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Autore: IamShe    18/09/2012    11 recensioni
Cosa succederà nel momento in cui Ran si ritroverà da sola, dopo la morte di Shinichi, ad affrontare la più grande paura della sua vita, e a salvare quella delle persone a lei care?
Cercherà di reagire o subirà impotente, aspettando che il destino si compi?
*
"Perché Shinichi non mi aveva detto niente quel giorno? Aveva inventato la scusa del caso semplice, di un cliente che lo aveva chiamato. Aveva detto che sarebbe tornato la sera, che avrei dovuto cucinargli il suo piatto preferito, che non avrebbe tardato.
Invece aveva deciso di andare ad uccidersi, senza preoccuparsi di nulla e di nessuno. Non vidi più il suo sorriso, e non ascoltai più la sua voce da quel giorno. Ritrovammo solo un corpo senza vita, senza più ricordi e senza più speranza."
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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Quindicesimo capitolo

Il limite del pericolo

 
 
 
Sento un leggero fruscio sfiorarmi la clavicola con immensa dolcezza, salire lungo il collo, e molto lentamente, cavalcare il profilo della mia guancia, morbida e arrossata. Mi sforzo di ignorarlo, distraendomi con gli attrezzi culinari che ho tra le mani e le delizie che preparerò per il mio piccolo, facendo affidamento sul mio autocontrollo. Quel tocco così effimero continua il suo percorso, lasciando che una scia di brividi si crei sotto i suoi passi lenti, facendomi sorridere con malizia e divertimento, ed infondo, anche con un po’ di astuzia. 
I miei occhi brillano, ma tentano di mascherarlo, concentrandosi sul pane che ho tra le mani. La mia lingua freme, ma è intrappolata nel mio gioco di sottile vendetta che Shinichi sta assaggiando, bacio dopo bacio. E nonostante le sue mani vadano ad imprigionare il mio corpo alla cucina, racchiudendolo in una gabbia calda e liscia, quella del suo fisico, non potranno far nulla per farmi voltare verso di lui e costringermi a perdermi nei suoi occhi blu, che infondo, quelli sì, avrebbero la capacità di far traslocare in Antartide il mio autocontrollo.
Deglutisco, ma non la smetto di ridacchiare, divertita dalla situazione. E’ anche Shinichi a farlo, rompendo il silenzio che è calato nell’aria dal momento in cui ci siamo svegliati, ed abbiamo raggiunto la cucina, pronti ad iniziare una nuova giornata.
“Sei fuori strada se pensi di farti perdonare con qualche bacetto.”
“Peccato che vorrei darti di più, ma non me lo permetti...”
Che tono malizioso che dovrebbe e potrebbe istigarmi, sa fare. Ma le sue parole non mi toccano, si frantumano.
“Peccato che io non voglia.” Ribatto, sostenendo il suo, di gioco, che si riaccende alle mie parole. Torna a baciarmi la pelle, imitando i movimenti fatti poco prima, ma avvicinandosi di più all’orecchio, facendomi rabbrividire. Ho troppi punti deboli che lui conosce fin troppo bene.
Così, appagato dal mio piccolo sussulto, continua a torturarmi il lobo, facendo aumentare a dismisura il mio respiro. Afferro il coltello, con il vano tentativo di ignorare le sue provocazioni, e continuo a deglutire, stavolta più freneticamente, per via dell’adrenalina. Sarei tentata a voltarmi, ma a causa dell’orgoglio, rimango ferma nella mia posizione.
“Sei sicura che non vuoi?” mi sussurra all’orecchio, ghignando.
“Certamente.”
Farcisco i cornetti, ed aspetto, con impazienza e qualche fremito di troppo, che lui si stacchi, e rinunci ai suoi propositi.
Ma testardo com’è, è un’illusione ridicola. Ed è la sua perseveranza a muovere le sue mani, ad adagiarle sulle mie, e a liberarmi del coltello, facendolo cadere sul ripiano della cucina.
Stringe la mia mano nella sua, e lo stesso fa con quell’altra. Porta le nostre braccia al mio corpo, facendole aderire per bene, stringendomi così, in una nuova e dolce gabbia. Socchiudo gli occhi, e godo delle sue attenzioni, sebbene una piccola parte di me stia ancora e disperatamente tentando di mantenermi.
“Peccato che il tuo corpo dica altro...”
Mi mordo il labbro, quasi incapace a rispondere. Un pizzico d’orgoglio riesce comunque a prevalere sulle mie pulsioni, spingendomi a continuare questa tortura.
“Peccato che non sappia parlare.”
Ribatto, ma lo sento ridere, come se avesse in pugno la situazione.
“E peccato che tu non sia brava a mentire...”
“Peccato che io non stia mentendo.” Recito, consapevole della mia farsa.
Ed essendolo altrettanto lui, Shinichi slega il suo abbraccio, ed afferrando la mia mano, mi fa girare su me stessa, obbligandomi a guardarlo negli occhi, e a far aderire per bene i nostri corpi. Lascia per un attimo la presa, fin quando non sento le sue braccia attorcigliarsi sulla mia schiena, avvicinandomi a lui.
E con - fin troppa - maestria, riesce ad avvicinare il mio viso al suo, e a baciarmi. Sento l’orgoglio disintegrarsi al contatto con le sue labbra così morbide, calde e straordinariamente belle, da spingermi a ricambiare quella lussuria. Con foga gli intrappolo il volto tra le mani, e mi lascio stringere al suo corpo, completamente in balia dei suoi movimenti. E senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo sdraiata su qualcosa di comodo, e su un tessuto che somiglia molto a quello del divano.
“E’ mia impressione o mi hai perdonato?” sussurra, staccandosi dalle mie labbra per qualche istante. Rido, avvicinandomi al suo di orecchio, toccandolo.
“Sai com’è... dovevo farmi perdonare anche io.”
Ritorno a baciarlo con veemenza, ma ho l’obbligo di bloccarmi, nel sentire il campanello della porta suonare.
“No... è uno scherzo, vero?”
Mi chiede Shinichi, guardandomi ed assottigliando gli occhi, con aria bastonata e delusa, come se la colpevole di tutte le interruzioni fossi io. Scende dal divano, sbuffando, continuando a lamentarsi.
“Secondo me lo fanno apposta!”
Ridacchio, sebbene non sappia chi ci sia dietro alla porta, quando, nel frattempo, il campanello continua a suonare con insistenza.
Mi alzo anche io, mi ricompongo e mi affretto a prendere le maschere, affiancata da mio marito, tutt’altro che entusiasta di interrompere ciò che avevamo iniziato.
“Non ho il tempo di toccarti che qualcuno viene a rompere!”
Lo guardo torva, lanciandogli un’occhiataccia, seppur leggermente divertita. “Smettila di lamentarti ed indossa questa maschera.”
Obbedisce, ma prima di dirigersi verso la porta per aprirla, si gira verso di me, ridacchiando.
“Sappi che sarai tu a pagarne le conseguenze” mi intima, malizioso.
Lo ignoro, lanciando lo sguardo altrove. Ma nel mio profondo, so che non mi dispiacerebbe sdebitarmi con lui in quel modo.
Ma il fiume di dolci pensieri si scontra con la realtà, quando nel momento in cui Shinichi apre la porta, appaiono dinanzi a lui due uomini molto grossi, nei quali riconosco i rapitori di Conan. Sussulto, avanzando di qualche passo, nella paura che siano tornati a riprendersi mio figlio. Affianco - l’ormai - Wunderwaffe, nel tentativo di sentirmi più protetta, ma vengo superata dai due. Alla mia vista compare Cikage, moglie di Kemerl, col viso tirato e nervoso, e le mani congiunte.
Si fa spazio nella casa senza nemmeno salutarci, lancia lo sguardo in giro, per poi fissarlo su di noi, e schiarirsi la voce.
“Che bella prigione per il baby Kudo.”
Torturo il mio labbro, in tensione. Sento il respiro affannarsi, ma tento di mantenermi lucida. Ho gli occhi bloccati sulla sua figura maligna, spruzzante di nervosismo. Ma si sposta, e continua a girovagare, fermandosi dapprima sul salotto, per poi dirigersi in cucina. La vedo simulare una smorfia nell’osservare la colazione preparata, e lasciata in ultimata, sulla cucina.
“Anche la colazione... lo trattate un po’ troppo bene per i miei gusti.”
Si avvicina a noi, muovendo più volte le palpebre.
“Dobbiamo pur sempre farlo mangiare.” Le rispondo, anche se un po’ titubante.
“Come mai siete qui?” Le chiede Shinichi, facendola voltare verso di lui. Ma il tempo di un’occhiata e la donna vira altrove, dirigendosi verso il corridoio.
“Dov’è il moccioso?” Chiede, quasi spuntando veleno, osservandoci.
“E’ in camera, sta dormendo. Perché?” Continua a domandarle mio marito, camuffato da hacker.
Ma ancora una volta, lo ignora, avanzando verso la nostra camera. Lancio uno sguardo a Shinichi, per poi inseguirla, fino in stanza.
Conan, come pensavamo, è sdraiato al centro del lettone a pancia in giù, completamente abbandonato al sonno. Il suo respiro regolare e calmo mi dona un pizzico di sollievo, ma lo sguardo stizzito della dona non fa altro che farmi saltare i nervi. Che si azzardasse soltanto a toccarlo nuovamente, come ha fatto qualche giorno fa, che sarei capace di mozzarle tutte e dieci le dita delle mani. Ma, per fortuna, non si muove dalla soglia della porta, e si limita ad osservare.
“Dorme beato tra le coperte, al centro del letto matrimoniale. Quasi come se stesse con i suoi genitori...” afferma, facendomi rabbrividire. “Non mi piace.”
E se Kemerl avesse spifferato tutto? In fondo non è così improbabile ed impensabile. E’ pur sempre la moglie, e il suo obiettivo, dovrà essere pur sempre quello di ucciderci. Ma ripensando a lui, a ieri, e alle parole che mi ha detto, questa prospettiva non mi appare più l’unica da percorrere.
La donna, infatti, gira i tacchi e avanza verso il salone, seguita dai due uomini. Si ferma, accomodandosi sul divano, e congiunge le mani in pugno, per poi appoggiarci il viso sopra.
“Sono qui per te.” Soffia velocemente, rivolgendosi alla sottoscritta. Sebbene un po’ sorpresa, la invito a continuare, con un cenno del capo.
“Ho un lavoro, ma dobbiamo parlarne con gli altri. Alla base.”
Annuisco, leggermente impaurita. Non promette nulla di buono tutto ciò, e il suo sguardo ne è la conferma. Ma è in quello di Shinichi che trovo la forza di credere e di andare avanti, perché è solo grazie a lui che non ho più paura di nulla. Mando giù un po’ di saliva, per poi tornare a fissarla.
“Perfetto, andiamoci” le comunico, facendola alzare. Passa dinanzi a mio marito, ma prima di sorpassarlo, gli poggia una mano sul petto, con fastidio.
“Tu rimani qui.”
Shinichi strabuzza gli occhi, preoccupato. “Perché?”
La donna, però, lo ignora, e fa cenno ad uno dei due uomini di avvicinarsi.
“Tu starai con il moccioso insieme a Wunderwaffe, mentre lei sarà via.” Gli impone con durezza, facendolo annuire.
Io, invece, sono totalmente scioccata. Ma dove dovrei andare? E perché senza Shinichi? Al solo pensiero di separarmene nuovamente sto male. Ho paura che qualcos’altro possa accadere, che non tutto vada per il verso giusto, e che succeda l’imprevedibile.
“C-cosa? Perché... dove andrà Vanille?” chiede il mio uomo, ma forse con un tono un po’ troppo preoccupato.
“Senti, Wunderwaffe, le domande le faccio io qui. E poi, non mi piace come state trattando il ragazzino. Questo non è un hotel a cinque stelle! Deve capire che non può fare i suoi comodi.” dice, muovendo una lingua che spruzza cattiveria.
“Akito,” indica l’uomo che dovrà prendere il mio posto, in questi giorni “rimetterà le cose apposto. Non voglio colazioni. Al massimo un pranzo al giorno, e non voglio che dorma sul letto, al massimo nella vasca da bagno. Legatelo lì, affinché non possa muoversi, fategli anche capire che parlare sarebbe una buona cosa per lui. Non voglio che abbia di che svagarsi o quant’altro, insomma, ci siamo capiti.”
“Sì, signora.” Obbedisce l’uomo, annuendo. Io stringo i pugni, adirata.
“E’ il figlio di Kudo, trattiamolo come merita.” Pronuncia ancora, ridacchiando maligna. La punto con gli occhi, storcendo le labbra.
“Ma ti rendi conto che è soltanto un bambino?!” le urlo contro, senza trattenermi. Non m’importa chi è e che poteri ha, ma non posso tollerare che faccia certi discorsi parlando di un bambino, mio figlio.
“Come scusa?” domanda, stizzita, come se mi stesse invitando a ripetere ciò che ho detto.
“E’ un bambino! Ma come fai ad essere così...”
Sento qualcuno tossire, con l’intenzione di richiamarmi. “Se questo è quello che vuole signora lo faremo. Non si preoccupi.”
E’ Shinichi a parlare, attirando la sua attenzione. Mi giro verso di lui, e lo vedo farmi un segno con le dita. Mi sta intimando di zittirmi.
“Ma Vanille può riuscirci benissimo. Lasci che rimanga lei.”
“No, mi serve per un lavoro.” Pronuncia ancora, inaridita.
Poi si volta verso di me, e comincia a camminare, richiamando l’altro uomo.
“Andiamo, non c’è tempo da perdere. Akito rimani con Wunderwaffe, e sveglia il moccioso!”
“Ma!” prova ad obiettare Shinichi, portando una mano avanti.
Non ho il tempo di oppormi, che l’omone mi afferra per la maglia e mi trascina via, fuori dall’appartamento, sbattendo dietro di sé la porta. Scompare dalla mia visuale il volto preoccupato di Shinichi, mentre mi assale la nostalgia e la voglia di scappare.
Senza mio figlio e mio marito, sento che adattarmi a questa vita è un po’ troppo per me.
 
*
 
E mentre sono nell’auto che mi riporterà alla base, affogo il mio sguardo nel mare di Tokyo, dove osservo persone e famiglie camminare felici e sereni, vivendo una vita che sa di normale. La moglie di Kemerl è seduta al mio fianco, e di tanto in tanto mi manda occhiate strane e profonde, per poi abbassare il capo nel momento in cui la osservo anch’io. L’auto si arresta ad un semaforo, e la donna continua a guardarmi, con aria curiosa.
Cerco di ignorarla, ma non posso fare altro che donarle la mia attenzione, nel momento in cui mi tocca la gamba con due dita, facendomi voltare.
“Devi dirmi qualcosa?” le chiedo, infastidita e nervosa.
“Vorrei... anzi, voglio... sì, insomma... voglio un consiglio.”
Serro le palpebre, incredula. “Da me?”
“Sì, da te.”
“Ovvero?” Inarco un sopracciglio, invitandola a continuare. Il suo atteggiamento è mutato completamente nel giro di qualche minuto. La sua parlantina è scomparsa, e sembra che l’imbarazzo le abbia mangiato la lingua. Arrossisce un po’, al pensiero di ciò che dovrà dirmi.
“Vorrei sapere... come fai a... come mai gli uomini cadono ai tuoi piedi. Ecco.”
“Cosa?”
“Hai capito bene. Tu attiri gli uomini, l’ho notato anche con Wunderwaffe, poco fa.”
Rabbrividisco.
“Non so di cosa parli.” Soffio acida, sebbene non sappia cosa risponderle.
“Ehi, non sono nata ieri io. Quando sono entrata nella casa, ho capito che stavate facendo certe cose...” Dice, facendomi arrossire, al di sotto della maschera.
“C-che?” Balbetto, in imbarazzo. “Cosa?!”
Distolgo anche lo sguardo, ma la donna prosegue.
“Beh, il divano in disordine, il cornetto lasciato lì, sul tavolo... sai sono stata moglie anche io.”
Serro le palpebre, osservandola.
“Io non sono la moglie di Wunderwaffe!” Mi affretto a chiarire, con troppa irruenza forse.
Lei mi guarda, poi si mette a ridere. “Sì lo so. Intendo che, sapevo quello che stavate facendo, avendo visto cose che ho visto a mio tempo. E poi, osservando Wunderwaffe...” sospira, sognante.
“Osservando Wunderwaffe... che?” la scimmiotto, ma con un tono molto più infastidito. Non mi piace che faccia certi sospiri al suono del nome di mio marito.
“Ci ha aperti la porta con una canottiera a giro maniche, e con un bermuda. Non mi aspettavo...”
“Non ti aspettavi... che?”
“Che avesse un così bel fisico! Nel toccarlo prima, ho sentito i suoi addominali, e le braccia erano molto muscolose, così come il collo...”
Ripenso all’immagine di Shinichi prima di andare ad aprire la porta. La prossima volta dovrò ordinargli di mettersi qualcosa di più coprente, non mi piace che questa pazza si faccia i filmini mentali su mio marito.
“No, ma cosa dici! è impressione! Sì, sì! E poi a letto non è un granché, e poi il viso, insomma con tutti quei brufoli!” Recito, nel tentativo di dissuaderla. Lei mi guarda furbetta, sorridendomi.
“Allora avevo ragione! Ci sei andata a letto!”
Annuisco, disinvolta. Se proprio devo farla questa farsa, facciamola bene.
“Sì... due, tre volte.”
O forse un milione...
“E l’hai presa tu l’iniziativa?”
Veramente la prende sempre lui.
“Sì, ovviamente.”
“Lui è timido, eh?”
“Timidissimo, non sai quanto...”
Come stamattina...
“Un po’ come mio marito.”
Prego?
Mi volto a guardarla, quando vorrei scoppiarle a ridere in faccia. Da quando Toichi Kemerl è timido? Riesco a trattenermi, schiarendomi la voce.
“Sì... beh, io, vedi... dovrei, forse... non so, potrei... ma, insomma...” comincia lei, a monosillabi.
“Non ho capito nulla.” La blocco improvvisamente, interrompendo il suo balbettare.
“Beh, non è facile parlarne...” si scusa, un po’ in imbarazzo. Mi fa quasi pena.
“Ma stiamo parlando di...?”
Questa donna ha qualche complesso di troppo, e non vorrei che la causa di tutto ciò sia...
“Toichi...Sì, insomma, noi non abbiamo più di quei rapporti. Tu non potresti darmi qualche consiglio?”
Mi ritrovo a fare la consulente amorosa alla moglie del mio ex fidanzato che prova ogni secondo ad uccidere me e tutta la mia famiglia. Stravagante.
“E se posso permettermi... perché?” le chiedo, quasi divertita.
“Beh.. è come se non si creasse l’occasione... Per favore, dammi qualche consiglio! A te gli uomini cadono ai piedi!” esclama, mentre l’auto continua a percorrere il suo tragitto. Dovremmo quasi essere arrivate a destinazione, ormai.
“Ehm...” provo a rispondere, ma in realtà vorrei solo ridere. “Potresti provocarlo... provaci.”
“Tu dici?” esita, con un’espressione per nulla convincente. Passano velocemente alcuni minuti, durante i quali la donna mi appare pensierosa e turbata, assorta nelle sue idee. Infatti, taciturna, sembra essersi anche dimenticata di scendere dall’auto dell’uomo che ci ha accompagnati alla base. La sento richiamare da lui, mentre da sola mi dirigo verso l’entrata, bussando alla porta. Riesco a rilassare qualche nervo nel vedere Heiji che viene ad aprirmi sornione, aspettando con pazienza che la moglie di Kemerl mi imiti. Mio cognato mi saluta con un misero cenno del capo, e non sembra affatto interessato al motivo per cui sono qui con loro, adesso. Comincio a mordermi il labbro, in evidente difficoltà. Sicuramente sarà arrabbiato con e per Shinichi, ma probabilmente proverà rancore anche verso di me, la causa principale del litigio con il suo amico. Vorrei parlargli, ma il dovere mi chiama ed ha la voce di Gin.
L’uomo ci porta nell’appartamento sotterraneo, dove, dopo due giorni, rivedo la maggior parte degli scagnozzi di Kemerl, compreso il loro capo. Nel notarmi arrivare, l’uomo azzarda un sorriso benevolo, che si spegne all’arrivo della moglie che, intanto, sembra aver ripreso il suo atteggiamento fastidioso ed irritante.
“Ci siamo tutti?” chiede, osservandoci, ma il tono non sa di domanda, piuttosto di controllo. “Ok.”
“Il politico statunitense James Smith è un uomo residente in Giappone, molto ricco, con cui abbiamo già intrattenuto parecchi affari in questi mesi. Gin ha avuto l’onore di dirigere alcuni traffici di sostanze stupefacenti prelevando i soldi dai suoi vari conti, mentre io ho avuto modo di parlare con lui per telefono, in merito ad alcune elezioni. Purtroppo, l’idiota, si è fatto beccare dalla sua governante strafatto di eroina, e la donna ha deciso bene di chiamare subito la polizia e l’ambulanza. In seguito alla notizia, l’uomo si è separato dalla moglie ed ha perso la sua rilevanza in parlamento. Attualmente è agli arresti domiciliari, ma non possiamo permetterci che spifferi qualcosa su di noi, non avendo più nulla da perdere.”
Ci spiega la donna, con il massimo della serenità e disinvoltura. Mi stringo nelle braccia, mentre mi chiedo cosa vogliono da me, e cosa c’entri io in questa storia.
Viene a chiarirmi le idee Gin, accostandosi di fronte a me. Averlo così vicino mi da il disgusto, ma non posso fare altro che assecondarlo, impossibilitata a reagire come vorrei.
“Tu...” dice, indicandomi. “Dovrai farlo cadere nella trappola. L’uomo è amante delle belle donne, e vederne una in carne ed ossa dopo tanto tempo non gli farà altro che piacere. Gli farai credere di essere lì per lui, di volergli regalare una bellissima nottata, e gli farai qualche carezza. Non farlo spogliare, spogliati tu. Bendagli gli occhi, giocaci un po’, e quando sei pronta, aspetta che arrivi io. Lo impiccheremo e faremo passare tutto per un suicidio. Capito tutto?”
“Eh?!”
Mi lascio sfuggire un gemito tra lo stupore e la paura, che attira l’attenzione di tutti i presenti su di me. Tossicchio, cercando di mascherarlo, mentre nel mio cervello risuonano le parole di Gin, e il compito che mi è stato affidato. Dovrei uccidere un uomo?
Sbianco al pensiero, totalmente succube del panico. Vorrei tanto che Shinichi mi fosse accanto in questo momento e che architetti qualche ingegnoso piano che possa tirarmi fuori da questa situazione.
Ma l’unico ad avvicinarsi nuovamente è Gin, che con il suo alito tra il fumo e l’alcool, mi priva del respiro.
“Allora? Hai capito tutto?”
Annuisco, senza nemmeno volere. Alzo leggermente lo sguardo verso Heiji, che sembra volermi dire qualcosa usando i suoi occhi.
“Partiremo io e te, da soli. Tre giorni e poi rientriamo.”
Scatto il capo verso quello dell’uomo che mi sta parlando.
“S-Soli?” Dovrei stare tutto quel tempo, da sola, per giunta a Niigata, con Gin? A lui farebbe sicuramente piacere, così da completare quello che ha iniziato qualche giorno fa, ma io come farò a difendermi? Potrei usare il karate, ma se lui avesse delle armi, e ce le ha, cosa farei?
“Sì, bellezza... soli.”
“Vengo anche io.”
E’ lo spiffero di una voce familiare, che proviene dal fondo della stanza. E’ quella di Kemerl. Si è alzato dalla poltrona sulla quale era seduto, e si è avvicinato al suo subordinato, incutendogli un minimo di paura.
“Ma Toichi...” bisbiglia la moglie, palesemente contraria. Io mi torturo le mani, ancora più in difficoltà. Di male in peggio direi.
“Capo ma è inutile... ce la caveremo perfettamente.” Lo rassicura Gin, ma lui non sembra demordere.
“Niente ma... vengo anche io.” Ripete nuovamente, con un tono ancora più deciso. Alzo gli occhi e lo trovo ad osservarmi e a sorridermi. Vorrei tanto decifrare quegli innumerevoli sorrisi che mi regala, ma la situazione non mi permette di concentrarmi su queste sottigliezze.
La situazione mi dice che devo stare, da sola, tre giorni con Gin e Kemerl per uccidere un uomo che, nonostante tutto, non merita di morire. E la situazione non mi piace per nulla.
“Vengo anche io allora.” Stavolta è Heiji a parlare, attraverso la voce di Nishi.
E stavolta l’attenzione dei presenti è presa dalle sue parole, così dirette e... inadeguate.
Mi volto anch’io verso di lui, stando attenta a non chiamarlo per nome per chiedergli spiegazioni.
La moglie di Kemerl e Gin gli mandano un’occhiata torva, mentre il nostro capo si lascia andare ad un’altra risatina.
“Non abbiamo bisogno di te.” Sputa fuori la donna, seguita a ruota da Gin.
“Ho una buona mira, casomai servisse, potrei esservi d’aiuto.”
“Ti abbiamo detto che non...”
“Perché vuoi venire?” gli chiede Kemerl, puntando gli occhi nei suoi, con decisione.
Heiji riesce a mantenere fisso lo sguardo, sebbene sia un po’ in difficoltà.
“L’ho detto... potrei servirvi.”
“Non abbiamo bisogno di un cecchino.”
“Ma forse di un uomo in più sì...”
E durante il discorso, i nostri volti guizzano da Heiji a Kemerl, come se tutti stessimo assistendo ad una partita di tennis, una di quelle più avvincenti.
Ma la nostra attenzione ricade nuovamente sul viso del nostro capo, che riprende parola.
“Tu pensi che io ti creda?”
Sbianco, e penso lo stia facendo anche Heiji, sotto quella faccia di plastica. Non penso abbia intenzione di svelare le nostre identità, e di scatenare guerra in sede stante, però...
“Perché non dovresti?”
Il mio ex fidanzato fa spallucce, e sorride.
“Forse non ti va giù che la bella Vanille parta da sola con due uomini...”
Abbasso il capo, evitando il suo sguardo, mentre mio cognato rimane per un po’ in silenzio, incapace a rispondere.
“Vanille sa cavarsela... non ha bisogno di me.” Recita, forse anche un po’ male.
“Nemmeno noi.” Risponde Kemerl, ghignando. Attraversa l’intera stanza, fissandolo con tenacia, per poi darci le spalle, a tutti.
“E’ deciso allora. Partiamo io, Vanille e Gin, domani. Andate a preparare le valigie ragazzi.”
Heiji stringe i pugni amareggiato, mentre io rimango basita ad osservarlo andarsene.
Ma è sempre lui, prima di lasciare l’appartamento, a riavvicinarsi, e a mandarmi uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici.
“Dimenticavo, cara Vanille... andremo a Niigata.” Mi avvisa, ghignando. “Contenta?”
Distolgo lo sguardo, evitando il suo.
“Contentissima...” Rispondo, con grave amarezza.
In fondo lo sapevo già. Non sono mai stata simpatica al destino.
 
*
 
“Grazie per averci provato.”
Rompo il silenzio che è caduto su di noi, e che aveva raggelato l’atmosfera, dal momento in cui Heiji ha deciso di riaccompagnarmi a casa. Dopo essere usciti dall’appartamento, con la grazia improvvisa di Kemerl, abbiamo potuto raggiungere l’auto, nel sostanziale mutismo di mio cognato che, alle mie parole, ricambia con un abbozzo di sorriso, senza staccare gli occhi dalla strada.
“Ho fallito però.” Rammenta amaro, continuando a fissare le macchine dinanzi a lui. “Come sempre.” Aggiunge, dal tono ancora più aspro e pungente, probabilmente percosso dalle parole pesanti di Shinichi. Abbasso lo sguardo verso il tappetino, ma repentinamente torno a guardarlo. Non riesco a sopportare debbano comportarsi in questo modo!
“Heiji...” lo richiamo, ma il suono del suo nome non attira la sua attenzione. “Shinichi era arrabbiato quando ha detto quelle cose... sai bene che non le pensa davvero.” Provo a chiarire, convinta di ciò che stia affermando. So bene che mio marito stima tantissimo l’amico e collega, ma il suo carattere orgoglioso e testardo non gli permette di dimostrarlo appieno, e tende a creare disguidi e dissapori, che non hanno alcuna reale fondamenta.
Heiji sorride sarcastico, mantenendosi il capo con una mano, mentre l’altra mantiene il volante con sicurezza.
“Sì, come no.”
Allargo le palpebre, sospirando sorpresa.
“Dai Heiji... lui è fatto così. Non sembra, ma ci tiene a te!”
Gira di scatto il suo viso verso il mio, preso dalle mie parole. Sorride ancora, ma come se quello che stessi dicendo fosse un’eresia. Poi torna ad osservare la strada, e a concentrarsi sulla guida.
“No... ci tiene quando ne ha bisogno.”
“Lui non è un approfittatore, lo sai.” Chiarisco immediatamente, sentendomi un po’ offesa.
“Non dico che lo sia. Dico solo che non mi ha mai visto alla sua altezza! Io ho sempre fatto di tutto per lui! Mi sono finto lui per depistare i tuoi sospetti, ho indagato per tirarlo fuori da guai, mi sono messo a disposizione per i suoi piani... rischiando la vita, e senza mai chiedere nulla in cambio!* E qual è il ringraziamento!? Questo!?”
“Heiji...” soffio amara, ma non faccio in tempo a dire altro, bloccata nuovamente dalle sue parole.
“Mi hai visto quando pensavamo fosse morto, no? Hai visto come stavo male?! Se ho fatto tutto questo è stato solo per lui!”
“Ma Heiji...” continuo a chiamarlo, nel tentativo di farlo ragionare.
“E poi... chi è che si è sempre considerato il suo migliore amico? Eh? Io! L’hai mai sentito apostrofare me come suo migliore amico?! Prima credevo non lo dicesse per carattere, ma adesso ho capito che non l’ha mai pensato... sennò, se davvero mi avesse considerato come un fratello, avrebbe fatto affidamento su di me, e non su Kid!”
Abbasso il capo, rendendomi conto che provare a parlare oltre sia sostanzialmente inutile. Ma, in fondo, cosa dovrei dirgli? Sebbene ami e adori Shinichi, Heiji ha le sue ragioni per comportarsi così, e nessuno potrà mai fargliele cadere. Così, mentre il silenzio torna a calare nell’autoveicolo, aspetto che la macchina arrivi a destinazione e che mio cognato sbollisca un po’ la rabbia, distraendosi nella guida. Dopo alcuni interminabili minuti, finalmente riesco ad intravedere dal finestrino il fabbricato dell’appartamento dove, negli ultimi giorni, ho vissuto con Shinichi. Scendo dall’auto repentinamente, desiderosa di rivedere Conan e mio marito, e preoccupata per la sorte dei due a causa della presenza di Akito.
“Non sali tu?”
Mio cognato scuote il capo, simulando una smorfia. Aspetta che chiuda lo sportello per dare gas all’auto, e scomparire dietro la prima curva della strada. Sospiro rassegnata, e avanzo verso l’appartamento. Apro la porta, facendo scattare le varie serrature, ritrovandomi di fronte il soggiorno, inghiottito nell’oscurità. Non vi è traccia né di Shinichi né di mio figlio. Cammino un po’, ed accendendo le luci,  ritrovo Akito seduto sul divano ad aspettarmi, con le braccia incrociate.
"Wunderwaffe?"

 
 
 
***
Precisazioni:
(…)Mi sono finto lui per depistare i tuoi sospetti, ho indagato per tirarlo fuori da guai, mi sono messo a disposizione per i suoi piani... rischiando la vita, e senza mai chiedere nulla in cambio! (…):
Heiji si riferisce, rispettivamente, ai casi del Cavaliere Nero, dello Shiragami, e dell’Halloween Party.
***




Angolino autrice:
Lo soooooo!!! Sono imperdonabile!! Ultimamente non riesco proprio a concentrarmi sulla scrittura, e poi, quando lo faccio, cerco di rendere le cose al meglio...
essendo questi gli ultimi capitoli :) Spero che, almeno, ci stia riuscendo XD 
Allora... Shinichi e Ran vengono nuovamente interrotti XD e stavolta Shin se la prende, poverino XD
Avevo forse detto che non ci sarebbero state più scene hot? Cosa volete da me, questi genitori sconsiderati non pensano ad altro! :P
Così a spezzare l'atmosfera, in casa Wunderwaffe/Kudo, arriva Cikage con i suoi uomini e nota che Conan se la sta praticamente spassando... e così, lascia che Akito si occupi del bimbo, mentre porta Ran alla base per affidarle un compito! Proprio così.. dovrà partire per tre giorni da sola con Kemerl e Gin, come la prenderà Shinichi? XD
E la moglie di Kemerl che chiede consigli sessuali a Ran?! XD e lei che fa la gelosona! "No, è tua impressione!" XD Se se XD
Ed Heiji, invece, che ha provato a salvare la situazione ma... Kemerl non gliel'ha permesso? Secondo voi, perché?
E che ne pensate di Hattori che si sfoga con Ran... e quest'ultima che arriva a casa e trova Akito con aria inquietante seduto sul divano, immerso nell'oscurità?
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Ringrazio Il Cavaliere Nero, aoko_90, LunaRebirth_, Delia23, Kaori_, Scandal, Martins, xthesoundofsea e Black_Princy per aver commentato il precedente capitolo!
Grazie anche a Scandal per aver inserito la storia tra le preferite, e MildeAmasoj per averla inserita tra le seguite!


Alla prossima!
Besos,

Tonia
   
 
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