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Autore: Jo Scrive    21/09/2012    3 recensioni
Mi è venuta in mente questa storia dopo aver letto Green, che adoro *OOO*
L'avrò letto sì e no 18273638281273271 volte :')
Comunque, eccovi la trama: Annabell Davis, giovane ragazza di Amburgo, viene catapultata in un mondo a lei tutto nuovo, dopo la morte dei genitori in un incidente stradale.
Si trasferisce a Londra a casa degli zii e dei tre cugini: Iris, Sophie, e Nathan.
Loro sono la tipica famiglia ricca di Londra, e Annabell non può certamente desiderare di meglio.
Ma tutto cambierà, la sua vita non sarà più la stessa...
Crea dipendenza, provare per credere
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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bnbnbn

Quando arrivammo a Londra, era mattina presto. Non so dire esattamente quanto tempo passò, ma so che arrivammo all’aeroporto in macchina e ci imbarcammo in circa due ore. E poi, il tempo che facemmo in aereo è un vuoto totale. Sinceramente non mi ricordo nemmeno di essere scesa dall’aereo. Mi svegliai solo in mattinata, mentre ero in macchina. Di colpo si fermò. Scesi dalla macchina di Dalton e con mia grande sorpresa vidi che c’era il sole. Niente di che, però era comunque sole! Infatti, mi ero sempre immaginata il tempo di Londra più orrendo. Voglio dire: pioggia, grandine, e ancora pioggia ventiquattro ore su ventiquattro. Ma a quanto pareva mi ero sempre sbagliata. Davanti a me c’era una specie di reggia: facciata di un colore bianco un po’ antico, finestre enormi, balconi, bovindi, fiori, colonne, un mega giardino… per i miei standard sembrava un castello. Mi strofinai gli occhi dalla dormita.
– Eccoci! – esclamò Dalton – Benvenuta a Londra!
Inarcai un sopracciglio.
–Benvenuta a Londra! – ripeté accentuando la parola benvenuta e aprendo le braccia. Fu allora che capii.
Qui vivono i miei zii? – domandai con gli occhi sbarrati

– Esattamente dormigliona! – intervenne Jason ridendo –Benvenuta nella tua nuova casa.

– Uau! – fischiai. Mi strofinai ancora gli occhi per assicurarmi che non fosse un sogno e per scacciare anche l’ultima traccia di sonno.

Presi le mie cose dalla macchina e sospirai. L’agitazione prese il sopravvento. Ma perché i miei non mi hanno mai detto niente? Sospirai un’altra volta e mi diressi al cancello. Una figura stramba si avvicinò a noi, prima che potessi suonare il campanello. Si avvicinò talmente tanto che sembrava volesse annusarci. Indietreggiai.
– Sareste? – chiese il tipo. Sembrava un maggiordomo.
Feci per aprire la bocca ma Dalton mi precedette.

– Lei è la signorina Annabell Davis, nipote di sir e lady Parrington. Potremo scambiare due parole con loro?

Da dove arriva tutta questa formalità? Signorina? Sir? Lady? Ma dove siamo, nel XVIII secolo?
– Oh, non ce ne sarà bisogno – disse una voce alle spalle del maggiordomo. Gli posò una mano sulla spalla.

– Allora è così che ti hanno chiamato, dunque. Annabell.

Mi squadrò dalla testa ai piedi e viceversa, ma si fermò in particolare sui miei occhi. Anche lui come avevano fatto Jason e Dalton. Lo guardai anche io. Sembrava anche lui sulla quarantina, portati perfettamente. Era moro, con i baffi e un po’ di barba, ma in un ordine impeccabile. Era in giacca e cravatta, come se fosse appena tornato da una riunione di lavoro in cui i partecipanti sono tutti infighettati. Ecco, lui aveva quell’aria da lavoratore accanito londinese. Molto probabilmente lo era, dato che quella casa non si costruisce da sola. La cosa che mi colpì maggiormente fu il colore dei suoi occhi: erano di un azzurro zaffiro, delicato ma intenso. Mi fecero impressione, e incutevano quasi timore. Ma perché ‘sti qua hanno tutti gli occhi strani? Perché tutti mi fissano negli occhi e annuiscono?

– Mr. Mason, faccia la cortesia di aprire il cancello alla signorina Annabell e di scortarla alla sua camera. Poi la porti in sala dove faremo le presentazioni.
Scortarla? Ma come parlano questi? Sembra che devo andare in galera!
  Ma certo, sir Parrinton.

L’uomo infghettato, identificato come mio zio, sorrise di nuovo, si girò e tornò dentro casa. Il tipo identificato come Mr. Mason mi aprii l’enorme cancello.

– Dia pure tutto a me, signorina – mi disse gentile. Io gli diedi l’album di famiglia e il caricabatterie, mi voltai e feci un cenno di saluto a Dalton, mentre Jason mi alzava i pollici divertito. Io feci lo stesso e poi mi voltai.

La casa era fantasmagorica. Dire che era grandissima era dir poco. Già si capiva lo stile all’ingresso: una colonna si ergeva al centro della sala (non intendete “sala” come una sala qualunque, piuttosto della grandezza di un parco giochi), un divano, una poltrona marrone, una TV al plasma, e dei quadri nei quali vi erano enormi fiori. Forse erano la passione di mia zia. Mr. Mason mi condusse su per le scale. Anche nella prima rampa c’erano quadri di fiori e animali, ma salita la seconda rampa, nell’ampio corridoio, c’erano quadri di due  ragazze. Una era mora con gli occhi azzurri, e sembrava molto piccola, ma poi ce n’erano altri, sempre di quella bambina, che diventava a ogni quadro più grande. Dall’altro lato del corridoio la medesima cosa, solo di una splendida ragazza rossa con gli occhi dello stesso colore della bambina e dello zio. C’erano tantissime porte, e dentro di me sentivo che avrei aperto la porta mentre qualcuno si faceva il bagno in futuro. Mr. Mason si fermò davanti a una porta marrone come tutte le altre.

– Siamo arrivati, signorina. Questa è la sua camera – mi disse con la solita voce solenne.
Quando entrai nella mia “camera”, rischiai di avere un infarto. Era grande quanto la sala e la cucina messe insieme della mia vecchia casa. Era arredata a puntino, niente era fuori posto. I muri erano di un colore beige chiaro, e il pavimento era un parquet. C’erano quadri, vasi, sedie, poltrone, una tv al plasma, un tavolo e persino un bagno! Ci entrai subito di corsa. La vasca era una jacuzzi, il box doccia aveva persino uno spazio per sedersi e si illuminava e, cosa ancora più fantastica, nella camera c’era il bovindo! Aprii la finestra, mi appoggiai al davanzale e inspirai a fondo l’aria. C’era una vista mica male per essere a Londra!
– La stanza è di suo gradimento, signorina? –  mi chiese Mr. Mason mettendo il caricabatterie e l’album in un cassetto.
– Certo, Mr. Mason – risposi lanciandomi sul letto. Era morbidissimo. Era rifatto con il piumone, dato che probabilmente ad ottobre, a Londra fa già un freddo cane. Era un letto matrimoniale. Gli sorrisi – Non avrei di certo potuto desiderare di meglio!
Lui fece un sorriso storto. Probabilmente non aveva il permesso di sorridere o non ne aveva mai l’occasione e molto probabilmente non aveva fatto molta pratica negli anni.

– Ora signorina la prego di seguirmi. E’ ora di fare la conoscenza della famiglia Parrington.  

– Mr. Mason…

– Mi dica, signorina.

– Potrei avere un po’ di tempo per chiamare i miei amici ad Amburgo? Loro non sanno nulla ancora…

– Signorina, la stanno aspettando. Sir e lady Parrington non amano aspettare.

– La prego Mr. Mason! Li avvisi lei, io tornerò più in fretta possibile, glielo prometto! – feci la faccia più compassionevole che riuscivo a fare, e lui sospirò, rassegna dosi.

– E va bene, signorina. Ma si sbrighi, mi raccomando.

– La ringrazio di cuore, Mr. Mason.

– Quando scende, non si perda, mi raccomando, signorina.

Chiuse la porta. Io mi ributtai sul letto e composi il numero della mia amica Karol.
“Tu tu… tu tu... tu tu…”

Una voce rispose, preoccupata.

– Annie! Ma dove sei finita?

– Scusa Karol, non sono a casa…

– Come mai? Che cos’è successo?

– Beh, è una storia strana…
Iniziai a raccontarle la storia, a partire dalla casa in cui ero, ma quando iniziai a raccontargli di Jason, mi fermò

– Wow! Questo gran figo di Jason mi ricorda Edward Cullen…

– Ci ho pensato anche io!

– Ahahahahaha, Annie, non perderlo di vista, mi raccomando!

– Karo! Ormai è andato! Comunque, lasciami finire di raccontare. Sono qui perché i miei… i miei… – mi salii un groppo alla gola

– Oh… ssh, Annie, tranquilla, ci sono io con te…

– Già… – tirai su con il naso

– Cambiando argomento, a proposito di quel gran pezzo di figo… cerca di rintracciarlo! Voglio assolutamente vedere una sua foto! – deviò il discorso come solo lei riusciva a fare, ma quando si tratta di bei ragazzi, era una guerra persa

– D’accordo, ci proverò.

Lei sospirò – Mi mancherai tantissimo, lo sai?

– Anche tu, Karo! Ho comunque portato con me le nostre foto strampalate, per ridere quando mi manchi e… oh, non provare a cambiare numero!

– D’accordo, non lo farò. – tutto d’un tratto la sua voce era cambiata, singhiozzava e parlava come se avesse il raffreddore.

– Ehi, Karo, non metterti a piangere! Tornerò – le dissi infine, ma non ero del tutto convinta 

– Davvero?

– Certo! Ora scusami ma mi stanno aspettando per le presentazioni in famiglia…

– Ci sentiamo?

– Certamente – dissi sorridendo. Avrei tanto voluto essere lì con lei, per consolarla, ma lei non poteva nemmeno vedere il mio sorriso. Prima di riattaccare, mi ricordai degli altri.

– Ehm, Karo…

– Dimmi Annie.

– Potresti raccontare tutto anche a Nigel, Juli e a tutti gli altri? Ora non ho tempo per chiamarli… i miei zii mi fulmineranno viva, me lo sento.

– Contaci. Gli racconterò tutto domani, tranquilla. Poi ti chiameranno loro, okay?

– Okay, siamo d’accordo allora. Un bacio!

– Ciao, a presto Annie, ti voglio bene.

– Anche io Karo – e chiusi la chiamata. Sapevo che sennò saremmo andate avanti all’infinito, ma giù mi stavano aspettando. Erano già spazientiti, secondo me.
Aprii la porta e mi trovai un labirinto di porte di fronte. Dove vado? Mi sa che avrei dovuto chiamarla dopo Karol… oddio e adesso? Scesi le scale di corsa, senza fiato scesi un’altra rampa e fu lì la prima volta che lo vidi. Proprio lì, in fondo alla rampa di scale. Era un ovale verde, con delle sfumature rosse, color ambra e azzurre. All’interno, era come se ci fosse un’infinita spirale: continuava a girare. Mi avvicinai, scendendo uno scalino per volta, con calma. Quando fui vicina sentii riecheggiare nell’aria una nota grave. Come se un tenore stesse scaldando la voce prima di un concerto. Ero sicura comunque, che la nota in questione fosse un “Do”. Continuava senza sosta, non si fermava mai. Non me la sentivo di toccarlo, non mi fidavo di quella cosa FLUTTUANTE. Così, la ignorai, e passai avanti. Scesi le scale di corsa e mi scontrai con qualcuno. Pregavo che non fosse mio zio.

– Scusami, perdonami – dissi impacciata

– Tu… saresti? – era la voce di un ragazzo. Alzai lo sguardo, e lo vidi: due occhi verde smeraldo. Aspetta… erano del MIO STESSO colore! Magari era una coincidenza, ma erano identici! Anche lui sembrava avere gli stessi pensieri, perché mi guardava intensamente.

– Annabell.

– Nathan, piacere – mi porse la mano e io gliela strinsi

– Per caso… sei figlio di mio zio?

– Ehm… – ci riflettè un secondo – Certo! E’ casa mia questa.

– Allora tu sei mio cugino! – esclamai

– Uau! Ma perché sei… – si fermò – oh. Papà mi ha raccontato quello che ti è accaduto… mi dispiace per i tuoi genitori… i miei zii… – fece una pausa – strano che non sapevamo uno dell’esistenza dell’altra, eh? Eppure siamo cugini!

– A me sembra più che altro buffo… – volli fargli notare la faccenda degli occhi – e poi, è strano che abbiamo gli occhi dello stesso colore, e buffo. Non trovi?

Rise – Già, ci stavo pensando prima!

– Uo, ora siamo anche telepatici!

– Siamo cugini in fondo, no?

Ci fu un minuto buono di silenzio, dopo una risata. Finito di ridere, mi ricordai il motivo per cui ero scesa.

– Potresti accompagnarmi in sala? Mr. Mason mi aveva detto di trovarmi lì, ma non ho la minima idea di dove sia…

– Certo, cugina! Ti accompagno subito! Seguimi.

Mentre camminavo ebbi l’occasione di guardarlo interamente. Poteva solo essere appena tornato da scuola, a meno che non girasse in giro per Londra tutto infighettato come suo padre. Portava una cravatta nera e rossa, una giacca rossa e una camicia bianca. I pantaloni erano neri.

– Si, questa è l’uniforme scolastica– mi disse come se mi avesse letto nel pensiero – sono appena tornato da scuola. Non vedo l’ora di togliermela! Papà mi ha avvisato che c’era una persona speciale in casa, allora sono corso subito a casa! E poi… BUM! Ci siamo scontrati. Bello eh?

–Si, davvero… forte!

Arrivammo nella sala in pochi secondi. Iniziai a prendere confidenza con Nathan. Era un tipo simpatico. Quando sbucammo da un angolo avevo sì e no dieci occhi puntati addosso. C’erano due ragazze bellissime: una avrà avuto dodici anni, e l’altra la mia età. Poi mi resi conto che le due ragazze erano quelle dei ritratti al secondo piano. Mie cugine. La rossa, nonché la quindicenne, si guardava le doppie punte (che probabilmente non aveva), mentre la ragazzina di dodici mi guardava ridendo, e fu anche la prima a parlare.

– Benvenuta! Tu devi essere Annabell, giusto?

– Si, chiamami pure Annie…

– Iris, quanta confidenza che dai ad una sconosciuta! – intervenne la Rossa senza distogliere lo sguardo dai suoi capelli

– Non essere sgarbata, Sophie! – la rimproverò lo zio Parrington – Benvenuta Annabell. Ora, le presentazioni. Accomodati pure.

Mi sedetti sul divano in pelle.

– Allora, partiamo dai ragazzi. Come avrai ben capito, lui è Nathan, il maggiore – mi disse indicando Nathan. Io sorrisi – poi, lei è Sophie – disse indicando la Rossa, che alzò gi occhi giusto per vedere se non ero un mostro, e tornò ai suoi capelli – mentre, la più piccola è Iris.

– Annabell! Sono così contenta che sei qui! Potremmo fare così tante cose insieme! – esclamò Iris entusiasta

– Lo sono anche io Iris, mi piacerebbe tanto conoscerti meglio – dissi sorridendole. I suoi occhi azzurri si illuminarono e ricambiò il sorriso

– Oh, Iris! Non la farai giocare con le bambole, spero! – intervenne Nathan, ridendo

– Certo che no! Non ho più cinque anni, fratellone! – ribatté lei – E poi, ho sempre voluto una sorella più grande, come si deve… – rivolse un’occhiata a Sophie, che nemmeno la ascoltò

–Va bene, ragazzi – cominciò lo zio – vedo che andate d’accordo, mi fa molto piacere. Annabell si deve sentire a casa sua, qui okay?

– Okay – risposero i ragazzi in coro. Cioè, Iris e Nathan. Sophie era troppo impegnata nel caso “doppie punte che non ho”.

– D’accordo. E invece, questa è mia moglie, Annabell. Adrianne Parrigton.

Una donna bellissima si alzò dalla sua sedia, elegantissima. Aveva un lungo abito azzurro, che riprendeva il bellissimo colore dei suoi occhi, naturalmente azzurri come tutti gli altri. Tranne Nathan. C’era una somiglianza enorme con Sophie. Lady Parrington aveva i capelli intrecciati sulla spalla destra e una specie di tiara in testa.

– Piacere di fare la tua conoscenza, nipotina – mi disse gentile

Il piacere è tutto mio, zia – risposi in modo più disinvolto possibile. Lei sorrise. Era ancora più bella quando sorrideva.

–Forse i tuoi te l’avranno detto ma… assomigli moltissimo a Julia, quando aveva la tua età.

– Chi è Julia? – chiesi

– Dahlia e Darren non te ne hanno mai parlato?

– No, mai.

– Oh, peccato… ti mostrerò una sua foto a pranzo. Sei la sua esatta copia, ragazza mia.

– Bene – disse lo zio, ansioso di finire il discorso – questi sono i nostri “collaboratori” – indicò i maggiordomi. Mi stupii che non li avesse chiamati “camerieri” o “maggiordomi” o “servi” ma in quella casa si erano fermati al XVIII secolo, per cui…

– Nathan, Iris, mostrate ad Annabell la casa. – ordinò lo zio Parrington

– Sarà un vero piacere! – esclamò Iris

– Anche io sono d’accordo. Sarà divertente! – concordò Nathan

Risi – Grazie cugini

Ed eccolo di nuovo. Quel suono, quel “Do” riecheggiò di nuovo nelle mie orecchie. Mi girai e lo vidi, lì che girava come un’infinita spirale. Che cos’era quel coso?

– Cos… cos’è quello?

– Quello cosa? – chiese zia Parrington

– Quell’ovale verde… è lì, non lo vedete? – chiesi indicando l’ovale. Zio e zia Parrington si rivolsero uno sguardo complice

– Non c’è nessun ovale verde lì…

Ma come? E’ lì, sotto i vostri occhi!

– Non c’è niente lì… – mi disse Nathan

– Eppure io lo vedo, lo sento!

– Annabell, vai a vedere la casa… non pensare a quell’ovale verde… Il viaggio deve averti stancata parecchio.

– Non sono pazza! – sbottai

Tranquilla Annie, andiamo – mi disse Iris

– Vi chiameremo all’ora di pranzo, Annabell. Arrivederci.

Cosa c’è in quell’”arrivederci” che non mi convince?

Quell’incontro si era concluso parecchio male. Seguii Nathan e Iris su per le scale. Mi portarono in camera mia e io mi sdraiai sul letto, con un braccio sugli occhi. Zio e zia Parrington di sicuro sanno di cosa parlo. Ne ero certa.

– Non sei pazza. Io ti credo. – mi disse Nathan

– Anche io ti credo! – intervenne Iris

– Sul serio? Non vi sembro una psicopatica?

– Certo che no. – mi sorrisero entrambi

– Grazie… scusate se ho rovinato un incontro di famiglia.

– Traaaaaaanquilla, cugina – disse Iris – vanno sempre a finire con qualcuno che scappa. E’ un’abitudine ormai in casa Parrington.

Scoppiammo a ridere tutti nello stesso istante, qualche secondo dopo che Iris finisse di pronunciare la frase. Rimanemmo per un po’ tutti insieme poi, Nathan doveva svolgere i compiti, prima di pranzo, così aveva il pomeriggio libero per cui ci salutò e uscii. Chissà dove era la sua camera. In quel labirinto, non l’avrei di certo mai trovata. Iris doveva vedersi con delle amiche nel pomeriggio, per cui doveva preparare l’occorrente per studiare. La baciai sulla guancia e uscì anche lei. Rimasi quindi sola nella camera, a pensare all’espressione degli zii quando gli avevo detto dell’ovale verde.

Loro sanno di cosa parlo. Ma di cosa parlo io?

  
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