Quando arrivammo a Londra, era mattina presto. Non
so dire esattamente quanto tempo passò, ma so che arrivammo all’aeroporto in
macchina e ci imbarcammo in circa due ore. E poi, il tempo che facemmo in aereo
è un vuoto totale. Sinceramente non mi ricordo nemmeno di essere scesa
dall’aereo. Mi svegliai solo in mattinata, mentre ero in macchina. Di colpo si
fermò. Scesi dalla macchina di Dalton e con mia grande sorpresa vidi che c’era
il sole. Niente di che, però era comunque sole!
Infatti, mi ero sempre immaginata il tempo di Londra più orrendo. Voglio dire:
pioggia, grandine, e ancora pioggia ventiquattro ore su ventiquattro. Ma a
quanto pareva mi ero sempre sbagliata. Davanti a me c’era una specie di reggia:
facciata di un colore bianco un po’ antico, finestre enormi, balconi, bovindi, fiori, colonne, un mega giardino… per i
miei standard sembrava un castello. Mi strofinai gli occhi dalla dormita.
– Eccoci! – esclamò Dalton – Benvenuta a Londra!
Inarcai un sopracciglio.
–Benvenuta a Londra! – ripeté accentuando la parola benvenuta e aprendo le
braccia. Fu allora che capii.
– Qui vivono i miei zii? – domandai
con gli occhi sbarrati
– Esattamente dormigliona! – intervenne Jason ridendo
–Benvenuta nella tua nuova casa.
– Uau! – fischiai. Mi strofinai ancora gli occhi per
assicurarmi che non fosse un sogno e per scacciare anche l’ultima traccia di
sonno.
Presi le mie cose dalla macchina e sospirai.
L’agitazione prese il sopravvento. Ma
perché i miei non mi hanno mai detto niente? Sospirai un’altra volta e mi
diressi al cancello. Una figura stramba si avvicinò a noi, prima che potessi
suonare il campanello. Si avvicinò talmente tanto che sembrava volesse
annusarci. Indietreggiai.
– Sareste? – chiese il tipo. Sembrava un maggiordomo.
Feci per aprire la bocca ma Dalton mi precedette.
– Lei è la signorina Annabell Davis, nipote di sir e
lady Parrington. Potremo scambiare due parole con loro?
Da
dove arriva tutta questa formalità? Signorina? Sir? Lady? Ma dove siamo, nel
XVIII secolo?
–
Oh, non ce ne sarà bisogno – disse una voce alle spalle del maggiordomo. Gli
posò una mano sulla spalla.
– Allora è così che ti hanno chiamato, dunque.
Annabell.
Mi squadrò dalla testa ai piedi e viceversa, ma si
fermò in particolare sui miei occhi. Anche lui come avevano fatto Jason e
Dalton. Lo guardai anche io. Sembrava anche lui sulla quarantina, portati
perfettamente. Era moro, con i baffi e un po’ di barba, ma in un ordine
impeccabile. Era in giacca e cravatta, come se fosse appena tornato da una
riunione di lavoro in cui i partecipanti sono tutti infighettati. Ecco, lui
aveva quell’aria da lavoratore accanito londinese. Molto probabilmente lo era,
dato che quella casa non si costruisce da sola. La cosa che mi colpì
maggiormente fu il colore dei suoi occhi: erano di un azzurro zaffiro, delicato
ma intenso. Mi fecero impressione, e incutevano quasi timore. Ma perché ‘sti qua hanno tutti gli occhi
strani? Perché tutti mi fissano negli occhi e annuiscono?
– Mr. Mason, faccia la cortesia di aprire il
cancello alla signorina Annabell e di scortarla alla sua camera. Poi la porti
in sala dove faremo le presentazioni.
Scortarla? Ma come parlano questi? Sembra che devo andare in galera!
– Ma certo, sir Parrinton.
L’uomo infghettato, identificato come mio zio,
sorrise di nuovo, si girò e tornò dentro casa. Il tipo identificato come Mr. Mason
mi aprii l’enorme cancello.
– Dia pure tutto a me, signorina – mi disse gentile.
Io gli diedi l’album di famiglia e il caricabatterie, mi voltai e feci un cenno
di saluto a Dalton, mentre Jason mi alzava i pollici divertito. Io feci lo
stesso e poi mi voltai.
La casa era fantasmagorica. Dire che era grandissima
era dir poco. Già si capiva lo stile all’ingresso: una colonna si ergeva al
centro della sala (non intendete “sala” come una sala qualunque, piuttosto
della grandezza di un parco giochi), un divano, una poltrona marrone, una TV al
plasma, e dei quadri nei quali vi erano enormi fiori. Forse erano la passione
di mia zia. Mr. Mason mi condusse su per le scale. Anche nella prima rampa
c’erano quadri di fiori e animali, ma salita la seconda rampa, nell’ampio
corridoio, c’erano quadri di due ragazze.
Una era mora con gli occhi azzurri, e sembrava molto piccola, ma poi ce n’erano
altri, sempre di quella bambina, che diventava a ogni quadro più grande.
Dall’altro lato del corridoio la medesima cosa, solo di una splendida ragazza
rossa con gli occhi dello stesso colore della bambina e dello zio. C’erano
tantissime porte, e dentro di me sentivo che avrei aperto la porta mentre
qualcuno si faceva il bagno in futuro. Mr. Mason si fermò davanti a una porta
marrone come tutte le altre.
– Siamo arrivati, signorina. Questa è la sua camera
– mi disse con la solita voce solenne.
Quando entrai nella mia “camera”, rischiai di avere un infarto. Era grande
quanto la sala e la cucina messe insieme della mia vecchia casa. Era arredata a
puntino, niente era fuori posto. I muri erano di un colore beige chiaro, e il
pavimento era un parquet. C’erano quadri, vasi, sedie, poltrone, una tv al
plasma, un tavolo e persino un bagno! Ci entrai subito di corsa. La vasca era
una jacuzzi, il box doccia aveva persino uno spazio per sedersi e si illuminava
e, cosa ancora più fantastica, nella camera c’era il bovindo! Aprii la
finestra, mi appoggiai al davanzale e inspirai a fondo l’aria. C’era una vista
mica male per essere a Londra!
– La stanza è di suo gradimento, signorina? – mi chiese Mr. Mason mettendo il caricabatterie
e l’album in un cassetto.
– Certo, Mr. Mason – risposi lanciandomi sul letto. Era morbidissimo. Era
rifatto con il piumone, dato che probabilmente ad ottobre, a Londra fa già un
freddo cane. Era un letto matrimoniale. Gli sorrisi – Non avrei di certo potuto
desiderare di meglio!
Lui fece un sorriso storto. Probabilmente non aveva il permesso di sorridere o
non ne aveva mai l’occasione e molto probabilmente non aveva fatto molta
pratica negli anni.
– Ora signorina la prego di seguirmi. E’ ora di fare
la conoscenza della famiglia Parrington.
– Mr. Mason…
– Mi dica, signorina.
– Potrei avere un po’ di tempo per chiamare i miei
amici ad Amburgo? Loro non sanno nulla ancora…
– Signorina, la stanno aspettando. Sir e lady
Parrington non amano aspettare.
– La prego Mr. Mason! Li avvisi lei, io tornerò più
in fretta possibile, glielo prometto! – feci la faccia più compassionevole che
riuscivo a fare, e lui sospirò, rassegna dosi.
– E va bene, signorina. Ma si sbrighi, mi
raccomando.
– La ringrazio di cuore, Mr. Mason.
– Quando scende, non si perda, mi raccomando,
signorina.
Chiuse la porta. Io mi ributtai sul letto e composi
il numero della mia amica Karol.
“Tu tu… tu tu... tu tu…”
Una voce rispose, preoccupata.
– Annie! Ma dove sei finita?
– Scusa Karol, non sono a casa…
– Come mai? Che cos’è successo?
– Beh, è una storia strana…
Iniziai a raccontarle la storia, a partire dalla casa in cui ero, ma quando iniziai
a raccontargli di Jason, mi fermò
– Wow! Questo gran figo di Jason mi ricorda Edward
Cullen…
– Ci ho pensato anche io!
– Ahahahahaha, Annie, non perderlo di vista, mi
raccomando!
– Karo! Ormai è andato! Comunque, lasciami finire di
raccontare. Sono qui perché i miei… i miei… – mi salii un groppo alla gola
– Oh… ssh, Annie, tranquilla, ci sono io con te…
– Già… – tirai su con il naso
– Cambiando argomento, a proposito di quel gran
pezzo di figo… cerca di rintracciarlo! Voglio assolutamente vedere una sua
foto! – deviò il discorso come solo lei riusciva a fare, ma quando si tratta di
bei ragazzi, era una guerra persa
– D’accordo, ci proverò.
Lei sospirò – Mi mancherai tantissimo, lo sai?
– Anche tu, Karo! Ho comunque portato con me le
nostre foto strampalate, per ridere quando mi manchi e… oh, non provare a
cambiare numero!
– D’accordo, non lo farò. – tutto d’un tratto la sua
voce era cambiata, singhiozzava e parlava come se avesse il raffreddore.
– Ehi, Karo, non metterti a piangere! Tornerò – le
dissi infine, ma non ero del tutto convinta
– Davvero?
– Certo! Ora scusami ma mi stanno aspettando per le
presentazioni in famiglia…
– Ci sentiamo?
– Certamente – dissi sorridendo. Avrei tanto voluto
essere lì con lei, per consolarla, ma lei non poteva nemmeno vedere il mio
sorriso. Prima di riattaccare, mi ricordai degli altri.
– Ehm, Karo…
– Dimmi Annie.
– Potresti raccontare tutto anche a Nigel, Juli e a tutti
gli altri? Ora non ho tempo per chiamarli… i miei zii mi fulmineranno viva, me
lo sento.
– Contaci. Gli racconterò tutto domani, tranquilla.
Poi ti chiameranno loro, okay?
– Okay, siamo d’accordo allora. Un bacio!
– Ciao, a presto Annie, ti voglio bene.
– Anche io Karo – e chiusi la chiamata. Sapevo che
sennò saremmo andate avanti all’infinito, ma giù mi stavano aspettando. Erano
già spazientiti, secondo me.
Aprii la porta e mi trovai un labirinto di porte di fronte. Dove vado? Mi sa che avrei dovuto chiamarla dopo Karol… oddio e adesso? Scesi
le scale di corsa, senza fiato scesi un’altra rampa e fu lì la prima volta che
lo vidi. Proprio lì, in fondo alla rampa di scale. Era un ovale verde, con
delle sfumature rosse, color ambra e azzurre. All’interno, era come se ci fosse
un’infinita spirale: continuava a girare. Mi avvicinai, scendendo uno scalino
per volta, con calma. Quando fui vicina sentii riecheggiare nell’aria una nota
grave. Come se un tenore stesse scaldando la voce prima di un concerto. Ero
sicura comunque, che la nota in questione fosse un “Do”. Continuava senza
sosta, non si fermava mai. Non me la sentivo di toccarlo, non mi fidavo di
quella cosa FLUTTUANTE. Così, la
ignorai, e passai avanti. Scesi le scale di corsa e mi scontrai con qualcuno.
Pregavo che non fosse mio zio.
– Scusami, perdonami – dissi impacciata
– Tu… saresti? – era la
voce di un ragazzo. Alzai lo sguardo, e lo vidi: due occhi verde smeraldo.
Aspetta… erano del MIO STESSO colore!
Magari era una coincidenza, ma erano identici! Anche lui sembrava avere gli
stessi pensieri, perché mi guardava intensamente.
– Annabell.
– Nathan, piacere – mi
porse la mano e io gliela strinsi
– Per caso… sei figlio
di mio zio?
– Ehm… – ci riflettè un
secondo – Certo! E’ casa mia questa.
– Allora tu sei mio
cugino! – esclamai
– Uau! Ma perché sei… –
si fermò – oh. Papà mi ha raccontato quello che ti è accaduto… mi dispiace per
i tuoi genitori… i miei zii… – fece una pausa – strano che non sapevamo uno
dell’esistenza dell’altra, eh? Eppure siamo cugini!
– A me sembra più che
altro buffo… – volli fargli notare la faccenda degli occhi – e poi, è strano
che abbiamo gli occhi dello stesso colore, e buffo. Non trovi?
Rise – Già, ci stavo
pensando prima!
– Uo, ora siamo anche
telepatici!
– Siamo cugini in
fondo, no?
Ci fu un minuto buono
di silenzio, dopo una risata. Finito di ridere, mi ricordai il motivo per cui
ero scesa.
– Potresti
accompagnarmi in sala? Mr. Mason mi aveva detto di trovarmi lì, ma non ho la
minima idea di dove sia…
– Certo, cugina! Ti
accompagno subito! Seguimi.
Mentre camminavo ebbi
l’occasione di guardarlo interamente. Poteva solo essere appena tornato da
scuola, a meno che non girasse in giro per Londra tutto infighettato come suo
padre. Portava una cravatta nera e rossa, una giacca rossa e una camicia
bianca. I pantaloni erano neri.
– Si, questa è l’uniforme
scolastica– mi disse come se mi avesse letto nel pensiero – sono appena tornato
da scuola. Non vedo l’ora di togliermela! Papà mi ha avvisato che c’era una persona
speciale in casa, allora sono corso subito a casa! E poi… BUM! Ci siamo
scontrati. Bello eh?
–Si, davvero… forte!
Arrivammo nella sala in
pochi secondi. Iniziai a prendere confidenza con Nathan. Era un tipo simpatico.
Quando sbucammo da un angolo avevo sì e no dieci occhi puntati addosso. C’erano
due ragazze bellissime: una avrà avuto dodici anni, e l’altra la mia età. Poi
mi resi conto che le due ragazze erano quelle dei ritratti al secondo piano.
Mie cugine. La rossa, nonché la quindicenne, si guardava le doppie punte (che
probabilmente non aveva), mentre la ragazzina di dodici mi guardava ridendo, e
fu anche la prima a parlare.
– Benvenuta! Tu devi
essere Annabell, giusto?
– Si, chiamami pure
Annie…
– Iris, quanta confidenza
che dai ad una sconosciuta! – intervenne la Rossa senza distogliere lo sguardo
dai suoi capelli
– Non essere sgarbata,
Sophie! – la rimproverò lo zio Parrington – Benvenuta Annabell. Ora, le
presentazioni. Accomodati pure.
Mi sedetti sul divano
in pelle.
– Allora, partiamo dai
ragazzi. Come avrai ben capito, lui è Nathan, il maggiore – mi disse indicando
Nathan. Io sorrisi – poi, lei è Sophie – disse indicando la Rossa, che alzò gi
occhi giusto per vedere se non ero un mostro, e tornò ai suoi capelli – mentre,
la più piccola è Iris.
– Annabell! Sono così
contenta che sei qui! Potremmo fare così tante cose insieme! – esclamò Iris
entusiasta
– Lo sono anche io
Iris, mi piacerebbe tanto conoscerti meglio – dissi sorridendole. I suoi occhi
azzurri si illuminarono e ricambiò il sorriso
– Oh, Iris! Non la
farai giocare con le bambole, spero! – intervenne Nathan, ridendo
– Certo che no! Non ho
più cinque anni, fratellone! – ribatté lei – E poi, ho sempre voluto una
sorella più grande, come si deve… – rivolse un’occhiata a Sophie, che nemmeno
la ascoltò
–Va bene, ragazzi –
cominciò lo zio – vedo che andate d’accordo, mi fa molto piacere. Annabell si
deve sentire a casa sua, qui okay?
– Okay – risposero i
ragazzi in coro. Cioè, Iris e Nathan. Sophie era troppo impegnata nel caso
“doppie punte che non ho”.
– D’accordo. E invece,
questa è mia moglie, Annabell. Adrianne Parrigton.
Una donna bellissima si
alzò dalla sua sedia, elegantissima. Aveva un lungo abito azzurro, che
riprendeva il bellissimo colore dei suoi occhi, naturalmente azzurri come tutti
gli altri. Tranne Nathan. C’era una somiglianza enorme con Sophie. Lady
Parrington aveva i capelli intrecciati sulla spalla destra e una specie di
tiara in testa.
– Piacere di fare la
tua conoscenza, nipotina – mi disse gentile
Il piacere è tutto mio,
zia – risposi in modo più disinvolto possibile. Lei sorrise. Era ancora più
bella quando sorrideva.
–Forse i tuoi te
l’avranno detto ma… assomigli moltissimo a Julia, quando aveva la tua età.
– Chi è Julia? – chiesi
– Dahlia e Darren non
te ne hanno mai parlato?
– No, mai.
– Oh, peccato… ti
mostrerò una sua foto a pranzo. Sei la sua esatta copia, ragazza mia.
– Bene – disse lo zio,
ansioso di finire il discorso – questi sono i nostri “collaboratori” – indicò i
maggiordomi. Mi stupii che non li avesse chiamati “camerieri” o “maggiordomi” o
“servi” ma in quella casa si erano fermati al XVIII secolo, per cui…
– Nathan, Iris,
mostrate ad Annabell la casa. – ordinò lo zio Parrington
– Sarà un vero piacere!
– esclamò Iris
– Anche io sono d’accordo.
Sarà divertente! – concordò Nathan
Risi – Grazie cugini
Ed
eccolo di nuovo. Quel suono, quel “Do” riecheggiò di nuovo nelle mie orecchie.
Mi girai e lo vidi, lì che girava come un’infinita spirale. Che cos’era quel
coso?
– Cos… cos’è quello?
– Quello cosa? – chiese
zia Parrington
– Quell’ovale verde… è
lì, non lo vedete? – chiesi indicando l’ovale. Zio e zia Parrington si
rivolsero uno sguardo complice
– Non c’è nessun ovale
verde lì…
– Ma come? E’ lì, sotto i vostri occhi!
– Non c’è niente lì… –
mi disse Nathan
– Eppure io lo vedo, lo
sento!
– Annabell, vai a
vedere la casa… non pensare a quell’ovale verde… Il viaggio deve averti
stancata parecchio.
– Non sono pazza! –
sbottai
– Tranquilla Annie, andiamo –
mi disse Iris
– Vi chiameremo all’ora
di pranzo, Annabell. Arrivederci.
Cosa
c’è in quell’”arrivederci” che non mi convince?
Quell’incontro si era
concluso parecchio male. Seguii Nathan e Iris su per le scale. Mi portarono in
camera mia e io mi sdraiai sul letto, con un braccio sugli occhi. Zio e zia Parrington di sicuro sanno di cosa parlo. Ne ero certa.
– Non sei pazza. Io ti
credo. – mi disse Nathan
– Anche io ti credo! –
intervenne Iris
– Sul serio? Non vi
sembro una psicopatica?
– Certo che no. – mi
sorrisero entrambi
– Grazie… scusate se ho
rovinato un incontro di famiglia.
– Traaaaaaanquilla,
cugina – disse Iris – vanno sempre a finire con qualcuno che scappa. E’
un’abitudine ormai in casa Parrington.
Scoppiammo a ridere
tutti nello stesso istante, qualche secondo dopo che Iris finisse di
pronunciare la frase. Rimanemmo per un po’ tutti insieme poi, Nathan doveva
svolgere i compiti, prima di pranzo, così aveva il pomeriggio libero per cui ci
salutò e uscii. Chissà dove era la sua camera. In quel labirinto, non l’avrei
di certo mai trovata. Iris doveva vedersi con delle amiche nel pomeriggio, per
cui doveva preparare l’occorrente per studiare. La baciai sulla guancia e uscì
anche lei. Rimasi quindi sola nella camera, a pensare all’espressione degli zii
quando gli avevo detto dell’ovale verde.
Loro
sanno di cosa parlo. Ma di cosa parlo io?