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Autore: Deirbhile    18/09/2012    1 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo dieci: Quando la vita è perfetta

 

Era tutto così grigio, così spento mentre l’aereo decollava e toglieva la possibilità a Chiara di toccare ancora con i piedi l’Austria. Guardò fuori dal finestrino, con lo sguardo appannato e lento, mentre vedeva ogni lembo di terra sottrarsi con un movimento fluido alla sua vista, ogni particella d’aria lottare contro il vetro dell’oblò per scompigliarle i capelli rossi. Sentì la cintura che la agganciava al sedile, senza la quale le sarebbe davvero parso di poter volare come un uccello a primavera, arpionarle fastidiosamente lo stomaco, mentre con la mente divagava oltre i limiti del consentito. Non era mai stata una grande sognatrice, Chiara. Immaginava, questo si, ma senza mai illudersi o avere la forza di credere che ciò che voleva si sarebbe avverato sul serio. Come quella volta, quando a dieci anni il suo criceto, Mr. Hyde, era morto e lei aveva spesso immaginato di poterlo accarezzare di nuovo, ma il suo animaletto non era mai ritornato.

 “I sogni sono solo sogni e l’immaginazione spesso ci inganna, altrimenti Mr. Hyde sarebbe tornato da me

aveva detto a sua nonna Agnes in una lettera. Ma l’essere così lontani dalla terra, dal dolore umano, dalle lacrime le davano la spinta per rivalutare i suoi sogni, i pochi che le erano rimasti. Guardò oltre il vetro per scorgere meglio il paesaggio. Ce li aveva dei sogni? A parte il forte desiderio di essere qualcuno nella vita? Subito sotto di lei cominciarono ad alternarsi pianure verdi, giallognole e via via più scure come i capelli di Roberta, la quale osservava con medesimo sguardo assorto il paesaggio che offriva la fila adiacente. Chiara non vedeva più nulla se non ciò che stava lasciando, seppur a malincuore, senza che riuscisse a imprimersi quegli ultimi dettagli del suo viaggio nei ricordi.  Sogni: come fidarsi di una parola così ingannevole?

E che cosa doveva sognare poi? Di sposarsi con l’uomo dei suoi sogni, di avere tanti bei bambini e un lavoro fisso? Troppo banale.

 Storse il labbro inferiore, tornando a fissare il tessuto spugnoso che ricopriva il sedile di fronte a lei.

Sentiva il suo cuore rallentare i battiti mano a mano che l’aereo prendeva quota, mentre vicino a lei Carmen parlottava con Ivan sulla serata precedente. Il flusso indefinito di pensieri di Chiara venne improvvisamente interrotto, la spirale acquea attraverso cui vorticavano nella sua testa fu brutalmente dissolta.

- E tu? Che fine hai fatto ieri? Dopo Party rock non ti abbiamo più vista…-  chiese curiosa l’amica, sporgendosi verso il suo viso per sentire meglio. Le arrivò un sospiro secco, spezzato, e una voce flebile e taciuta.

- Sono uscita a prendermi una coca cola-

- Non  me la conta giusta, non è che centra Flavio?- proruppe Ivan, stringendosi fra gli occhi le lenti spesse. Sembrò dare un’occhiata fulminea alla testa castana dell’amico,  seduto qualche posto più avanti. Chiara scoppiò a ridere, sentendo la sua gabbia toracica sbattere quasi violentemente contro la cintura di sicurezza.

- Certo che no…  da quando avete tutti questi sospetti su di me?-  domandò, reprimendo un risolino nervoso. Carmen si scambiò uno sguardo d’intesa con il ragazzo, poi partì in quarta.

- Oh andiamo, non fare la finta tonta, ieri sera eri uno schianto e vuoi farmi credere che nessun ragazzo ci ha provato con te?-

Quella scosse la testa, con aria di sufficienza. Alzò un sopracciglio, perplessa, poi tornò a tormentare la stoffa del sedile.

- Ma se persino Monteverde e company non la smettevano di guardarti! Avresti dovuto vedere le loro facce…  quella di Della Corte, poi!- rise Ivan, dando un colpetto al braccio della mora. Chiara smise simultaneamente di maciullare la tappezzeria e puntò gli occhi in quelli dell’amico. Le sembrava proprio un gufo, visto da quell’ angolazione, con i capelli ricci afflosciati sulla fronte e gli occhi spalancati. Con che faccia l’aveva guardata, Della Corte?

 Sembrò pensarci su per un po’, poi si convinse che di certo non era una cosa di cui curarsi. Sarebbe parso troppo sospetto agli occhi di due pettegoli come loro.

-… un misto di disprezzo, invidia e… non lo so, qualcosa come l’ammirazione. - continuò Carmen, fissando il vuoto.

- Confermo. Sembrava avesse visto un fantasma. Il fantasma più bello di tutti, però- asserì Ivan. La rossa perse un battito, abbassando lo sguardo sulle scarpe. Colpa della turbolenza. O forse no.

- Non c’è nessun ragazzo nella tua vita? Insomma, dopo Alessio…- domandò di nuovo l’amico, critico. Lei rispose seccamente di no, mentre guardava per un ultimo istante Roberta poggiare la testa al sedile e chiudere gli occhi, poi tornò a guardare il finestrino.

In effetti ora che Chiara ci pensava, non aveva mai sperimentato l’amore, o almeno ne aveva provato solo un surrogato. Qualche mese prima, mentre ancora Riccardo si crucciava per la storia con Monica, aveva preso ad uscire con un ragazzo, Alessio, il cugino diciassettenne di Carmen. Niente da dire su di lui, davvero. Piuttosto carino, alto e moro come la cugina, forse non dotato scolasticamente quanto lei,spiritoso e leggermente gonfiato, ma tutto sommato niente male. Peccato che Chiara non avesse provato assolutamente nulla al di là del piacere per la novità, era stato il suo primo ragazzo fisso. Le vennero in mente i suoi occhi verdognoli e giocosi, ma li scacciò subito dalla sua mente, provando fastidio.

Quanto l’ aveva irritava l’atteggiamento da cascamorto di Alessio, il suo essere così sicuro e auto compiacente, il suo atteggiamento soffocante di gelosia. Così, senza pensarci due volte, capendo che non era necessario avere un ragazzo per essere felice,  l’aveva mollato dopo quasi due mesi di relazione.

 L’amore non poteva provocare fastidio, no?  

Pensò a Roberta, prima di addormentarsi per la stanchezza del viaggio. Anche il suo amore non doveva essere un gran che.

 

                                                                                         -

- Svegliati, rossa-

Chiara ricevette uno scossone e si destò subito quando capì che quella non era la voce di Carmen. Una voce dura e melliflua allo stesso tempo. Aprì gli occhi e si ritrovò di fronte Della Corte, che si sporgeva verso di lei per osservarla con i suoi pungenti occhi azzurri.

- Che c’è?- gracchiò, strofinandosi le palpebre. L’altra aggrottò le sopracciglia e si allontanò di colpo.

- Siamo arrivati-

- Dove sono Carmen e Ivan?- 

- La Morra li ha chiamati, hanno avuto… dei problemi con i loro bagagli a mano- la freddò, con una voce neutra e a tratti spezzata da una lieve incertezza. La rossa annuì e, ancora intontita dal sonno, si sganciò la cintura.

- Aspetta… siamo in Italia?- domandò poi curiosa e anche un po’ delusa. Roberta roteò gli occhi, con fare spazientito.

- A Roma. Muoviti o perderemo il pullman – sentenziò, lasciandosi cadere sul sedile di fianco a quello di Chiara. Si guardò intorno, quasi tutta la classe era scesa verso l’aeroporto, fra i corridoi della terza classe si vedevano solo pochi turisti e hostess vestite di rosso. La riccia stette in silenzio mentre la compagna tirava giù dagli scompartimenti la sua sacca di stoffa consunta, torturandosi le labbra pallide con i denti. A vederla così pensierosa, Chiara pensò bene di spronarla a parlare, sebbene sapesse fosse una cosa inutile.

- Va tutto bene? Jet lag?-

Il suo tono era quasi premuroso. Roberta sembrò sorprendersi del fatto che si stesse riferendo proprio a lei.

- Pensavo che è stata proprio una bella settimana-  disse solo, sorridendo in modo enigmatico, per poi avviarsi verso il portellone di uscita dell’aereo. Sbucarono nell’aria di una tarda serata italiana, con la luna che campeggiava bianca nel cielo azzurro e le prime luci della lontana città  che si proiettavano come un miraggio favoloso ai loro occhi sfiniti.  

Il pullman che li avrebbe riportati a casa li aspettava proprio fuori l’aeroporto, dove un via vai di gente con le valigie riempiva di scalpiccii l’atmosfera. Chiara vi salì sopra e si accasciò su primo sedile libero, mentre una strana malinconia cominciò a gravarle sul cuore. A fianco a lei, Sabrina muoveva la testa a ritmo di musica, con le cuffie nelle orecchie , e dal finestrino Roma agitava i suoi paesaggi contro il vetro.

“E’ stata proprio una bella settimana” si ripeté la rossa, adattando quella frase al suo timbro di voce, così diverso da quello di Della Corte.  Peccato che con Vienna lei avesse dovuto lasciare anche la vera Roberta.

                                                                                                          -

 

Qualche ora dopo il loro pullman aveva imboccato l’uscita dell’autostrada che portava direttamente al centro del loro paesino. Erano saliti di quota, lo si poteva intuire dell’aria fredda che sferzava il loro volti dal finestrino del conducente. Ai bordi dei campi ancora c’era la neve di qualche settimana prima e dal cielo scendeva una leggera pioggerella. Fu  al tramonto che finalmente la II E scese stremata sulla via del Corso e recuperò i suoi bagagli, mentre all’angolo si intravedeva già una piccola folla di parenti. Spinse sulle ruote la sua valigia verde mela e, con i capelli rossi stretti in una treccia, Chiara intravide sua madre mentre parlava con la zia di Carmen. Roberta, casualmente, le passò accanto e nella foga di andarsene la spintonò. Le sorrise frettolosamente, per poi sparire fra le braccia di suo padre, un uomo grassoccio e con la faccia da bonaccione.

Si sentiva disorientata e accelerò il passo per raggiungere Margaret, ma qualcosa la indusse a fermarsi di botto. Ivan, che era proprio dietro di lei, la guardò perplesso. Poi capì.

- Lo dicevo io, che c’era qualche ragazzo- brontolò compiaciuto, accennando alla figura bionda di Riccardo, appoggiata poco distante ad un muro. Chiara si sentì ancora più debole e spossata, realizzando che lui era proprio lì. Lo vide avvicinarsi, piano e sicuro, con il suo solito cappello di lana azzurro e i lineamenti irrigiditi dal freddo. Quando le fu abbastanza vicino non disse nulla, si limitò a guardarla con quegli disarmanti occhi chiari. Si osservarono per una frazione di secondo, come a tastare se davvero le cose fossero cambiate. Erano cambiate? Riccardo l’aveva mai guardata con tanta intensità?

- Ciao- cominciò quello, esitante. Ma poi si gettò completamente fra le braccia della ragazza, stringendola così forte da farle dimenticare dove si trovava.

- Riky- mugolò Chiara, strofinando il naso infreddolito sul collo di pelliccia della sua giacca. Le era mancato, cavolo se il suo migliore amico le era mancato. Riccardo le  passo una mano fra la frangia scarlatta, andandole a posare un bacio proprio dove la pelle era coperta da quel ciuffo. Non faceva più poi così tanto freddo.

- Finalmente…- sospirò il ragazzo, staccandosi per un attimo da lei. Avevano bisogno di respirare per rimanere lucidi.

- Mi sei mancato- bisbigliò la rossa, arricciando in modo adorabile le labbra. L’altro scoppiò a ridere sommessamente, un po’ per dissimulare l’imbarazzo e un po’ perché aveva bisogno di dare sfogo alla sua improvvisa felicità. Le posò una mano sul braccio, stringendolo piano.

- Tu non sai quanto- continuò, mentre distrattamente passava le dita fra le ciocche della scompigliata treccia dell’amica.

Quella sorrise di nuovo, sentendo qualcosa muoversi nel profondo del suo stomaco.

 Una parvenza di pace mista a torpore, simile solo alla sensazione di caldo confortevole che emanavano le coperte verso le sei e mezzo del mattino.

- Allora come stai? Devi raccontarmi tutto!- Riccardo l’agguantò delicatamente per un braccio e le prese la sacca, per poi caricarsela in spalla con nonchalance. Chiara sussurrò un grazie,  con un sorriso che di sicuro doveva essere sproporzionato al suo viso. Quando arrivarono all’angolo, chiacchierando, Margaret si fece avanti, smettendo di parlare con una donna corpulenta.

- Chiara! Oh, dear!- esclamò, con fare leggermente teatrale. Che fosse davvero così felice di rivederla? L’abbracciò frettolosamente, si sentiva un po’ a disagio fra le braccia di sua madre, dopo essere stata cinta con tanta irruenza da Riccardo. La donna dai capelli ramati sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza del ragazzo.

- Ah, Riccardo… Vedo che hai già preso i bagagli. Che gentiluomo-  mormorò concitata, stringendosi nel cappotto, e fissando il biondo negli occhi. Quello abbassò di poco lo sguardo, con fare remissivo e imbarazzato. Era incredibile come lo sguardo di Margaret gli ricordasse quello acuto e indagatore della sua migliore amica. La ragazza sentì sua madre darle una pacca amichevole sulla schiena e suggerirle di tornare a piedi con il suo amico, visto che doveva andare a prendere suo padre in ufficio per un imprevisto. Non le sfuggì il singolare tono con cui pronunciò la parola amico. Come a dirle “so tutto, tesoro”.

 Si sentì colta nel sacco e per di più dalla persona più distratta della sua vita. Arrossì vistosamente e seguì lungo il corso l’ombra che proiettava la figura prominente di Riccardo. Casa sua era una delle villette che si trovavano subito dopo il parco con il chiosco che di solito frequentavano, costruzioni tutte uguali con un piccolo giardinetto prima dell’ingresso. Passarono vicino alla libreria dove Chiara lavorava in estate e dalla piccola vetrina appannata vide Giovanna farle un saluto frettoloso, mentre cercava di sistemare i libri sui diversi scaffali.

- Con chi hai dormito in stanza?- le domandò curioso l’amico. Cercò di rispondergli, ma i suoi occhi erano irrimediabilmente attirati dai libri. Scosse la testa con aria di insofferenza.

- Ho convissuto con Della Corte per tutta la settimana- disse in risposta, assorta.  Pensò a Roberta, senza ragione, e si chiese dove mai potesse essere in quel momento. Probabilmente nella sua casa perfetta, con i suoi amici perfetti, i capelli perfetti e un livido sul braccio a ricordarle che qualcosa nella vita deve pur andare storto. La fioca sensazione di pace che le aveva infuso la presenza di Riccardo era improvvisamente sfumata in qualcosa di più deciso, uno spiraglio irruente di natura poco identificabile.

- Roberta Della Corte? Chi, una di quelle ochette di cui di tanto in tanto mi parli!?-

- Esatto, è stato strano…- continuò la rossa, marcando bene l’ultima parola. Strano. Un’altra contrazione delle viscere.

- Davvero? Beh, immagino…-

-  … non ci siamo nemmeno uccise a vicenda dopo un quarto d’ora da sole nella stessa stanza, pensa-

- Si e magari diventare anche amiche!-

 Riccardo scoppiò a ridere, una risata prorompente, quasi violenta. A Chiara però parve più vera di ciò aveva vissuto fino a quel momento. Rideva perché era impossibile, perché Roberta era una stronza senza cuore e lei soltanto una rossa mezza cotta del suo migliore amico. Rabbrividì, forse per il freddo o forse per l’ineluttabilità di quel pensiero. Riky le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse forte, con decisione. Camminarono verso casa sua, senza dirsi niente, col rumore dei passi sull’asfalto che gli ricordava di tanto in tanto la realtà delle cose. Curioso come invece nelle loro teste infuriasse il caos più rumoroso.

 

  
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