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Autore: PiccolaEl    17/09/2012    2 recensioni
"Sono ritardataria, bugiarda, acida. Poi sono gentile, cordiale, e cedo l’ultima fetta di torta. Poi sono fredda, di una freddezza quasi utopica, irreale. Arrabbiata. E l’unica cosa che mi viene in mente è uscire di casa e stare fuori per delle ore. A fumare. E ad ascoltare canzoni a macchinetta dal mio mp3. E piangere, sullo scalino di una vetrina ben nascosta dal centro della città. Ben nascosta da tutti. Ben nascosta anche da me stessa, perché alla fine fuggo solo e soltanto da me. Degli altri non ho paura. Neanche di quelli che dalla faccia sembrano dei terroristi immigrati. Ho paura di me stessa. Del mio giudizio, unico e personale. Delle boccate d’aria fresca, ho paura, perché sono realtà [..] Non sono la ragazza del libro, o del film, o delle serie tv. Sono una ragazza normale, con problemi assurdi, e che non si fa problemi per niente. O per tutto. Spalanco gli occhi quando qualcosa mi attrae, le gambe mi cedono quando sono innamorata e i miei capelli come li metti stanno."
Questa è la piccola Bambi, che, catapultata in una nuova esperienza, troverà il coraggio di amare con tutto il suo corpo e la sua mente.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alle persone che sanno che sbagliare è umano, 
a chi lo sa ma continua a giudicare, 
a quelli che picchiano duro e non mollano neanche davanti a un muro.









‘You can’t stop the beaaaaaaat, you can’t stop the beeeeeaaaaat, oh yeeeeaaaaah! Oh com ‘on giiiirl! But now I’m stronger!’ la sveglia sul comò mi avverte che è iniziata la giornata. Come di consueto. Mi alzo, stiracchiandomi, e dirigendomi in pigiama verso il bagno. Mi spoglio e mi lavo. Mi vesto. Mi lavo i denti. In cucina c’è mio padre che prepara il caffè, il rumore delle tazze che vengono poste sul tavolo, il solito cesto stracolmo di pacchi di biscotti e merendine al centro.
“Buongiorno” borbotto. Si gira a guardarmi. Gli occhi caldi. L’amore.
“Ciao pillola.” sussurra lasciandomi un bacio tra i capelli. Mangio ed esco di casa. Il freddo mi pizzica le guance nonostante i due giri di sciarpa, il cappello, il cappotto, gli occhiali da sole. Sbatto gli occhi. Guardo il sole. Sento il bisogno di staccare, anche solo per un momento. Tiro fuori dalla borsa un portachiavi a forma di Ferrari. Regalo del padre. Salgo sulla mia Vespa verde smeraldo e infilo le chiavi nella toppa, accendendo il motore. Vruum, uno stacco secco ed è partito. Levo il cavalletto e sento il peso di qualcosa di più forte. Il ricordo di mia madre in quella che era una calda mattinata di maggio.
Basta. Ingrano e parto alla volta della scuola. C’era una volta una ragazza di nome Babette che aveva parecchie cose da dire. Adesso, non ne ha neanche mezza. Tutto sepolto. Assieme alla madre.
 
 
 
 
 
 
 
Bologna è una città bellissima. Mi sono trasferita da circa tre giorni ma… è bellissima. L’ho girata tutta in moto, ogni angolo. Ed ho trovato tutto fantastico. Un po’ ingigantita rispetto alla mia Siracusa, ma bellissima. E sono in ritardo. E giusto adesso che devo trovare la palestra non la trovo. Che palle.
“Hey, stronzo, guarda dove cammini!” strepito a un idiota in moto che mi taglia di botto la strada. Si gira a guardarmi, ma di lui noto soltanto gli occhi, il resto è tutto coperto dal casco. A modo suo ghigna. Ah, caino.
“Scusa” grida, ma la voce arriva ovattata ugualmente.
“Scusa un paio di palle.” e senza aggiungere altro me ne vado. Sono in un ritardo bestiale all’allenamento. Ho finito di studiare tardi e adesso papà mi farà sudare sette camicie. Anche lui è uno stronzo però, io mi stanco e lui sta sempre fermo a dire: “i pugni più intensi, più forza, più grinta, spacca il sacco, forza!”. Stasera a casa con lui sarà un inferno. Anche perché, o lui non capisce niente oppure io sono un’imbecille. Non mi do risposta, ovviamente. Supero il semaforo, imbocco il corso e svolto a destra. Proseguo e svolto ancora. Quasi tutto il freddo che sento mi arriva agl’occhi, facendoli lacrimare. Che palle di nuovo. Mi fermo proprio davanti alla gigantesca insegna che reca la scritta “Smart – Centro Polisportivo” e lascio la mia RS 125 in un posto un po’ appartato. E’ qui che mamma ha trovato un buon posto per studiare boxe. Sono fiera di lei. E di me, ovviamente. Levo il casco e i capelli si sciolgono a cascata, ricadendo morbidi sul giubbotto. Entro di corsa, senza badare a una ventina di occhi fissi su di me. Supero il check in e mi infilo nello spogliatoio. Pantaloncini da boxer, maglietta bianca e guantini. Lego i capelli in uno schignon perfetto. Mi guardo allo specchio. Coraggio, ragazza, spacca il culo a quella massa di bambini che vuole fare la tua stessa boxe. Esco velocemente, dirigendomi in sala. Poso in un angolo l’acqua e l’asciugamano per il sudore. Quando mi rialzo un uomo sulla quarantina è in piedi al centro della sala, con attorno tutti i ragazzi. Una decina di paia d’occhi sono ora li, di fronte a me, sconvolti o stupiti, stranamente sorpresi. Sbatto un poco le palpebre e riprendo fiato.
“Scusate il ritardo, uno stronzo mi stava per investire” dico ancora ansimante per la corsa. Un ragazzo alto e impostato, con gli occhi nocciola si avvicina e mi posa un bacio sulla guancia.
“va tutto bene” sussurra materno e istintivamente sorrido. Muscoloso, occhi castani, capelli biondi, accenno di barbetta.
“Grazie. E tu saresti?” chiedo, inespressiva. Evidentemente si rende conto che la voce sensuale non ha fatto effetto e si allontana come punto da un insetto. Credeva di riuscire ad abbindolare me con una cosa cosi stupida come un bacio sulla guancia? Stupido. L’uomo si schiarisce la voce e io taccio. Tutti gli occhi sono ancora puntati su di me.
“Ciao, piacere io sono Pedro, il tuo mister.” si presenta allegro “dicevo, ragazzi. Spero non sia un problema accettare una nuova recluta. Vero?” e i suoi occhi caramello si puntano in qualcuno in particolare. Sento ridacchiare.
“Perché mi fissi? Ce l’ho di fuori per caso?” sbotta un altro ragazzo, probabilmente quello che è stato fulminato da Pedro. Si passa una mano tra i capelli sconsolato.
“Lasciamo perdere, con te faccio i conti più tardi, Rossi. Nel frattempo, diamo tutti un caloroso benvenuto alla medaglia di bronzo di due anni fa dell’ultima selezione regionale, Babette Sarenelli” esulta il coach, e tutti battono le mani come degli idioti. E dandomi pacche sulla spalla o stringendomi la mano. Per tutta risposta, sorrido. Sono contenta, alla fin fine. Ma impareranno a conoscermi.
“Massimiliano, vuoi dire qualcosa?” chiede a voce alta un ragazzo, alludendo probabilmente ad un discorso di benvenuto. Lo guardo di sottecchi e lo vedo gesticolare. Vuole che si comporti bene. Sorrido.
“No, caro. Dovrei dire qualcosa forse?” chiede a sua volta il tizio e stavolta sono sicura che niente lo fermerà dallo strepitare. Un classico.
“Ma insomma, Rossi, fai gli onori di casa, spetta a te!” strepita lui, incrociando le braccia al petto. Sorrido ancora. Sospiro. Incrocia anche lui le braccia al petto e avanza pericolosamente tra i suoi compagni. Sento i fiati più corti. Supera il nuovo arrivato, cioè me, mantenendo le spalle a tutti.
“E va bene. Beh, Sarenelli, in quanto capitano della squadra di boxe under 21 e in quanto medaglia d’oro alle regionali maschili, ti do il benvenuto. Spero tu riesca a battermi… anche se ne dubito” proclama altezzoso, voltandosi. E mi volto verso di lui e tutti i miei castelli di carte crollano. E i suoi restano imbambolati, a fissarmi. E’ alto, forse un metro e novanta, e i capelli sono scuri e neri e ricci e i suoi occhi verdi sono decisamente troppo verdi. Lo osservo. Non saprei definirlo. E’ muscoloso, ma non pompato. E’ bello, ma non belloccio. E’ ammaliante, ma non… no, non è ammaliante. almeno devo convincermene. Lo scruto un poco di più e lui non fa da meno.
“Beh, grazie. E tu, sei?” e sorrido cordiale. Stronzo.
“Massimiliano Rossi.” replica.
“Beh, grazie di nuovo. Spero di no per te, anche perché due anni fa ero medaglia di bronzo… mentre l’anno che è appena passato mi sono qualificata seconda nazionalmente parlando” spiego, strafottente. E sorrido ancora, cordiale. Crolla, impercettibilmente, ma crolla. Che palle ancora una volta. E’ troppo facile smontare un tale ragazzino imbecille.
“Strano. Finora io ho il primato qua dentro.” replica, anche lui sfoggiando il più strafottente tra i sorrisi di scorta. Ormai è un dialogo tra me e lui, una sfida aperta senza esclusione di colpi.
“E dai Massi, comportati bene. E iniziamo allenamento, su” e senza aspettare replica mi spingono affettuosamente verso il sacco, quello che sarà il mio sacco, già posizionato al centro della sala e guardo allibita tutti. Si presentano, dal primo all’ultimo: Paolo, Fabrizio, Marco, Dario, Umberto, Gabriele, Stefano, Josè. E poi c’è lui, Massimiliano. Poi parte la musica, e non vedo più niente. Solo le mie nocche, che scoperte, colgono il sacco in parecchie serie. Guardano tutti allibiti. Ancora non hanno visto niente, credo. Quando mi blocco è solo perché Pedro mi fissa attonito, assieme a tutti gli altri.
“Sanguini.” mi dice, un po’ imbarazzato. Senza motivo, a mio parere. Lo guardo, poi mi guardo le mani. Ha ragione. Ma non posso spiegare l’inspiegabile per me: non li sopporto i guanti. Devo sentire fisicamente, al tatto, che sto facendo il mio lavoro correttamente. Non tutti lo capiscono. Ma in questo caso dovrò affidarmi a queste stesse parole.
“Devo sentire al tatto che mi stanno sanguinando. E’ come se volesse dire che ho fatto bene il mio lavoro, e cioè prendere a pugni questo sacco.” replico indifferente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Mi guardano male… Sarà uno degli allenamenti più lunghi.
 
“Puoi spogliarti da noi, se ti va.” mi provoca Paolo, lo stesso che ci ha provato spudoratamente all’inizio della lezione. Rido. Per la prima volta dopo una settimana. Sento che i castelli che ho, rimangono. Massimiliano mi fissa. Se non la smette potrei anche picchiarlo.
“Grazie, ma passo. Dovrei anche farmi la doccia.” replico, ancora divertita. Dovrei accettare, anche solo per far vedere che non mi spavento di niente. Stronzi.
“A maggior ragione!” esclama Marco, e tutti ridono. Mi piace la loro ironia.
E proprio in questo momento, decido che saranno la mia seconda casa. Raccolgo le mie cose e a passo lento mi dirigo fuori dalla sala, verso lo spogliatoio.
“Babi?” no, sbagliato. Mi pianto in terra. Sento le gambe molli. Non Babi. Non più. La ragazzina senza esperienza e umiliata. Chiudo gli occhi un momento. Non sono Babi. Mi giro e Massimiliano è ancora qui, che si gratta imbarazzato la nuca. Lo fisso, ferita. Non capirà mai. E mai dovrà capire.
“Non chiamarmi più cosi. Io sono Bambi, o Bette o Bé. Non Babi.” e il tono è cosi duro… non capirà. Difatti mi guarda sorpreso, poi ancora più imbarazzato di prima si corregge.
“Babette… scusa. Forse sono stato un po’ troppo duro. Mi dispiace.” e i suoi occhi, quelli verdi, non sono imbarazzati. Il suo sguardo non è imbarazzato. Non mi rilasso ugualmente.
“Prego.” e me ne vado, quasi correndo. E’ stata una giornata dura. E domani sarà ancora peggio.

















Okay, torno con una nuova storia, stavolta inedita. Sono nuova in questo fandom, non che negl'altri fossi famosa AHAHAHAHAH. Questa... boh, una mattina mi sono svegliata con l'idea di scrivere in prima persona ed è uscito questo. E' tutto inventato, o quasi. Spero di non annoiarvi. Grazie per l'attenzione, spero che recensiate. 
  
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