Avevo una professoressa. Una professoressa allegra, bravissima. Aveva un figlio di tredici anni e una figlia più grande. Parlava sempre di lui, orgogliosa. Era allegra, finchè lui non si suicidò.
Era un giorno come tanti,  entrata a scuola, la notizia. Non ci potevamo credere. Nessuno di noi lo conosceva di persona, ma eravamo sconvolti. Riuscivo solo a pensare a lei, la mia professoressa, ma non come professoressa, ma come madre. Andai anche al funerale, con un po’ di compagni di classe. Forse non ero pronta a vedere una professoressa diversa da quella allegra, ma ci andai lo stesso, in segno di rispetto. Suonavano i suoi compagni di violino. Quando entrò la sua bara, scoppiai. E la professoressa era dietro di lui, con dei fiori in mano, il viso rosso, ma lei era forte. E sua sorella dietro.  Credo fosse stato quello a farmi scoppiare in lacrime. O forse la sua storia. O forse la musica. O forse solo  il fatto che era un funerale. Alla fine della cerimonia andammo da lei, quando la vidi compresi che era stato quello a farmi piangere.
 Gente che la consolava, gente che la accarezzava, gente che le parlava, gente che l’abbracciava, ma sembrava che nessuna di queste cose la calmassero. Lei voleva suo figlio. Ci abbracciò, piangendo. Ma lei era forte.
Tornò a insegnare pochi mesi dopo, come rinata, la vedevamo come sempre. Ma non era come prima, capii che non lo sarebbe mai stata. E di suo figlio parlava. Perché lei ERA forte, e l’aveva superato quasi totalmente. Quasi, perché non potrà mai rimuovere il ricordo di un figlio.
Leggo le cose che gli scrivono sul profilo di Facebook, e capisco, come una vita intera può essere spazzata via da un soffio di vento troppo forte, che non si riesce a superare.