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Autore: mannybimba    18/09/2012    1 recensioni
Non mi ricorderò tutte queste cose, però, potrei descrivere il tuo volto ad occhi chiusi se qualcuno me lo chiedesse, potrei descrivere le forme del tuo corpo, potrei descrivere la tua schiena, i tuoi piedi, le tue mani, i tuoi occhi, soprattutto... e credo che sia più importante ricordarmi tutte queste cose che ricordarmi dove si trova la crema o dove abbiamo comprato il tostapane.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LAST(and)LOST
Sarà l'ultimo giorno della mia vita...
Margaret si sta guardando allo specchio, bagnandosi la faccia e toccandosela.
Margaret: “Le chiedo di trovarmi un appuntamento per ogni giorno di questa settimana... prima di andarmene voglio dire a qualcuno tutto quello che penso”. Margaret è seduta davanti a una donna, la dottoressa Smith. Dott.ssa Smith: “Perché vuoi suicidarti?”. Margaret: “Per la solita ragione... non sono felice”. Dott.ssa Smith: “Da cosa è dovuta la tua infelicità?”. Margaret alza le sopracciglia: “Mi sembra strano che lei non lo sappia”. Dott.ssa Smith: “Probabilmente lo so già, ma voglio che me lo dica tu”. Margaret: “Posso fumare?”. La dott.ssa Smith annuisce. Margaret: “Lei fuma?”. Dott.ssa Smith: “No”. Margaret: “Anche io, ma ho deciso di iniziare, tanto ho soltanto una settimana da vivere... la mia ultima settimana: ho deciso di provare a fare tutto quello che non avevo mai fatto prima, tranne drogarmi”. Dott.ssa Smith: “Perché sei infelice, Margaret?”. Margaret accende la sigaretta e fa un tiro, butta fuori il fumo dalla bocca e dice: “Mi sono innamorata... della donna più impossibile da avere sulla faccia della terra” dice ridendo, per sdrammatizzare e per strappare e vedere il sorriso della dott.ssa Smith, ma questa non cambia di una virgola l'espressione del suo viso.
Margaret che si guarda ancora allo specchio.
Dott.ssa Smith: “Vuoi dirmi chi è?”. Margaret: “Non mi prenderebbe più seriamente se le dicessi chi è”. Dott.ssa Smith: “Non sono qui per giudicare nessuno. Dopo la tua dichiarazione, devo intuire che la conosco”. Margaret: “È probabile. Comunque, non glielo dico, almeno non adesso” dice continuando a fumare. Dott.ssa Smith: “Cosa mi vuoi raccontare, allora?”. Margaret: “Voglio, principalmente, dirle cosa penso”. Dott.ssa Smith: “A che propositi?”. Margaret: “A proposito di qualsiasi cosa: della vita, dell'amore, dell'inquinamento globale anche, se avremo possibilità di parlarne”. Dott.ssa Smith: “Di cosa vuoi parlare, adesso?”. Margaret: “Preferirei che fosse lei a farmi delle domande”. Dott.ssa Smith: “Ok, dove vivi?”. Margaret: “Fuori città, in periferia. In una casa, un po' vecchia e fatiscente, all'esterno, ma l'interno... l'ho rifatto tutto: ha due piani, tre se contiamo la mansarda”. Dott.ssa Smith: “Cosa fai nella vita?”. Margaret: “Dipingo... in mansarda”.
Emily: “Vedo che ti piace leggere” dice guardando la libreria nel salotto di Margaret, che è vuota. Arriva Margaret con un bicchiere di vino: “Beh, sì, in effetti, non mi piace leggere”. Emily: “Però vedo che quell'altra libreria è piena”. Margaret porge il bicchiere a Emily. Margaret: “Tutti quei libri sono regali”. Emily beve un sorso di vino. “Non ne ho letto neanche uno” continua Margaret. Emily ride: “Sei molto particolare”. Margaret: “La libreria piena da l'impressione che io sia una lettrice appassionata, cosa che non sono, così ho deciso di mettere questa libreria vuota, per smentire ciò che faceva pensare quella piena”. Emily: “Sì, però, uno può pensare che hai messo un'altra libreria per riempirla”. Margaret: “È per questo che spiego a tutti la motivazione della libreria vuota”. Ridono. Emily: “Sì, confermo... sei molto particolare. Mi piace molto la tua casa anche questa mancanza di una parte della parete che dovrebbe dividere, sia il salotto che la cucina, dall'atrio: sa tanto di set cinematografico”. Margaret: “Era proprio quello il mio obbiettivo”.
Dott.ssa Smith: “È di Emily che ti sei innamorata?”. Margaret: “No, Emily era solo una con cui fare sesso. Perché conosce qualche Emily?”. Dott.ssa Smith: “Non lo so...”.
Emily: “Hai detto che dipingi, giusto?”. Margaret: “Sì, sì”. Emily: “Fammi vedere qualche tuo quadro”. Margaret: “Va bene, però dobbiamo salire in mansarda”.
Margaret: “Così salimmo in mansarda e le feci vedere dei miei quadri”.
Emily: “Bello, questo a qualcosa di... inquietante, però anche qualcosa di seducente” dice guardando un quadro di Margaret, poi questa, da dietro, comincia a baciarle il collo. Emily: “Dove è che dormi?” chiede lasciando che Margaret la baci. Margaret: “Ti faccio vedere la mia camera da letto, se ti va”. Emily: “Credo di vederla volentieri”.
Margaret: “Abbiamo fatto sesso”.
Emily: “Ti piacciono le maschere?” chiede vedendone appese un sacco alle pareti della camera da letto di Margaret. “Credo che tutti ne portiamo una... è per questo che mi piacciono” risponde Margaret. Emily: “Ho voglia di andare al cinema. Andiamo a vedere un film?”. Margaret: “Soltanto se dopo ritorniamo qui e rifacciamo l'amore”. Emily: “Sai mi chiedo se si può chiamare così, anche tra femmine” dice rivestendosi. Margaret: “Non lo so vai a chiederlo ad un sessuologo”. Emily: “Va bene, comunque, dopo torniamo qui e lo rifacciamo: così sei contenta e mi porti al cinema”. Margaret: “Cinque minuti e sono pronta”.
Margaret: “Andammo al cinema, a vedere Two Lovers, il film di James Gray, non so se lo ha visto...”. Dott.ssa Smith: “No, non mi sembra”. Margaret: “Meglio così. Uscita dal cinema, non fui più io. Non feci venire Emily a casa mia. Tornai a casa e dipinsi per il resto della giornata. È come se mi fossi persa quel giorno e se ti perdi... beh, fai fatica a ritrovarti”.
Margaret dipinge. È sporca dappertutto.
Voce di sottofondo(di Margaret): “Nella vita è difficile trovarsi, perché ogni volta che ti intravedi, la vita o il fato ti fa sparire, di nuovo...Quando, finalmente, mi ero trovata e avevo trovato anche il mio equilibrio, sono andata al cinema e mi sono persa”.
Dott.ssa Smith: “Cos'è successo al cinema?”. Margaret: “Niente, semplicemente, l'ho incontrata e da lì... sono iniziati i problemi. All'inizio non era così forte, poi con il passare dei mesi... è diventato... non so come definirlo”. Dott.ssa Smith: “È diventata passione?”. Margaret: “Sì, esatto. Credo che esista la perfezione e credo che sia diversa per tutti noi, perché perfezione è colui o colei che amiamo, ne accettiamo i difetti e ne elogiamo i pregi. Non vogliamo che cambi perché lo o la amiamo così com'è e non osiamo chiedere di cambiare comportamento perché abbiamo paura di perderla e sappiamo che se lo facciamo questo può accadere e ci sembra già tanto che lei o lui abbia scelto noi, quando aveva un milione e mezzo di candidati, probabilmente, più ideali. Sappiamo anche che lei o lui si meriterebbe di meglio ed è per questo che cerchiamo di farla o farlo sentire importante. Regaliamo tutte le attenzioni a lei, dimenticandoci di noi”. Dott.ssa Smith: “Beh, è un bel pensiero, forse un po' grande, non credi?”. Margaret: “Lei è sposata o fidanzata?”. Dott.ssa Smith: “Fidanzata”. Margaret: “È innamorata o è soltanto un'avventura? Perché se lei dice che il mio pensiero è troppo grande, allora, con tutto il rispetto e spero di non offenderla in nessun modo, non sa cosa vuol dire amare”. Dott.ssa Smith: “Invece, ti capisco perfettamente”. Margaret: “Immaginavo: mi sembrava strano che una persona così sensibile come lei, non avesse mai provato quello che provo io”. Dott.ssa Smith: “Hai detto che non avevi mai fumato in vita tua e, da quel che ho capito, non ti sei nemmeno ubriaca, giusto?”. Margaret annuisce. Dott.ssa Smith: “Allora, volevo chiederti... perché non lo hai mai fatto prima?”. Margaret: “Perché non sono brava a smettere, non come sono brava ad iniziare: se avessi iniziato a fumare quando avevo quindici anni, di sicuro avrei continuato per tutta la vita, così ho cercato di evitare qualsiasi tipo di “droga”” dice facendo il simbolo delle virgolette con le dita: “alcool, fumo, erba... anche se credo che nella vita bisogna fare qualche follia, perché soltanto facendo cose pazze, siamo riusciti a creare cose geniali e credo anche che nella vita passano tanti treni, sa no in quella che si può definire la nostra stazione, quella dove, appunto, passano i treni che sarebbero le opportunità, che spesso non prendiamo, perché abbiamo troppa paura delle conseguenze e, a questo proposito apro una parentesi e vorrei dire che non bisogna porsi tante domande su quello che succede dopo, se no finiremo per non fare più niente nella vita, comunque tornando a quello che stavo dicendo prima, sulla questione dei treni, non li prendiamo mai perché aspettiamo sempre quello che desideriamo, quello che ci porta” e qui, Margaret, si alza e si affaccia alla finestra dello studio: “nel luogo dove vorremmo andare, ma credo che... sia inutile aspettarlo dato che...” spegne la sigaretta: “...non passerà mai”. Dott.ssa Smith: “Credo che la tua scelta di suicidarti sia dovuta anche al fatto che sei pessimista riguardo alla vita. Quanti anni hai Margaret?”. Margaret: “Non mi sembra importante...”. Dott.ssa Smith: “Non vuoi dirmelo?”. Margaret: “Ne ho ventiquattro”. Dott.ssa Smith: “Come le ore del giorno”. Margaret: “Sì, esatto”. Dott.ssa Smith: “E, se posso chiedere, lei, la tua amata, quanti ne ha?”. Margaret: “Quarantotto”. Dott.ssa Smith: “Perché sei così pessimista, Margaret?”. Margaret: “Perché con tutto quello che ho passato, essere pessimista, mi creda, è normalissimo”. Dott.ssa Smith: “Perché? Cosa ti è capitato?”. Margaret: “Ma niente, semplicemente, quando avevo quattro anni, i miei genitori sono morti entrambe, prima mia madre di cancro e poi mi padre si è suicidato per il troppo dolore, causato dalla morte di mia madre. Avevo un fratello che quando morì mio padre, se ne andò di casa, allora aveva già diciotto anni, quindi era maggiorenne e non volle prendersi la responsabilità di avermi sotto la sua tutela, così se ne andò e io fui spedita in un orfanotrofio”. Dott.ssa Smith: “Sei stata adottata?”. Margaret: “No, perché quando due persone erano disposte a farlo, mi incontravano e mi conoscevano meglio e mi classificavano, tutti, come la bambina con dei problemi psichiatrici: credevano che fossi pazza, la cosa peggiore è che non c'era una coppia, dico una, che non mi vedeva così”. Dott.ssa Smith: “Ed era vero?”. Margaret: “Ero la più normale, lì dentro. Tutti siamo pazzi, soltanto che tendiamo a comprimere la nostra pazzia, perché pensiamo che le altre persone non siano folli e che, quindi, se ci comportiamo da tali, non ci accettino e così non avremmo amici, quindi ci mostriamo come altre persone, persone normali pur di piacere: abbiamo paura di rimanere da soli, abbiamo paura che non potremmo avere qualcuno che ci faccia da testimone, che dica agli altri le cose buone che facciamo, ma penso che, se vogliamo farle veramente, dobbiamo farle e basta senza andare a dirlo a qualcuno, per sentirci orgogliosi e vantarcene”. Dott.ssa Smith: “Hai fatto l'università o il college?”. Margaret: “Come? Quando ho compiuto diciotto anni sono uscita dall'orfanotrofio, con i pochi soldi che mio padre mi aveva lasciato e, grazie al cielo, aveva avuto il buon senso di lasciare la casa, quella dove vivo, a me e non a mio fratello”. Dott.ssa Smith: “Saresti portata per fare psicologia”. Margaret: “Sarei portata per fare tante cose, ma ormai è tardi”. Dott.ssa Smith: “Perché è tardi, Margaret? Non è mai troppo tardi”. Margaret: “PER FAVORE, NON CI SI METTA ANCHE LEI A DIRMI CHE VALE LA PENA VIVERE!”. Dott.ssa Smith: “Vorrei tanto poterti dire quello che vuoi sentire, ma, per tua sfortuna, è così. Vale la pena vivere, perché, forse tu non lo sai, ma la vita ti può dare una quantità infinita di felicità, più di quella che ti puoi immaginare... devi solo cercala”. Margaret: “Eccola l'altra cosa che dicono tutti -devi cercala-, il punto è che mi sono stufata di cercarla! Passavo ogni singolo minuto di quei dannati giorni di quei dannati anni in quel dannato orfanotrofio, a cercare... la felicità, che all'epoca era semplicemente trovare delle persone che mi volessero bene. Ho aspettato per tredici anni, nessun si è presentato alla mia porta, che era sempre aperta!”. Dott.ssa Smith: “Cercala ancora perché, credimi, c'è!”. Margaret: “BASTA! NO NON C'è, QUELLA CHE VORREI, NON C'è, NON ESISTE!”. Dott.ssa Smith: “Creala, Margaret!”. Margaret: “Non si può semplicemente creare, saremmo felici tutti se no”. Dott.ssa Smith: “Cosa è successo dopo? Dopo il cinema?”. Margaret: “Ho frequentato altre persone, ho avuto una relazione con un ragazzo, David, cercando di innamorarmi di lui, per disinnamorarmi di lei, ma... non ci sono riuscita e, purtroppo, gli ho spezzato il cuore”. Dott.ssa Smith: “Come?”. Margaret: “Gli ho detto la verità: gli ho detto che ero innamorata di una donna e che lo stavo usando per tentare di dimenticarla”.
I due sono nel letto insieme. Margaret: “Sono bisessuale, David”. David: “Bene”. Margaret lo guarda in modo strano e dice: “Come?”. David: “Non mi sembra una cosa brutta”. Margaret: “No, però... non hai nient'altro da dirmi o da chiedermi?”. David: “Come lo hai scoperto?”. Margaret: “Sono andata a letto con una donna e... te lo spiegherò tra un po' di tempo”. David: “Senti, Margaret, ti piacciono gli anelli?”. Margaret: “Dipende, di che genere?”.
Margaret: “Era già tre o quattro mesi che ci frequentavamo”.
David: “Di questo genere” dice tirando fuori un anello, dalla tasca dei pantaloni, stesi su una poltrona. Margaret: “Ma questo è un anello di?”. David: “Fidanzamento”. Margaret: “Oh mio dio! David, io non so se...”. David: “Non mi devi dare una risposta adesso, pensaci”. Margaret: “Ok” poi si alza dal letto e si riveste. Margaret: “Ho bisogno di dipingere” dice infilandosi una maglietta e legandosi i capelli. David: “Ok, va tutto bene?”. Margaret, stava uscendo dalla stanza: “Sì, sì, tutto bene”.
Margaret: “Così salgo le scale e vado in mansarda a dipingere. Dopo qualche settimana, voleva portarmi dai suoi genitori per presentarmi...”
Margaret: “NO, NO! NON PUOI COSTRINGERMI COSì, è CHIARO?! NON PUOI FARLO! SENTI, IO NON...” sbuffa e si mette una mano sulla fronte: “...non sono pronta per questo passo, ok?”. David: “Cosa intendi dire?”. Margaret: “Intendo dire che... non ti voglio sposare”. David: “Come? Perché non vuoi?”. Margaret: “Questo non te lo posso dire”. David: “Beh, pensavo di avere il diritto di avere una spiegazione!” dice alzando la voce. Margaret: “NON TE LO POSSO DIRE!”. David: “NON PUOI, MA DEVI!”. Margaret: “NON TE LO POSSO DIRE!” dice con di sottofondo la voce di David che dice: “Dimmelo, dimmelo, dimmelo” in continuazione. Margaret: “PERCHé NON TI AMO! PERCHé SONO INNAMORATA DI UN'ALTRA PERSONA E PERCHé, PER ME, TU, NON SEI NIENTE! NON TI AMO, HAI CAPITO? Dovevi essere soltanto un modo per dimenticarla e per disinnamorarmi di lei, ma non è riuscito”. David se ne va.
Dott.ssa Smith: “Lo hai più sentito o visto?”. Margaret: “No. Ho avuto, poi un'altra relazione, con Mark, doveva trattarsi soltanto di sesso, ma... sono rimasta incinta. Ed ero pronta a sposarlo e a fingere di essere felice e anche a fingere di amarlo, se lui l'avesse voluto...”.
Dottore: “Lei ha subito un aborto spontaneo”.
Margaret: “Ho perso il bambino. Dopo quel giorno, Mark non si è più fatto vedere”. Dott.ssa Smith: “Ti eri innamorata di lui?”. Margaret: “No, a malapena ci conoscevamo. Dopo ho avuto altre storie con Alex, Jake e altri”. Dott.ssa Smith: “E come sono andate a finire?”. Margaret: “Dopo un po', sparivo: non mi facevo trovare a casa, non rispondevo al cellulare,... cose così”. Dott.ssa Smith: “Dopo?”. Margaret: “Dopo... mi sono chiusa in me stessa, non vedevo più i miei amici, dipingevo e ascoltavo musica, non mangiavo e mi rifugiavo nel lavoro: incontravo galleristi in continuazione e... dipingevo. Ho dipinto tanto in quel periodo. La musica ha, soltanto peggiorato la situazione...”
Margaret ascolta musica a tutto volume e si tappa le orecchie, mentre piange.
Margaret: “... non c'è una canzone, che non parla di storie d'amore: parlano tutte dei dolori amorosi, di quanto è bello l'amore, ma anche di quanto è brutto”. Dott.ssa Smith: “Dopo quel periodo?”. Margaret (indossa vestiti diversi, perché è la seduta del giorno dopo): “Dopo sono partita, sono andata a Parigi”.
Margaret sta parlando con un ragazzo in un bar, quando ne arriva un altro che dice: “Posso farti una domanda: sei una specie di mangia-uomini?”. Il ragazzo con cui Margaret stava parlando se ne va: “Ciao... Matthew, giusto?”. Matthew: “Cavolo, ti ricordi il mio nome! Deve essere un enorme traguardo per te!”. Margaret: “Come stai?” dice sorridendo, cercando di non prestare attenzione a quello che Matthew diceva. Matthew: “Bene grazie. Direi che sto più o meno come ieri sera, quando ci siamo incontrati e quando abbiamo fatto sesso. Sei una mangia-uomini, non è vero?”. Margaret: “Hai detto che sei inglese, vero? Tra qualche giorno parto per Londra, sai?”. Matthew: “Stai cercando un'altra preda, immagino”. Margaret: “Hai fatto l'università, Matthew?”. Matthew: “Sì, lo immaginavo: sei una mangia-uomini” si alza. Se ne stava andando, quando: “Aspetta!” dice Margaret: “Hai ragione: sono una mangia-uomini”. Matthew: “Come possiamo definirlo il tuo comportamento? Prendi e fuggi? Oppure, usa e getta? Sai sono uno a cui piace definire le cose”. Margaret: “Mi dispiace averti ferito così tanto: credevo si trattasse soltanto di sesso. Abbiamo preso precauzioni, vero? Lo spero, non vorrei essere rimasta incinta”. Matthew: “Sei incredibile, sai? Non lo sai che ogni volta che facciamo sesso con qualcuno, abbiamo stabilito un rapporto o una relazione con questo qualcuno, involontariamente. Non si tratta mai di sesso e basta”. Margaret: “Dove ti ho offeso, Matthew?”. Matthew: “Vuoi sapere cosa mi ha offeso? Il fatto che la mattina sei sparita senza neanche salutare”. Margaret: “Vuoi che lo rifacciamo così domani mattina ti saluto prima di andare via? VORRESTI DIRE CHE TI SEI OFFESO PERCHé NON TI HO SALUTATO? VEDI è QUESTA LA COSA CHE UNISCE TUTTI VOI UOMINI, NON AVETE... NON SIETE SENTIMENTALI O ROMANTICI. TI SEI OFFESO PERCHé NON TI HO SALUTATO, NON PERCHé NON TI HO RICHIAMATO”. Matthew: “Pensavo si trattasse soltanto di sesso”. Margaret: “Vuoi che vengo in albergo con te?”. Matthew se ne va scuotendo la testa. Il giorno dopo, Margaret, era davanti alla torre Eiffel che disegnava. Matthew: “Buongiorno! Che piacere rincontrarti”. Margaret: “Mi stai pedinando, per caso?”. Matthew: “Scusami, volevo salutarti. Volevo ci fosse un primo saluto tra di noi, dato che neanche la prima sera mi hai salutato!”. Margaret: “Hai qualche problema con i saluti, Matthew?”. Matthew si siede accanto a lei: “Allora, come è andata stanotte? Hai fatto del buon sesso?”. Margaret: “Diciamo... discretamente, ecco. Il tipo... com'è che si chiamava? Francois o Jean? Non ricordo, comunque era un bel figo, però a letto... non un granché”. Matthew si alza: “Sei incredibile!”. Margaret: “Ma che fai? Vieni qua! Ti stavo prendendo in giro!”. Matthew si riavvicina alla ragazza: “A sì, davvero? Scommetto che non riusciresti a stare una sola notte, di questa vacanza, senza un uomo!”. Margaret: “Beh, ti sbagli: sei stato l'unico fino adesso”. Matthew: “Oh, ho addirittura avuto l'esclusiva! Cos'è fai la difficile adesso?”. Margaret: “Ma dimmi, c'è l'hai con me oppure ti svegli sempre dalla parte sbagliata del letto?!” qualche secondo di silenzio: “Hai avuto una regina, non è vero?”. Matthew: “Cosa sarebbe una regina?”. Margaret: “Una ex che ti ha spezzato il cuore”. Dopo qualche secondo di silenzio: “Non so di cosa tu stia parlando”. Margaret: “Ci hai messo troppo per rispondere, quindi ha mentito”. Matthew: “Cos'è sei una strizzacervelli o roba simile?”. Margaret: “Te lo ha mai detto nessuno che sei uno stronzo?”. Matthew: “Te lo ha mai detto nessuno che sei una troia?”. Margaret: “Wow! Non te lo ha spezzato il cuore, te lo ha proprio portato via!”. Matthew: “Di chi parli?”. Margaret: “Della regina” dice riprendendo a disegnare. Matthew: “Invece il tuo re?”. Margaret: “Non c'è mai stato un re”. Matthew si siede: “Sì, come no”. Margaret: “Te lo direi, ma no, non c'è stato”. Matthew: “Non ti credo”. Margaret: “Sai qual'è il tuo problema, Matthew? Sei arrabbiato perché lei ti ha lasciato, probabilmente per un altro e te la prendi con il resto del mondo, per questa cosa. Tenti anche di scaricarti su di me, il che non ti aiuta, dato che peggiori il rapporto, che, secondo te, abbiamo instaurato ieri notte e vorresti far soffrire me come soffri te, ma... voglio aprirti gli occhi: ognuno ha la sua croce”. Matthew: “La tua è quella che ti ha messo sulle spalle il re, vero? E vai a letto con tanti uomini per non perdere l'abitudine di fare sesso, poi sparisci per non instaurare una relazione con gli uomini perché hai paura...”. Margaret: “Vedi, ho ragione” lo interrompe: “Vuoi far soffrire me per la tua stessa ragione, così magari trovi almeno una persona che ti capisca. Ripeto: ognuno ha la sua croce! Questo significa che anche io ho la mia”. Matthew: “Il tuo re?”. Margaret: “MATTHEW, FINISCILA! NON C'è MAI STATO UN RE, LO VUOI CAPIRE?! SEI COCCIUTO, SAI? VUOI SEMPRE AVERE L'ULTIMA PAROLA!”. Matthew: “Allora qual'è la tua croce?”. Margaret: “Una regina, che però e purtroppo non è mai entrata nella mia vita: mi sta spezzando il cuore senza nemmeno toccarmi... mi ha fatto perdere, sai?” dice guardandosi intorno: “Mi ha incastrato in un labirinto: non c'è via d'uscita”. Matthew: “Una regina? Quindi vai a letto con gli uomini per apparire normale, cioè etero o ci vai, semplicemente, perché sei bisessuale?”. Margaret: “Sono bisessuale, stronzo!”. Matthew: “Dai scusami. Non volevo offenderti... direi che la tua croce è anche più pesante della mia...”. Ridono. Margaret: “Direi anche io” dice girandosi verso il ragazzo che la sta fissando. Matthew: “Posso baciarti?”. Margaret: “Direi che devi: siamo sotto la torre Eiffel”. Così la bacia. Matthew: “Senti... che ne dici se facciamo finta di stare insieme? Cioè... facciamo quello che farebbe una coppia normale: sesso, quando ne abbiamo bisogno, ci baciamo, ci teniamo la mano e cose di questo genere, per... farci compagnia e, magari, parlare ogni tanto, sempre quando ne abbiamo bisogno. Diciamo che ci facciamo da spalla”. Margaret sorride e dice: “Fai sul serio?”. Matthew: “Non sono mai stato più serio in vita mia”. Margaret: “Va bene... però, non ti innamorare di me, capito? Ti spezzerei il cuore. Ah, un'altra cosa, non sarà una storia d'amore, mettitelo bene in testa”. Matthew: “Ok. Vuoi un gelato, un caffè o qualcosa?”. Margaret: “Sì”. Matthew: “Allora, va bene se andiamo a quel bar laggiù?”. Margaret: “Ok” dice mettendo via il quaderno su cui disegnava”. Matthew: “Sei brava a disegnare”. Margaret: “Grazie, direi che questo è il primo complimento che mi fai”. Entrano nel bar e prendono due cappucci, poi riescono e si siedono nel parco. Margaret: “Hai fatto l'università o il college?”. Matthew: “Lo sto ancora facendo, anche se non sono un grande studioso”. Margaret: “Cosa vorresti fare?”. Matthew: “Non lo so”. Bevono nel cappuccino, poi si sdraiano nell'erba. Matthew: “Posso abbracciarti?”. Margaret: “Se proprio ci tieni”. Così le mette un braccio sotto il collo, poi lei si sdraia sopra di lui e lo bacia. Cominciano ad amoreggiare. Poi lei di colpo smette e dice: “Non ti fare troppe illusioni”. Matthew: “Che dici?! Sono già stato a letto con te”. Margaret: “Ah già me ne ero dimenticata!”. Matthew: “Lo sai che ci stanno guardando tutti?”. Margaret: “Lascia che guardino”. Matthew: “È un po' imbarazzante”. Margaret: “Vuoi che continuiamo ad amoreggiare, così ci guardano di più?”. Matthew: “Ma che sei matta”. Margaret scoppia a ridere. Matthew la spinge a terra: “Vuoi che ci guardino? Bene”. Si mette sopra di lei e ricomincia ad amoreggiare. Dopo qualche secondo lei gli mette le braccia intorno al collo. Vanno avanti ad amoreggiare per qualche minuto. Poi Margaret si alza: “Oh mio dio! Non ho mai amoreggiato così a lungo!”. Matthew: “Nemmeno io!” poi la ritira verso di sé e riprende a baciarla. Margaret, di nuovo, smette: “Ma lo sai che ho bisogno di respirare?!”. Matthew: “Sì, scusa... mi sono lasciato prendere”. Margaret: “Matthew, non innamorarti di me, hai capito?”. Matthew: “Sì. Vieni qui” la ritira verso di sé e riprende a baciarla. La sera, vanno in albergo, nella stanza di Margaret. Lei era seduta sul divano, che stava disegnando, quando si avvicina lui e si sdraia, appoggiando la testa sulle ginocchia di lei. Matthew: “Facciamo l'amore?”. Margaret: “Rimandiamo a più tardi”. Matthew: “Allora baciami”. Margaret si alza e va ad appoggiare il quaderno e la matita. Poi torna sul divano e si sdraia su di lui. Lo bacia. Poi lui si alza e la prende in braccio. La porta sul letto e fanno l'amore. Dopo: “Ti avevo detto più tardi comunque” dice lei. Matthew: “Non ce la facevo ad aspettare”. Margaret: “Beh, sappi che la prossima volta aspetterai”. Matthew: “Ok, che minacciosa che sei!” dice sdraiandosi sopra di lei. Margaret: “Ancora? Basta!” dice spingendolo via. Matthew: “Eh dai! Siamo qui, abbiamo il letto!”. Margaret: “Intendi dire che ogni volta che un uomo e una donna si trovano in una camera da letto, da soli, devono approfittarne?”. Matthew: “No, intendo dire che ogni tanto quando un uomo e una donna che diciamo... stanno insieme, si trovano in una camera da letto, da soli, dovrebbero approfittarne”. Margaret scoppia a ridere: “Ma hai sentito quello che abbiamo appena detto?”. Matthew: “Sì e, in effetti, fa ridere”. Matthew la bacia e poi comincia a baciarle anche il collo. Margaret: “Che palle! Poi la troia sono io?! Dai, Matthew!”. Matthew: “E va bene... scusa” così si sposta e si sdraia al suo posto. Dopo qualche minuto, Margaret si avvicina a lui e dice: “E va bene” così Matthew si rimette sopra di lei e rifanno l'amore.
Margaret: “Stava diventando una cosa troppo seria... per lui e anche troppo in fretta”.
Margaret: “Lo sai che non mi innamorerò di te, vero? E tu non devi innamorarti di me, lo sai?”. Matthew: “Sì, lo so” dice alzandosi dal letto e rivestendosi: “Ma non possiamo comandare i sentimenti, giusto?”. Margaret: “Matthew! No, non ti innamorare. Vuoi avere un'altra regina? Così quel poco di cuore che ti è rimasto lo togliamo completamente? E no, non si posso comandare i sentimenti, ma si possono influenzare, quindi vedi di farlo con i tuoi!”. Matthew: “Va bene ci proverò! Usciamo a cena?”. Margaret: “Sì”. Escono dal hotel e vanno in un ristorante francese. Margaret: “Bello questo posto!”. Matthew: “Sì, come si può definire?”. Margaret: “Francese?!”. Matthew: “Giusto, direi che è la definizione più appropriata!”. Si siedono. Cenano. Margaret: “A cosa stai pensando?”. Matthew: “A cosa sto pensando?”. Margaret annuisce. Matthew: “A quanto sei bella”. Margaret abbassa la testa, come se si vergognasse, però, rimanendo seria. Matthew: “E tu?”. Margaret: “A quello che mi hai detto adesso”. Matthew: “E qual'è la tua opinione?”. Margaret: “Che non stiamo avendo una relazione e credo che tu stia influenzando i tuoi sentimenti, ma nel modo sbagliato”. Matthew: “Non ti preoccupare per i miei sentimenti”. Margaret: “Va bene, come vuoi, ma sappi che se c'è uno che potrà uscire ferito da questo rapporto, quello sei tu. Regolati di conseguenza”. Matthew: “A cosa stai pensando?”. Margaret: “Che non so se ci fa bene questa relazione”. Matthew: “Non porti domande, vivila e basta”. Margaret: “Tu? Adesso a cosa stai pensando?”. Matthew: “A quanto sei intelligente”. Margaret scoppia a ridere. Matthew: “Perché ridi?”. Margaret: “Perché non mi ascolti”. Matthew: “Ecco perché i propri pensieri non bisognerebbe dirli a nessuno”. Margaret: “Cioè?”. Matthew: “Sono i tuoi pensieri, sono quelle cose che nessuno può sapere e se li dici, qualcuno te li contesterà, sempre”.
Margaret: “Aveva ragione”.
Matthew: “Vengo a Londra con te”. Margaret: “Cosa?! No, non pensarci nemmeno!”. Matthew: “Invece sì: vengo a Londra con te!”. Margaret: “Fai un po' quello che vuoi, ma io a Londra devo fare una cosa... di estrema importanza”. Matthew: “Cosa devi fare?”. Margaret: “Una cosa”. Matthew: “Devi andare da lei?”. Margaret: “Sì e ti sarei grata se non me lo impedissi”. Matthew: “Non ho intenzione di farlo”. Margaret: “Bene”. Matthew: “Ti piacerebbe avere dei figli”. Margaret: “Direi di no”. Matthew: “Perché?”. Margaret: “Se devo fare un figlio per farlo nascere in questo mondo, preferisco evitarlo”. Matthew: “Cioè?”. Margaret: “Siamo tutti destinati a fare strade diverse, rispetto a quelle degli altri, soltanto che siamo destinati a provare le stesse cose: gioia, amore... il problema è che soffriamo sempre. Metti che faccio un figlio, ok? Lui cresce, va a scuola, poi diventa adolescente e si innamora: se si innamora di una persona che non può avere, che di sicuro, accade, perché succede sempre così, soffrirà, quindi preferisco lasciarlo dove sta: di sicuro starà meglio là. Tu? Vorresti avere figli?”. Matthew: “No, non è un mio sogno e poi... non posso averne”. Margaret: “Mi dispiace, ma, scusa, come lo hai scoperto?”. Matthew: “Doveva essere un banale controllo, poi ho fatto delle analisi ed è saltato fuori: sono sterile. Senti, ma, cambiando discorso, non ti piacerebbe far vedere dei quadri, in qualche museo, qui a Parigi?”. Margaret: “Sì, mi piacerebbe, peccato che non ne ho neanche uno con me!”. Matthew: “Già, giusto. Non hai delle foto?”. Margaret: “No”. Matthew: “Peccato. Vuoi il dolce?”. Margaret: “No, grazie”. Matthew: “Vuoi andare?”. Margaret: “Tu vuoi il dolce o il caffè?”. Matthew: “No”. Margaret: “Allora, andiamo: non ho ancora visto la torre Eiffel illuminata”. Matthew: “Allora andiamo”. Escono dal cortile del ristorante, dove erano seduti a mangiare. Si dirigono verso la torre. Matthew: “Cosa speri di avere nella vita?”. Margaret: “Niente... anzi, una cosa sola, ma che non avrò mai”. Matthew: “Ti capisco perfettamente”. Margaret: “Tu ti sei già innamorato di me, vero?”. Matthew: “Sì”. Margaret: “Ti avevo pregato di non farlo!”. Matthew: “Non ci posso fare niente”. Margaret: “DOVEVI PENSARCI PRIMA, NON CREDI?”. Matthew: “Non ti preoccupare, io sono felice così”. Margaret: “Sì, ADESSO FORSE, MA APPENA TI LASCIERò, VEDREMO QUANTO SARAI FELICE! Lo sai e lo sapevi che prima o poi ti avrei lasciato e che ti lascerò, non ti capisco” e accelera il passo per distaccarsi dal ragazzo. Matthew: “PERCHè TU, INVECE? CHE CORRI DIETRO A UNA DONNA CHE NON HAI MAI INCONTRATO, CHE NON CONOSCI E CHE NON TI CONOSCE? CONTINUI A PENSARE A LEI, STAI PER ANDARE A LONDRA PER DICHIARARTI E SAI CHE TRA TE E LEI NON ACCADRà NIENTE, EPPURE CONTINUI IMPERTERRITA A TENTARE IN TUTTI I MODI DI ANDARE DA LEI! CONTINUI AD AGIRE! Beh, apri gli occhi e accontentati di quello che hai!”. Margaret si gira verso Matthew e dice: “NON POSSO ACCONTENTARMI DI QUELLO Già HO PERCHé, PER ME, NON è ABBASTANZA: HO IL DIRITTO ANCHE IO DI ESSERE FELICE, PER UN MOMENTO SOLTANTO, PER UN MINUTO, MA VOGLIO ESSERLO! E NON CONTINUO AD AGIRE, AGISCO DI CONSEGUENZA!”. Matthew: “È la stessa cosa”. Margaret: “No, non è la stessa cosa. Non ti devi preoccupare per me. Lascia che io mi faccia male!”. Matthew: “No, non posso, non posso, non posso permettertelo!”. Margaret: “PERCHè?!”. Matthew: “PERCHé IO TI AMO!”. Margaret: “Disinnamorati di me” riprende a camminare: “Ah, un'altra cosa, tu a Londra con me non ci vieni”. Matthew: “Sarà difficile fermarmi”. Margaret: “Lo stesso vale per me” poi se ne va lasciando Matthew da solo. Arriva alla torre Eiffel e si siede sul muretto, dove si erano seduti tutti e due la mattina. Guarda la torre e poi si mette la testa fra le mani. Si rialza e se ne va”.
Margaret: “Due giorni dopo, ripartii per Londra”. Dott.ssa Smith: “Non sei una che piange facilmente”. Margaret: “No, infatti”. Dott.ssa Smith: “Cosa proavi per Matthew?”. Margaret: “Niente, niente. Era proprio questo il punto! Ma lui non lo voleva capire”. Dott.ssa Smith: “Lo hai più visto o sentito?”. Margaret: “Perché? Secondo lei non mi ha seguito a Londra?”. Dott.ssa Smith: “Non lo so”. Margaret: “Certo che mi ha seguito”.
Margaret arriva in aeroporto a Londra e vede Matthew: “Non posso credere che tu l'abbia fatto veramente!” gli dice. Matthew: “Ascoltami, Margaret, ti prometto che cercherò di disinnamorarmi di te”. Margaret: “Non ti aiuta, però, avermi sempre accanto, lo sai?”. Matthew: “Sì, lo so ed è per questo che mi disinnamorerò di te dopo averti aiutata”. Margaret: “Ti ringrazio, ma non ho bisogno del tuo aiuto: so dove andare e so cosa fare”. Matthew: “Lo so che sei organizzata, ma se avessi bisogno di una spalla su cui appoggiarti o piangere, ci sarò io”. Margaret: “Va bene, ma, te lo dico, non sono una che piange facilmente”. Matthew: “Lo so è proprio per questo che sono venuto. Allora, che si fa adesso?”. Margaret: “Dobbiamo arrivare a Londra centro, fare i biglietti per la metropolitana e poi trovare un bar” cominciano a incamminarsi. Matthew: “Un bar?”. Margaret: “Sì, tu mi aspetterai lì. Devo farla da sola questa cosa”. Matthew: “Va bene. Dammi la valigia, te la porto io”. Margaret: “Grazie” e gli la da. Arrivano a Londra centro e vanno in un bar sotto il London Eye. Margaret: “Ok, il biglietto della metro, tu ce l'hai, io ho il mio. Hai il mio numero di cellulare, vero?”. Matthew annuisce. Margaret: “Bene, io ho il tuo quindi se tu hai bisogno, chiamami”. Matthew: “Questo vale anche per te, ovviamente”. Margaret: “Lo so, io vado” dà un bacio sulla guancia a Matthew e si incammina. Matthew: “Margaret...”. Margaret si gira verso di lui: “Sì, sono sicura di volerlo fare, lo devo fare”. Esce dal bar. Dopo qualche ora, Margaret ritorna al bar, da Matthew. Matthew: “Allora?”. Margaret trattiene le lacrime: “Allora niente. Io vado in albergo”. Matthew: “Aspetta, vengo con te!”. Margaret si ferma e aspetta il ragazzo, poi vanno in albergo. Matthew: “Hai voglia di parlarne?”. Margaret: “No”. Matthew: “Ok. Sicura?”. Margaret: “Sicurissima”. Matthew: “Cento per cento?”. Margaret: “TI HO DETTO CHE SONO SICURA!”. Matthew: “Cosa vuoi fare adesso?”. Margaret: “Dormire”. Matthew: “E domani?”. Margaret: “Non lo so, ok?”. Matthew: “Ok, buonanotte”. La mattina dopo, Matthew si sveglia e si accorge che Margaret non c'è. Trova un biglietto con scritto: Grazie mille di tutto, ma adesso devo andare, devo sparire, di nuovo. Dimenticami. Mandami luce e amore ogni volta che mi pensi e poi dimentica! Ti chiedo di non chiamarmi ne di cercarmi. Torno a casa. Sono diventata la nuova regina, vero? Buona fortuna per tutto, Margaret. Matthew: “Eh, no! Non puoi sparire sempre così!”. Scende frettolosamente nella hall del hotel. Matthew: “Mi scusi, sa dirmi a che ora è scesa la ragazza che alloggia in camera con me?” chiede ad una receptionist che gli risponde: “Dunque, la signorina mi pare sia scesa verso le sette e mezza”. Matthew: “E che ora sono adesso?”. Receptionist: “Le otto e mezza”. Matthew: “Ok, grazie” ed esce dall'albergo. Prende il cellulare e fa una telefonata. Margaret: “Pronto?”. Matthew: “Dove sei?”. Margaret: “Matthew! Ti avevo scritto di non chiamarmi”. Matthew: “Non puoi sparire così”. Margaret: “Mi dispiace, ma ho dovuto”.
Margaret: “Era un vero testardo, quel ragazzo”. Dott.ssa Smith: “Ma tu eri già partita per tornare a casa?”. Margaret: “Lei quale, pensa, sia la risposta alla sua domanda?”. Dott.ssa Smith: “Io penso di no, però... sei imprevedibile, quindi, evito di farmi delle idee mie”. Margaret: “Penso che, da oggi, lei sia persona che mi conosce meglio... o forse no”. Dott.ssa Smith: “Allora? Eri già partita? Dubito che in un'ora tu ce l'abbia fatta”. Margaret: “Infatti, non ero uscita dall'albergo alle sette e mezza, ero uscita alle sei e ho pagato la receptionist perché dicesse quello che ha detto”. Dott.ssa Smith: “E dove eri quando Matthew ti ha chiamato?”. Margaret: “In aereo”. Dott.ssa Smith: “No, non è vero. Non te ne saresti andata in così poco tempo”. Margaret: “Perché dice così dottoressa?”. Dott.ssa Smith: “Perché speriamo sempre nell'impossibile o l'improbabile, speriamo sempre al e nell'ultimo minuto. È per questo che credo che tu sia rimasta a Londra”. Margaret: “Allora perché ho lasciato il biglietto a Matthew?”. Dott.ssa Smith: “Perché sapevi che lui ti avrebbe seguito in capo al mondo e sapevi anche che se gli avessi lasciato un biglietto con scritto che tornavi a casa e, in seguito, fossi sparita, lui non avrebbe esitato a prendere il primo aereo per Elisabeth, per raggiungerti. Ora, tutto questo tu l'avresti fatto per due ragioni: la prima,” e qui alza il dito indice della mano destra: “lo toglievi di mezzo, in modo tale da non avere nessuno tra i piedi, che ti fosse di impiccio; la seconda,” e alza anche il dito medio: “lui si sarebbe fatto un bel viaggio staccandosi così da te e magari dimenticandoti”.
Margaret è in un pub, a Londra. È seduta al bancone. Le si avvicina un ragazzo che le dice: “Ehi, ciao come ti chiami?”. Margaret: “Ma io direi, piuttosto, come ti chiami tu”. Ragazzo: “Hai ragione: sono Justin Brown”. Margaret resta incantata dalle parole del ragazzo, poi dice tra sé e sé: “Incredibile” poi girandosi verso il ragazzo: “Piacere” gli porge la mano: “Sono Margaret Brown, sai quella che a perso i genitori come te e con te!” dice alzando la voce. Justin la guarda esterrefatto. Margaret: “Sì, è incredibile, lo so. E immagino che tu sia in una brutta situazione in questo momento, perché io dovrei chiederti una spiegazione per tutto quello che hai fatto... o dovrei dire che non hai fatto? Comunque, non ti chiederò una spiegazione. Non ho voglia di starti a sentire e in più ti evito un dialogo che, per tutti e due, non sarebbe piacevole. Va pure, sei libero da ogni responsabilità, come sei sempre stato!”. Justin prima di andarsene dice: “Mi dispiace... spero che tu sia riuscita ad essere un po' felice” e se ne va.
Dott.ssa Smith: “Ti manca far parte di una famiglia?”. Margaret: “Mi sono dimenticata di dirle che qualche mese prima di partire per Londra, avevo scoperto da poco la mia grande passione per colei che amo e... sono venuta a conoscenza non so come di un mio zio e sono andata a trovarlo. Abita nel North Carolina, è un ingegnere, ma si è laureato anche in psicologia. Gli raccontai tutto, tutta la storia”.
Margaret: “Mia accompagneresti a Londra?”. Steven: “No, non posso: non credo sia la cosa giusta da fare, Margaret”. Margaret: “Ok, grazie lo stesso”. Steven: “Me la ricordo anche io la mia prima passione. Mi ero innamorato di una ragazza che non mi avrebbe considerato nemmeno se le avessi puntato un fucile. Si chiamava Alexis. Se l'ho portato i fiori una volta... che stupido!”. Margaret: “È per questo che io non voglio mollare, è per questo che non mi arrenderò fino all'ultimo, fino a quando non avrò provato il tutto e per tutto: non voglio un giorno riderci sopra a questa cosa, perché io sto male e non mi piace pensare che tutta questa sofferenza debba finire per diventare una risata! E sono stufa di non fare quello che voglio, sono stufa di mettere sempre i sogni e i desideri nel cassetto”. Steven: “Nessuno ti dice di farlo”. Margaret: “In un certo senso, tu lo stai dicendo, invece. Perché quando ci si affeziona ad un persona, non la si lascia mai sbagliare?!”. Steven: “Perché non vogliamo che si faccia del male”. Margaret: “Ma è normale farsi del male! È la vita! Se non si farà male prima, si farà male dopo! È così!”. Steven: “Meglio dopo che prima”. Margaret: “Era il contrario, veramente”.
(Seduta successiva)Margaret: “Voleva farmi stare bene a tutti i costi, ma non capiva che era inutile”. Dott.ssa Smith: “Con che frequenza andavi da lui?”. Margaret: “All'inizio una volta al mese, poi due, poi tre, fino a quando ho iniziato ad andarci ogni weekend”. Dott.ssa Smith: “Stavi bene con lui?”. Margaret: “Sì, almeno lui... mi ascoltava”. Dott.ssa Smith: “Perché? Chi è che non ti ascoltava?”. Margaret: “I miei amici... non so neanche se si possono definire così!”. Dott.ssa Smith: “Perché dici così?”. Margaret: “Gli amici fanno finta di ascoltarti, ogni tanto ti ascoltano veramente, ma è raro trovare il vero amico, quello che si butterebbe sotto ad un treno per te... però, è anche vero che quelli tipicamente sono gli amanti, che sono sempre i migliori amici. Gli amici ti vogliono bene, ma... non sono in grado di fare ciò che fanno gli amanti”. Dott.ssa Smith: “Concordo pienamente”. Margaret: “Bene mi fa piacere”. Dott.ssa Smith: “Prima hai detto che, Matthew, era un ragazzo testardo... perché hai detto “era”?”. Margaret: “Oh! Non gli l'ho detto?! È morto, anche lui, in un incidente d'auto, stava piovendo e lui stava venendo da me. Mancava soltanto lui alla lista di quelli che facevano parte della mia vita e che dovevano morire per completare l'opera!”. Dott.ssa Smith: “Mi dispiace”. Margaret: “Sì, anche a me”. Dott.ssa Smith: “Ti manca?”. Margaret: “Sì, un po', ogni tanto... mi manca tanto lei... avrei tanto bisogno di averla accanto”. Dott.ssa Smith: “Capisco...”. Margaret: “No, lei non capisce, lei non sa cosa vuol dire sapere che c'è una persona che è sposata, che a due figli, che abita dall'altra parte del mondo, che è felice, che ama un persona e sapere che quella persona non sei tu e vorresti tanto esserla! La amo più di qualsiasi cosa al mondo, sarei disposta a buttarmi giù da un ponte per lei, ma il problema è che a lei non gli interessa, ce l'ha già una persona che sarebbe disposta, come me, a farlo”. Dott.ssa Smith: “Non vuoi raccontarmi cosa è successo a Londra? Quando hai lasciato Matthew al bar?”. Margaret: “No, quello che è successo là resterà là”. Dott.ssa Smith: “L'hai trovata almeno?”. Margaret: “Devo risponderle per forza?”. Dott.ssa Smith: “Dimmi soltanto questo”. Margaret: “Sì, l'ho incontrata: mi sono appostata fuori da casa sua e... ho aspettato”. Dott.ssa Smith: “Ti piacerebbe sposarti?”. Margaret: “Non è una delle mie priorità... no, credo di no”. Dott.ssa Smith: “Perché?”. Margaret: “Perché... credo che tutto finisca anche l'amore, quindi credo che sia inutile sposarsi, per poi finire, nella maggior parte dei casi, col divorziare. Convivere sì, sposarmi no...”. Dott.ssa Smith: “Non vuoi neanche avere figli, vero?”. Margaret annuisce: “Comunque se qualcuno che amavo mi avesse chiesto di sposarlo, se questo avrebbe portato alla sua felicità, l'avrei fatto, per lui però”. Dott.ssa Smith: “Se lei te lo chiedesse cosa le rispondesti?”. Margaret: “Le risponderei di sì. Vorrebbe dire che lei ama me e che sarebbe disposta ad amarmi per tutta la vita: sarebbe un grande traguardo”. Dott.ssa Smith: “Ma come hai fatto a trovarla?”. Margaret: “Internet: prima è saltato fuori un quartiere, ma io non mi sono accontentata così sono andata avanti con le ricerche fino a quando ho raggiunto ciò che volevo, la via. Provi può trovare qualsiasi cosa, però bisogna trovare le cose specifiche e, per trovarle bisogna sapere e cercare le cose giuste: le fonti, il modo, l'insistenza, la resistenza sono tutte cose che influiscono, perché nella vita tutto influisce”. Dott.ssa Smith: “Sì, hai ragione anche su questo”. Margaret: “Penso di saperlo”. Dott.ssa Smith: “Volevo fartelo presente”. Margaret: “Non potevamo essere dei robot? Sarebbe stato tutto molto più semplice: potevamo fare tutto quello che volevamo, ma senza emozioni, senza soffrire, senza pensare a niente, ci saremmo limitati a fare le cose”. Dott.ssa Smith: “Non so quanto sarebbe stato bello”. Margaret: “Salve...io mi chiamo Margaret” dice cercando di imitare la voce di un robot: “e sono una cretina e a fine settimana farò la cosa più giusta di tutta la mia vita. Il mio sistema è molto complicato...”. Dott.ssa Smith: “Cosa ti piacerebbe, Margaret?”. Margaret: “Spiacente, sono stata programmata per rispondere alle domande giuste”. Dott.ssa Smith: “Ok... allora... cosa vorresti dalla vita, Margaret?”. Margaret: “Questa è una domanda giusta dottoressa” qualche secondo di silenzio: “MAGARI UN PO' DI GENEROSITà!” dice battendo i pugni forte sulla scrivania e alzandosi in piedi: “MAGARI UN PAIO DI COSE BUONE! INVECE, COSA HA FATTO? MI HA FATTO INNAMORARE, COMPLIMENTI VITA CHE BEL LAVORO CHE HAI FATTO!”. Dott.ssa Smith: “La vita ci fa vivere cose brutte per imparare da queste e questo ci aiuta anche a valorizzare e ad apprezzare di più quelle belle”. Margaret: “Sì, forse”. Dott.ssa Smith: “Senza il forse”. Margaret: “Io non ne sono tanto sicura. Probabilmente la sopra c'è qualcuno che ci sta guardando e si prende gioco di noi facendoci soffrire”. Dott.ssa Smith: “Sì, forse. O, invece, magari siamo solo dei sogni, la nostra vita è un sogno e dobbiamo svegliarci per vivere quella vera. Non si può sapere quello che c'è dopo la morte. Io credo che la vita sarebbe monotona senza la sofferenza, non credi?”. Margaret: “Credo sia un concetto giusto, però la sofferenza non ci deve essere costantemente!”. Dott.ssa Smith: “Probabilmente hai ragione”. Margaret: “Ha figli, dottoressa?”. Dott.ssa Smith: “Sì, una bambina”. Margaret: “Come si chiama?”. Dott.ssa Smith: “Elisabeth”. Margaret: “Che bel nome”. Dott.ssa Smith: “Grazie”. Margaret: “Le piace essere mamma?”. Dott.ssa Smith: “Sì, direi di sì”. Margaret: “Lei, però, non è sposata giusto?”. Dott.ssa Smith: “No, convivo”. Margaret: “E, se posso chiedere...è ancora innamorata del suo compagno?”. Dott.ssa Smith: “Sì, credo di sì”. Margaret: “È felice dottoressa?”. Dott.ssa Smith: “Sì... Margaret, io penso che, se deciderai di continuare a vivere, ci sarà tanta felicità nella tua vita”. Margaret: “Felicità... che parolona... me la può descrivere? La felicità, intendo, perché, sa, non me la ricordo affatto!”. Dott.ssa Smith: “La felicità è lo stato d'animo di chi ritiene soddisfatti i suoi desideri... questa è la definizione”. Margaret: “Sì, ma che cosa è per lei felicità dottoressa?”. Dott.ssa Smith: “Per me felicità è... andare a casa e essere accolta da un abbraccio di mia figlia, fare l'amore con il mio compagno, bere un bicchiere di vino,... sono tante le cose che mi rendono felici e spesso non mi rendo conto di quante esse siano. E per te? Cos'è per te felicità?”. Margaret: “Le cose che mi rendono felici e che possiedo o le cose che mi renderebbero felici?”. Dott.ssa Smith: “Tutte e due”. Margaret: “Le cose che ho che mi rendono felici sono: il mio pennello, il mio letto e il mio IPod. Le cose che mi renderebbero felici, invece: un bacio, dato dalla mia amata, però, i suoi occhi, la sua bocca, il suo naso, i suoi capelli, la sua schiena, le sue spalle, le sue gambe, il suo collo, le sue orecchie, i suoi bambini” piange, trattenendo però il pianto: “la sua voce, il suo sorriso, la sua risata, la sua mano... queste sono le cose che mi renderebbero felice”. Dott.ssa Smith: “Parlami di Londra, Margaret... dimmi cosa è successo”. Margaret: “No, non posso”. Dott.ssa Smith: “Perché?”. Margaret: “PERCHè MI FA MALE PENSARLO!”. Dott.ssa Smith: “Cos'altro mi vuoi raccontare?”.
Margaret è ad Hyde Park, seduta vicino allo Speaker Corner. Sta ascoltando le persone che salgono a dire la propria opinione su diverse cose: politica, vita, amore, economia... Poi sale anche lei a parlare. Margaret: “Salve a tutti... mi chiamo Margaret Brown e... mi sono innamorata, sono bisessuale e mi sono innamorata di una donna...a cui, sostanzialmente, non servo: ha già tutto un marito, una casa, due bambini, fa un lavoro che le piace ed è felice. Questo a me basta, perché è da un anno che penso soltanto a lei e è da un anno che spero che lei sia felice... e lo è. È irraggiungibile per me... lei è famosa, mentre io... non sono niente. Quando la sera vedo la luna, penso: “La vedrà anche lei? Riuscirà a vederla come la vedo io? Le piacerà come piace a me?”. Nessuno rispondeva, ovviamente. Sono americana e sono venuta a Londra per incontrarla e dirgli ciò che provo. L'ho fatto. Non so se ho fatto la cosa giusta o se ho fatto quella sbagliata: avevo bisogno di farlo, avevo bisogno che lei lo sapesse, che sapesse che io c'ero. Prima lei non sapeva nemmeno della mia esistenza. Sono stata un po' egoista, perché...l'ho fatto per me, però adesso sono nella merda fino al collo”. Un ragazza alza la mano, per chiedere qualcosa. Margaret: “Dimmi?”. Ragazza: “Cosa saresti disposta a fare per lei?”. Margaret: “Qualsiasi cosa”. Ragazza: “Anche ha buttare via la tua vita, per dedicarti esclusivamente a lei?”. Margaret: “Sì, ritengo di sì”. Ragazza: “Perché ti sei innamorata di lei?”. Margaret: “Prima era soltanto un modello da seguire, la stimavo molto, poi è diventato amore”. Ragazza: “Perché ti sei ispirata a lei? Perché l'hai presa come modello di riferimento?”. Margaret: “Probabilmente, perché non avevo altri modelli da seguire e lei è stata la prima ad attirare la mia attenzione”. Ragazza: “Beh, allora... credo che non dovresti lasciarla andare”. Margaret: “Io non la lascerò andare, lascerò andare me stessa... lei sarà sempre nel mio cuore”. Ragazza: “Ti stai arrendendo?”. Margaret: “No, però io non voglio farle... troppa pressione: potrei sembrare un maniaca e magari mi becco anche una denuncia”. Ragazza: “Allora, con tutto il rispetto, non saresti disposta a fare di tutto per lei”. Margaret rimane a bocca aperta: “Sì, in effetti, hai ragione. Cosa mi consiglieresti di fare, allora?”. Ragazza: “Se la ami così tanto, non cedere: stalle accanto, a distanza però, falle vedere che tu ci sei per lei e che ci sarai sempre”. Margaret: “Grazie per il tuo consiglio, penso che lo seguirò. Ho finito di parlare e voglio chiedere a quella ragazza, con cui stavo parlando di salire lei qui e... vorrei sentirla parlare”. Ragazza: “Va bene”. La ragazza sale e comincia a parlare: “Salve io mi chiamo Dakota e... ho scritto un libro, che non lo vogliono pubblicare. Parla di due persone che stanno insieme, una soffre e l'altra no, poi quella che soffre lascia l'altra e si invertono le parti: quella che prima soffriva smette di soffrire, mentre quella che prima non soffriva, inizia. Quello che vuole dire questo libro è che non bisogna avere paura di lasciare e di non sottovalutare mai l'emozioni degli altri, perché prima o poi tutti le proviamo...quelle emozioni. Vi è mai capitato di voler correre, correre e correre, senza voltarvi indietro, fino a quando non arrivate a qualcosa, in un luogo, dove potete fare quello che volete, perché non vi sono le persone a voi care, cioè quelli di cui temete di più il giudizio, perché è sempre quello più reale e diretto... vi è mai capitato? A me sì, però correre, scappare non sono le mie specialità. Ogni tanto, vorrei urlare, perché... non lo so il perché, forse soltanto per liberarmi di qualcosa, che ho dentro”. Margaret: “Che cosa hai dentro?”. Dakota: “Troppo”. Margaret: “Definisci troppo”. Dakota: “Sai, anzi, sapete quando succedono tante cose insieme, nello stesso momento o periodo? Ecco, sono successe tante cose e io le ho incassate tutte e mi sono rimaste dentro...tanto che ad un certo punto vogliono saltare fuori. Non sono una che dice ciò che pensa, al contrario, cerco di non farlo per evita discussioni o incomprensioni con altri, così mi tengo tutto dentro e... va a finire così. Non so perché siamo qui, non so perché viviamo, non so cosa voglio dalla vita, credo, soltanto, che nulla succeda per caso e credo nel destino: se siamo destinati a stare con una persona, prima o poi la incontriamo, forse più poi che prima, ma la incontriamo, anche se non credo che l'amore duri in eterno... Vale la pena di vivere? Insomma... conviene fare tanta fatica per poi arrivare alla fine al niente? Alla morte? Ve lo siete mai chiesto? Io tante volte. Infine, voglio darvi un consiglio: seguite i vostri sogni, non metteteli nel cassetto! Se lo fate, ve ne pentirete e non vivete per gli altri, ma solo per voi stessi! Oppure, fatelo per una persona che fa lo steso per voi”. Poi scende dalla scaletta.
Dott.ssa Smith: “Le vivi solo tu queste avventure, lo sai?”. Margaret ride: “Sì, è probabile... mi prometta una cosa, dottoressa: mi prometta che verrà al mio funerale, se così si può chiamare...”. Dott.ssa Smith: “Sì, ci sarò sicuramente”. Margaret: “Allora le lascio questa” tira fuori dalla borsetta, un busta: “voglio che sia lei a tenerla fino a quel giorno, poi durante la celebrazione la leggerà, ma non prima di allora”. Dott.ssa Smith: “Va bene. Sei sicura di volerlo fare?”. Margaret: “Non ho più nulla da perdere né da trovare: la mia vita è finita”.
Dakota si avvicina a Margaret. Dakota: “Ciao”. Margaret: “Ciao Dakota... bel discorso”. Dakota: “Grazie, anche il tuo non era male”. Margaret: “Ti ringrazio”. Dakota si siede accanto a Margaret velocemente. Dakota: “Posso dirti una cosa”. Margaret annuisce. Dakota: “Sei la prima persona che sento dire le stesse cose che penso io...”. Margaret: “Beh, devo dire che concordo con le cose che hai detto tu”. Dakota: “Sì, bene, ma voglio dire che sei stata coraggiosa ad ammettere tutte quelle cose davanti a tutti”. Margaret: “Grazie, di nuovo... hai scritto un libro”. Dakota: “Sì”. Margaret: “E perché non lo pubblicano?”. Dakota: “Non gli piace”. Margaret: “Però, posso fare una critica?”. Dakota annuisce. Margaret: “Chi sono loro per poter dire che il tuo libro non piace?”. Dakota ride: “Non lo so, in effetti, hai ragione, però, purtroppo, comandano loro: decidono loro se pubblicare un libro o meno”. Margaret: “Purtroppo...”. Dakota: “Tu cosa fai nella vita?”. Margaret: “Dipingo”. Dakota: “E vendono i tuoi quadri?”. Margaret: “Mediamente”. Dakota: “Sono esposti in qualche galleria?”. Margaret: “In alcune, però sono piccole”. Dakota: “E li hai fatti vedere in gallerie un po' più... famose?”. Margaret: “Sì, certo”. Dakota: “E non li hanno presi”. Margaret: “No”. Dakota: “Perché?”. Margaret: “Perché, nelle gallerie in cui sono andata, dicono che espongono soltanto quadri di artisti di fama... grandiartisti, ecco, hanno usato questo aggettivo: grandi”. Dakota: “E chi sono loro per poter dire che tu non sei una grande artista?”. Ridono. Dakota: “È stato un piacere conoscerti, Margaret”. Margaret: “Anche per me, Dakota” dice stringendole la mano, mentre si alza. Dakota si allontana e Margaret prende il suo quaderno degli schizzi, lo apre e comincia a disegnare. Dakota si stava allontanando quando torna indietro frettolosamente. Dakota: “Ti va di prendere un caffè?”. Margaret: “Sì” mette via il quaderno e si alza. Vanno in un bar. Ordinano due caffè e si siedono ad un tavolo. Margaret: “Allora, Dakota, sei lesbica? Bisessuale? O etero?”. Dakota ci pensa un paio di secondi: “Non lo so con precisione”. Margaret: “Hai avuto più relazioni con uomini, ossia umani di sesso maschile o con donne, umani di sesso femminile?”. Dakota: “Non ho avuto tante relazioni...ma quelle poche che ho avuto sono state con uomini, però non so se è perché sono cresciuta attraverso un educazione che sosteneva che ognuno di noi deve provare attrazione per il sesso opposto o se è perché sono attratta da loro. Fino a dieci minuti fa non avevo questo dubbio esistenziale!”. Margaret: “E cos'è che lo ha creato?”. Dakota: “Il dubbio? Penso che sia stata tu”. Margaret: “Ah. Ti senti attratta da me?”. Dakota: “Ti trovo interessante...”. Margaret: “Beh, grazie?”. Dakota: “Prego”. Margaret: “Scusami, allora perché hai detto che provavi le mie stesse emozioni prima?”. Dakota: “Era un modo per attaccare bottone con te, però non le ho mai provate”. Margaret: “Non mentirmi, per favore”. Dakota: “Sì, hai ragione, scusa”. Margaret beve un goccio di caffè: “Sei impegnata, in questo momento, Dakota?”. Dakota: “Non esattamente”. Margaret: “Cosa intendi per non esattamente?”. Dakota beve un goccio di caffè: “Dipende da cosa intendi per l'aggettivo impegnata”. Margaret: “Stai avendo una relazione attualmente?”. Dakota: “Sessuale?”. Margaret: “PORCA MISERIA DAKOTA! Sì, UNA RELAZIONE CON UN ALTRA PERSONA, CHE PUò ESSERE ANCHE SESSUALE A SECONDA DELLE SCELTE DI VITA!”. Dakota: “Contano anche le storie di una notte?”. Margaret: “Mi prendi in giro?”. Dakota: “Sì, un po' sì” beve un'altro goccio. Margaret ride: “Allora?”. Dakota: “No, direi di no”. Margaret: “Posso leggere il tuo libro?”. Dakota: “Sì, ti piace leggere?”. Margaret: “No, però ci terrei a leggere il tuo libro”. Dakota: “Ok, se vuoi più tardi te lo porto. Magari stasera”. Margaret: “Sì... va bene”. Dakota: “Dove alloggi?”. Margaret: “Nel hotel in Forum Magnum Square”. Dakota: “Va bene se passo per... le otto?” dice controllando l'orologio. Margaret: “Sì... ok”. Dakota: “Beh, allora vado... così mi faccio una doccia”. Margaret: “Va bene”. Dakota: “A dopo” stava uscendo, ma si ferma. Dakota: “Ah, Margaret, in che stanza alloggi?”. Margaret: “Nella numero 27”. Dakota: “Ok a dopo”. Alle otto precise bussano alla porta della stanza di Margaret. Va ad aprire. Margaret: “Ciao... entra”. Dakota: “Grazie” ed entra: “Ti ho portato il libro, come stabilito” lo porge a Margaret. Margaret: “Oh, grazie mille...” gli da un'occhiata. Margaret: “Vuoi scendere a bere o mangiare qualcosa?”. Dakota, dopo qualche secondo, salta addosso a Margaret e la bacia. Margaret: “Cosa stai facendo?” dice spingendola via. Dakota: “Scusami... pensavo di poterlo fare”. Margaret: “Non è tanto il fatto di poterlo o non poterlo fare... se adesso tu mi ribaciassi, andremmo a letto insieme e poi? Non ci sarebbe sentimento, questo lo devi sapere”. Dakota: “Allora facciamolo e basta!” così si avvicina e ribacia Margaret. Fanno sesso. Dakota: “Oh mio dio! Non pensavo si potesse arrivare a tanto!”. Margaret: “Benvenuta nel club delle lesbiche o bisessuali, a seconda di quello che sei” si gira verso Dakota: “E comunque, questo non è niente in confronto alle infinità di cose che si possono fare... in un letto” continua. Dakota: “Porca vacca!”. Margaret: “Sei più contenta adesso?”. Dakota: “Grazie!”. Margaret: “Di cosa?”. Dakota: “Di avermi fatto capire che sono bisessuale”. Margaret: “Prego, se ti fa piacere”. Dakota: “Perché dici così?”. Margaret: “Spesso, noi bisessuali, veniamo definiti “quelli che non hanno le idee chiare” perché non preferiamo un sesso in particolare, ma entrambe”. Dakota: “Non mi interessa”. Margaret: “Allora,” si mette sopra Dakota: “vuoi sapere le altre cose che si possono fare in un letto?”. Dakota: “Ma non ci sarà sentimento”. Margaret: “No, soltanto sesso puro”. Dakota: “Beh se la metti così!” e comincia ad amoreggiare con Margaret. Rifanno l'amore. Dakota: “Oddio! Basta, adesso basta!”. Margaret: “Sì, sono stanca anche io”. Dakota: “Di chi è che sei innamorata, Margaret?”. Margaret: “E tu?”. Dakota: “Io? Nessuno”. Margaret: “Buon per te, allora. Non innamorarti mai di una persona che non puoi avere”. Dakota: “Ti piaccio?”. Margaret: “Sì, penso di sì”. Dakota: “Come amica o come qualcosa di più?”. Margaret: “Come... amica”. Dakota: “Bene” si alza dal letto e si riveste. Margaret: “L'hai presa male?”. Dakota: “Che dici?”. Margaret: “Mi sembra di sì”. Dakota: “ABBIAMO APPENA FATTO L'AMORE E TU MI RITIENI UN'AMICA?”. Margaret: “È per questo che mi piacciono le donne: sono complicate, difficili e complesse!”. Dakota: “Pensavo di aver trovato la persona giusta, sai? Mi sono innamorata anche io, una volta, provavo tutto quello che provi tu... io a differenza di te, però, ho capito che non avevo possibilità e l'ho dimenticata. Cosa ti manca, Margaret? Cos'è che non hai?”. Margaret: “LEI! NON HO LEI!”. Dakota: “Credimi l'amore, nella vita, non sarà mai uno solo! Però, bisogna aiutarsi dimenticando quelli che ci fanno soffrire”. Margaret: “Hai ragione” dice alzandosi dal letto con addosso il lenzuolo: “Però, non andare via. Resta qui con me”. La abbraccia. Dakota: “Va bene, va bene...”. Margaret: “Se vuoi restare però devi toglierti i vestiti”. Dakota ride. Si spoglia e Margaret l'avvolge nel lenzuolo con lei. La mattina dopo Margaret si sveglia e trova Dakota che la osserva, nel letto accanto a lei. Margaret: “Ciao”. Dakota: “Ciao... il mio istinto mi dice che devo baciarti quindi adesso lo faccio”. La bacia. Margaret: “Hai un ottimo istinto!” la bacia di nuovo. Dakota abbraccia Margaret e le chiede: “Pensi di preferire gli uomini o le donne?”. Margaret: “Le donne: sono molto più belle e sensuali degli uomini”. Dakota: “Sì è vero”. Margaret: “E tu?”. Dakota: “A pari merito. Quand'è stata l'ultima relazione che hai avuto?”. Margaret: “Io non ho relazioni, soltanto avventure!”. Dakota ride: “Dai, quando?”. Margaret: “Dunque... dipende soltanto sesso o coppia vera?”. Dakota: “Coppia”. Margaret: “Coppia, quattro o cinque mesi fa...non so se calcolare Matthew come un mio possibile ex”. Dakota: “Quand'è che lo hai frequentato?”. Margaret: “Fino a una settimana fa. Poi, però, lo fatto andare fino in America, facendogli credere che tornavo a casa...per levarmelo di torno”. Dakota: “Però! Che stronza!”. Margaret: “Io gli avevo detto di non innamorarsi di me, ma lo ha fatto lo stesso... gli avevo detto che gli avrei spezzato il cuore”. Dakota: “Quand'è che lo hai incontrato?”. Margaret: “Due settimane fa, a Parigi, poi mi ha seguito a Londra. E tu? Quand'è stata la tua ultima relazione?”. Dakota: “Un'anno fa”. Margaret: “Quanto è durata?”. Dakota: “Troppo poco”. Margaret: “Eri innamorata, vero?”. Dakota annuisce: “Basta parlare... soprattutto d'amore, andiamo a fare colazione, vuoi?”dice alzandosi dal letto e rivestendosi. Margaret: “Sì”. Dakota: “Bene, vestiti allora”. Margaret: “Mi preferisci vestita?”. Dakota: “No, ma... penso, che andare in un bar, tu ti debba vestire” si avvicina e la bacia. Margaret: “Ah, ecco”. Si alza anche lei e si riveste. Vanno nello stesso bar dove erano andate il giorno prima. Prendono due cappucci e si siedono al tavolo. Margaret: “Oggi penso che leggero il tuo libro”. Dakota: “Ah-ah” beve un goccio di cappuccino. Margaret: “Prima, però, voglio portarti in un posto”. Dakota: “D'accordo... posso chiedere dove?”. Margaret: “Direi di no”. Dakota: “È una sorpresa barra cosa romantica?”. Margaret: “Non lo so, dipende da come la prendi tu”. Vanno nel luogo misterioso che è un fioraio. Dakota: “Che bel posto è questo?”. Margaret: “Volevo regalarti dei fiori, però non sapevo quali ti piacessero, così ho deciso di portarti qui per farteli scegliere”. Dakota: “Grazie... a me piacciono le orchidee dendrobium nobili”. Margaret: “Menomale che non sono andata a comprarteli io: di certo non avrei mai comprato le orchidee dendrobium nobili!”. Dakota ride, si avvicina a Margaret e la bacia: “Grazie” le dice. Va a scegliere i fiori e poi si avviano verso l'albergo. Per strada, Margaret stava facendo delle foto, quando nell'obbiettivo della macchina fotografica, inquadra un ragazzo. Quando si accorge che quel ragazzo non era una persona qualunque, abbassa la macchina. Il ragazzo si avvicina: è Matthew. Matthew: “Pensavi di liberarti di me così facilmente?”. Margaret: “Cosa ci fai qui, Matthew?” chiede chiudendo e poi riaprendo gli occhi. Matthew: “Sono venuto per chiarire delle cose” dice voltandosi verso Dakota, che prima non aveva notato. Dakota: “È quel Matthew?”. Margaret si gira verso di lei e annuisce, poi si rigira verso Matthew. Margaret: “Non c'è niente da chiarire”. Matthew: “Lei chi è?”. Margaret: “Questi non sono affari tuoi”. Matthew: “Ah no, pensavo di sì, visto che credevo che stessimo insieme!”. Margaret: “Ti ho lasciato, non te ne ricordi?”. Matthew: “Non si lascia una persona con un biglietto! Perché, non so se lo sai...” dice guardando l'altra ragazza. Dakota: “Dakota”. Matthew: “Non so se lo sai Dakota che mi ha lasciato scrivendomi quattro cagate!”. Margaret: “Ok, scusami... è finita, adesso sei contento che te l'ho detto di persona?”. Matthew: “Non iniziare una relazione con lei!” dice a Dakota: “Ti lascerà, spezzandoti il cuore!”. Margaret: “Non ascoltarlo. Di un po' siamo tornati quelli di prima?”. Matthew: “Sì, è probabile!”. Margaret: “ALLORA VEDI DI OPPRIMERE QUESTO TUO COMPORTAMENTO PERCHè IO, CON UNO COSì, NON CI PARLO, CHIARO?”. Matthew: “Chiarissimo... quando hai intenzione di tornare a casa?”. Margaret: “Non lo so e, comunque, non verrei di certo a dirlo a te!”. Matthew: “Appena lo fai, mi troverai sull'uscio di casa tua, ad aspettarti”. Margaret: “Sì, come no?” ricomincia a camminare trascinandosi dietro Dakota. Matthew: “Dove stai andando? Te ne vai di nuovo?”. Margaret: “Addio Matthew!” dice da lontano: “Senti hai una casa?”. Dakota: “Sì”. Margaret: “Possiamo andare là? Se torniamo in albergo, stai certa che lo troviamo là”. Dakota: “Ok, va bene”. Margaret: “Aspetta un secondo solo”. Torna indietro da Matthew. Margaret: “Mi dispiace per come è andata a finire” poi torna da Dakota e vanno a casa sua. Entrano. Margaret si guarda in giro: “Bella la tua casa”. Dakota: “Grazie” dice appoggiando le chiavi e i fiori. Margaret: “Sei in affitto?”. Dakota: “Sì, non posso permettermi una casa mia”. Vanno in salotto. Margaret: “Vieni in America con me”. Dakota: “Come dici?”. Margaret: “Vieni in America, a vivere con me: d'altronde tu scrivi quindi il tuo lavoro lo puoi portare dove vuoi, ti basta avere il tuo computer... io ho tutti i miei quadri a casa e ho bisogno di stare là. Vieni a vivere con me”. Dakota: “Fai sul serio?”. Margaret: “Vuoi che ti dica: - Non sono mai stata così seria in tutta la mia vita- oppure vuoi che ti risponda semplicemente di sì”. Dakota sorride.
Dott.ssa Smith: “Vive ancora con te?”. Margaret: “Sì”. Dott.ssa Smith: “E come ha preso la tua decisione?”. Margaret: “Male... malissimo”.
Dakota è nel soggiorno della casa di Margaret,davanti al computer che cerca di scrive, mentre Margaret sta dipingendo. Dopo un po' Margaret scende in cucina/soggiorno, dove c'è Dakota. Apre il frigo e tira fuori la bottiglia di succo. Prende un bicchiere e versa il succo. Margaret: “Vuoi un goccio di succo?”. Dakota: “No, grazie”. Margaret: “Vuoi qualcosa d'altro?”. Dakota: “No, grazie”. Margaret: “Neanche da mangiare?”. Dakota: “No, grazie” risponde sempre fissando il computer. Margaret sospira, beve il succo e dice: “Per quanto ancora hai intenzione di tenermi il muso?”. Dakota: “Non lo so, fino a quando non ti accorgerai che stai facendo la cosa sbagliata”. Margaret: “Senti, Dakota, preferisci che resti qui e continui a soffrire? Preferisci vedermi soffrire?”. Dakota: “E tu?” si volta verso di Margaret: “Lo preferisci?”. Margaret: “Da quanto tempo è che non facciamo l'amore, Dakota? Perché non lo facciamo più?” chiede avvicinandosi a Dakota e chinandosi sulle ginocchia e prendendo le mani di lei. Dakota: “Ah già è vero che siamo una coppia part-time”. Margaret: “Dakota, per favore puoi tornare ad essere te stessa?”. Dakota: “Sono sempre io, Margaret” dice mettendosi al livello di Margaret: “Sono sempre io, soltanto con uno stato d'animo diverso”. Margaret le dà un bacio sulla fronte e poi sulla bocca: “Ti amo, Dakota, il problema è che non ti amo quanto amo lei”. Dakota: “Lo so, l'avevo capito”. Margaret: “Perché non facciamo più l'amore?”. Dakota: “Perché siamo in quella fase in cui non si fa l'amore e che prima o poi tutte le coppie attraversano”. Margaret: “Però io voglio fare l'amore con te”. Dakota: “Non ci sarebbe sentimento”. Margaret: “Dobbiamo superarlo insieme questo periodo”. Dakota: “NON è SUPERALO SE UNA DELLE DUE ALLA FINE SI UCCIDE”dice scoppiando a piangere. Margaret: “Hai ragione, però, credo che sia meglio che restare così” dice abbracciandola: “Proviamo a passare quest'ultima settimana bene”. Dakota: “Non dire quella parola, non dire settimana... non voglio più sentirla quella dannata parola”. Margaret: “Già...non piace neanche a me”. Dakota: “Perché mi fai questo?”. Margaret: “Perché...non sarei facile da sopportare, sarei sempre triste e arrabbiata: non ne vale la pena”. Dakota: “Io voglio sopportarti, Margaret”. Margaret: “E io non voglio che tu lo faccia”.
Margaret entra nello studio della dottoressa Smith, insieme a Dakota. Margaret: “Buongiorno dottoressa”. Dott.ssa Smith: “Buongiorno”. Margaret: “Lei è Dakota”. Dott.ssa Smith: “Sì, lo immaginavo. È un piacere conoscerti Dakota” dice stringendole la mano. Dakota: “Anche per me. Io vado” dice rivolgendosi a Margaret. Margaret: “Sì”. Dakota: “Arrivederci dottoressa”. Dott.ssa Smith: “Arrivederci”. Dakota stava uscendo, quando Margaret la ferma prendendola per un braccio. La bacia e dice: “Ciao”. Dakota esce. Dott.ssa Smith: “Ti va di svolgere la seduta sul balcone, visto che è una bella giornata?”. Margaret: “Sì, volentieri”. Vanno sul balcone e si siedono. Dott.ssa Smith: “Non sta bene, vero?” dice riferendosi a Dakota. Margaret: “No, per niente. Non riesce a farsene una ragione”. Dott.ssa Smith: “E credi che abbia torto?”. Margaret: “No, ha pienamente ragione. Lo sa...” dice alzandosi: “che io soffro di vertigini?”. Dott.ssa Smith: “No, non lo sapevo. Cos'è che ti spaventa dell'altezza?”. Margaret: “Come dice Tom Cruise in Vanilla Sky, non ho paura del vuoto, ma è l'impatto che mi spaventa”.
Margaret e Dakota sono ancora in cucina inginocchiate una difronte all'altra. Margaret si alza e va in mansarda a dipingere. Dopo qualche minuto si siede ad osservare il suo quadro. Sale Dakota e da dietro comincia a massaggiarle le spalle. Dopo poco l'abbraccia sempre standole dietro. Le bacia il collo. Margaret chiude gli occhi: “Mi manchi”. Dakota: “Anche tu a me”. Margaret si volta verso Dakota. Si osservano poi si baciano. Fanno l'amore. Sono nel letto che si guardano. Dakota mette una mano sul collo a Margaret e con il pollice le accarezza la guancia. Margaret, allora, mette una mano sulla spalla di Dakota e l'accarezza. Margaret: “Io ti amo”. Dakota: “Lo so. Il mio amore, però per te non è abbastanza e neanche quello che tu provi per me è abbastanza per restare”. Margaret la bacia. Dakota: “Ti amo anche io”.
Dott.ssa Smith: “La ami veramente?”. Margaret: “Sì. La amo più di quanto amo mio zio, però, non la amo come amo l'altra e questo sentimento non è sufficiente per restare”. Dott.ssa Smith: “Senti, Margaret, ho pensato che mi piacerebbe scrivere un libro sulla tua storia e un po' anche sulla nostra e volevo chiederti il permesso”. Margaret: “Dovrà mettersi d'accordo con Dakota: lo vuole fare anche lei, comunque per me va bene. Magari un giorno faranno anche un film sulla mia storia”. La dott.ssa Smith sorride: “Magari”.
Margaret è in un'aula di figura, con tante statue da rappresentare e tanti cavalletti su cui appoggiare il foglio su cui disegnare. Entra una professoressa. Appoggia la borsa e il libri sulla scrivania e dice: “Salve a tutti e benvenuti al corso di copia dal vero e rappresentazione grafica, in parole povere discipline pittoriche. Io sono Blanche Davis e dovete sapere che sono matta, come voi. Non voglio iniziare facendovi mettere in cerchio e facendo dire ad ognuno il proprio nome, cognome, età, eccetera... per farvi conoscere voglio che prendiate un foglio e che lo attacchiate al vostro cavalletto. Poi vi darò un telo” dice tirandone fuori un bel mucchio dalla sua borsa e inizia a distribuirli: “e vorrei che ve lo mettiate sulla testa, coprendovi e poi vorrei che disegnaste sul vostro foglio una cosa che volete, senza guardare il foglio, ma semplicemente pensandola, immaginandola. Dopo guarderemo i disegni di ognuno e credo che da questi capiremo e conosceremo gli altri, insomma dal quadro conosceremo la persona che lo ha creato. Vi va di fare questo tipo ti lavoro?”. Tutti annuiscono. Prof.ssa Davis: “Bene. Iniziate pure”. Dopo un po' di tempo si siedono tutti al centro della classe. Prof.ssa Davis: “Bene, chi vuole iniziare”. “Io” dice una ragazza. Prof.ssa Davis: “Prego”. Si alza con il suo fogli. Prof.ssa Davis: “Inizia dicendo il tuo nome”. Ragazza: “Sono Abigail Hill e questo è il mio quadro. Ho voluto...”. Prof.ssa Davis: “Ti fermo subito. Non dire niente del tuo quadro per cortesia, perché vorrei che sia il resto della classe a commentarlo”. Abigail: “Ok”. Prof.ssa Davis: “Classe, cominciate a commentare”. Ragazzo: “A me sembra di vedere un ragazzo, in versione astratta”. Ragazza: “Sì, lo vedo anche io. Poi c'è questa grande quantità di giallo, che, secondo me, può rappresentare o gioia o, come Van Gogh, tristezza e... depressione”. Altra ragazza: “Sì anche io la penso così, quindi ciò che ha rappresentato potrebbe voler dire che o è felice perché sta avendo una relazione, o sentimentale o di amicizia, con un ragazzo che la rende felice, gioiosa...”. Margaret: “Oppure che questo ragazzo la fatta soffrire molto, facendola così calare in depressione. Scusami se ti ho interrotto”. Ragazza: “No, no non ti preoccupare”. Margaret: “Io, però, credo che quel giallo rappresenti più un'emozione positiva, perché è di una tonalità molto accesa e, secondo me, e avesse voluto rappresentare depressione o tristezza, avrebbe usato una tonalità più spenta e cupa”. Altro ragazzo: “Io vedo anche dei fiori... bianchi se non sbaglio”. Ragazza: “Sì, li vedo anche io”. Prof.ssa Davis: “E, se posso intervenire, secondo me rappresentano un matrimonio e, se è così, il disegno vuole rappresentare un sentimento di gioia. Bravi, mi siete piaciuti, ora però diamo la parola a Abigail”. Abigail: “Beh, devo farvi i miei complimenti perché siete stai molto bravi nella lettura dell'immagine”. Si alzano anche gli altri ragazzi e ognuno dice il proprio nome, mentre gli altri commentano il disegno. Tocca a Margaret. Margaret: “Ciao, io sono Margaret Brown”. Ragazza: “Le cose che mi saltano subito all'occhio sono le due righe verticale, una praticamente oro e l'altra, invece, grigia argento”. Ragazzo: “Secondo me rappresentano diciamo...un incrocio, un dubbio sulla scelta da fare”. Ragazza: “lo sfondo azzurro, mi fa pensare ad uno stato d'animo pieno di tristezza”. Ragazzo: “E la riga sul fondo nera, mi fa pensare a qualcosa che non c'è più, alla fine di qualcosa”.
Margaret: “Mi è piaciuto molto quel corso. La professoressa era molto barava”. Dott.ssa Smith: “Come era fisicamente?”. Margaret: “Una bella signora, sulla sessantina, sposata, portava la fede, secondo me, con dei figli”. Dott.ssa Smith: “Cosa ti ha insegnato?”. Margaret: “A vedere e a rappresentare le cose come sono, ma anche come ci sembrano, come le vediamo noi”. Dott.ssa Smith: “E tu come mi vedi?”. Margaret: “Come vedo lei? Un bella donna, tutto sommato felice, ma che si accontenta e non pretendere niente di più, anche se probabilmente se lo meriterebbe... e lei come mi vede?”. Dott.ssa Smith: “Ti conosco troppo per dire come ti vedo, perché probabilmente direi quello che so di te”. Margaret: “Vero”.
Margaret è bambina ed è nel cortile dell'orfanotrofio, seduta su un muretto che mangia un pacchetto di cracker. Una bambina le si avvicina. Bambina: “Ciao”. Margaret: “Ciao... chi sei?”. Bambina: “Sono Ivy” dice porgendogli la mano. Margaret la guarda e dopo la stringe: “Piacere sono Margaret”. Ivy: “Bene, adesso ci conosciamo. Posso sedermi?”. Margaret annuisce. La bambina si siede. Margaret: “Ne vuoi uno?” dice porgendole il pacchetto. Ivy: “Sì, grazie” dice prendendo un cracker. Ivy: “Quanti anni hai?”. Margaret: “Quasi otto e tu?”. Ivy: “Sette. Da quanto tempo sei qua?”. Margaret: “Quattro anni e tu?”. Ivy: “Due”. Margaret: “I tuoi genitori sono morti tutti e due?”. Ivy abbassa il viso. Margaret: “Sì, anche i miei. Hai già visto delle persone che potrebbero adottarti?”. Ivy: “Sì, alcune... tu?”. Margaret: “Sì, tante”. Ivy: “Qual'è il tuo colore preferito?”. Margaret: “Mi piacciono tutti i colori. Il tuo?”. Ivy: “Viola, peccato che qui di colori non ce ne siano”. Margaret: “Ti sbagli, vieni con me” si alza da muretto e si avvia verso il retro dell'edificio, seguita da Ivy. Margaret: “Lo scoperto l'altro giorno. Vieni, vieni”. Arrivano sul retro. Margaret si abbassa: “Guarda”. Ivy si avvicina a Margaret e si abbassa. Vede un fiore molto bello violetto. Ivy: “Che bello!” allunga la mano per raccoglierlo. Margaret: “No, non raccoglierlo, se no, dopo muore”. Ivy: “Ah, già, giusto” dice riportando indietro la mano. Margaret: “Promettimi di non dirlo a nessuno”. Ivy: “Sì, te lo prometto. Margaret, vuoi essere mia amica?”. Margaret: “Sì e tu?”. Ivy: “Sì, certo”.
Margaret: “Lo diventammo in fretta e crescemmo insieme, ogni giorno ci incontravamo in cortile e parlavamo, ogni giorno di una cosa diversa. Poi un giorno lei arrivò in cortile e... mi disse che era stata adottata”. Dott.ssa Smith: “Quanti anni avevi?”. Margaret: “Quindici. Se ne andò un paio di settimane dopo. Sentii molto la sua mancanza. Ogni tanto mi scriveva. Mi scriveva di quello che faceva con i suoi nuovi genitori, dove andavano in vacanza, dove andava a scuola. Andò avanti per sei anni così, poi io uscii dall'orfanotrofio e a vent'anni, al rincontrai”.
Ivy: “Margaret?”. Margaret si gira. Ivy: “Sei tu?”. Margaret: “IVY!”. Margaret si alza dal tavolo, dove era seduta. Ivy: “Margaret!” l'abbraccia: “Quanto tempo è passato!”. Margaret: “Già”. Ivy: “Troppo”. Margaret: “Già”. Ivy: “Come sei cresciuta!”. Margaret: “Anche tu!”. Ivy: “Come te la passi?”. Margaret alza le spalle: “Tu?”. Ivy alza le spalle: “Anche io”. Ridono. Ivy: “Come mi fa piacere rivederti!”. Margaret: “Anche a me” si riabbracciano. Ivy: “Posso sedermi?”. Margaret scoppia a ridere. Ivy: “Perché ridi?”. Margaret: “È stata la prima cosa che mi hai chiesto, ti ricordi?”. Ivy: “Sì, è vero”. Margaret: “Comunque sì, siediti”. Ivy: “Grazie”. Margaret: “Allora? Come è andata la tua vita post-orfanotrofio?”. Ivy: “Bene, la tua?”. Margaret: “Sono due anni che sono fuori”. Ivy: “Non sei stata adottata?”. Margaret: “No”. Ivy: “Mi dispiace”. Margaret: “Beh, vedila in modo positivo: nessun genitore che mi rompe le scatole!”. Ridono. Ivy: “In effetti. Cosa fai di bello?”. Margaret: “Dipingo. Tu?”. Ivy: “Vado ad Harvard”. Margaret: “Ah, allora sei di passaggio”. Ivy: “Sì”. Margaret: “Sei venuta a trovare i tuoi genitori?”. Ivy: “Sì”. Margaret: “Sei fidanzata?”. Ivy: “Sì. Tu?”. Margaret: “No...”. Ivy: “Sei diventata bellissima, cioè, non che non lo eri anche da bambina, però, adesso... sei donna”. Margaret: “Beh, anche tu direi”. Ivy: “Grazie”. Margaret: “Vuoi qualcosa?”. Ivy: “Mh... un caffè”. Margaret: “Ok. Mi scusi?!”. Il cameriere si avvicina: “Ci potrebbe portare due caffè, per cortesia?”. Cameriere: “Arrivano subito”. Margaret: “Grazie”. Ivy: “Allora, cosa mi racconti?”. Margaret: “Io? Niente, tu, piuttosto: come va ad Harvard?”. Ivy: “Bene, è una bellissima università”. Margaret: “E... ci sono tanti fighi?”. Ivy: “Oh, sì!Mi sei mancata tanto”. Margaret: “Anche tu, poi immaginati nell'orfanotrofio”. Ivy: “Non dev'essere stato bello”. Margaret: “Per niente”.
Margaret: “Allora, ovviamente, stavo bene. Ivy era sempre stata il mio braccio destro, poi è stata adottata e... è stato come se mi avessero amputato via il braccio. Ci difendevamo, ci facevamo da spalla ed eravamo inseparabili”.
Margaret: “Sei contenta di essere stata adottata?”. Ivy: “Sì, direi di sì anche se avrei voluto rimanere con te, però, all'avere una mamma non si dice mai di no”. Margaret: “Non sono d'accordo, però...”. Ivy: “Non hai mai sentito la mancanza di una persona che ti amasse incondizionatamente, anche quando sbagliavi?”. Margaret: “No”. Ivy: “Nemmeno quando eri nel letto da sola, in mezzo alle lenzuola fredde senza qualcuno che venisse a leggerti la favola e a darti il bacio della buonanotte?”. Margaret: “Non ho mai ricevuto il bacio della buonanotte, quindi... non so neanche che cosa sia!”.
Dott.ssa Smith: “Chi è Ivy per te, Margaret?”. Margaret: “È la prima e sempre lo sarà”. Dott.ssa Smith: “Cosa intendi per prima?”. Margaret: “È stata la prima che mi ha voluto bene e la prima a cui io ho voluto bene. È e sarà sempre la prima e io gli vorrò bene per sempre, però ci siamo perse, non ci frequentiamo più. Probabilmente se lei si sposasse mi inviterebbe alla cerimonia, ma...”. Dott.ssa Smith: “E se ti sposassi tu?”. Margaret: “Io non mi sposerò”. Dott.ssa Smith: “Sì, ma se succedesse? Per ipotesi”. Margaret: “Se mi sposassi io...le chiederei di farmi da testimone”. Dott.ssa Smith: “Quindi è ancora molto importante per te”. Margaret: “Sì, certo lo sarà sempre”. Dott.ssa Smith: “E perché pensi che non sia lo stesso per lei?”. Margaret: “Perché...mi sembra logico così”. Dott.ssa Smith: “È stata la prima a volerti bene e basta?”. Margaret sorride: “No. È stata la prima a baciarmi, è stata la prima...insomma, con cui ho fatto l'amore”. Dott.ssa Smith: “A quanti anni?”. Margaret: “Il primo bacio a dodici, l'amore a quindici, poco tempo prima che lei se ne andò”.
Ivy: “Allora, va tutto bene?”. Margaret: “Sì, sì”. Ivy: “Mi fa piacere”. Margaret: “Mi amavi, Ivy?”. Arrivano i caffè. Ivy: “Grazie” dice al cameriere, zucchera il suo. Margaret: “Allora?”. Ivy: “Sì” e beve tutto in un sorso il caffè: “Non so se era amore, però era molto forte”. Margaret: “Allora perché non sei rimasta?”. Ivy: “Restare nell'orfanotrofio? No, grazie...e poi...avevo paura”. Margaret: “Di che cosa?”. Ivy: “Di te, Margaret. Avevo paura che mi facessi del male”. Margaret: “Però, l'amore con me l'hai fatto! Se avevi tanta paura non lo facevi”. Ivy: “Non ho saputo resistere”. Margaret: “Sei caduta in tentazione, quindi? Non lo hai fatto perché lo volevi farlo e basta?”. Ivy: “Anche per quello, ovvio”. Margaret: “Quella che faceva paura ero io, ma quella che alla fine ha fatto del male sei tu”. Ivy: “Mi dispiace... tanto. Ora scusami, ma devo andare”.
Margaret: “Se ne andò, di nuovo”. Dott.ssa Smith: “Scusami, Margaret, ma da quanto tempo è che Dakota vive qui con te?”. Margaret: “Quattro o cinque mesi. Ah! Questa non gliel'ho ancora raccontata. Tre mesi fa, bussano alla porta di casa mia”.
Margaret: “Va ad aprire la porta”. Justin: “Ciao”. Margaret: “Che cosa ci fai qui?”. Justin: “Questo posto non è cambiato di una virgola” dice guardando la casa. Margaret: “Oh! Mi hai sentito?”. Justin: “Sì, scusa. Sono venuto per ricominciare...con te, come fratello maggiore”. Margaret: “Tempismo perfetto!”. Justin: “Lo so è un po' tardi, però...ho capito che ho sbagliato e sono venuto a chiederti scusa e a chiederti se possiamo ricominciare a partire dal mio matrimonio”. Margaret: “COME, SCUSA?”. Arriva Dakota: “Chi è?”. Margaret: “Questo è Justin”. Dakota: “Justin? Justin lo stronzo, il bastardo, l'irresponsabile, l'abbandona...”. Justin: “Sì, penso di essere io” interrompe.
Margaret:“Andai al suo matrimonio, senza Dakota che non volle venire. Mi misi un abito blu e io, gli abiti, non li metto mai”.
Squilla il cellulare di Margaret, che è alla cerimonia. Si sposta dalla folla e risponde: “Pronto?!”. Dottore: “Salve sono il dottor James Green, del Trinitas Hospital”. Margaret entra di corsa in un reparto di un ospedale. Si ferma a parlare con un dottore. Margaret: “Dottor Green?”. Il dottore annuisce. Margaret: “Sono Margaret Brown, quella che ha sentito un'ora fa al telefono. Mi ha chiamato dal cellulare di Dakota Hughes”. Dottore: “Ah, sì, certo! Mi segua”. La porta fuori da una stanza. Dottore: “Lei è qui dentro”. Margaret: “Ah, grazie, ma prima che se ne vada, può spiegarmi che cosa è successo?”. Dott. Green: “Sì, sì, certo. È stata investita da una macchina, è caduta e ha battuto la testa. Ha subito una leggera lesione celebrale, per il resto... ha qualche graffio qua e la, però sta bene. Probabilmente molte cose del passato non se le ricorderà, però per fagliele ritornare in mente, bisognerà aiutarla”.
Adesso Dakota è davanti allo specchio del bagno della casa di Margaret, che è pieno di post-it, in biancheria intima. Dakota: “Margaret!” la chiama. Margaret: “Cosa c'è?”. Margaret si trova in camera da letto. Dakota: “Dove è la crema per le mani?”. Margaret entra nel bagno: “Te l'ho detto ieri, non ti ricordi più?”. Dakota: “No, scusa”. Margaret: “È qui nell'armadietto” dice tirandola fuori: “Adesso te lo scrivo, ok? E lo attacco qui” dice attaccando un altro post-it: “Margaret leggerai qui e te lo ricorderai dov'è la crema, ok?”. Dakota: “Ok grazie”. Margaret: “Mi ripeteresti quando sei nata, dove e come si chiamano i tuoi genitori e anche tuo fratello e tua sorella?”. Dakota: “Me le ricordo quelle cose!”. Margaret: “Lo so però preferirei che me le ripetessi!” dice prendendo la crema e iniziando a spalmargliela sulla schiena. Dakota: “Mi chiamo Dakota Hughes, sono nata il 13 giugno del 1988, a Londra. Mio padre si chiama Aaron Hughes, mia madre si chiama Addison Foster, mio fratello si chiama Derek Hughes, ha trent'anni è sposato, ha due figli, Josh e Forrest, mia sorella Annabel Hughes, ha ventisei anni e convive con il suo fidanzato, Davy Bryant Jn. Vivono tutti quanti a Londra. Devo dirti anche i miei prozii? Così per sicurezza”. Margaret: “No, grazie. Com'è che ci siamo incontrate?”. Dakota: “Ci siamo incontrate allo Speaker Corner di Hyde Park”. Margaret: “Che giorno?”. Dakota: “Ehm... non me lo ricordo il giorno”. Margaret: “Ok” prende i post-it, scrive una data e poi incolla il post-it allo specchio dicendo: “Sette aprile 2012”. Dakota: “Basta, Margaret! Smettila con quei cavolo di post-it!”. Margaret: “Devi ricordarti le cose che non ti ricordi”. Dakota: “PERCHé? PERCHé DEVO RICORDARMI TUTTE QUESTE COSE, HO BISOGNO SOLTANTO DI TE NON MI SERVE SAPERE TUTTE QUESTE COSE!”. Margaret: “Certo che ti servono!”. Dakota: “Non me le ricorderò mai!”. Margaret: “FAREMO IN MODO CHE TU TE LE RICORDI TUTTE OK? DEVI RICORDARTELE QUESTE COSE, DEVI RICORDARTELE: NON SARESTI Più TU SENZA TUTTE QUESTE COSE! SE CE NE SARà BISOGNO TE LE RISCRIVERO DIECI, VENTI, TRENTA, CENTO VOLTE SE SARà NECESSARIO, PERò TU TE LE DEVI RICORDARE, OK? PERCHé SEI IN GRADO DI FARLO!”. Dopo qualche minuto di silenzio, Dakota dice: “Non mi ricorderò tutte queste cose, però, potrei descrivere il tuo volto ad occhi chiusi se qualcuno me lo chiedesse, potrei descrivere le forme del tuo corpo, potrei descrivere la tua schiena, i tuoi piedi, le tue mani, i tuoi occhi, sopratutto... e credo che sia più importante ricordarmi tutte queste cose che ricordarmi dove si trova la crema o di dove abbiamo comprato il tostapane”.
Dott.ssa Smith: “Ha perso la memoria?”. Margaret: “Sì, però si è ripresa completamente”. Dott.ssa Smith: “Ah, menomale. Cosa è successo, invece, al matrimonio di tuo fratello?”. Margaret: “Niente di importante: si è sposato con una bella ragazza, Becky. Si sono conosciuti all'aeroporto, quando lui è tornato in America sei o sette mesi fa”. Dott.ssa Smith: “Come è stata la cerimonia?”. Margaret: “Carina... intima”. Dott.ssa Smith: “E avete ripreso, anzi iniziato a... frequentarvi tu e tuo fratello?”. Margaret: “Sì, ogni tanto ci vediamo. Non vogliamo cominciare un rapporto in cui siamo sempre incollati, un rapporto normale: ci si vede ogni tanto, quando si ha bisogno di qualcosa ci si chiama,... e così via”. Dott.ssa Smith: “Come stai, Margaret?”. Margaret: “Come al solito: male. Questo pezzo di strada è troppo in salita per me. Credo che nella vita non bisogna mai voltarsi indietro perché facendolo non si andrebbe avanti, anche se credo che non si vada mai indietro: durante il nostro viaggio incontriamo pezzi in salita, altri in discesa, però, quando incontriamo quelli in salita che sono difficili, non vuol dire che siamo tornati indietro, perché facciamo fatica ad affrontarli, ma semplicemente... è la vita e, se stiamo percorrendo quella strada, stiamo facendo già tanto perché... stiamo vivendo, stiamo lottando!”. Dott.ssa Smith: “Perché vuoi, allora, fermarti e smettere di camminare?”. Margaret: “Perché mi sono arresa e non voglio andare avanti, non voglio affrontare più niente: non ce la faccio”.
Margaret è in mansarda che pittura scende di corsa mettendosi la giacca. Dakota, che è sdraiata sul divano in salotto, vedendola le domanda: “Cosa fai?”. Margaret: “Devo andare?”. Dakota: “Dove?” dice alzandosi. Margaret: “Devo andare” esce di casa di corsa. Dakota la segue e la ferma trattenendola per le braccia. Margaret era uscita senza scarpe, a piedi nudi. Margaret: “NO!” dice inginocchiandosi a terra: “Non trattenermi, io devo andare”. Dakota: “Dove è che devi andare?”. Margaret in lacrime risponde: “DEVO ANDARE DA LEI! NON CE LA FACCIO AD ANDARE AVANTI SENZA DI LEI, LO CAPISCI?” dice girandosi verso Dakota: “Lo capisci? Perché io non riesco a capire più niente!”. Dakota si inginocchia: “Sì, lo capisco”. Margaret: “Non buttare via la mia vita per me”. Dakota: “Non lo farò, infatti”. Margaret: “Lo stai già facendo”. Dakota: “No, ti sbagli”. Margaret, che ancora piange dice: “Scusami”. Dakota: “Allora? Vuoi andare da lei?”. Margaret: “No, non avrebbe senso”. Dakota: “Allora cosa vuoi fare? Vuoi rientrare?”. Margaret: “Direi di sì”. Più tardi Dakota era già nel letto e si stava addormentando, quando arriva Margaret: “Dakota!” dice. Dakota si alza di scatto: “Che c'è?”. Margaret: “Vieni a vedere: ci sono un sacco di stelle stasera!”. Dakota: “Arrivo” dice alzandosi dal letto. Segue Margaret in giardino e si stende con lei nell'erba, sotto una coperta. Margaret: “Hai visto che bel cielo?”. Dakota: “Sì...davvero”. Margaret: “Ti fa sognare”. Dakota: “Ah sì? E da quand'è che tu sogni?”. Margaret: “Tu ti sei fatta un'idea sbagliata su di me: io sono una sognatrice come tutte le donne”. Dakota: “Sì, come no!”. Margaret: “Non ci credi? Guarda che anche io sognavo che qualcuno venisse sotto casa mia a tirarmi i sassolini alla finestra, con un mazzo di rose rosse in mano. Anche io sognavo di fare l'amore in mezzo al deserto, anche io sognavo che qualcuno vivesse per me, esclusivamente per me”. Dakota: “Non mi piace che tu dica sognavo, dovresti continuare a farlo”. Margaret: “Mi dispiace, ma non ce la faccio”.
Margaret: “Mi sono dimenticata di dirle una cosa”.
Si torna alla scena in cui Margaret chiede a Dakota di andare a vivere con lei. Margaret: “Vuoi che ti dica: - Non sono mai stata così seria in tutta la mia vita- oppure vuoi che ti risponda semplicemente di sì”. Dakota sorride: “Mi piacerebbe... credo che sia arrivato il momento di dirti una cosa. Vieni qui siediti”. Dakota si siede sul divano e la raggiunge Margaret. Dakota: “Io ho dei figli: un maschio e una femmina, sono due gemelli, perché, devi sapere che io, fino ad un'anno fa, ero sposata con un uomo e con cui ho avuto i miei due splendidi bambini, che vivono con lui... ci siamo separati perché lui si era innamorato di un'altra donna, con cui vive attualmente”. Margaret: “Come si chiama... lui?”. Dakota: “Jack”. Margaret: “E i tuoi bambini?”. Dakota: “Dave e Jackie”. Margaret: “Quanti anni hanno?”. Dakota: “Sei”. Margaret: “E com'è che siete organizzati per tenerli sia l'uno che l'altro?”. Dakota: “Una settimana da me e una da lui”. Margaret: “E quindi come vorresti fare se venissi a vivere con me in America”. Dakota: “Dovrei parlare con Jack”. Margaret: “Quando?”. Dakota: “Non lo so...”. Margaret: “Io resto a Londra ancora per tre giorni, pensi di partire con me?”. Dakota: “Non potresti restare ancora per una settimana? Così mi organizzo con Jack”. Margaret: “Sì...penso di riuscire”.
Margaret: “Dopo qualche giorno ci siamo viste e mi ha raccontato di quello che è successo con Jack, quando è andata a parlargli”.
Dakota si trova a casa di Jack, nel salotto. Dakota: “Senti Jack, sono venuta perché ti dovrei parlare”. Jack: “Dimmi”. Dakota: “Io voglio partire per l'America”. Jack: “Bene e per quanto tempo hai intenzione di restarci?”. Dakota: “No, ehm...io non voglio andarci per fare la turista, voglio andarci per viverci”. Jack: “Ah. Perché?”. Dakota: “Per ho bisogno di cambiare aria e... perché una persona me lo ha proposto”. Jack: “Stai avendo una relazione?”. Dakota: “Ehm...sì”. Jack: “Quindi vorresti andare a convivere?”. Dakota: “Sì, esatto”. Jack: “E?”. Dakota: “E volevo parlarne con te, per organizzarci con Dave e Jackie”. Jack: “Cosa vorresti fare con Dave e Jackie?”. Dakota: “Vorrei portarli con me e poi... non so tu come vuoi organizzarti per vederli. Sono stufa di vederli così poco”. Jack: “Benissimo, perché io e Rebecca vorremmo avere un bambino soltanto nostro e, averne già due, è un problema”. Dakota ride: “Vedi tu fai solo del male alla nostra famiglia: non ti interessa niente di noi e non te ne mai interessato niente, fin dall'inizio”. Jack: “Sì è probabile”. Dakota: “Non so come ho fatto ad innamorarmi di te e, soprattutto, a farmi spezzare il cuore da te”. Jack: “Ho un certo fascino. E dimmi: come è il tuo tipo?”. Dakota: “Non è un tipo”. Jack si avvicina ad un mobile con sopra una bottiglia di scotch e dei bicchieri. Se ne versa un goccio. Jack: “In che senso non è un tizio?”. Dakota: “È una tizia!” dice con un sorriso ammiccando. Jack, che stava bevendo lo scotch, lo sputa di schizzo. Dakota: “Va tutto bene?” dice sempre sorridendo e ammiccando. Jack: “Benissimo” dice tossendo: “È una tipa, quindi”. Dakota: “Esatto”. Jack: “Tu però sei ancor attratta da me, giusto?”. Dakota sorride: “No, perché ti piacerebbe che io fossi ancora attratta da te”. Jack: “No, chiedevo soltanto”. Dakota: “Tu, però, lo sei ancora, vero?”. Jack non risponde. Dakota: “Sì, tu sei ancora innamorato di me! Oh mio dio!”. Jack: “Senti, io sto cercando di costruirmi una nuova vita...”. Dakota: “Però sei ancora innamorato di me” interrompe. Jack: “Sì è vero, mi sento ancora attratto da te, sessualmente”. Dakota: “Perché te ne sei andato allora?”. Jack: “Perché non volevo sentirmi costretto”. Dakota: “Nessuno ti costringeva, comunque, allora? Va bene se i bambini vengono con me in America?”. Jack: “Sì, verrò a trovarli ogni tanto e li porterò da qualche parte, così tu e la tua tizia avrete tempo per restare da sole”.
Dott.ssa Smith: “Cioè, lui le ha detto di sì, così, semplicemente?”. Margaret: “Sì, no gli interessava molto dei bambini”. Dott.ssa Smith: “Quindi, i bambini, vivono con voi due”. Margaret: “Sì, esatto. Questa settimana, però sono con Jack”. Dott.ssa Smith: “Quindi tu l'hai conosciuto, Jack?”. Margaret: “Sì”. Dott.ssa Smith: “E com'è?”. Margaret: “È un bel ragazzo, che, però non sa quello di cui ha bisogno”. Dott.ssa Smith: “Cioè?”. Margaret: “Della famiglia che lui e Dakota hanno costruito”. Dott.ssa Smith: “E tu di cosa avresti bisogno?”. Margaret: “Di cosa avrei bisogno... avrei bisogno di un bagno caldo, avrei bisogno di una doccia fredda, avrei bisogno di lavarmi i piedi, avrei bisogno di lavarmi la faccia, avrei bisogno di litigare con lei, avrei bisogno di parlare e risolvere i problemi con lei, avrei bisogno di lei... avrei bisogno di sentirla mia, per un momento, avrei bisogno di vederla fuggire via da me... avrei bisogno di un pennello nuovo, avrei bisogno di un credo, avrei bisogno di sentirmi dire “ti amo” da lei: avrei bisogno di tutto e niente, ma anche di qualcosa”. La dottoressa Smith abbassa gli occhi. Margaret: “In seguito, Dakota è venuta a vivere con me e con lei anche i suoi bambini”.
Margaret e Dakota sono nel letto. Dakota, con indosso gli occhiali sta leggendo un libro, mentre Margaret la guarda. Dakota si gira verso Margaret: “Tutto bene?”. Margaret: “Stai benissimo con gli occhiali”. Dakota: “Grazie”. Margaret: “Anche io li porto”. Dakota: “Non te li ho mai visti addosso”. Margaret: “Non li uso quasi mai, infatti”. Dopo qualche secondo di silenzio, Dakota si avvicina a Margaret per baciarla, quando entrano Dave e Jackie. Dakota si gira di scatto: “Ehi! Cosa ci fate voi due qui?”. I due salgono sul letto. Jackie: “Non riusciamo a dormire”. Dave: “Possiamo restare qui con voi?”. Margaret: “Certo che potete!”. Jackie: “Ma perché voi due dormite nello stesso letto?”. Dakota guarda Margaret: “Ehm...”. Margaret: “Perché non ci sono abbastanza letti”. Jackie: “Ah, ho capito”. Dakota tira un sospiro di sollievo: “Dai adesso mettetevi sotto le coperte” dice: “E dormite”.
Dott.ssa Smith: “Com'è andato l'approccio con i bambini?”. Margaret: “Bene: ci siamo piaciuti subito”.
Si ritorna alla scena in cui Margaret e Dakota sono nell'erba a guardare le stelle. Margaret: “Mi dispiace, ma non ce la faccio... i bambini sono con Jack?”. Dakota: “Sì, è venuto a prenderli stamattina, mentre tu eri fuori”. Margaret: “Ah”. Dakota: “Rebecca è incinta”. Margaret: “Ah”. Dakota: “Me lo ha detto Jack, stamattina appunto”. Margaret si volta verso Dakota e dice: “E tu come l'hai presa?”. Dakota: “Bene, bene. Speriamo solo che non fugga da Rebecca, come ha fatto con me”. Margaret: “Già, speriamo. Quindi a te fa piacere che lei sia incinta?”. Dakota: “Mi fa piacere come fa a tutte le ex-mogli”. Margaret: “Quindi... non ti fa piacere?”. Dakota: “Non lo so, dobbiamo proprio parlarne?”. Margaret: “No, però, vorrei sapere quello che provi”. Dakota: “Non provo qualcosa in particolare, mi chiedo, piuttosto, perché lui abbia voluto avere un'altro figlio con un'altra donna, quando ne aveva già due, che sentono la sua mancanza”. Margaret: “Probabilmente, non era quello che voleva”. Dakota: “È sempre stato questo il difetto di Jack e lo è tuttora: non pensa mai due volte alle cose prima di farle!”. Margaret: “Tu lo ami ancora?”. Dakota ci pensa e poi dice: “No, non lo amo più... però, comunque sono ancora delusa da lui e... triste”. Margaret: “Perché sei triste?”. Dakota: “Perché... credevo di bastagli io, perché sono innamorata di te e anche con te io non basto”. Margaret la bacia. Dakota: “Lo so che ti dispiace. Penso che il libro sulla tua, nostra storia sarà un capolavoro”. Margaret sorride: “Descrivimi bene”. Dakota sorride a sua volta: “Lo farò”.
Seduta successiva. Dott.ssa Smith: “Quando è successo questo?”. Margaret: “Un paio di giorni fa. Le ho portato una cosa... da vedere” tira vuoi dalla borsa un cd: “Quando ero all'orfanotrofio, mi ero appassionata di riprese e telecamere. Ivy me ne regalò una. L'altro giorno l'ho ritrovata con i rullini...”.
Margaret sta frugando nell'armadio in mansarda e trova una scatola con scritto “Orfanotrofio”. La apre e trova all'interno un vestitino da bambina, delle foto, la videocamera, dei rullini e altre cose. Stava osservando le foto, quando arriva Jackie: “Cosa stai facendo?” chiede inginocchiandosi accanto a Margaret, che le risponde: “Niente, guardavo cosa c'era in questa scatola” dice abbracciando la bambina. Jackie: “Che bello questo vestito”. Margaret: “Sì, è vero: è molto bello. Era mio, sai? Lo portavo quando avevo quattro anni”. Arriva Dakota: “Cosa state facendo voi due?”. Margaret si gira verso di lei e risponde: “Niente, guardavamo quello che c'è in questa scatola”. Dakota: “E che c'è in quella scatola?” chiede inginocchiandosi anche lei. Margaret: “Cose dell'orfanotrofio”. Dakota guarda all'interno della scatola, poi il vestito che Jackie ha in mano e domanda: “E questo, cosa è?”. Margaret: “È il vestito che ho indossato al funerale di mia madre e anche di mio padre”. Dakota: “Ah”. Margaret: “Hey, Jackie, che ne dici se andiamo a fare merenda?”. Jackie annuisce. Margaret: “Bene, allora andiamo”. Si alzano e, stavano uscendo dalla stanza, quando: “Margaret” dice Dakota: “Stai bene?”. Margaret: “Sì, grazie”. Dakota tira fuori la telecamera e i rullini dalla scatola: “Questi, invece, cosa sono?”. Margaret: “La telecamera me l'ha regalata Ivy, la mia amica dell'orfanotrofio e i rullini sono le riprese che ho fatto... là”. Dakota: “Si possono vedere?”. Margaret: “Dovrei provare a sistemarli”.
Margaret: “Sono riuscita a metterli apposto e li ho messi su cd, posso farglieli vedere dal suo computer?”. Dott.ssa Smith: “Sì, certo”. Si avvicinano alla scrivania. Dott.ssa Smith: “Siediti pure” dice indicandole la sedia. Lei, invece, ne prende un'altra e si mette a fianco di Margaret. Quest'ultima inserisce il cd e fa partire il video.
Ivy, seduta su una sedia, che si copre il viso con le mani. Margaret: “Togli quelle mani!”. Ivy: “No”. Margaret: “Dai Ivy! Sei stupenda togliti quelle mani dalla faccia!”. Ivy se le toglie sbuffando: “Perché devi riprendere soltanto me?” chiede. Margaret: “Perché sei la mia musa!”. Ivy: “Beh, non so se è una fortuna!”. Margaret: “Aspetta... adesso vengo accanto a te ok? Così sei contenta!”. Ivy: “Ti ringrazio!”. La ripresa che si inclina, perché Margaret sta appoggiando la telecamera su un piano. Poi si vede Margaret che va da Ivy e si siede sulla sedia accanto alla ragazza. Ivy la guarda. Margaret: “Che c'è?”. Ivy: “Niente, non posso guardarti?!”. Margaret la bacia, tenendole il viso.
La ripresa finisce e ne inizia un'altra.
Si vede Ivy nel letto coperta, soltanto dal lenzuolo, che dorme. Dopo qualche secondo si sveglia. Ivy: “Che stai facendo?”. Margaret: “Ti sto riprendendo. Stai bene?”. Ivy: “Sì e tu?”. Margaret: “Direi di sì. Sei stupenda”. Ivy: “Anche tu! Vieni qui” dice battendo la mano sul letto. Margaret appoggia la telecamera e va da Ivy. Si sdraia sopra di lei e la bacia. Ivy: “Un sorriso per la stampa”. Si girano verso la videocamera e sorridono, poi, Ivy, si volta a guardare Margaret. Dopo qualche secondo comincia ad amoreggiare. Margaret smette e dice: “Credo che sarà il caso di spegnerla questa”. Allunga la mano e spegne la telecamera.
La ripresa finisca. Margaret: “Purtroppo, non sono riuscita a ricavare un granché dai rullini... volevo farle vedere Ivy, come ero io e come eravamo io e lei... insieme”. Vanno a risedersi sulle poltrone dello studio. Dott.ssa Smith: “Mi fa piacere che tu abbia voluto mostrarmeli”. Margaret: “Bene... le dispiace se fumo?”. Dott.ssa Smith: “No, no... fai pure”. Margaret accende la sigaretta e la fuma: “Ieri sera sono andata da mio zio... per salutarlo. Sono rimasta a dormire da lui e stamattina sono tornata”.
Steven apre la porta di casa. Steven: “Margaret! Vieni entra pure”. Margaret: “Ciao zio! Come stai?” dice sorridendo. Steven: “Bene, bene e tu?”. Margaret: “Bene”. Steven: “Cosa ti porta da queste parti? È da un sacco che non ti vedo!”. Il sorriso che prima brillava sul viso di Margaret se ne va: “Sono venuta... perché di devo dire una cosa e per... salutarti”. Steven: “Stai per partire? Prego accomodati” dice indicandole il salotto. Si siedono. Margaret: “Diciamo di sì... sto per partire, però...”. Steven: “E dove vai?”. Margaret: “Non torno zio... non torno qui”. Steven: “Mi devo spaventare?”. Margaret: “È quello che pensi e di cui abbiamo parlato tanto in questo periodo”. Steven: “Non credo...”. Margaret: “Non credi sia il caso... lo so, invece, io ritengo che sia la scelta più giusta” interrompe. Steven: “Lo so, se no non lo faresti. C'è qualcosa che posso fare?”. Margaret: “No, non puoi fare niente”. Steven: “Sei...”. Margaret: “Sì, sono sicura” interrompe di nuovo.
Dott.ssa Smith: “Invece, a Dakota quando glielo hai detto?”. Margaret: “Due settimane fa”.
Dakota e Margaret sono nel letto, che si guardano. Dakota: “Cammineresti con me?”. Margaret: “Cosa?”. Dakota: “Vivresti con me... per... sempre?”. Margaret: “Cosa mi stai chiedendo, Dakota?”. Dakota: “Ti sto chiedendo di sposarmi. Sposami Margaret”. Margaret: “Lo farei volentieri, ma c'è una bella parete da scalare, da superare per far sì che questo accada”. Dakota: “Scaliamola insieme”. Margaret: “No”. Dakota: “Che risposta è no?”. Margaret: “Non scalerò questa parete Dakota”. Dakota: “E cosa faresti, scusa?”. Margaret: “Mi fermo qui”. Dakota: “Fermiamoci insieme”. Margaret: “No, Dakota. Io mi fermo qui”. Dakota: “Spiegati Margaret!”. Margaret: “Non ho voglia di scalare questa parete, non ho voglia di arrampicarmi”. Dakota: “Ti porterò io, Margaret. Ti porterò io!”. Margaret: “Io non voglio più vivere, Dakota. Non ho voglia”. Dakota rimane in silenzio per qualche secondo e poi dice: “Come puoi fare una cosa del genere? COME PUOI FARMI QUESTO?!”. Margaret: “Mi dispiace Dakota”. Dakota: “TI DISPIACE? SAI DIRE SOLTANTO QUESTO? NON HAI NIENT'ALTRO DA AGGIUNGERE?”. Margaret: “Non so cosa dirti”. Dakota: “È per colpa sua, non è vero? È PER COLPA DI QUELLA PUTTANA, VERO?!”. Margaret: “Non la chiamare così!”. Dakota: “Sai cosa mi piacerebbe?” dice alzandosi dal letto: “Mi piacerebbe tanto sapere chi è, almeno: così potrei dare la colpa a qualcuno! Non provare a dire che non colpa sua, PERCHé LO è INVECE!”.
Dott.ssa Smith: “Deve essere stata una bella litigata”. Margaret: “Sì”.
Margaret è sul divano con il suo quaderno in mano, che disegna. Arriva Dakota con un bicchiere di acqua in mano e le chiede: “Hai sete? O fame?”. Margaret: “No, grazie” dice voltandosi verso Dakota, poi riprende a disegnare. Dakota torna in cucina alzando gli occhi al cielo. In cucina ci sono Dave e Jackie, seduti al tavolo che fanno i compiti. Dakota: “Bambini, potreste andare di sopra a fare i compiti?”. Dave: “Sì, mamma”. Dakota: “Bravi”. I due raccolgono le loro cose e escono dalla stanza. Dakota: “Vi ringrazio”. Salgono le scale. Dakota sta ad osservarli. Poi entrano nella camera chiudendo la porta. Dakota va in salotto: “Margaret! Potresti tornare qui con noi, sulla terra!”. Margaret: “Che c'è che non va?”. Dakota: “Non parliamo, non discutiamo sembra non ci sia più comunicazione tra di noi”. Margaret: “Cosa vuoi che ti dica?”. Dakota: “Io non ce la faccio! Non ce la faccio a pensare che tra due settimane tu non ci sarai più!”. Margaret: “Non pensarlo”. Dakota: “NON è MOLTO FACILE: OGNI VOLTA CHE TI VEDO LO PENSO!”. Margaret: “Cosa vuoi fare allora?”. Dakota: “Ho bisogno di te, Margaret! Non puoi andartene!”. Margaret: “Perché sei rimasta qui, Dakota? Lo sapevi fin dall'inizio che non stavo bene, che ero innamorata di un'altra donna, eppure sei venuta a vivere con me e sei ancora qua. Perché?”. Dakota: “Vuoi che me ne vada?”. Margaret: “NO! Ti sto chiedendo perché sei rimasta qui, in mezzo a questo casino!”. Dakota: “PERCHè IO TI AMO, MARGARET! POSSIBILE CHE NON VUOI CAPIRE!”. Margaret: “L'HO CAPITO BENISSIMO!”. Dakota ti sospiro. Margaret: “Quella che non vuole capire sei tu. Mi dispiace, non avevo intenzione di farti soffrire, ma nessuno te lo ha chiesto”. Dakota: “Nessuno me lo ha chiesto?! Sei stata tu a dirmi di venire a vivere con te”. Margaret: “Sì, hai ragione, ma non pensavo di arrivare a questo punto”. Dakota: “Neanche io!”. Margaret: “Senti, io adesso devo andare: ho il corso di danza”.
Dott.ssa Smith: “Aspetta, tu balli?”. Margaret: “Sì, faccio un corso di danza”.
Margaret rientra a casa. “Ciao a tutti!” dice entrando. Dakota: “Ciao” dice dalla cucina: “Tutto bene a ballo?”. Margaret: “Sì, benissimo”. Dakota: “Senti non c'è più niente in casa da mangiare. Potresti restare qui con i bambini che vado a fare la spesa?”. Margaret: “Vado io con i bambini” dice appoggiando la borsa: “Tu tutto bene?”. Dakota, che è seduta davanti al computer, risponde: “Non riesco a scrivere”. Margaret: “Senti, io adesso porto via i bambini così te ne stai un po' da sola, ok?”. Dakota annuisce: “Grazie”. Margaret le sorride: “Mi faccio una doccia, poi partiamo”. Dopo dieci minuti, Margaret scende al piano terra. Indossa un paio di jeans una maglietta bianca con sopra una camicia, anche essa bianca. Dakota la guarda e dice: “Stai benissimo vestita così”. Margaret, che stava chiamando i bambini, si volta verso Dakota e dice: “Grazie” sorridendo: “Dave, Jackie venite che andiamo!”. I due scendono. Margaret apre la porta: “Salutate la mamma”. Dave: “Ciao mamma”. Jackie: “Ciao”. Dakota: “Ciao tesori miei”. Escono. Margaret: “Ciao tesoro mio”. Dakota: “Ciao amore”. Esce anche Margaret sorridendo: “Su salite in macchina” dice dirigendosi verso essa. Salgono tutti. Margaret accende i motore e parte. “Cosa volte ascoltare?” dice accendendo la radio. Dave e Jackie: “We are Young”. Margaret: “Ok”. Parte la canzone e Margaret comincia a cantare e, durante il ritornello, anche i bambini. Arrivano al supermercato. Qui prendono un cartello e i bambini si siedono all'interno. Entrano e Margaret tira fuori dalla tasca la lista della spesa. La da ai bambini dicendo: “Voi leggete e io cerco le cose”. Dave: “Ok”. Jackie: “Tu e la mamma state insieme?”. Margaret, che si stava guardando, si ferma e si volta verso la bambina. Dave: “Jackie!”. Jackie: “Che c'è? Ho chiesto”. Margaret: “Ti rispondo dopo, quando c'è anche tua mamma”. Tornano a casa. Jackie: “Siamo a casa”. Dakota: “Ciao. Tutto bene?”. Dave: “Benissimo”. Margaret porta le borse in cucina e dice: “Jackie, rifai alla mamma la domanda che hai fatto a me prima”. Jackie entra nella stanza: “Ah sì! Ehm... mamma, tu e Margaret state insieme?”. Dakota si gira verso Margaret: “Ehm...”. Margaret si avvicina. Dakota: “Senti, possiamo un attimo parlare io e Margaret e dopo ti diamo una risposta?”. Jackie annuisce. Dakota: “Grazie andate in camera intanto”. Jackie esce dalla stanza e sussurra nell'orecchi a Dave: “Mi sa che stanno proprio insieme!”. Salgono e vanno nella loro camera. Dakota: “Quando te lo ha chiesto?”. Margaret: “Prima, al supermercato... cosa hai intenzione di fare?”. Dakota: “Non lo so”. Margaret: “Secondo me dovresti dirgli la verità: hanno il diritto di sapere”. Dakota: “Sì, ma sono bambini”. Margaret: “E allora? Non devi sottometterli a te soltanto perché sono dei bambini”. Dakota si mette le mani nei capelli. Margaret: “Diciamoglielo”. Dakota: “Ma ci faranno altre domande!”. Margaret: “Gli risponderemo... insieme”. Dakota va alle scale e chiama i due bambini. Questi scendono e vanno in salotto, sotto indicazione di Dakota. Qui gli aspetta Margaret. Si siedono sul divano di fronte a quello dove è seduta Margaret. Dakota si siede accanto a Margaret. Dakota: “Allora...”. Margaret: “Puoi rifarci la domanda che ci hai fatto prima, Jackie?”. Jackie: “State insieme voi due?”. Dakota fa un respiro profondo. Margaret le prende la mano e Dakota risponde: “Sì... io e Margaret stiamo insieme”. Dave: “E perché non ce lo avete detto prima?”. Dakota: “Non volevamo sbattervelo in faccia così”. Jackie: “E perché... non vi baciate mai voi due?”. Dakota sgrana gli occhi. Margaret: “Per lo stesso motivo, però ci baciamo”. Dave: “Ma non dovrebbero essere le femmine e i maschi a stare insieme?”. Margaret: “Sì, però ci possono essere delle eccezioni: capita che due femmine stiano insieme, ma anche che due maschi stiano insieme”. Jackie: “E allora perché la mamma prima stava con il papà e adesso sta con te?”. Margaret: “Quanti anni avete voi due?”. Dave: “Sei”. Margaret si volta verso Dakota: “Vuoi rispondere tu?” chiede. Dakota: “Perché può capitare che ci si innamori sia di un maschio che di una femmina”. Jackie: “E siete innamorate voi due?”. Dakota: “Sì”.
Margaret: “Sono molto svegli”.
Dave: “Ok allora”. I due si alzano e se ne vanno. Dakota si volta verso Margaret, a bocca aperta, senza parole. Margaret: “Vai a capirli i bambini” dice aggrottando le sopracciglia. Si alza e va in cucina a sistemare la spesa, seguita da Dakota. “Non ti sembra strano?” domanda. Margaret: “Che cosa?”. Dakota: “Che se ne siano andati così?”. Margaret: “Sono bambini: avran capito la metà delle cose che gli abbiamo detto!”. Dakota: “Ma ce le hanno chiesto loro”. Margaret: “Sì è vero”. Dakota si siede davanti al computer. Margaret: “Sei riuscita a scrivere qualcosa?” chiede finendo di sistemare la spesa. Dakota: “No, non molto”. Margaret accende una sigaretta. Dakota prende i biscotti sul tavolo e comincia a mangiarli. Margaret comincia a fumare la sigaretta: “Come mai?”. Dakota: “Non lo so. Vengo qui al computer per scrivere e arrivata vado in palla. Piantala con quella roba! Non lo sai che il fumo uccide!”. Margaret: “Appunto, lo so benissimo. E se io devo smettere di fumare allora tu smetti di mangiare quelle porcherie! Continui a mangiare, mangiare e mangiare!”. Dakota: “Non ci riesco!”. Margaret: “Neanche io!”. Dakota: “Prova a fare qualcosa d'altro, almeno ti distrai e non fumi!”. Margaret: “Tu, invece, concentrati a scrivere, così magari non mangi! Per lo meno io dipingo e riesco a farlo, tu non riesci a fare il tuo lavoro”. Dakota: “VISTO CHE SAI TANTO SU COME LAVORARE DIMMI COSA DOVREI FARE! E poi io mangio per colmare!”. Margaret: “Allora, tu sei arrivata al punto in cui Claudia torna da sua zia, giusto? Allora devi chiederti: “Se uno stesse leggendo il mio libro, cosa vorrebbe che succeda?” trova la risposta e narra il contrario! Devi sorprendere il lettore. Che cos'è che devi colmare?”. Dakota: “Il vuoto che mi provochi tu e anche per opprimere il dolore”. Margaret: “Scrivi almeno cinque pagine!”.
Margaret arriva nello studio della dottoressa per la penultima seduta. Dott.ssa Smith: “Si sta sempre di più avvicinando il fatidico giorno”. Margaret: “Già”. Dott.ssa Smith: “Ripensamenti?”. Margaret: “Nessuno, anzi mi convinco sempre di più che sia la cosa giusta da fare!”.
Margaret sta pitturando. Arriva Jackie. Margaret: “Ehilà! Che ci fai qui sopra?”. Jackie si avvicina a Margaret e dice: “Non spezzare il cuore alla mia mamma come ha fatto il mio papà”. Margaret dopo qualche secondo di silenzio abbraccia la bambina: “Vorrei tanto non farlo”.
Dott.ssa Smith: “Finisce qui la tua storia?”. Margaret: “No...finisce domani, ma non sono una veggente e quindi non posso raccontarle quello che accadrà domani”. Dott.ssa Smith: “Sei sicura, Margaret? Non puoi proprio vivere senza di lei?”. Margaret: “Piuttosto niente”.
Seduta seguente. Margaret arriva con Dakota. Dakota: “Salve dottoressa”. Dott.ssa Smith: “Ciao Dakota”. Margaret: “È il giorno fatidico e io vi vorrei salutare insieme”. Dott.ssa Smith: “D'accordo, prego entrate”. Entrano nello studio e si siedono. Margaret: “Io volevo ringraziarvi...” Dakota scoppia a piangere: “entrambe per l'affetto e la dedizione che mi avete dato. Non vi ringrazierò mai abbastanza, però... io devo andare”. Dakota: “Non devi!” interrompe: “Non sei costretta!”. Margaret: “Devo è il verbo più appropriato, credimi!”. Dott.ssa Smith: “Mi ha fatto piacere conoscerti, Margaret e mi dispiace di avere avuto soltanto una settimana per conoscerti, per conoscere la tua intelligenza, la tua bellezza e la tua vita”. Margaret: “Il piacere è stato mio dottoressa”. Dakota: “Io non ce la faccio” dice alzandosi: “Scusatemi. Non ce la faccio a vedere delle persone che si salutano perché sanno che una sta per suicidarsi. Non ce la faccio!” e esce dalla stanza. Margaret: “Volevo chiederle una cosa dottoressa, una cosa che per tutta questa settimana non le ho chiesto e mi sembra assurdo: come si chiama? Qual'è il suo nome?”. La dottoressa, che è dall'altra parte della scrivania, si avvicina col viso a Margaret e dice: “Gwyneth Paltrow”. Margaret la guarda spalancando la bocca. Comincia ad applaudire. Dott.ssa Smith: “Non è stato difficile capire chi era...”.
Margaret arriva in cucina, dove vi è Dakota, seduta al tavolo. Margaret: “È ora”. Dakota si volta verso di lei e scoppia a piangere. Margaret si avvicina e l'abbraccia. Dakota: “Non lo fare, Margaret. Non farlo per me”. Margaret: “Vorrei tanto poter continuare a vivere per te...” dice abbassandosi e cominciando a piangere, cercando di trattenersi: “ma non posso, non ne sono in grado”. Dakota continua a piangere. Margaret, dopo qualche secondo, la bacia e dice: “Ti amo e mi mancherai”. Si alza e si avvia verso la camera da letto. Comincia a salire le scale. Dakota corre da lei e, inginocchiandosi, dice: “Non lo fare ti prego” dice unendo le mani come segno di preghiera e supplica: “Non lo fare! Io non ce la faccio senza di te!”. Margaret: “Credimi ce la farai. Non voglio dirti le solite scemenze del tipo che non soffrirai, che non ti verrà da piangere tutte le volte che mi penserai... non sei stupida e capiresti che mentirei. Soffrirai, piangerai e ti mancherò... però, per alleviare il dolore, voglio darti un consiglio: quando penserai a me ricordati le cose peggiori: i momenti brutti passati insieme, i miei difetti, il fatto che ho spezzato il cuore a tante persone e... temo che tu sia una di queste... ricordati di me, però, all'inizio, ricorda solo le cose peggiori del mio essere. Dopo, quando mi penserai senza soffrire né piangere, pensa alle cose belle... però solo quando mi avrai dimenticata come amante...ok?”. Dakota, che piange ancora, annuisce. Margaret: “Bene... ciao Dakota”. Sale le scale e entra nella sua camera. Dakota comincia a piangere più forte.
Margaret si sdraia sul letto e dopo qualche secondo si volta verso il barattolo di pastiglie che ha sul comodino.
Dakota, che non riesce a calmarsi, torna in cucina e si siede, di nuovo. Dopo qualche minuto, fa una telefonata. Dakota: “Salve sono Dakota Hughes, vorrei denunciare un suicidio al 72 Greenwood Terrace”. Infermiera: “Di chi signorina?”. Dakota: “Di... Margaret Brown”. Infermiera: “Arriverà presto un ambulanza”. Matte giù la cornetta e fa un'altra telefonata. Dakota: “Dottoressa Smith? Sono Dakota, disturbo?”. Dott.ssa Smith: “No, no... lo ha fatto?”. Dakota scoppia a piangere: “Sì”. Dott.ssa Smith: “Arrivo”. Dakota: “Dottoressa! Ha già pensato al titolo del libro?”. Dott.ssa Smith: “No”. Dakota: “Che ne dice di Piuttosto niente?”. Dott.ssa Smith: “Direi che è perfetto. Comincia a darmi del tu Dakota”. Dakota: “Ok”.
La dottoressa Smith arriva a casa di Margaret, insieme all'ambulanza. Entrata nella casa corre da Dakota e l'abbraccia.
Dakota e la dottoressa salgono in mansarda. Dott.ssa Smith: “Credo che al posto della sua foto, dovremmo mettere un suo quadro”. Dakota: “Sì, un suo quadro è la cosa che la rappresenta meglio.
Arriva il giorno della veglia per Margaret. Ci sono tutti: Dakota con Dave e Jackie, la dottoressa Smith, Justin e sua moglie, Ivy, Steven, Jack,... tutti in piedi e vestiti di nero. C'è anche Matthew, seduto e vestito di marrone. Davanti, in fondo alla sala c'è il quadro di Margaret, scelto dalla dottoressa e da Dakota. È, di fondo, a macchie grigie e in centro vi è una grande “X” rossa. La dottoressa si avvicina ad esso con la busta che Margaret le aveva dato, in mano. Dakota è sconvolta e fissa il pavimento. La dottoressa estrae il foglio dalla busta e inizia a leggere: “Non è stato facile scrivere questa lettera... ho dovuto mettere insieme un po' di pensieri e riflettere. Sento che vi devo chiedere scusa, perché credo che facendo ciò che ho fatto, vi ho portato e provocato dolore. Ritengo che la prima cosa che vi devo direi sia il perché della mia azione: quando ci innamoriamo rendiamo colui o colei, per cui proviamo questi sentimenti, la nostra perfezione: lo o la amiamo incondizionatamente. La mia perfezione si chiamava e si chiama Gwyneth Kate Paltrow, GKP. La mia perfezione è tante cose: è moglie, è mamma, è attrice di fama, è innamorata, è amata, è intelligente, è premio Oscar, è bella,... potrei andare avanti tutto il giorno a dirvi quello che è. Per me era troppo: miravo troppo in alto, non ero al suo livello. Non ho voglia, però, di parlare di lei: basta che la cerchiate su Internet e troverete tutti i suoi dati.
Non credo di dovervi ringraziare... non lo ritengo opportuno e non lo farò.
Devo chiedervi un favore, però: quando la dottoressa avrà finito di leggere questa lettera, vorrei che ognuno di voi dica qualcosa su di me.
Alla dottoressa Smith e a Dakota, invece, devo chiedere anche un altro favore: spargete le mie ceneri nei miei luoghi. Spargetele a Parigi, fuori da casa mia, a Londra, nel Tamigi,... disperdetele per il mondo. Fatemi conoscere.
Ci sono tante canzoni che sarebbero adatte a questa occasione e tra le tante io ho scelto questa, quella che mi sembrava più adatta: “The Hardest Part” dei Coldplay. Vi lascio. Ciao a tutti! PS ascoltate bene le parole”. La dottoressa appena smette di leggere, tira fuori dalla busta un CD e lo mette nel lettore che ha accanto. La canzone parte. Dott.ssa Smith: “Chi vuole essere il primo a fare il favore a Margaret?”. Justin: “Io”. Va dove vi è la dottoressa e inizia a parlare: “Non credo di dover essere il primo, perché ero la persona che la conosceva meglio, anzi, è il contrario, veramente. Tre cose...o meglio, aggettivi che posso dire e che trovo adatti per Margaret: matta, creativa e disperata; matta perché era un po' folle ed era questo che la distingueva dagli altri; creativa perché riusciva a rendere una tela bianca, un'opera d'arte; e infine disperata... beh, credo che questa non la debba spiegare, credo che ve ne siate accorti tutti che lo era. Io l'ho abbandonata... e me ne vergogno tantissimo di averlo fatto. Non avevamo il tipico rapporto fratello-sorella e a me questo piaceva: mi piaceva che non fossimo normali, però, era sbagliato e me ne sono accorto soltanto ora che mancava la comunicazione tra di noi. Mi dispiace di non esserci stato”. Ritorna al suo posto. Va Ivy: “Maggior parte di voi non mi conosce... sono Ivy Bryant e... sono stata all'orfanotrofio con Margaret. Siamo diventate molto amiche là, anzi, direi più che amiche... siamo state anche insieme, come coppia e... abbiamo perso la verginità insieme. Io mi ero innamorata di lei. Me ne sono andata senza mai dirle ciò che provavo. Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente se io fossi rimasta. Non so cosa dire... le ho mentito una volta: le ho detto che ero fidanzata quando non lo ero. Mi faceva paura... anche se non avevo motivazione per temerla... mi spaventava, mi spaventava il nostro amore... e sono fuggita, come solo le stupide fanno” le scende una lacrima. Dakota si volta a guardarla. Ivy: “Mi è mancata tanto in tutti questi anni...” scoppia a piangere: “ogni giorno cercavo la forza per correre da lei e dirle tutto, ma non ce la facevo: la paura era troppa, la paura di trovarla con un'altra era tanta. Scusate” e corre via piangendo. Tocca a Steven: “Lei è venuta da me, per raccontarmi tutto quello che le stava capitando. Ho cercato di convincerla a farsi aiutare per togliere Gwyneth dalla sua mente, ma... non c'è stato verso di farlo, era testarda e sensibile. Mi è venuta a dire che si sarebbe suicidata e io non l'ho fermata. Non l'ho fermata perché... volevo rispettare la sua volontà. Mi sono arreso e questo a causato, come tutte le cose, conseguenze positive e anche negative. Probabilmente se avessi insistito di più con lei, oggi non saremmo qui, però, credo anche che lei mi voleva bene proprio perché rispettavo il suo volere. Non doveva finire così”. Va la dottoressa Smith: “Margaret l'ho conosciuta esattamente una settimana fa. Avrei voluto poter trascorrere più tempo con lei, avrei voluto conoscerla meglio. In questa settimana ho individuato tanti tratti di lei, non tutti e gli aggettivi che, in questa settimana, sono saltati fuori, tutti appropriati a lei, sono tanti. Ne ho scelti due: ultima e persa; il primo perché la prima cosa che lei mi ha detto è stata: -Questa sarà l'ultima settimana della mia vita- e quella parola, ultima, ha attirato la mia attenzione da subito e, nelle circostanze in cui l'ho conosciuta, mi è sembrata particolarmente adeguata a lei; il secondo aggettivo, perché è stata proprio lei a definirsi così: persa. Questa parola l'ho sentita tanto nei nostri dialoghi. Aveva imparato a nascondere molto bene il suo dolore, perché l'ho vista piangere raramente, però, non lo faceva anche perché era forte. Margaret era una di quelle persone che, nella vita, bisogna conoscere, perché sicuramente chiunque l'avesse conosciuta l'avrebbe apprezzata. A me, almeno, è successo così”. La dottoressa torna al suo posto e dopo qualche minuto, va Dakota, dopo aver preso una serie di respiri: “Mi ha detto di ricordare le cose brutte di lei, in modo tale da disinnamorarmi di lei più facilmente e, mi ha anche detto, di cominciare a ricordarla come essere stupendo e amato soltanto dopo averla dimenticata come amante. Non c'era niente di lei che non amavo” ritorna Ivy: “quindi non so come fare a ricordarla male... mi ha aiutato in tutto e per tutto, mi diceva le cose come stavano, senza girarci troppo intorno e senza trattarmi come una cretina che non capisce quando gli altri mentono. È stata sincera fin dal primo momento. La sincerità era una sua caratteristica, un suo pregio. Mi faceva sentire importante, anche se per lei non lo ero abbastanza. L'amavo, la amo e l'amerò per sempre. So di essere stata perfezione per lei, ma so anche di non essere stata LA perfezione, perché la perfezione era lei, l'altra, Gwyneth o GKP, come la chiamava Margaret, suppongo, pur di non pronunciare il suo nome. Non so cosa è successo a Londra, quando è andata da Gwyneth, non lo ha detto a nessuno, forse per rispetto per Gwyneth, forse perché soffriva troppo, non lo so il perché e credo che tutta la vicenda di Gwyneth e di Londra, se la sia portata dietro, con lei... dall'altra parte. Non lo sapremo mai quello che è successo... secondo me, non lo ha detto, anche per avere un segreto con Gwyneth: solo Margaret e lei sanno quello che è accaduto, quel giorno. Era per avere una cosa in comune con lei, con la sua amata. Mi mancherà”.
La dottoressa Smith e Dakota disperdono le ceneri di Margaret a Parigi, Londra, nel Tamigi, fuori dalla casa di Margaret, giù dal balcone dello studio della dottoressa, fuori da una casa (lascio a voi capire che casa è), allo Speaker Corner a Hyde Park, sotto la torre Eiffel, dove baciò Matthew, fuori dal ristorante dove cenò con Matthew,...
Dakota: “Lei è morta e so che d'ora in poi, per me, non esisterà più nulla e niente servirà più a niente”.
 
  
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