Titolo: My place at your side
Serie: Supernatural RPS
Characters: Jared Padalecki, Jensen Ackles, Chad Michael Murray (guest
star), Misha Collins, Victoria Collins, Milo Ventimiglia (guest star),
Alexis Bledel (guest star),
Pairing: vaghi accenni alla Jensen/Jared {j2}, Jared/Misha {pre-mishalecki}
Rating: Nc-14
Genre: Slice of life, fluff
Warning: What if, Slash (vaghi accenni)
Prompt: 05. Incidente fatale
Words: 3.979
Disclaimers: Gli attori appartengono a loro stessi e qui non sono altro
che un'idealizzazione personale, la fic non vuole in alcun modo
riportare i loro gusti sessuali e gli avvenimenti sono quasi totalmente frutto
della fantasia.
Fic partecipante alla
500themes_ita
Tabella:
Here
Il
destino è un gran figlio di puttana che si diverte a mettere alla prova il
mondo.
Se avesse avuto il tempo di formulare un pensiero più profondo di "Cazzo!",
probabilmente gli sarebbe venuto in mente proprio quella frase (o qualcosa sul
fatto che sua madre si era raccomandata più e più volte di fare attenzione con
quel bestione), ma prima che potesse anche solo aprire bocca, il dolore
gli esplose nella testa con una violenza tale da lasciarlo senza fiato.
Spalancò gli occhi, un'ondata di verde che si sciolse in una pozza di sangue, il
corpo, sbattuto furiosamente contro l'asfalto su cui aveva rotolato per metri,
venne attraversato dagli spasmi e dal gorgoglio di una voce che gli era rimasta
intrappolata in gola, mentre spaventato faticava a respirare.
A poca distanza da lui, la Ducati Monster che cavalcava si era rovesciata,
schiantandosi contro il guard-rail della superstrada, travolta dalla BMW grigio
metallizzato che aveva frenato in uno stridore acuto di gomme bruciate.
Sentì le urla nevrotiche del conducente, la frenata di una seconda auto, la voce
di una donna che urlava di chiamare il 911 e il pianto di un bambino all'interno
dell'abitacolo della BMW. Quando il dolore si fece più acuto, ebbe perfino la
sensazione di sentire la voce disperata di Max che urlava "Alec! Alec! Apri gli
occhi, dannazione! Alec!", ma sapeva che non c'era nessuna Max e, soprattutto,
non esisteva alcun Alec.
Boccheggiò alla ricerca di ossigeno, cercò di chiamare aiuto, ma quando la
sirena dell'ambulanza urlò lamentosa in arrivo, gli occhi si stavano già
chiudendo.
Poco dopo non sentì più niente, neppure il dolore.
«Mi dispiace.»
Era stato il quarto da quando era arrivato con un pacco di M&M's formato
famiglia stretto tra le braccia e l'aria colpevole di un cagnolino trovato a
fare pipì sul tappeto persiano.
«Mi dispiace davvero.»
Cinque. Pensò, ingoiando l'irritazione e l'odore di disinfettante, così
forte da coprire tutti gli altri, compreso quello fastidioso di erba rimasto
appiccicato ai propri pantaloni e a quelli dell'amico. Jared Padalecki. Causa
di ogni male.
«Mi dispiace.» ripeté (sei), sollevando gli occhi sul letto occupato. La
frangia castana era abbastanza lunga da nascondergli in parte lo sguardo, ma non
sarebbe riuscito a sfuggire all'occhiata azzurra che gli si piantò in fronte
come un pugnale.
Chad continuò a rimanere in silenzio, accanto a lui le infermiere si muovevano
in una danza dai passi a loro sconosciuti, vestite alla stessa maniera, le più
giovani avevano tutte un sorriso identico che rivolgevano prima al biondo e poi
al più alto, ridacchiando giulive ogni volta che ne incrociavano gli occhi.
Non era stato difficile riconoscerli, la parte più difficile era toccata ai
membri dello staff della produzione addetti ai contatti con la stampa, per
cercare di arginare il casino combinato da Padalecki.
«Scusa, scusa, scusa.»
«Hai rotto il cazzo con le tue scuse!» sbottò Chad, esasperato, con un braccio
bloccato dal gesso, un taglio sul labbro e la spazzolata di capelli biondi
spettina e senza gel.
«Lo so, ma mi dispiace davvero, non volevo farti male.»
«E vorrei vedere volessi davvero rompermi il braccio, coglione!»
Se il più alto avesse avuto orecchie e coda, si sarebbero abbassate fino a
toccare terra, mostrando tutti i sensi di colpa che gli stavano riempiendo il
petto, facendogli scoppiare il cuore di fronte agli insulti che l'amico gli
sbrodolò addosso uno dopo l'altro, senza risparmiarsi e senza riprendere fiato.
Gli occhi del ragazzo avevano acquistato una sfumatura più metallica e la voce
era attraversata da scariche di rabbia vomitate dalla bocca, fino a quando, di
colpo, non tacque.
Osservò in silenzio Jared, in piedi davanti a lui, seduto invece sul lettino di
una stanza d'ospedale dotata di tutti i confort, tra scatole di cioccolatini,
giochi nuovi di pacca e psp. Si trovavano lì da quasi tre ore e mezzo ed era già
stato tempestato di telefonate dalla produzione, dal regista, dalla sua ragazza,
da suo padre; la telefonata più strana era stata quella della signora Padalecki,
con in sottofondo la voce di Jeff che dava del cretino a suo fratello,
chiedendogli come diavolo avesse fatto a rompere il braccio al suo amico.
Lentamente la rabbia scemò, sostituita invece dalla pena per quell'imbecille
tanto alto che ora cercava di stringersi nelle spalle, incassando la testa e
strofinando la punta delle All Star nere sul pavimento lucido, nella speranza di
venirne ingoiato.
Era difficile rimanere a lungo arrabbiati con lui.
«Da ora sarai il mio schiavo.» sbottò Chad.
Jared risollevò lo sguardo di qualche grado soltanto.
«Non... credi di startene un po' approfittando?»
«Mi hai rotto un braccio, J-Rod. Un braccio. Un. Fottuto. Braccio.»
«Dica padrone, come posso servirla?» chiocciò subito, servizievole.
«Così va meglio. Allora, per prima cosa voglio che...»
«Aspetta, niente baci con la lingua a tizi sconosciuti da postare su youtube.»
lo interruppe, con una smorfia disgustata.
«E che cazzo... ma mi hai rotto un braccio!»
«E posso romperti anche l'altro.»
«Jared... se solo ti avvicini a meno di cinque metri da me, chiamo la
sicurezza.»
«Oh, c'mon, così però mi stai facendo davvero sentire in colpa, dude!»
«E' esattamente quello che voglio, stronzo!»
«...grazie tante...»
«Braccio rotto!»
«Ok, basta, dimmi cosa vuoi e falla finita!»
«Vammi a prendere una coca, vah.»
«Ok.» aggrottò la fronte guardando il braccio ingessato per lunghi secondi,
sospirando abbattuto «Torno subito.»
Chad annuì e, quando l'altro gli diede le spalle, uscendo, si concesse
finalmente di tornare a sorridere, sentendosi stupido nell'aver già perdonato
l'amico.
La gomma delle All Star strideva contro il pavimento. Camminava con le mani
infilate nella tasca di jeans larghi, con una catenella di metallo allacciata al
passante e al portafogli della tasca posteriore che tintinnava ad ogni passo. Il
cellulare, nell'altra tasca, non aveva smesso di vibrare per gli sms che
aveva continuato a scambiarsi con Alexis.
"Chad è ok. E' ancora incazzato con me, però hanno detto che il braccio
tornerà a posto in un mese."
"Ho avvertito gli altri."
"Grazie, meno male che ci sei tu."
"I luv U."
"I luv U too"
E via discorrendo.
Si fermò quando un'intensa essenza floreale si mischiò all'odore già troppo
forte di disinfettante, rendendo l'aria ancora più pesante. Osservò la stanza da
cui proveniva l'odore e il numero 204 scritto sulla targhetta appesa al muro,
senza riuscire a vedere molto nonostante la porta socchiusa. Con finta casualità
si avvicinò, il profumo di fiori si fece più intenso, si affacciò alla stanza e
incredulo si ritrovò davanti ad un'invasione di mazzi e vasi di rose, viole,
gigli, girasoli e altre varietà di fiori che bastavano a riempire tre delle
quattro pareti.
Nel mezzo di quella foresta floreale, si trovava il letto ed il ragazzo che lo
occupava storceva il naso in continuazione, puntando prima uno e poi l'altro
vaso, nella speranza di incenerirli solo con lo sguardo.
«Ehi amico, riesci davvero a respirare con tutta sta roba intorno?»
Non era riuscito a trattenere la curiosità, nè i passi per entrare.
L'altro si voltò di colpo, con lo sguardo spalancato di sorpresa e una smorfia
di dolore nascosta dalle labbra stirate in una linea piatta.
Gli ci volle un po' per rispondergli.
«No, man, sto soffocando, credo vogliano uccidermi.» Le parole gli
grattarono dolorosamente la gola, uscendo a fatica una dietro l'altra,
accompagnate dal respiro pesante.
Aveva occhi chiari, verdi, e in mezzo a tutti quei fiori, venne naturale pensare
che fossero proprio del colore dei prati in primavera, quando ancora il sole
dell'estate non li ha bruciati, il vento dell'autunno non li ha ingialliti e la
neve d'inverno non li ha coperti.
Jared rise, un po' imbarazzato per il pensiero appena formulato, facendosi di
qualche altro passo più avanti all'interno della stanza.
«Posso portarti via un paio di vasi se vuoi, ho visto una vecchietta in fondo al
corridoio che se ne sta sdraiata in una camera che sembra un mortorio, li infilo
da lei, così ci faccio anche una bella figura.»
Una risata stanca si spezzò dalle labbra dell'altro, rovinando poco dopo in
colpi di tosse dolorosi che lo fecero piegare in due, costringendolo a serrare
le dita intorno al petto, dove le fasciature erano più strette. Ne aveva anche
una alla coscia destra e una, che sembrava coprire la ferita più dolorosa,
all'altezza dell'addome, mentre il volto era costellato di taglietti ricuciti e
lividi violacei. Senza le bende e i lividi addosso, doveva essere un ragazzo
particolarmente bello, forse un modello.
Jared lo raggiunse.
«Wo, easy tiger.»
Gli venne spontaneo dirlo, piegandosi su di lui, con la mano a sfiorare la sua
schiena ed il timore di far male anche a quello sconosciuto. Non era una frase
che avrebbe pronunciato di solito ed era sicuro che non fosse neppure una frase
di Dean. Non del suo, per lo meno.
Quando l'attacco di tosse cessò, sulle labbra carnose dell'altro rimase
l'impronta di un sorriso macchiato dall'imbarazzo.
«Scusa, non mi fa molto bene ridere.»
«Figurati, colpa mia.»
«Se vuoi prendili davvero i vasi, io li sto cominciando ad odiare.»
Tra le righe vi lesse la supplica di uscire e lasciarlo da solo. Non era
difficile immaginare quanto si sentisse a disagio, infilato in una ridicola
vestaglietta ospedaliera, bloccato in un letto, prigioniero di una stanza
tappezzata di fiori ed incapace perfino di respirare regolarmente.
Annuì, sorridendogli con calore.
«Affare fatto! E poi è meglio che torni a vedere come se la cava il mio amico,
prima che creda che sia stato investito da qualche paziente sulla sedia a
rotelle.»
Un quarto d'ora dopo stava ripercorrendo il corridoio per tornare sui propri
passi, lattina di coca alla mano -recuperata dal distributore di bibite del
piano inferiore- e l'aria di chi si stava conducendo al patibolo, quando il
debole grugnire di un animale ferito ne attirò l'attenzione.
Era stato stupido pensare che ci potesse essere un animale in un ospedale, ma
quei rantolii bassi e sofferenti non gli avevano fatto venire in mente altro.
Quando si avvicinò alla fonte del rumore, aprendo la porta della stanza numero
204, gli si strinse il cuore.
Raggomitolato su se stesso, con le braccia ad avvolgere il busto ed il volto che
strofinava in continuazione contro il materasso, il ragazzo dagli occhi verdi
borbottava in preda ad un incubo. Gli effetti della morfina dovevano essere al
limite e, a breve, si sarebbe svegliato di nuovo in preda agli spasmi.
Uscì dalla stanza per attirare l'attenzione di una delle infermiere occupate a
sistemare qualche cartella dietro al bancone e le fece un cenno, indicando la
porta lasciata spalancata.
«Scusi, infermiera, c'è il mio amico che sta male, qui alla 204, non può fare
qualcosa?»
Seguì la donna, una rossa dall'aria gentile che armeggiò con il tubicino della
morfina e, pochi istanti dopo, il ragazzo smise di contorcersi, emettendo un
sospiro di sollievo, basso e appena spezzato dalla fatica.
Sospirò anche Jared.
«Thanks lady.»
Lei annuì e tornò in corridoio, riprendendo in mano le cartelle.
Al contrario, Jared rimase accanto al letto dello sconosciuto, osservandone
l'espressione più rilassata, i capelli corti di un bel colore dorato e le
lentiggini spruzzate sul naso che venivano messe in risalto dal pallore del
volto.
Allungò istintivamente la mano verso la sua fronte, solleticandogli i capelli
con la punta delle dita.
Secondo sconosciuto biondo abbordato in una settimana; Chad l'avrebbe preso per
il culo in eterno e Milo avrebbe sicuramente convinto Alexis a mollarlo, perché
era ovvio che gareggiasse per la squadra opposta.
Sorrise al nulla, prima di notare lo sfarfallare delle ciglia dell'altro. Erano
lunghe, folte e si sforzavano di sollevarsi, mentre le labbra carnose venivano
accarezzate dalla lingua.
Si affrettò ad allontanare la mano da lui, appena in tempo per vederlo aprire
gli occhi e puntare uno sguardo vago ed opaco in sua direzione.
«Ehi, ben svegliato
Sleeping Beauty.»
Lo sguardo confuso del biondo gli fece tenerezza, gli sorrise, avendo cura di
precisargli «Non ti ho baciato, giuro.»
L'altro fece per dire qualcosa, ma una scarica di dolore al petto lo svuotò di
tutto l'ossigeno e, a parte un rantolio dolorante, non arrivò altro dalle sue
labbra.
Stritolò con forza il lenzuolo, accartocciandone la stoffa tra le dita, fino a
far sbiancare le nocche.
La mano di Jared si posò sulla sua, cercando di incrociarne le dita, per
obbligarlo ad allentare la presa, piano, gentilmente.
Fu caldo il contatto. Fu calda anche la sua voce.
«Calmo. Ehi. Calmo.» gli mormorò «Non ti sforzare, ok? Va tutto bene, buddy,
pensa solo a respirare.»
Rimasero così per quella che parve un'eternità, ma che fu solo una manciata di
secondi in cui Jared continuò a stringergli la mano, infondendogli senza volere
un senso di tranquillità e protezione che ben poche persone sarebbero state in
grado di trasmettere. Non così giovani, non con lui.
«Visto, non è difficile?»
«Sto... sto bene...» riprese a parlare, tra una boccata d'aria e l'altra che,
mano a mano, si facevano sempre meno ravvicinate.
«Great!»
Sapeva che avrebbe dovuto chiedergli che diavolo ci facesse ancora nella sua
stanza e perché avesse l'impressione che, nonostante tutto, si trovasse
esattamente dove sarebbe dovuto essere, ma ebbe paura della risposta.
Il rumore al di fuori della finestra arrivò con un tempismo perfetto.
Schiamazzi, motori di auto che andavano e venivano, urla di nomi già sentiti
sulle reti della televisione locale, per quanto ci fosse stato fermento
nell'aria per tutto il pomeriggio, in quel momento il caos era diventato
assordante.
Inutilmente, il biondo cercò di guardare oltre oltre il davanzale.
«Che cos'è questo casino?» chiese.
Jared lasciò la sua mano per affacciarsi alla finestra. Il giardino circondava
l'ospedale tra aiuole, panchine ed un paio di dondoli occupati da una coppia di
anziani e da una bambina con la madre che continuava a tenere d'occhio le sue
stampelle abbandonate tra l'erba. Sul lato destro dell'edificio, la strada era
riempita di troupe televisive: giornalisti, paparazzi e fotografi appostati
ormai da qualche ora.
Gonfiò le guance.
«Sono qui per Chad...» E per me, ma questo lo pensò soltanto; non c'era
niente di lusinghiero in domande come "Raccontaci Padalecki, hai rotto
volutamente il braccio al tuo collega? C'erano degli screzi tra voi
ultimamente?" poste dai media.
Fanculo.
Storse il naso, voltandosi.
«Oh e poi ho sentito dalle infermiere che c'è un altro tipo famoso; hanno
scoperto che un tale ha fatto un incidente in moto. E' uno degli attori di...
uhm... Buffy... o Angel... o...»
«Dark Angel?» azzardò il più grande, buttando lì il nome dello show di cui
faceva parte con finta casualità.
Jared aggrottò la fronte, annuendo poco convinto e, subito dopo, scuotendo il
capo.
«Non lo so, man, non ho ascoltato una parola quando me l'hanno detto.»
ammise.
Il biondo abbozzò un sorriso stanco. Non commentò, fin dall'inizio non era
sembrato un tipo molto chiacchierone, era più quel genere di ragazzo che pensa
tanto, è attento ai linguaggi del corpo e sa ascoltare.
Il più alto tornò accanto al suo letto, con espressione curiosa.
«Ma tu, com'è che hai tutti questi fiori e ancora nessuna visita?»
«Ho litigato con la mia... ehm...»
«Ragazza?»
Scosse il capo, lentamente.
«Non esattamente.» rabbrividì, anzi, all'idea di dover sopportare Jessica anche
come ragazza. I loro problemi sul set erano più che sufficienti senza aggiungere
implicazioni romantiche «I miei amici sono già passati a cercare di uccidermi
con i fiori, come puoi vedere, e i miei sono...»
«In Texas?»
«Già.» affermò, stupito.
«Lo sapevo! Texano anche tu, di dove?»
«Dallas.»
«Cool. Io invece sono di Sant Antonio. E, a guardarti, non sembri neppure
molto più grande di me, quanti anni hai, venti? Ventuno?»
«Ve-ventitré.»
Sbatté le palpebre, stordito dalla morfina che gli era ormai entrata in circolo
e da quell'uragano che si era ritrovato in camera. Da quando era diventato un
interrogatorio?
«Non è un po' strano starsene nella camera d'ospedale di un perfetto
sconosciuto?» domandò, dopo aver preso fiato.
Jared sorrise nervosamente.
«Beh, l'altra settimana ho fatto amicizia con un disperato accasciato su un
marciapiedi, direi che dopo di lui posso cavarmela con chiunque.»
«Tu sei fuori.»
«Sono socievole.» si giustificò, stringendosi nelle spalle, affondando il collo
nel colletto a V di una camicia larga e rossa, dalle cui maniche corte
spuntavano quelle lunghe e bianche di una felpa.
«Lo vedo.» commentò. E sei anche maledettamente carino.
«E la gente sana non ha molto da fare in un ospedale, sai com'è.»
«Vuoi fare a cambio?»
«Magari la prossima volta... o con qualcuno che è ridotto meno male di te. Senza
offesa.»
Il biondo scosse il capo, cercando di mettersi seduto con la schiena contro il
cuscino, sollevato alla testata del letto.
«Il tuo amico che ha?» chiese, dirottando il discorso altrove.
«E' qui per un braccio rotto.» la voce di Jared si era abbassata, divenendo un
triste mormorio a malapena udibile «Gliel'ho rotto io.»
«Oh.»
«E' stato un incidente, insomma, Sadie tirava come una bestia... oh, è il mio
cane, mi è sfuggita di colpo, io sono inciampato e Chad si trovava troppo
vicino.» torturò il bordo della maglietta, per poi giocare con la catenella
argentata dei jeans «Il destino alle volte è un gran bastardo.» borbottò,
teatralmente.
No, non era carino. Adorabile era la parola giusta.
«Quindi ti nascondi qui perché hai paura di affrontare il tuo amico?»
Sì. «No.» Forse. «Non esattamente.»
Il biondo aggrottò la fronte.
«Hai proprio le idee chiare.» Non c'era sarcasmo nella voce, era un commento
sincero, in parte curioso e in parte, forse, addolcito dall'espressione del più
alto.
Trovò strano pensare che, fin'ora, tra tutti quelli che erano venuti a trovarlo,
con le loro facce da funerale e i loro "Vedrai, ti rimetterai presto", l'unico
in grado di strappargli una boccata di tranquillità fosse proprio quello
sconosciuto che sorrideva e gli parlava come fossero amici di vecchia data. Se
avesse creduto alla reincarnazione, forse si sarebbe convinto di aver avuto un
legame con lui in un'altra vita, un legame fraterno.
«Già...» mormorò Jared.
«Puoi rimanere se vuoi.»
«Davvero?»
«Sì.»
Lo vide illuminarsi.
«Oh grazie, brò, se non fossi conciato così male giuro che ti
abbraccerei!»
L'aveva esclamato con un sorriso genuino, la voce allegra e due occhi così
chiari e vivaci che l'altro rimase a guardarlo a lungo, in silenzio ed impettito
dall'imbarazzo.
«Jerk.»
Si rese conto dell'insulto quando fu troppo tardi e preoccupato che il ragazzo
potesse offendersi annaspò alla ricerca di giustificazioni, qualcosa che
risultasse meno ridicolo di uno "Scusa, è che mi sento così a mio agio con te
che ti insulto come faccio con i miei amici, ma non era per cattiveria".
Eppure Jared rideva come niente fosse, per nulla colpito.
«Non mi hai detto come ci sei finito tu, qui dentro.» riprese, con naturalezza.
«Sfortuna, credo.»
«E i medici cos'hanno detto, ti rimetterai senza problemi, no?» sembrò davvero
preoccupato.
«Yeha, non morirò.»
«Mhm.» ravanò nelle tasche, riscoprendo il tubo di latta della lattina di
coca-cola che avrebbe dovuto portare a Chad. Lo guardò per un po', scrollando le
spalle. Gliene avrebbe comprato un altro.
«Tieni, non saranno fiori, ma almeno il suo odore non ti soffocherà.»
Colpito dal gesto, la accettò con piacere, in silenzio, anche se probabilmente
l'avrebbe poggiata sul comodino per berla in un altro momento, quando non ci
sarebbe stato pericolo che le bollicine gli grattassero la gola dolorosamente.
Gli sorrise anche, nulla di serio, una mezza curva stanca, ma più sincera di
molte altre. Bella.
«Sono Jensen.»
Qualcuno urlò il nome di Jared in corridoio, coprendo la propria voce, e facendo
scattare il ragazzo in piedi, allarmato, pronto a far spuntare la testa al di
fuori. Un paio di ragazzi -stupiti di trovarlo in quella stanza- agitavano il
braccio facendogli segno di sbrigarsi, riconobbe Alexis e Milo e, dietro di
loro, occupato a firmare un mucchio di documenti per il rilascio dei pazienti,
Chad era seduto su una sedia a rotelle.
«Devo andare.» sospirò, rientrando «Jason, hai detto? Allora ci si vede.»
Gli sorrise, ma prima di andarsene allungò la mano per sfiorare la sua nuca con
le dita lunghe, in una delicatezza che si sarebbe detta impossibile poter
appartenere ad un ragazzo tanto alto -lo stesso che gli aveva detto di aver
rotto il braccio all'amico- e si chinò su di lui, posandogli un bacio alla
fronte.
«Guarisci presto, buddy.»
Se ne andò sotto lo sguardo sbarrato del più grande ed un «...Jensen... non
Jason...» boccheggiato a malapena che cadde nel vuoto.
A che cazzo gli servivano quelle gambe lunghe? Si domandò Chad quando lo
vide camminare lentamente verso di sè, con le mani affondate nelle tasche e la
testa tornata ad abbassarsi, seguendo il gruppo fino all'ascensore e poi giù,
verso la hall dell'ospedale.
«J-Rod.» ringhiò, sperando di velocizzarne i passi.
L'altro lo guardò mesto, gli occhi fossilizzati sul gesso, le labbra distese in
una linea piatta e l'ennesimo "mi dispiace" trattenuto sulla punta della lingua,
contro i denti.
Sollevò il braccio sano, abbandonando qualche istante la sedia a rotelle per
afferrargli una ciocca di capelli, tirandogliela con forza.
«C'mon, asshole, non ce l'ho con te, ok? Mi hai fatto incazzare perché mi
sono fatto male, ma è passata.»
«Serio? Non stai per dirmi che preferisci Milo a me?»
«Milo è qui accanto a te e ti sente.» sibilò il diretto interessato, con una
smorfia fatta solo a metà bocca.
«Dude, per favore.» affermò, allungando la mano verso di lui «Sto
parlando con il mio amico, ok? Rispetto. E non interrompere i discorsi altrui.»
«Fanculo.» gli tirò un amichevole pacca e Jared tornò a guardare Chad, che
annuiva riprendendo posto alla sedia a rotelle in dotazione dell'ospedale,
pronto ad uscire finalmente da quel posto e passare il prossimo interminabile
mese con un gesso al braccio destro.
Piegato sullo schienale della sedia, Jared si spostò di lato per far passare una
coppia appena entrata, dando una distratta occhiata alla donna seduta a sua
volta ad una sedia a rotelle, facendo appena in tempo a notare le spalle del
ragazzo che la spingeva. Aveva capelli di un castano scuro e, quando per un
attimo il proprio sguardo si incrociò con i suoi occhi di un blu intenso, gli
venne in mente un ragazzo biondo incontrato pochi giorni prima, con occhi
altrettanto profondi e l'aria di un gatto ferito.
Trattenne il fiato, sorridendo inconsciamente.
«E ora che ti prende, Jay?»
«Eh?» tornò a guardare l'amico «Ah, niente, niente.»
Chad sospirò.
Sarebbe stato un mese lungo.
«Ehi, posso fare un giro sulla sedia a rotelle?»
«Io sono moribondo e tu vuoi fare giri sulla mia sedia a rotelle?
Fanculo, trovatene una tua, idiota!»
«Ma la tua sembra comoda!»
Un mese infinitamente lungo...
Ferma con la sedia a rotella una volta entrata in ascensore, Victoria sollevò lo
sguardo verso la pulsantiera contro cui le dita del ragazzo che l'aveva
accompagnata continuavano ad accanirsi nervosamente. Sorrise di lui, nascondendo
la bocca dietro alle dita piccole della mano.
«Non c'è niente da sorridere, Vic, non siamo qui in gita.» sbottò, storcendo il
naso «Non ti accompagno più ai tuoi stupidi esami della tiroide.»
«Non fare così e sii carino una volta tanto.»
«A-ah. Piuttosto, se la tiroide si trova all'altezza del collo e le tue gambe
funzionano più che decentemente... che ci fai su quella sedia?»
«Oh niente, volevo stare comoda.» chiocciò, liscinado la gonna sulle cosce.
Lui fece finta di non averla sentita e non aver posto la domanda.
«...odio gli ospedali...» Sbottò.
Spinse lo sguardo oltre le porte dell'ascensore e, per un attimo, prima che
queste si richiudessero, ebbe la netta sensazione di aver visto occhi di un
verde mischiato al grigio e all'azzurro che brillavano al di sopra di un sorriso
familiare, sbarazzino, già visto prima di allora.
Reclinò il capo, curioso, un passo in avanti e le labbra dischiuse a pronunciare
un nome che, scoprì amaramente, non conosceva.
«Misha?» lo chiamò lei.
Misha scosse il capo.
Doveva essersi sbagliato, le probabilità di ritrovarsi quel ragazzino tra i
piedi proprio in quell'ospedale erano troppo basse.
«Ho già detto che odio gli ospedali?»
E Victoria rise, annuendo.
Note dell'Autore: Odio questa fic, la odio tantissimo. Ho cominciato a scriverla quasi un mese fa e non ne voleva proprio saperne di scriversi (perché sì, le mie fic si scrivono da sole mentre io guardo e mi limo le unghie!) ed alla fine... non riesco a farmela piacere e non riesco a cestinarla, perché senza questa perdo il mio filone logico per altre fic di Crossroad. Sono un caso disperato, lo so.
Non so
perché mi sia venuta questa idea alla Sailor Moon... inizialmente il primo vero
incrocio delle strade del trio l'avevo pensato diversamente, ma quando ho visto
il prompt della community mi è balenata in testa l'idea dell'incidente che è una
cazzata immane ed impossibile, dovessero anche allinearsi i pianeti e i
satelliti di Saturno, però sembrava avere un senso... almeno finché non mi sono
trovata a penare per concluderla.
L'ambient temporale è di nuovo il 2001 e sì, è lo stesso della fic "Please,
be me and let me be you just for a sec" ed entrambe fanno parte di
Crossroad, una serie di fic pre-mishalecki e pre-j2 (quest'ultima coppia non
del tutto accertata) in cui Misha, Jared e Jensen sono destinati ad incrociare
le loro strade anche prima di Supernatural. Da qui il what if nel warning della
fanfic.
In questa fanfic, purtroppo, Misha ha una parte marginale (bohoo, perdonami
Overlord!), ma ho preferito così sia perché volevo introdurre Jensen, sia perché
l'idea che Misha e Jared si "incontrino" senza davvero vedersi mi intrigava.
Ah sì, Alec è il nome del personaggio di Jensen in Dark Angel. Va' quante cose
si imparano con wikipedia!