveva deciso che avrebbe ponderato di più sulle sue azioni, ragionando con la sua testa e gli sbagli che avesse commesso sarebbero stati suoi e suoi soltanto, dei quali sarebbe stato consapevole. Non si sarebbe più fatto manovrare come un semplice burattino.
Non si accorse che una lacrima gli aveva rigato la guancia.
Oh Sasuke, perché? Una voce riempì quello spazio. Abbandonò i suoi pensieri e si mise in ascolto. Quella voce gli era sembrata molto triste e se ne dispiacque. Attese che quella voce lo raggiungesse di nuovo. Nel suo timbro c’era qualcosa di familiare, ma non riusciva a capire a chi appartenesse. Intorno a lui era sprofondato il silenzio.
Decise di riposarsi un po’, sebbene non sentisse la stanchezza. Se doveva essere sincero non sentiva nessun bisogno fisico, non aveva né fame né sete. Nulla. Era come se non vivesse e questa rivelazione lo atterrì. Quindi era morto? Come era possibile?
Tutto d’un tratto sentì una sensazione di calore alla mano sinistra, come se qualcuno gliela avesse stretta. Si portò la mano davanti al viso e la esaminò, rigirandosela più volte davanti agli occhi. Rimase allibito, non sapeva darsi una spiegazione. Preferì, quindi, non dare troppo peso all’accaduto e ritornò a contare i lontani bip.
Quando ti sveglierai, sarò proprio qui, vicino a te, e ti aiuterò Sasuke-kun.
Sasuke-kun. Da quanto tempo non si sentiva chiamare così? Con quanta dolcezza mista a tristezza era stato pronunciato il suo nome. L’unica che poteva provare sentimenti così veri e così profondi era Sakura. La sua Sakura, la sua compagna di team. Che stupido era stato! Chissà quanto l’aveva fatta soffrire, le procurava dolore anche in quel momento. Chissà perché ma l’unica cosa che riusciva a fare era ferire le persone che aveva intorno; era lui che non era capace di rapportarsi con gli altri o intorno alla sua figura alleggiava una maledizione? Probabilmente era più plausibile la prima motivazione e, ora, avrebbe tanto voluto imparare a relazionarsi in modo sano con gli altri. Ma aveva lo strano presentimento di non avere più tempo a disposizione, di non avere questa possibilità. Se ne rammaricò moltissimo.
Abbassò le palpebre per scacciare l’improvvisa tristezza.
Quando le rialzò, dopo attimi che gli parvero infiniti, vide molti oggetti intorno a sé e riconobbe di trovarsi nel mondo usuale in cui era abituato a vivere.
Si trovava in una stanza un po’ spoglia, solo con lo stretto necessario: un mobile, un comodino e un letto. Notò un fiore sul davanzale della finestra, illuminato dal riverbero arancione del sole.
Spostando ancora lo sguardo vide una ragazza dai corti capelli rosati in preda ad un pianto disperato. Era seduta vicino ad un letto dove giaceva un ragazzo. Sasuke si riconobbe in quel ragazzo ed ebbe un tuffo al cuore. Come poteva trovarsi in piedi in mezzo alla stanza e nello stesso tempo sdraiato in quel letto?
Un lungo suono gli dette la risposta. Era morto, per questo Sakura stava piangendo. Distolse lo sguardo mentre un’ infermiera entrava di corsa.
I suoi occhi furono catturati da quella luce così luminosa, così invitante, da cui proveniva calore. Lo stava chiamando, era lì per lui e lo sapeva. Era tentato di raggiungerla. Mosse un passo in sua direzione, quando sentì una resistenza provenire dalla parte opposta a dove era situata la luce. Si girò e scoprì che quella forza proveniva dal suo corpo che lo stava richiamando a sé. E ora, cosa fare?
Guardò nuovamente quel bagliore intenso e poi voltò la sua testa nella direzione contraria, dove scorse una Sakura piangente e il suo corpo esanime.
Ritornò sui suoi passi e passando, per dirigersi verso il letto, toccò lievemente una spalla a Sakura. Più si avvicinava alla sua salma, più quella splendida luce si affievoliva per scomparire del tutto.
Entrò nel suo corpo e lo rianimò. Quell’incessante suono smise di riempire l’aria, al posto del quale ricomparvero i rassicuranti bip regolari.
Sakura e l’infermiera guardarono Sasuke e il macchinario sbigottite. Dalla sorpresa la ragazza aveva smesso di piangere e continuava a guardare, con il viso bagnato di lacrime, ora Sasuke ora la macchina per cercare una spiegazione.
Era convinta di aver perso Sasuke per sempre e, da come era entrata l’infermiera tutta trafelata, qualcosa di grave era accaduto. Non era stato un sogno.
Ma allora come poteva spiegarselo? Era come se fosse resuscitato, era un fatto davvero incredibile.
Intanto Sasuke, dopo essersi ambientato di nuovo nelle sue fattezze,tentava di svegliarsi, così da potersi muovere e cambiare posizione. Con fatica riuscì ad aprire un occhio e con un altro sforzo sollevò anche il gemello. Inizialmente gli oggetti si presentarono confusi e sfumati per essere poi, un po’ alla volta, identificati. Così prese nuovamente coscienza del mondo intorno a sé e si riscoprì felice di farne parte di nuovo.
Vide i colori delicati di quella stanza danzargli davanti. Con la sola forza della volontà riuscì a mettersi seduto, sotto lo sguardo incredulo di Sakura, e si osservò molto attentamente attorno per memorizzare nella sua mente ogni singolo oggetto.
“Sasuke! Non è possibile…” il sussurro appena udibile di Sakura spezzò il silenzio, quasi aulico e mistico, che si era creato dopo il suo ritorno alla vita. Era sicuro di non dover sentire da subito la voce di Sakura, ancora in preda all’incredulità, e sospettava che avrebbe avuto bisogno di riprendersi, prima di assillarlo con le sue amorevoli cure. Invece lo sorprese e , abbandonando l’espressione intontita che non si addiceva al suo viso forse perché aveva sempre avuto un ricordo differente di lei, sorrise trasmettendogli tutto l’amore che provava. Il suo sorriso era così luminoso che per un attimo rimase abbagliato e stordito dalla pura bellezza di Sakura che era stata nascosta per molto tempo ai suoi occhi. Bastò quell’istante per non riuscire a fermarla; Sakura gli si gettò addosso con tutto il suo dolce peso, stringendolo felice, tra singhiozzi e risa.
“Sakura, così mi strozzi!” le disse risentito, quando lei allentò l’abbraccio. Allora Sakura si allontanò da lui quanto bastava per permettergli di respirare e lo osservò in silenzio. Sasuke ricambiò il suo sguardo e, per un attimo, credette di averla offesa.
Sperava che le dimostrazioni di affetto da parte sua fossero finite per quella giornata, ma dovette ricredersi perché Sakura stava accorciando nuovamente le distanze fra loro. Il suo viso era sempre più prossimo e il verde dei suoi occhi monopolizzava sempre più il suo campo visivo. Scoprì che quel verde era pieno di sfumature diverse, tra queste riconobbe con meraviglia anche un pizzico di giallo chiaro e di celeste.
Le labbra della ragazza si posarono sulle sue, erano calde diversamente da come si sarebbe aspettato e molto dolci. Era una sensazione piacevole e desiderava approfondirla per questo rispose, seppur debolmente, al bacio.

 
 

Forse è tardi
 Forse invece no     

 
 

    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! ^^
Dopo un’ eternità mi sono fatta viva. Qualcuno potrebbe obbiettare che si stava bene anche senza di me, come dargli torto?!? XD
Ma, purtroppo, non è stato così. ;)
Tralasciando il mio goffo – e pessimo – tentativo di fare un po’ di humour, passiamo a dare qualche spiegazione di questa cosa che vi ho presentato.
Era da un po’ di tempo che volevo scrivere una SasuSaku che venisse accompagnata da questa canzone (Invece no di Laura Pausini), perché trovo che sia molto adatta alla coppia. Forse sono io l’unica a notare delle possibili somiglianze, abbiate pazienza. ^^
È la prima song- fic che scrivo, quindi non sono molto sicura che possa essere definita come tale. Inoltre ho tentato di scrivere qualcosa di un po’ più serio di quello che scrivo di solito, senza nulla togliere agli altri generi.
 Non so se ci sono veramente riuscita. Non so nemmeno se questa cosa qui possa rientrare nell’angst, anche perché finisce bene.Io adoro i lieti fini, o almeno , un finale dove si intravede uno spiraglio di miglioramento. Solo così il dolore può avere finalmente un senso ed essere, alla fine, compreso e accettato. O almeno è quello che penso io.
Tutto questo è sorto dall’immagine – che mi è comparsa prima di addormentarmi – dell’anima di Sasuke che vede la luce e non sa se entrarci o ritornare di nuovo nel suo corpo. Lo so, sa tanto di Ghost Whisperer e forse mi ha un po’ ispirata. Ma non è stata l’unica fonte di ispirazione; l’altra è stato il film DragonFly, in cui, se non ricordo male, c’era un bambino che aveva avuto un’esperienza di pre- morte. Così possiamo dire che io ho fuso le due cose. ^^
Spero di essere riuscita a trasmettere qualcosa con questo scritto e di non essere risultata troppo noiosa. Come sempre vi ringrazio per avermi sopportata e per aver letto! Grazie.
Se vorreste anche lasciare un commentino, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate! ;)
Ah dimenticavo: chiedo scusa a quelle buone anime che stavano seguendo la mia fic “se solo fosse vero”, non l’ho di certo dimenticata, infatti ci sto lavorando. Lo so, è una cosa imperdonabile ma diciamo che richiede un po’ di tempo. Chiedo venia!
E con questo è assolutamente tutto!
A presto
Selly *che si dilegua velocemente…*
 

 
 
 
 
   
 
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