Era tutto così grigio, così spento
mentre l’aereo decollava e toglieva la possibilità a Chiara di toccare ancora
con i piedi l’Austria. Guardò fuori dal finestrino, con lo sguardo appannato e
lento, mentre vedeva ogni lembo di terra sottrarsi con un movimento fluido alla
sua vista, ogni particella d’aria lottare contro il vetro dell’oblò per
scompigliarle i capelli rossi. Sentì la cintura che la agganciava al sedile,
senza la quale le sarebbe davvero parso di poter volare come un uccello a
primavera, arpionarle fastidiosamente lo stomaco, mentre con la mente divagava
oltre i limiti del consentito. Non era mai stata una grande sognatrice, Chiara.
Immaginava, questo si, ma senza mai illudersi o avere la forza di credere che
ciò che voleva si sarebbe avverato sul serio. Come quella volta, quando a dieci
anni il suo criceto, Mr. Hyde, era morto e lei aveva
spesso immaginato di poterlo accarezzare di nuovo, ma il suo animaletto non era
mai ritornato.
“I sogni sono solo sogni e l’immaginazione spesso ci
inganna, altrimenti Mr. Hyde sarebbe tornato da me”
aveva detto a
sua nonna Agnes in una lettera. Ma l’essere così
lontani dalla terra, dal dolore umano, dalle lacrime le davano la spinta per
rivalutare i suoi sogni, i pochi che le erano rimasti. Guardò oltre il vetro
per scorgere meglio il paesaggio. Ce li aveva dei sogni? A parte il forte
desiderio di essere qualcuno nella vita? Subito sotto di lei cominciarono ad
alternarsi pianure verdi, giallognole e via via più
scure come i capelli di Roberta, la quale osservava con medesimo sguardo
assorto il paesaggio che offriva la fila adiacente. Chiara non vedeva più nulla
se non ciò che stava lasciando, seppur a malincuore, senza che riuscisse a
imprimersi quegli ultimi dettagli del suo viaggio nei ricordi. Sogni:
come fidarsi di una parola così ingannevole?
E che cosa
doveva sognare poi? Di sposarsi con l’uomo dei suoi sogni, di avere tanti bei
bambini e un lavoro fisso? Troppo banale.
Storse
il labbro inferiore, tornando a fissare il tessuto spugnoso che ricopriva il
sedile di fronte a lei.
Sentiva il suo
cuore rallentare i battiti mano a mano che l’aereo prendeva quota, mentre
vicino a lei Carmen parlottava con Ivan sulla serata precedente. Il flusso
indefinito di pensieri di Chiara venne improvvisamente interrotto, la spirale
acquea attraverso cui vorticavano nella sua testa fu brutalmente dissolta.
- E tu? Che
fine hai fatto ieri? Dopo Party rock non
ti abbiamo più vista…- chiese curiosa l’amica, sporgendosi verso il suo
viso per sentire meglio. Le arrivò un sospiro secco, spezzato, e una voce
flebile e taciuta.
- Sono uscita
a prendermi una coca cola-
- Non me
la conta giusta, non è che centra Flavio?- proruppe Ivan, stringendosi fra gli
occhi le lenti spesse. Sembrò dare un’occhiata fulminea alla testa castana
dell’amico, seduto qualche posto più avanti. Chiara scoppiò a ridere,
sentendo la sua gabbia toracica sbattere quasi violentemente contro la cintura
di sicurezza.
- Certo che
no… da quando avete tutti questi
sospetti su di me?- domandò, reprimendo
un risolino nervoso. Carmen si scambiò uno sguardo d’intesa con il ragazzo, poi
partì in quarta.
- Oh andiamo,
non fare la finta tonta, ieri sera eri uno schianto e vuoi farmi credere che
nessun ragazzo ci ha provato con te?-
Quella scosse
la testa, con aria di sufficienza. Alzò un sopracciglio, perplessa, poi tornò a
tormentare la stoffa del sedile.
- Ma se
persino Monteverde e company non la smettevano di
guardarti! Avresti dovuto vedere le loro facce…
quella di Della Corte, poi!- rise Ivan, dando un colpetto al braccio
della mora. Chiara smise simultaneamente di maciullare la tappezzeria e puntò
gli occhi in quelli dell’amico. Le sembrava proprio un gufo, visto da quell’ angolazione, con i capelli ricci afflosciati sulla
fronte e gli occhi spalancati. Con che faccia l’aveva guardata, Della Corte?
Sembrò
pensarci su per un po’, poi si convinse che di certo non era una cosa di cui
curarsi. Sarebbe parso troppo sospetto agli occhi di due pettegoli come loro.
-… un misto di
disprezzo, invidia e… non lo so, qualcosa come l’ammirazione. - continuò
Carmen, fissando il vuoto.
- Confermo. Sembrava avesse visto un
fantasma. Il fantasma più bello di tutti, però- asserì Ivan. La rossa perse un
battito, abbassando lo sguardo sulle scarpe. Colpa della turbolenza. O forse no.
- Non c’è nessun ragazzo nella tua
vita? Insomma, dopo Alessio…- domandò di nuovo l’amico, critico. Lei rispose
seccamente di no, mentre guardava per un ultimo istante Roberta poggiare la
testa al sedile e chiudere gli occhi, poi tornò a guardare il finestrino.
In effetti ora
che Chiara ci pensava, non aveva mai sperimentato l’amore, o almeno ne aveva
provato solo un surrogato. Qualche mese prima, mentre ancora Riccardo si
crucciava per la storia con Monica, aveva preso ad uscire con un ragazzo,
Alessio, il cugino diciassettenne di Carmen. Niente da dire su di lui, davvero.
Piuttosto carino, alto e moro come la cugina, forse non dotato scolasticamente
quanto lei,spiritoso e leggermente gonfiato, ma tutto sommato niente male.
Peccato che Chiara non avesse provato assolutamente nulla al di là del piacere
per la novità, era stato il suo primo ragazzo fisso. Le vennero in mente i suoi
occhi verdognoli e giocosi, ma li scacciò subito dalla sua mente, provando
fastidio.
Quanto l’
aveva irritava l’atteggiamento da cascamorto di Alessio, il suo essere così
sicuro e auto compiacente, il suo atteggiamento soffocante di gelosia. Così,
senza pensarci due volte, capendo che non era necessario avere un ragazzo per
essere felice, l’aveva mollato dopo quasi due mesi di relazione.
L’amore
non poteva provocare fastidio, no?
Pensò a
Roberta, prima di addormentarsi per la stanchezza del viaggio. Anche il suo
amore non doveva essere un gran che.
-
- Svegliati,
rossa-
Chiara
ricevette uno scossone e si destò subito quando capì che quella non era la voce
di Carmen. Una voce dura e melliflua allo stesso tempo. Aprì gli occhi e si ritrovò
di fronte Della Corte, che si sporgeva verso di lei per osservarla con i suoi
pungenti occhi azzurri.
- Che c’è?-
gracchiò, strofinandosi le palpebre. L’altra aggrottò le sopracciglia e si
allontanò di colpo.
- Siamo
arrivati-
- Dove sono
Carmen e Ivan?-
-
- Aspetta…
siamo in Italia?- domandò poi curiosa e anche un po’ delusa. Roberta roteò gli
occhi, con fare spazientito.
- A Roma.
Muoviti o perderemo il pullman – sentenziò, lasciandosi cadere sul sedile di
fianco a quello di Chiara. Si guardò intorno, quasi tutta la classe era scesa
verso l’aeroporto, fra i corridoi della terza classe si vedevano solo pochi
turisti e hostess vestite di rosso. La riccia stette in silenzio mentre la
compagna tirava giù dagli scompartimenti la sua sacca di stoffa consunta, torturandosi
le labbra pallide con i denti. A vederla così pensierosa, Chiara pensò bene di
spronarla a parlare, sebbene sapesse fosse una cosa inutile.
- Va tutto
bene? Jet lag?-
Il suo tono
era quasi premuroso. Roberta sembrò sorprendersi del fatto che si stesse
riferendo proprio a lei.
- Pensavo che
è stata proprio una bella settimana- disse solo, sorridendo in modo
enigmatico, per poi avviarsi verso il portellone di uscita dell’aereo.
Sbucarono nell’aria di una tarda serata italiana, con la luna che campeggiava
bianca nel cielo azzurro e le prime luci della lontana città che si
proiettavano come un miraggio favoloso ai loro occhi sfiniti.
Il pullman che
li avrebbe riportati a casa li aspettava proprio fuori l’aeroporto, dove un via
vai di gente con le valigie riempiva di scalpiccii l’atmosfera. Chiara vi salì
sopra e si accasciò su primo sedile libero, mentre una strana malinconia
cominciò a gravarle sul cuore. A fianco a lei, Sabrina muoveva la testa a ritmo
di musica, con le cuffie nelle orecchie , e dal finestrino Roma agitava i suoi
paesaggi contro il vetro.
“E’ stata
proprio una bella settimana” si ripeté la rossa, adattando quella frase al suo timbro di
voce, così diverso da quello di Della Corte. Peccato che con Vienna lei
avesse dovuto lasciare anche la vera Roberta.
-
Qualche ora
dopo il loro pullman aveva imboccato l’uscita dell’autostrada che portava
direttamente al centro del loro paesino. Erano saliti di quota, lo si poteva
intuire dell’aria fredda che sferzava il loro volti dal finestrino del
conducente. Ai bordi dei campi ancora c’era la neve di qualche settimana prima
e dal cielo scendeva una leggera pioggerella. Fu al tramonto che finalmente
Si sentiva
disorientata e accelerò il passo per raggiungere Margaret,
ma qualcosa la indusse a fermarsi di botto. Ivan, che era proprio dietro di
lei, la guardò perplesso. Poi capì.
- Lo dicevo
io, che c’era qualche ragazzo- brontolò compiaciuto, accennando alla figura
bionda di Riccardo, appoggiata poco distante ad un muro. Chiara si sentì ancora
più debole e spossata, realizzando che lui era proprio lì. Lo vide avvicinarsi,
piano e sicuro, con il suo solito cappello di lana azzurro e i lineamenti
irrigiditi dal freddo. Quando le fu abbastanza vicino non disse nulla, si
limitò a guardarla con quegli disarmanti occhi chiari. Si osservarono per una
frazione di secondo, come a tastare se davvero le cose fossero cambiate. Erano
cambiate? Riccardo l’aveva mai guardata con tanta intensità?
- Ciao-
cominciò quello, esitante. Ma poi si gettò completamente fra le braccia della
ragazza, stringendola così forte da farle dimenticare dove si trovava.
- Riky- mugolò Chiara, strofinando il naso infreddolito sul
collo di pelliccia della sua giacca. Le era mancato, cavolo se il suo migliore
amico le era mancato. Riccardo le passo una mano fra la
frangia scarlatta, andandole a posare un bacio proprio dove la pelle era
coperta da quel ciuffo. Non faceva più poi così tanto freddo.
- Finalmente…-
sospirò il ragazzo, staccandosi per un attimo da lei. Avevano bisogno di
respirare per rimanere lucidi.
- Mi sei
mancato- bisbigliò la rossa, arricciando in modo adorabile le labbra. L’altro
scoppiò a ridere sommessamente, un po’ per dissimulare l’imbarazzo e un po’
perché aveva bisogno di dare sfogo alla sua improvvisa felicità. Le posò una
mano sul braccio, stringendolo piano.
- Tu non sai
quanto- continuò, mentre distrattamente passava le dita fra le ciocche della
scompigliata treccia dell’amica.
Quella sorrise
di nuovo, sentendo qualcosa muoversi nel profondo del suo stomaco.
Una
parvenza di pace mista a torpore, simile solo alla sensazione di caldo
confortevole che emanavano le coperte verso le sei e mezzo del mattino.
- Allora come
stai? Devi raccontarmi tutto!- Riccardo l’agguantò delicatamente per un
braccio e le prese la sacca, per poi caricarsela in spalla con nonchalance. Chiara sussurrò un grazie, con un sorriso che di
sicuro doveva essere sproporzionato al suo viso. Quando arrivarono all’angolo,
chiacchierando, Margaret si fece avanti, smettendo di
parlare con una donna corpulenta.
- Chiara! Oh, dear!- esclamò, con fare leggermente teatrale. Che fosse
davvero così felice di rivederla? L’abbracciò frettolosamente, si sentiva un
po’ a disagio fra le braccia di sua madre, dopo essere stata cinta con tanta
irruenza da Riccardo. La donna dai capelli ramati sembrò accorgersi solo in
quel momento della presenza del ragazzo.
- Ah,
Riccardo… Vedo che hai già preso i bagagli. Che gentiluomo- mormorò concitata, stringendosi nel cappotto,
e fissando il biondo negli occhi. Quello abbassò di poco lo sguardo, con fare
remissivo e imbarazzato. Era incredibile come lo sguardo di Margaret
gli ricordasse quello acuto e indagatore della sua migliore amica. La ragazza
sentì sua madre darle una pacca amichevole sulla schiena e suggerirle di
tornare a piedi con il suo amico, visto
che doveva andare a prendere suo padre in ufficio per un imprevisto. Non le
sfuggì il singolare tono con cui pronunciò la parola amico. Come a dirle “so
tutto, tesoro”.
Si sentì
colta nel sacco e per di più dalla persona più distratta della sua vita.
Arrossì vistosamente e seguì lungo il corso l’ombra che proiettava la figura
prominente di Riccardo. Casa sua era una delle villette che si trovavano
subito dopo il parco con il chiosco che di solito frequentavano, costruzioni
tutte uguali con un piccolo giardinetto prima dell’ingresso. Passarono vicino
alla libreria dove Chiara lavorava in estate e dalla piccola vetrina appannata
vide Giovanna farle un saluto frettoloso, mentre cercava di sistemare i libri
sui diversi scaffali.
- Con chi hai
dormito in stanza?- le domandò curioso l’amico. Cercò di rispondergli, ma i
suoi occhi erano irrimediabilmente attirati dai libri. Scosse la testa con aria
di insofferenza.
- Ho
convissuto con Della Corte per tutta la settimana- disse in risposta,
assorta. Pensò a Roberta, senza ragione, e si chiese dove mai potesse
essere in quel momento. Probabilmente nella sua casa perfetta, con i suoi amici
perfetti, i capelli perfetti e un livido sul braccio a ricordarle che qualcosa
nella vita deve pur andare storto. La fioca sensazione di pace che le aveva
infuso la presenza di Riccardo era improvvisamente sfumata in qualcosa di più
deciso, uno spiraglio irruente di natura poco identificabile.
- Roberta
Della Corte? Chi, una di quelle ochette di cui di tanto in tanto mi parli!?-
- Esatto, è
stato strano…- continuò la rossa, marcando bene l’ultima parola. Strano.
Un’altra contrazione delle viscere.
- Davvero?
Beh, immagino…-
- … non
ci siamo nemmeno uccise a vicenda dopo un quarto d’ora da sole nella stessa
stanza, pensa-
- Si e magari
diventare anche amiche!-
Riccardo
scoppiò a ridere, una risata prorompente, quasi violenta. A Chiara però parve
più vera di ciò aveva vissuto fino a quel momento. Rideva perché era
impossibile, perché Roberta era una stronza senza
cuore e lei soltanto una rossa mezza cotta del suo migliore amico. Rabbrividì,
forse per il freddo o forse per l’ineluttabilità di quel pensiero. Riky le
passò un braccio intorno alle spalle e la strinse forte, con decisione.
Camminarono verso casa sua, senza dirsi niente, col rumore dei passi sull’asfalto
che gli ricordava di tanto in tanto la realtà delle cose. Curioso come invece
nelle loro teste infuriasse il caos più rumoroso.