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Autore: Deb    19/09/2012    2 recensioni
“Nolan...”
“Lo sai, l’avevo immaginato che prima o poi questo sarebbe successo”.
Emily non poté fare a meno di sentire i suoi occhi bruciare un pochino.
“Voglio staccare da tutto questo”.
“Lo so”, le sorrise sinceramente. Ed Emily pensò che avrebbe voluto continuare a frequentarlo, non era poi così male stare in sua compagnia.
No, non poteva rimanere attaccata a quella vita. Ormai era finita.
In quei quattro anni, Nolan era stato l'unico a starle sempre vicino, ad aiutarla quando era in difficoltà, l'aveva confortata nei momenti più bui.
Lei gli era profondamente grata, anche se forse non glielo aveva mai fatto capire.
“Sappi, Amanda, che per qualsiasi cosa sai dove trovarmi”, sottolineò il suo vero nome; perché lui lo sapeva che, in fondo all'anima, lei sarebbe stata sempre aggrappata al suo passato.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emily Thorne, Nolan Ross, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III

“Vengo con te”, affermò sicura salendo sull’auto di Nolan.
“Ems, scendi immediatamente”.
“No”.
“Quanto sei testarda. Mi sembra di avertelo già detto: non ti riguarda”, l'auto, già in moto, era ancora ferma nel parcheggio.
Emily odiava essere trattata così da lui. Se davvero voleva sbrigarsela da solo, allora doveva spiegarle cosa diavolo stava accadendo.
“Ti ho detto che non scendo”.
Cocciuta come al solito, davvero.
Le aveva proprio dato fastidio non sapere cosa gli passasse per la testa.
“Ems, che diavolo vuoi da me? Sei stata via un anno. Non ti interessava nulla, volevi stare da sola ed ora pretendi che ti racconti quello che mi turba?”.
Quel giorno, Nolan aveva deciso per caso di distruggerla? Non era vero che non le interessava nulla.
Dio, si sentivano per telefono ogni santo giorno. Avrebbe potuto dirle cosa stava accadendo.
Emily lo guardò scioccata. Gli occhi le bruciavano pure un po', quella era la prima volta che Nolan la trattava così, di solito era il contrario.
“Nolan”, cominciò senza risultato.
Le si era formato un groppo alla gola.
Emily per una frazione di secondo pensò a quanto fosse stata stupida a voler chiudere con gli Hamptons, anzi, a voler smettere di frequentare l’amico.
In quel momento le sembrava di averlo abbandonato, di non essere stata una buona amica nei suoi confronti a differenza di come lui era stato gentile con lei.
"Quando sono andata via mi hai detto che per qualunque cosa tu ci saresti stato, credevo fosse sottointeso che fosse lo stesso per me", ammise infine con gli occhi lucidi. “Quindi adesso, razza di idiota, dimmi che diavolo sta succedendo”.
Nolan sgranò gli occhi. Certo che voleva sempre averla vinta lei.

Emily si accorse di essere arrivata all'ospedale.
Durante il breve viaggio in auto era calato il silenzio.
Vedeva negli occhi di Nolan tutta la frustrazione che si portava appresso.
Emily seguiva silenziosamente il suo amico, che la condusse nel reparto di oncologia.
Improvvisamente capì che, probabilmente, c'entrava Carol.
“Perché non me l'hai detto?”, domandò sinceramente dispiaciuta.
“Non ne vedevo il motivo”.
“Avrei potuto aiutarti, Nolan”.
Dio, come si sentiva inutile. Avrebbe potuto stargli vicino psicologicamente, invece quando stavano al telefono parlavano soltanto di... di nulla. Di tutto e niente, di cose frivole.
Lui cercava di farla divertire e lei, invece, lo trattava con freddezza, come d'altronde aveva sempre fatto.
“Come?”, non la guardava nemmeno negli occhi, le dava le spalle.
Emily lo bloccò per un polso e si portò davanti a lui, guardandolo con sfida.
“Standoti vicino, Nolan”.
Lui sorrise sarcastico. “Eri a Boston, devo ricordartelo io?”
“Sarei tornata!”.
“Basta, Ems. Non mi interessa. Fammi andare da zia Carol”. Lei fece proprio quello che le era stato chiesto, tanto era inutile continuare a parlare.
Entrarono nella stanza e ciò che aveva davanti non le piaceva per nulla.
Nolan si avvicinò al letto e le strinse una mano. Carol teneva gli occhi chiusi ed aveva difficoltà a respirare anche se lo faceva aiutata dall'ossigeno.
Cominciò a parlarle e le rivelò che anche Emily era lì, così tentò di aprire gli occhi e le sorrise fievolmente.
Nolan aveva gli occhi lucidi, probabilmente i dottori gli avevano detto che non le rimaneva molto tempo.
Emily non riuscì a trattenersi e cominciò a piangere. Nei quattro anni passati, anche Carol l'aveva aiutata più volte.

Quando si ritrovarono in sala d'attesa, non era lei a consolare Nolan ma il contrario, come al solito.
Lui l'aveva avvolta con il suo abbraccio e tutti e due non riuscirono a trattenere le lacrime.
“Non volevo farti vivere proprio questo, Ems”.
Emily singhiozzò.
“Invece me l'avresti dovuto dire”.
Si asciugò le lacrime. “Da quando ha...”
“L'abbiamo preso troppo tardi. I dottori hanno detto che ce l'ha ormai da tre anni, ma noi ce ne siamo accorti soltanto cinque mesi fa. Ormai non è nemmeno più operabile”.
Emily lo abbracciò nuovamente, di slancio.
“Ci sono io”. Affermò stringendolo più forte. “Rimarrò per tutto il tempo che ti sarà necessario”.

La casa di Nolan non era cambiata affatto, era esattamente la stessa.
Emily si guardò un attimo intorno con fare indagatore, come era possibile che non avesse spostato di mezzo millimetro nemmeno un tavolo?
“Fai come se fossi a casa tua”, affermò l’amico cominciando ad armeggiare con il proprio tablet.
“Come sempre”.
La ragazza si sedette sul divano ed accese la televisione posta davanti a sé.
Si sentiva a disagio. Di solito, quando entrava in quella casa aveva il broncio e cominciava a parlare di qualche piano per distruggere i Grayson. Le faceva un effetto strano non doverlo fare, quella volta.
“Come va la tua società?”, chiese, cercando di porre fine a quel silenzio che, per una delle poche volte, la opprimeva.
“La nostra società, vorrai dire. Detieni sempre il quarantanove percento delle azioni”, fece una breve pausa. “È ancora in piedi, ed, ovviamente, ci regala tanti bei dividendi”.
Nolan cercò di sorridere, ma Emily lo sentiva quanto fosse lontano dalla realtà. Aveva un unico chiodo fisso e ci pensava in continuazione.
Ormai non pregava più affinché la zia si riprendesse, sperava che le sofferenze finissero e che incontrasse la morte, presto.
“Nolan, vieni qui”.
Diede delle piccole manate sul divano, vicino a lei.
Avrebbe davvero voluto aiutarlo, ma non sapeva come. E si sentiva diversa, non comprendeva appieno quel senso di protezione che aveva nei confronti di Nolan.
Avrebbe voluto che il suo dolore finisse, che tornasse ad essere la persona spensierata – ed anche un po’ esasperante – di sempre.
Sapeva, però, che non avrebbe potuto fare nulla di tutto ciò.
Capiva bene quanto potesse essere straziante una perdita, o cercare di prepararsi psicologicamente ad essa.
Non c’era niente che lei potesse fare, l’unica cosa che poteva donargli era la sua presenza.
Quando Nolan si sedette affianco ad Emily, lei appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo.
“Non abituartici”, affermò quando notò con la coda dell’occhio che Nolan stava per aprire bocca per dire qualcosa di malizioso, per cercare di sferzare la tensione.
“E se invece lo facessi?”.
Emily lo osservò di trafuga. Non capiva cosa diavolo stesse dicendo, probabilmente stava vaneggiando o, più semplicemente, aveva davvero bisogno di un’amica.
“Rimarrò qui tutto il tempo necessario”.
“Non credi che cominceranno a sparlare? Fondamentalmente in questo momento stai con lo scemo del villaggio”.
“Sì, uno scemo che è miliardario. Hai proprio ragione a definirti così”.
La verità era che lui era tutto fuorché stupido. Certo, a volte con le persone si imponeva in maniera sbagliata e poteva dare l’impressione di essere un idiota, ma se lo si conosceva bene, si poteva intravedere lo strato di gentilezza che lo circondava.
Ed Emily era davvero stata fortunata ad aver trovato un amico del genere. Questo lo sapeva bene, anche se – per sua natura – non riusciva a lasciarsi andare del tutto.
“Grazie, Ems”, Nolan le strinse un fianco con un braccio, portandosela più vicina. Voleva sentirla. Voleva sentire la sua presenza.
Dio, quanto le era mancata ed ancora faticava a credere che fosse lì con lui.
“Non ho fatto nulla”, rispose lei sincera. Difatti si sentiva in colpa per non essere riuscita a capire che in Nolan ci fosse qualcosa che non andava. E per un attimo si pentì della scelta di andarsene, anche se lui, se ne avesse avuto davvero bisogno, sarebbe potuto andare da lei.
Poi ricadde il silenzio. Rimasero lì, seduti su quel divano, stretti in una sorta di abbraccio per il tempo necessario a sentire ognuno la presenza dell’altro.
Perché, in fondo, avevano bisogno di quel legame che li univa.

Emily si rigirò nel letto nella sua casa negli Hamptons.
Nella sua vita aveva sofferto parecchio. Non aveva una madre, il padre era stato ingiustamente accusato ed ucciso, ed il suo scopo era soltanto la vendetta.
E lo sapeva fin dall’inizio che, una volta che il suo obiettivo fosse mancato, lei se ne sarebbe andata lontana da lì, da quel luogo.
Non aveva tenuto conto di una cosa però: parte della sua famiglia aveva deciso di restare. Perché Nolan, e lo ammetteva soltanto con se stessa e per la prima volta in quel momento, era diventato la sua famiglia.
Tra di loro non c’erano segreti, sapeva di potersi fidare ciecamente di lui.
Di certo, questi pensieri non li avrebbe mai ammessi a voce alta. Già immaginava Nolan sorridere a trentadue denti se solo avesse compreso quanto lei fosse, soltanto in fondo, dipendente da lui.
Perché Emily, l’emblema della ragazza forte ed autonoma, aveva bisogno di un amico e di uno scoglio su cui poter sempre contare. E Nolan era lì, a portata di mano. Sincero fino al midollo. Amico fino in fondo.
Anche quando la chiamava tutti i giorni, lei faceva l’annoiata, come se non le importasse nulla di quelle telefonate inutili, invece era felice di sentirlo. Di percepire quanto ancora fosse presente nella sua vita anche a molti chilometri di distanza.
Non l’aveva mai ammesso nemmeno con se stessa se non in quel momento, ma Emily Thorne non avrebbe potuto vivere senza Nolan Ross; e lui nemmeno lo sapeva, anzi, probabilmente si sentiva inadeguato e solo per la maggior parte del tempo che passava in sua compagnia.

Non c’era praticamente nessuno a dare l’ultimo addio a Carol. Certo, per la società e per chiunque altro che la conoscesse era già morta e quella nuova Carol l'avevano conosciuta in pochi.
Lei, Nolan e una piccola schiera di amici che aveva conosciuto nella latitanza.
Emily stringeva stretta nella sua la mano dell’amico. Lei stessa non voleva allontanarsi da quel contatto, era troppo fragile per poterlo fare.
Provava una repulsione per i funerali, forse perché non aveva avuto la possibilità di dare l’ultimo saluto al padre, o più probabilmente il motivo derivava dal fatto che si era stancata di perdere le persone che amava.
Aveva perso David, se stessa, Carol, Sammy, Jack e più volte aveva avuto il terrore di perdere Nolan.
Strinse più forte la mano del vicino e trattenne il respiro. Quando sarebbe finito quel supplizio?
Dopo il funerale non ci sarebbe stata alcuna veglia. Carol l’aveva chiesto al nipote in quanto credeva che mangiare a scrocco fosse un sinonimo di cattiva educazione.
“Andate in pace”. Affermò finalmente il parroco e, mentre Emily stava cercando di correre fuori da lì, Nolan si avvicinò alla bara della zia e pose sopra di essa una rosa rossa.

“Tutto bene?”, che domanda sciocca che le era uscita dalla bocca, come poteva stare bene? Era appena tornato a casa da un funerale. A volte Emily si domandava quanto potesse essere stupida. “Scusa, è che…”
“Sto bene, Ems”. La interruppe, “non trattarmi come se fossi un malato, per piacere. Questa è la vita, prima o poi tutti ci ritroveremo sotto terra”.
Emily non sapeva che rispondere, ma invece di stare in silenzio, ricominciò ad erigere il suo consueto muro davanti a sé.
“Meglio così”, affermò riprendendo la borsa pronta per tornare a casa sua per preparare le valigie.
“Dove vai?”.
“Torno a Boston”. Rispose seria, come se fosse stata la cosa più ovvia da fare. “Tu stai bene”.
“Avevi detto che…”, cercò di fermarla, in qualche modo, perché Nolan non voleva certo rimanere nuovamente da solo, questa volta per davvero. Se lei se ne fosse andata un'altra volta lui, probabilmente, non avrebbe retto. In quel momento, davvero, gli rimaneva solamente lei.
“Stai bene, Nolan. Avevo detto che sarei rimasta tutto il tempo necessario, ma dici che ti tratto come un malato, quindi direi che non hai più bisogno di me”. Aprì la porta dell’abitazione ma attese ad uscire. Aspettava che l’amico la fermasse, che le dicesse che non era vero che stava bene, che aveva ancora bisogno della sua presenza, ma da lui non arrivò alcuna frase.
“Ci si vede, Nolan”. Dichiarò prima di sparire.

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Buongiorno! Sono riuscita a fare l’html in tempo! \0/
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. È un po’ triste per Carol ç0ç E vediamo come Ems pensi a Nolan. Ah, quanto li adoro :3
Anche se poi, come al solito, fa la testarda e non comprende quanto Nolan abbia bisogno di lei in quel momento. u.ù
Accidenti al suo orgoglio.
Ci rivediamo mercoledì prossimo con il quarto capitolo. :)
Bacioni
Deb.
   
 
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