Punto di ebollizione
A
febbraio arrivò la neve – candida, farinosa, che
si scioglieva in
bocca lasciando sulle papille il sapore dolciastro dell’acqua
pura
- e con essa un’ordinanza del sindaco che imponeva la
chiusura
delle scuole.
Le
gemelle Bradford avevano costruito un enorme pupazzo di neve,
litigando incessantemente sulla struttura del medesimo; per questo
era venuto su un po’ sghembo e bulboso, ognuna delle due
aveva
seguito la propria idea senza tener conto di quella
dell’altra.
Ogni
tanto, Dom smetteva di spalare il vialetto per riposarsi ed alzava
involontariamente gli occhi su quel monumento alla mancanza di
comunicazione, ringraziando puntualmente di essere figlio unico.
Un
delizioso odorino veniva fuori dalla finestra accostata
della cucina di casa Howard: sembrava che il nuovo esperimento
culinario di sua madre fosse destinato ad avere successo, per una
volta.
Dom
si guardò attorno, decidendo che il vialetto era in
condizioni più
che dignitose, e rientrò in casa.
Quando
fece il suo ingresso in cucina, Diane stava sfornando una teglia
ricoperta da uno strato dorato di quello che sembrava a tutti gli
effetti…
-
…shortbread. – esalò Dom.
-
Ma non è per noi. – lo ammonì sua
madre, raggiungendo a passo di
danza il davanzale della finestra.
-
E per chi è? – ribatté Dom, conoscendo
già la risposta.
-
Per Maureen, naturalmente! Cosa c’è di meglio di
un biscottino per
tirarsi su di morale dopo una brutta influenza come la sua? –
La
prima volta che si erano recati a far visita ai Bellamy –
l’indimenticabile giorno della cioccolata e
dell’esaurimento
nervoso del nipotino
– nulla lasciava presagire che potesse sbocciare
un’amicizia così
squisitamente nefasta
tra Diane e la signora Bingham. Dom aveva i suoi buoni motivi per
credere che la nonna di Bellamy stesse semplicemente cercando di
mantenere i contatti con lui.
Perché,
poi? Dom aveva perso invece ogni traccia di suo nipote.
-
Quindi oggi pomeriggio andrai a trovarla.
-
Mhm-mhm… Vuoi venire?
Stavolta
Dom non si lasciò incastrare, e prima ancora che Diane
avesse finito
di pronunciare la frase disse: - Oh… Be’, ho da
studiare e…
Roba da fare.
Sua
madre non sembrava offesa. Posando teglia e guantoni da forno sul
tavolo della cucina, sorrise e disse: - Hai fatto un buon lavoro,
lì
fuori… Aspetta.
Andò
in soggiorno e ritornò un minuto dopo con una banconota in
mano,
porgendola al figlio.
-
Mamma, sono dieci sterline…
-
Già.
Incredulo,
Dom fissò il denaro per un secondo prima di intascarlo.
In
città i marciapiedi erano incrostati di neve ghiacciata e,
percorrendoli, Dom rischiò più di una volta di
finire a gambe
all'aria.
Lungo
la via principale qualche negozio era chiuso e in giro c'erano
più
ragazzini del solito, come se fosse di nuovo Natale o Capodanno.
Teign
Music era ancora aperto.
In
vetrina, campeggiavano le solite quattro chitarre – tre
elettriche,
una acustica. Ad intervalli regolari di una settimana, il
proprietario del negozio cambiava la loro disposizione attorno alla
batteria che dominava la scena al centro della vetrina.
L'ensemble
era esposto da talmente tanto tempo che Dom si era persino divertito
ad affibbiare un nome ad ognuno degli strumenti che ne facevano
parte: la chitarra acustica, con i suoi ghirigori country a
decorarla, si chiamava Dolly Joanie Parton-Cash. Quella elettrica, di
colore rosso sangue e a forma di poligono irregolare, era Elizabeth
Bathory II. Quella decorata dalla Union Jack era Nigella
Lancaster-York, quella a stelle e strisce John Clint Cooper-Lincoln.
Per
quanto riguardava la batteria, Dom aveva deciso che si trattava di
una famiglia – piuttosto prevedibilmente, il cognome che
aveva
scelto per essa era Bangs.
Quel
giorno, Dolly e Nigella cingevano la famiglia Bangs ad entrambi i
lati mentre John ed Elizabeth la sovrastavano, appese ad un sostegno.
Dom
si mise una mano in tasca, tirando fuori le sue dieci sterline.
Un
po' poche, anche solo per assicurarsi uno dei componenti della
famiglia Bangs.
Da
dietro la sciarpa, Dom mormorò: - Un giorno non molto
lontano verrò
a prendere uno di voi... Tremate. - e si incamminò di nuovo
lungo il
marciapiede, senza avere una meta precisa in mente.
Risalì
la via principale, trovandosi di fronte la stazione ferroviaria.
Un
gruppetto di persone ciondolava vicino alla porta centrale. Il rumore
di un treno che stava rientrando in quel momento si porto via
ciò
che stavano dicendo.
Dom
li squadrò.
Sembravano
suoi coetanei, ma erano troppo imbacuccati per stabilire le loro
identità.
Il
più alto di loro si girò e subito dopo si tolse
la sciarpa dalla
bocca, sbracciandosi.
-
Dom!
Cavolo,
ma era proprio...
-
...Chris. - bisbigliò Dom, senza muoversi di un millimetro.
D'altronde,
non ebbe bisogno di farlo: Chris attraversò la strada per
venirgli
incontro, salutandolo allegramente.
-
Ciao! Che combini?
-
Niente, non combino niente. - sorrise Dom, un po' teso.
Gli
amici di Chris li stavano fissando apertamente da dove erano rimasti,
senza fiatare.
Tentando
di non agitarsi, Dom chiese: - Dove vai?
-
In giro con la band… Te li presento. - Chris lo prese per un
polso,
tirandolo leggermente.
Un
membro del gruppetto si era chinato a bisbigliare qualcosa
all'orecchio di un compagno, tenendo lo sguardo fisso su loro due. La
voglia di scappare a gambe levate di Dom aumentò
vertiginosamente.
-
No, davvero, non ti-
-
Ragazzi!
Perché
stava facendo cenno ai suoi amici di raggiungerli? Quale oscuro
motivo aveva per metterlo in imbarazzo davanti a loro?
…
perché
i suoi amici gli
stavano dando retta, attraversando la via?
-
Lui è Dominic Howard, quello del provino.
Ottima
pubblicità... Grazie tante.
I
Fixed Penalty erano schierati di fronte a Dom, compatti come una
barriera di giocatori durante un calcio di punizione.
Uno
di loro - rosso, basso, la faccia larga e piena di lentiggini e gli
occhi celesti – annuì, commentando: - Mi ricordo
di te… Ero in
platea. Bel numero.
-
Grazie. - rispose Dom in automatico, stringendosi nelle spalle.
Il
ragazzo sorrise e gli prese la mano destra, stringendola
vigorosamente.
-
Simon… Chitarrista istrionico.
Un
altro ragazzo, dagli occhi scuri ed il colorito olivastro, si fece
avanti tenendo le mani nascoste nelle tasche e strascicando: -
Daniel, bassista di poche parole.
L'ultimo
a presentarsi fu un ragazzo sottile e lungo come un fiammifero, gli
occhi piccoli e castani ed un sorriso per nulla gentile sul viso
affilato.
-
Lyle. Il gelido ma carismatico frontman. - sussurrò rauco,
come se
avesse bisogno di schiarirsi la voce. Istintivamente Dom lo fece al
posto suo, borbottando poi il suo nome.
-
… ed infine c'è Chris, il tenero orsacchiotto
batterista.
-
Non sembro un orsacchiotto.
Lyle
rise, esclamando: - Ti dico di sì! Dom, non è un
orsacchiotto?
-
Attento a quello che dici o verrò a farti visita in
biblioteca,
Howard. - lo minacciò scherzosamente Chris, facendo
ridacchiare Dom
e salvandolo così dall'imbarazzo di dover rispondere.
Subito
dopo, il tenero orsacchiotto – Dom
non gliel'avrebbe mai detto in faccia, ma in effetti le sue fattezze
richiamavano proprio l'immagine di un pacioso plantigrado -
annunciò: - Noi andiamo a Exeter… Anzi,
dobbiamo sbrigarci ché
perdiamo il treno.
-
Be’, allora non vi trattengo… - disse Dom,
iniziando a
retrocedere lungo la via da lui percorsa per arrivare fino alla
stazione.
La
proposta di Chris arrivò inaspettata.
-
Vuoi venire?
Dom
credette di aver capito male.
-
Cosa? Cioè…
-
Stiamo lì per un po’, pranziamo e poi torniamo a
casa prima che
faccia buio… La madre di Lyle è un tantino
apprensiva.
-
Chiudi il becco, teddy bear. - lo rimbeccò Lyle, guardandolo
dall'alto in basso.
Intanto,
Dom cercava di trarsi affannosamente d'impaccio.
-
Ecco… Non ho avvisato la mia, di madre, e poi…
-
Alla stazione ci sono le cabine telefoniche, e pure a quella di
Exeter… Le meraviglie del ventesimo secolo.
Dom
si guardò attorno, incerto.
Era
troppo difficile – un gruppo affiatato di ben quattro persone
nel
quale infilarsi? Nossignore, negativo. Abort mission.
Passo e chiudo.
D'altronde...
Chris voleva che venisse, gli sarebbe piaciuto se avesse accettato.
Avrebbero
potuto divertirsi, lontani dalla scuola, dagli insegnanti stronzi e
dalle bibliotecarie frustrate...
… ma
sua madre non lo sapeva, e poi in teoria non sarebbe dovuto neanche
andare in centro. Ufficialmente stava studiando.
Roteando
gli occhi, Lyle disse: - Vabbe’… Andiamo?
Voltarono
le spalle a Dom, avviandosi verso la stazione.
Meglio
così. Non ci sai fare con la gente, lo sai. Saresti stato
costretto
a sorridere di inside
jokes
a te sconosciuti e loro si sarebbero sentiti in dovere di perdere
tempo a spiegarteli, avresti dovuto pensare ad un modo brillante di
inserirti in una loro conversazione o, peggio, di iniziarne una. Ti
saresti sentito stupido e fuori posto e patetico e Chris si sarebbe
pentito di averti proposto di venire. Ti avrebbe chiesto in privato
se ti fossi divertito e tu avresti dovuto dirgli che sì,
certo che
mi sono divertito, come no. Una valanga di bugie e imbarazzo. E poi
non puoi metterti nei guai, devi tornare a casa.
-
Aspettate!
…
cosa
ti ho appena detto,
Howard?
I
Fixed Penalty al completo fissarono Dom in silenzio mentre cercava di
recuperare un minimo di aplomb – si era accorto troppo tardi
di
stare urlando in pubblico.
-
Non ho nulla da fare... - minimizzò, scrollando le spalle.
Chris
sorrise, e nonostante la figuraccia Dom ricambiò.
Il
regionale si infilò tra le colline, lasciandosi pian piano
dietro lo
specchio grigio del mare.
Dom
si voltò indietro, seguendo con lo sguardo la linea
dell'orizzonte
fin quando non si ritrovò di fronte i pendii boscosi
dell'entroterra.
A
quel punto si concentrò su ciò che aveva fatto.
Era
in gita di piacere in compagnia di quattro estranei – tre,
anzi. Il
motivo gli era sconosciuto, ma aveva a che fare con la schiena di
Chris che si allontanava assieme a quelle dei suoi amici.
Sua
madre non lo sapeva, poi. Era tutto veramente molto strano.
-
Ma perché i gabbiani non schiattano col freddo?
-
I gabbiani sono macchine da guerra alate… Spitfire piumati.
-
E gangster con le zampe palmate… Sembrano i padroni della
zona.
Puah.
Seduto
in mezzo a loro sulla dura panca del treno, Dom ascoltò il
dialogo
fra Simon e Chris ridendo sotto i baffi ma senza intervenire.
Ad
un certo punto, Simon si voltò verso di lui non solo con la
faccia
ma con l'intero busto, piegandosi un po' in avanti ed invadendo con
nonchalance il suo spazio personale.
-
Quindi suoni la batteria. - disse.
Dom
annuì, tirandosi discretamente indietro.
-
In una band?
-
No, nessuna band.
-
Un solista… - replicò Simon, apparendo
favorevolmente
impressionato.
Dom
alzò le spalle: - Un dilettante, più che altro.
-
Perché noi siamo professionisti, invece. - Chris
alzò lo sguardo al
soffitto, sorridendo ironico e accomodandosi meglio sul sedile.
-
Vi… Vi esibite? Nel senso, di solito… - chiese
Dom.
Nel
frattempo si accorse di stare giocando con una ciocca di capelli, e
smise bruscamente.
Simon
quasi gli salì addosso per dare a Chris un buffetto sul
braccio: -
Ecco… Te l’ho detto un sacco di volte che dobbiamo
distribuire
più volantini, Teddy.
Dopo
aver ricambiato adeguatamente le attenzioni dell'amico con un sonoro
schiaffo sulla mano, Chris disse: - Il ventiquattro di questo mese
siamo alla Battle of Bands del Broadmeadow.
Rivolgendosi
agli altri due compagni seduti sul sedile di fianco,
esclamò: - Ly,
quelli di Dawlish si sono fatti più sentire?
-
Li ho richiamati ieri, hanno detto che devono ancora decidere.
-
Sono due settimane che “devono decidere”...
-
Vorranno tenerci un po' sulla corda e magari giocare al ribasso sul
prezzo.
-
Che bastardi.
-
Puoi dirlo forte.
Dom
rimase ad ascoltare, cercando di non mostrarsi troppo colpito.
La
disinvoltura con cui i ragazzi parlavano di quello che sembrava a
tutti gli effetti un mestiere, per loro, quasi lo intimidiva e
soprattutto lo confondeva: l'ultima volta che Chris aveva parlato del
gruppo gliel'aveva introdotto come se fosse un ensemble scarso e di
poche pretese, non si aspettava che invece si trattasse di un affare
così grosso... Forse avevano più talento per le
pubbliche relazioni piuttosto che per la musica?
La
sua cameretta semibuia, dominata dalla batteria, all'improvviso era
diventata ancora più angusta nella sua mente.
-
Vienici a vedere, il biglietto non costa molto… - Chris lo
riscosse
dai suoi pensieri prima che divenissero troppo deprimenti.
-
Cinque sterline. - precisò Simon accostandosi ancora di
più a Dom,
il quale di nuovo si ritrasse per rispondere, dopo qualche secondo di
frenetica elaborazione del concetto: - Perché no?
Perché
no? Perché non andare? Glielo avevano chiesto.
…
cos'era,
quella? La giornata
delle decisioni insensate?
Lyle,
in testa al gruppo, uscì dalle porte della stazione di
Exeter
mormorando: - Occhio al ghiaccio.
Neanche
un secondo più tardi, si sentirono un tonfo ed una bestemmia
smozzicata.
-
… Simon, vero? - pronosticò Lyle, senza guardare.
Quando
poi si voltò, vide Daniel che cercava di rimettersi in piedi
aiutato
da Simon e Chris, che a loro volta non apparivano particolarmente
stabili sulla superficie ghiacciata del piazzale adiacente la
stazione.
-
Daniel! Mi deludi.
-
Non era mia intenzione.
Si
fermarono per decidere il da farsi.
-
Dove si va?
-
Boh… A pranzo?
-
Sì, ma dove?
-
Cavern?
-
Certo... Paghi tu, vero?
-
Sei un morto di fame, Wolstenteddy.
-
Vaffanculo, Lyle.
-
Scherzavo... Fatti una risata, Chris, è gratis e fa bene al
cuore.
Premendosi
un dito sul mento, Lyle assunse un'aria assorta; alla fine, fu come
colto da un'illuminazione.
-
Facciamo decidere al nuovo arrivato, no?
Dom,
rimasto in silenzio fino ad allora, arretrò istintivamente
di un
passo.
-
Io non... Non conosco Exeter molto bene... -
Lyle
si accigliò, chiedendo: - Mhm... Allora?
-
Ragazzi, ma se prima andiamo da Manson che è qui vicino e
decidiamo
dopo dove pranzare? - propose Simon.
-
Qui vicino dove?
-
Tipo, inculato in uno di quei vicoletti laggiù.
-
Vabbe', vabbe'... Però fatemi fumare, prima.
Lyle
si diresse con il suo passo lento e pigro verso un muretto poco
lontano, ed il resto della compagnia lo seguì docilmente
come una
cucciolata di anatroccoli.
Dom
non era ancora del tutto convinto che fosse stata una buona idea
unirsi alla combriccola, ma al tempo stesso la voglia di fuggire era
andata scemando a partire dal momento in cui si era lasciato
Teignmouth alle spalle.
Era
un'avventura, quella. Qualcosa che lo respingeva ed attraeva in egual
misura perché potenzialmente pericoloso, ma anche positivo.
La
fronte corrugata di Lyle dava ad intendere che accendersi una
sigaretta fosse un affare piuttosto serio, per lui.
-
Fumi? - chiese, rivolgendosi a Dom.
-
No, grazie.
-
Mica volevo offrirtene una.
Dom
ebbe una spiacevole sensazione di deja-vu.
Riuscì
a non arrossire, sotto lo sguardo di Lyle che lo raggiungeva fin nel
cantuccio che si era ritagliato a fianco di Chris e Simon.
-
Parli meno di Daniel, tu, il che è grave... E pensare che ne
avresti
di cose da raccontarci, Mrs Bellamy.
Sentendo
pronunciare quel cognome, Dom alzò la testa di scatto e
sbottò: -
Come?
-
Ly, non fare il coglione. - lo riprese Chris, e Lyle
spalancò gli
occhi con aria innocente.
-
Perché? Lo chiamano tutti così, a scuola!
Dom
guardò Chris, basito.
-
Non mi avevi detto di... Di questa cosa del soprannome.
-
Perché è una stronzata... E non ti chiamano tutti
così. -
rispose Chris senza guardarlo. Era troppo impegnato a fulminare Lyle
con un'occhiataccia.
Quest'ultimo
sogghignò compiaciuto nell'incalzare ulteriormente Dom: -
Comunque... Lui com'è?
-
Lyle...
-
Dio, Teddy, come sei palloso... Che gli avrò mai chiesto di
male?
Lyle
poggiò entrambe le braccia sul muretto e scosse via la
cenere dalla
sigaretta con noncuranza.
-
Sai, girano tante storie sul suo conto ma scommetto che i tre quarti
di chi le ha messe in giro non lo ha mai neanche visto di sfuggita...
Tu sei l'unico a poter dire cos'è
Matthew Bellamy per davvero.
C'era
molto da raccontare al riguardo, visto e considerato che Lyle aveva
ragione su tutta la linea: a parte i restanti componenti della
famiglia Bellamy, chi altro poteva dire di conoscere almeno un angolo
della testa di quel ragnetto isterico?
L'aveva
perseguitato con la sua stupida idea di formare una band, gli era
capitato fra capo e collo durante il suo servizio in biblioteca,
avevano litigato e mangiato insieme.
Bellamy
aveva pianto in sua presenza. Senza motivo. Come se anche con lui
accanto potesse farlo liberamente e, anzi, come se la sua presenza
fosse di fondamentale importanza.
Insomma,
Bellamy gli gravitava attorno da un po', ormai, e avevano condiviso
abbastanza da... Be', non da poterlo considerare un amico, ma quel
poco che avevano vissuto assieme spinse Dom a difendere la sua
privacy dall'insistenza di Lyle.
-
È
ok.
Lyle
storse la bocca in una smorfietta indispettita.
Tornò
alla carica, insinuando: - Si è innamorato di te?
-
No!
-
Siete solo amici, insomma.
-
Ma che ti frega? - si intromise Chris.
Lyle
lo apostrofò freddo: - Ti spiace? Io e Dom stiamo parlando.
-
No, ti stai solo impicciando dei cazzi degli altri.
-
Stai tranquillo, Teddy... Ho finito. -
Dom
si rintanò fra Chris e Simon, sentendosi a disagio ma allo
stesso
tempo un po' orgoglioso di sé stesso.
L'ingresso
del Cavern era poco più appariscente dell'entrata di un
sottoscala,
segnalato da una cupa insegna a mezzaluna; la porta si apriva su una
ripida e per nulla invitante rampa di scale immersa nella penombra.
I
ragazzi sembravano un po' intimoriti, ma non Lyle.
-
Entriamo. - disse, e nessuno gli rispose.
Insisté:
- Non ci fermiamo a mangiare... Entriamo e basta.
-
Mica è un negozio... E poi ti faresti del male. -
obiettò Simon.
-
Perché?
-
Perché chissà quando arriveremo a suonare qui.
Dom
vide Lyle fulminare l'amico con lo sguardo.
-
Chi mi ama mi segua. - disse.
Lyle
aveva sceso tre gradini, prima che il resto della truppa lo
inseguisse di malavoglia.
Il
locale non era molto grande, e dentro era buio ed opprimente; i
mattoncini a vista delle pareti gli conferivano un'aria spartana e
grezza ed il palco, incastrato sotto una bassa volta a botte, era
piuttosto piccolo. Insomma, non era nulla di che dal punto di vista
estetico.
Dom
si aspettava qualcosa di meglio.
-
Che ne pensi? - Simon bisbigliò alle sue spalle, ma non
stava
parlando con lui.
Infatti,
Chris rispose a voce altrettanto bassa: - Di cosa?
-
Non ti piacerebbe suonare qui?
-
Be', sarebbe... Fantastico.
-
E poi... Oggi qui, domani chissà. Royal Albert Hall?
-
Certo, e magari Wembley e poi la Luna o Marte!
-
Tranquillo, Chris, accomodati e pisciami pure sulla parata.
-
Non sto dicendo che non potrebbe succedere, però...
Dom
immaginò una folla roboante acclamarlo dal prato di uno
stadio. Non
era per nulla spiacevole, come idea.
-
Andiamocene. - l'ordine venne piatto ed appena percettibile, come se
chi lo stesse pronunciando avesse perso all'improvviso tre quarti
della propria baldanza di frontman stando semplicemente di fronte ad
un minuscolo palco sguarnito.
Il resto del pomeriggio trascorse lento e leggermente imbarazzante.
-
Ti piace l'erba, Dom?
-
Eh?
-
Le canne. Ti piace farti le canne?
-
Uhm... No. Cioè, non...
-
Non ne hai mai provata una? Cazzo, e non mi sono portato neanche un
po' di fumo... Vabbe', comunque... Non hai mai fumato? Neanche una
volta? Che diavolo vai facendo della tua vita, Dom? E i funghetti? Ti
sei mai fatto una frittatina di funghetti?
-
Be', io... No.
-
… tu vai salvato, ragazzo mio. Davvero. Salvato da te stesso
e
dalla noia.
-
Ma no.
-
Ti dico di sì, invece... Jane Lawrence si nasconde
nell'armadietto
scassato che in realtà non è scassato e ci guarda
mentre ci
spogliamo.
-
Ma perché dovrebbe?
-
Perché è una ninfomane.
-
Oh, santo...
-
Davvero! Me l'ha detto una sua amica... “Le piace guardarvi
il
cazzo e per farlo si nasconde in un armadietto degli
spogliatoi”.
-
Ah, be', se esce glielo faccio pure toccare, non è un
problema.
-
Che stronzate.
-
Seriamente... Vi ho mai raccontato stronzate, da sobrio?
-
Ok, la prossima volta dobbiamo controllare.
-
Ma con discrezione, eh. La sua amica dice che è anche
psicolabile e
bulimica e non bisogna traumatizzarla. Può diventare
pericolosa.
-
Cazzo vuol dire “bulinica”?
-
“Bulimica”, con la “m”... E
comunque boh, però non sta bene.
-
Sì, be', si sentiva la mancanza di un pazzo in giro per la
scuo...
Uh, cioè.
-
…
-
… dicono che anche l'amica sia un po' porca, comunque. E
sembra
sana di mente.
-
La cosa si fa interessante...
-
Teignmouth non è così male.
-
Si, vabbe'.
-
Davvero!
-
Certo, non è così male... Personalmente, il mio
posto preferito di
Teignmouth è la stazione, quando sono a bordo di un treno
diretto
verso qualunque altra città e la vedo allontanarsi sempre di
più.
-
Quando mi lamento di Teignmouth, i miei se ne escono sempre con la
storia che sto vivendo un'età difficile e bla bla...
Cazzate. È
un'età difficile se la vivi in un luogo di merda. Vorrei
vedere
quanto sarebbe difficile se la vivessi a Londra.
-
Boh, io ci sono affezionato... Sono cresciuto qui, la conosco come le
mie tasche...
-
Io vengo da una città ancora più triste, quindi
non faccio testo.
-
Anch'io.
-
Anche tu? In che senso?
-
Vengo da una città poco più grande di
Teignmouth... Stockport.
-
Io vengo dallo Yorkshire, invece. Comunque, che senso ha cambiare
casa da un posto minuscolo ad un altro?
-
Non ne ho idea.
-
Ma tanto ce ne andiamo.
-
Ce ne andiamo, sì.
-
Mhm... E dove.
-
Ciao, pessimismo cosmico. Non sapevo fossi invitato anche tu a questa
gita.
-
Siete voi i pessimisti... Questa città qualcosa
può offrircelo,
ancora.
-
Sì, lo sgombro.
-
Senti, non esiste sgombro migliore di quello di Teignmouth.
-
A me fa schifo.
-
Perché non capisci niente.
-
È
un pesce da gatti, dai!
-
Che ignoranza.
-
Tu mangi pesce da gatto e io
sono ignorante, che
roba...
-
… vi state accapigliando sullo sgombro, ragazzi, rendetevi
conto.
-
Ci annoiamo così tanto, Ly, esatto.
-
E il tramonto si avvicina... Si torna a casa.
-
Ci vediamo, allora.
-
Giovedì pomeriggio, come sempre.
-
Come sempre.
-
E vieni al Broadmeadow, mi raccomando.
-
Sicuro.
Chris
guardò Dom con il più severo dei cipigli.
-
… ci vengo, giuro! -
-
Ok, ok... Allora a presto.
Simon piazzò una potente pacca fra le
scapole di Dom, togliendogli il fiato per un secondo.
-
Ci si becca in giro, eh! -
-
Ci si becca, sì. - sorrise Lyle. Daniel si limitò
a salutare con un
cenno del capo.
Tutti
e quattro si avviarono lungo la via principale.
In
breve furono lontani dal campo visivo di Dom, che invece non si
decideva a scollarsi dall'uscita della stazione.
Non
era il freddo a pungerlo, in quel momento. Era qualcosa da cui non
sapeva come ripararsi, a cui non c'era rimedio.
Desiderava
piacergli. Desiderava piacergli come a
lui
piaceva Chris, e il pensiero lo seccava perché piuttosto
avrebbe
preferito essere in grado di accettare la propria solitudine. Non
contare nulla per nessuno era una realtà a cui pian piano
avrebbe
potuto abituarsi, no? Aveva già rinunciato a suonare in
compagnia,
si trattava di un bel passo in avanti e avrebbe semplicemente dovuto
continuare in quella direzione ma no... Doveva piacergli Chris,
ovvio. Doveva desiderare disperatamente che Chris diventasse suo
amico.
E
non poteva farci niente.
Rattatatà tatà tattarattatà, ho aggiornato l'Inaggiornabile! Mi sento una dea, aw.
Dunque, bando alle facezie e on with the precisazioni “tecniche”: quella che avete appena letto è la prima parte di un megacapitolo che ho voluto spezzare per due motivi:
a) è un megacapitolo, appunto... Troppa carne al fuoco non va bene.
b) questa parte è il “punto di ebollizione”, l'altra è l'“innalzamento ebullioscopico”. Da un parte bolle l'acqua, dall'altra bolle una soluzione. Solvente e soluzione. Metafore, metafore everywhere.
… ok, facciamo finta che il punto b) non esista.
Se
state davvero seguendo *ancora* questa storia non posso che
ringraziarvi... Siete belli, e io sono brutta-brutta.
Tornerò presto con la seconda parte prima del ventisei c.m. *sorride felice* no, ok, mi son lasciata trascinare dall'entusiasmo e mi son sopravvalutata... Facciamo che dovrà passare qualche giorno in più perché dal 26 effettivamente sto via e torno il 2 ottobre. Quindi, non molti giorni ma qualcuno in più sì. Ciao.
(lol @me che faccio precisazioni e correzioni come se dall'aggiornamento di questa fic dipendesse la salute di qualcuno) (sono precisa, che devo dirvi)
♥