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Autore: Italianulare    22/09/2012    2 recensioni
Cesare.
Emma.
Due storie agli antipodi. Due vite agli antipodi.
Apparentemente incompatibili, ma lo sappiamo tutti come i sentimenti offuschino ogni minima traccia di certezza umana con la loro intensità.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Comico



Quando scesi da quell’aereo che mi aveva portata dal mio cuginetto speravo di trovare lui ad aspettarmi a braccia aperte, per poi portarmi finalmente a casa a farmi fare una maledetta doccia e riposarmi per questa sera, invece, posato un piede in Italia notai sul display del cellulare un messaggio del caro cugino che diceva “Elis! Scusami, ma ho avuto un imprevisto, ma sono qui con i ragazzi, viene Cesare a prenderti, ti riporta qui e poi ci salutiamo per bene, scusa ancora! A dopo”
Sbuffai  annoiata, non era possibile che quel ragazzo non riuscisse a farne una giusta nella sua vita e ora mi toccava conoscere uno di quei suoi amici, magari il classico romano cafone, che avrebbe solo voluto toccare carne di snob inglese. Spaesata presi a guardarmi intorno alla ricerca di qualcuno che potesse..boh! Quello stronzo non mi aveva neanche dato una indicazione di chi fosse questo Cesare.
Continuai a voltare la testa a destra e a sinistra, ma, non avendo idea di dove e  cosa cercare mi sedetti su una sedia accanto a una donna che abbracciava il suo zaino in attesa. Quando il ticchettio dei suoi piedi sul pavimento cominciò a provocare seri danni al mio sistema nervoso, decisi di alzarmi e di utilizzare tutto l’italiano in mio possesso per trovare la mia balia.
Decisa mi alzai e, maledetta con un’occhiata la bionda snervante accanto a me, partii alla ricerca della felicità, rappresentata da una doccia in quel momento.
Vidi un ragazzo appoggiato al muro con la mia stessa espressione, non sembrava neanche male, quindi, guidata dalla solidarietà e dagli ormoni, per lo più, marciai verso di lui.
 «Ciao, scusami, sei Cesare?» gli chiesi titubante una volta raggiuntolo.
Questi si voltò e gli ormoni di poco prima andarono in visibilio. Rimase zitto per un secondo e poi mi tranquillizzò «Si, sono io - tirai un sospiro di sollievo - Tu devi essere Emma, la cugina di Jo». Lo guardai bene mentre parlava, i suoi occhi nocciola erano di una dolcezza infinita sembravano quasi vellutati, i capelli castani che dolci gli accarezzavano la fronte erano dipinti ad hoc. Indossava un paio di jeans lunghi a sigaretta e una maglietta bianca con sopra una felpa nera aperta e stava davvero bene, anche se credo sarebbe stato bene anche vestito di soli stracci. Mi guardava negli occhi come a scavare per cercare qualche cosa a me sconosciuta, forse aveva capito anche lui che non mi sentivo più il terreno sotto ai piedi.
«Si, sono io» risposi riacquistata un po’ di lucidità e sanità mentale e subito abbassai lo sguardo.
Presi a fissarmi la punta delle scarpe sentendo le guance in fiamme che non accennavano a diminuire il loro bollore, desideravo andarmene da lì al più presto.
«Tuo cugino è stato..diciamo..poco gentile a lasciarti a me..»intavolò un discorso che mi piaceva molto, si trattava di sfottere mio cugino e alzai lo sguardo incontrando di nuovo quegli occhi di un castano dolcissimo.
«Diciamo che è stato un vero stronzo!» decisi di spezzare quell’atmosfera troppo rigida.
In risposta lui scoppiò a ridere ed io lo seguii aveva una risata contagiosa oltre che bellissima, come il suo sorriso perfetto, d’altra parte.
 «Esatto, non volevo sembrare scurrile..» si giustificò
«Non ti trattenere, cioè..non voglio che tu faccia finta di essere quello che non sei, mi sentirei in colpa!» odiavo il mio accento, sicuramente mi aveva etichettato come una altezzosa ragazzina inglese che viene a insegnare loro come vivere. «Vi conosco bene voi della band, Johnny mi parla in continuazione di voi..» aggiunsi e vidi il suo viso distendersi, aveva funzionato. Non avrei mai immaginato che vedere un membro della band di mio cugino mi avrebbe fatto questo effetto, forse è solo l’eccitazione di essere in un altro stato o magari, che ne so..ma ero ammaliata da quel ragazzo.
«Davvero? - sembrava stupito. - Senti, dato che tuo cugino è stronzo, che ne dici se ti offro un caffè?»questa volta era naturale al 100%.
«Uhm.. - portai una mano sotto al mento. Magari un tea with milk.. pensai. Poi schioccai la lingua ed annuii sorridente aggiungendo - Facciamolo penare!» Lui mi sorrise mentre meditava su qualcosa, poi guardò la mia valigia, la indicò e chiese «Posso?»
«Non ti preoccupare, ce la faccio!» lo tranquillizzai.
«Beh, sono un gentiluomo, non si fanno portare le valige a una signorina!» insistette. Sorrisi, non avrei mai immaginato di trovare un ragazzo del genere. Alzai le mani e mi arresi «Allora..». Alle mie parole prese il mio carico e si diresse verso l’auto.
 «Ti secca fare due passi?»Chiese posati i bagagli.
«Oh no! Sono stata seduta per tutto questo tempo!» Mi affrettai a rispondere prima che cambiasse idea.
«Ok, di là» Mi sorrise e ricambiai, mi sentivo come una liceale in gita con il più bello della scuola e mi facevo ribrezzo da sola per quanto ero patetica.
«Parli benissimo l’italiano, lo sai?» disse ad un tratto uscendo distogliendosi dai suoi pensieri, avrei pagato per stare in quella testa e capire che cosa stesse accadendo.
«Se non fosse per questo stupido accento che mi fa schifo!» mi lamentai frustrata.
«Oh no! Perché?» sembrava essere completamente estraneo a quello che stavo dicendo, come se stessi sparando delle eresie.
«Perché mi fa sembrare.. - alzai gli occhi, incontrai i suoi che mi guardavano dolci e persi tutte le nozioni di lingua italiana che conoscevo - ehm.. - cercai di proseguire, ma non ci riuscii così mi aiutai in inglese - how do you say..» abbassai lo sguardo come a concentrarmi, era solo per non immergermi ancora in quelle iridi che non volevo capire che effetto avessero su di me  «Altezzosa! -  Esclamai all’improvviso - Mi fa sembrare altezzosa!» dichiarai vittoriosa.
«Ma che dici!» Mi rassicurò con il sorriso più bello del mondo.
«Beh, vuoi negarlo? Tutti quelli che mi sentono parlare mi guardano malissimo..» abbassai lo sguardo improvvisamente in imbarazzo, probabilmente mi avrebbe dato ragione.
«Uhm,a me non sembri snob..» disse semplicemente e mi illuminai all’improvviso e alzai lo sguardo per sorridergli grata, probabilmente ero arrossita, ma ormai ero un fuoco inarrestabile e non riuscivo più a distinguere le sensazioni tanto ero scombussolata.
«Thank you» riuscii a sussurrare in preda al turbine delle emozioni che mi stavano soffocando.
Ad un tratto alzò l’indice e indicò un edificio con una scritta arancione che riportava il nome del locale, e pronunciò «Siamo arrivati». Probabilmente ci andava spesso perché appena varcata l’entrata aveva salutato la ragazza riccia dietro al bancone con un sorriso per poi raggiungere senza guardare, un tavolo appartato, come se stesse entrando in casa sua.
« Allora, non ti ho neanche chiesto com’è andato il viaggio!» si auto rimproverò appoggiando i gomiti sul tavolino e prendendo a fissarmi. La domanda mi salì spontanea alla mente: perché lo fa? Voglio dire, io non sono nessuno, solo la normalissima, noiosissima e depressissima cugina del suo amico, avrebbe potuto portarmi semplicemente da Jo, o indicarmi un taxi e dargli l’indirizzo e mandarmi via a calci in culo, ora che faceva? Mi portava a bere un caffè (o anche no) chiedendomi come sia mai andato il mio viaggio.
Ci provava?
Scoppiai a ridere nel mio cervello, era troppo bello per provarci con me e non sembrava neanche così stronzo. Anche se magari la sua era una tecnica usata con tutte. Dovevo andarci con i piedi di piombo per evitare altre sbandate..
«Non me ne parlare guarda – sventolai una mano davanti al viso voltandomi dall’altra parte per evitare i suoi occhi - Avevo accanto uno che ci ha provato per tutto il viaggio» Dichiarai indignata.
«Magari era ricco» mormorò sovrappensiero. Uomo, pensai e gli diedi una gomitata spinta da non so quale slancio d’audacia. Ci guardammo per un attimo, entrambi increduli e confusi dalla situazione (Sapevo a mala pena il suo nome!) e poi, spontaneamente, scoppiammo a ridere assieme.
Ci fermammo solo quando arrivò il cameriere al quale ordinai un Tea with milk vista l’ora, guadagnandomi un’occhiata di traverso a cui non diedi peso, non potevo mica bere quella robaccia che gli italiani definivano caffè, no?
Mentre scambiava due parole con il ragazzo, probabilmente suo coetaneo, ne approfittai per guardarlo per bene, non avevo mai avuto così tanta fortuna.
Ripercorsi la giornata fino a quel momento. Era incredibile come una mattinata che mi ero già immaginata triste e noiosa, ad un tratto fosse stata illuminata da uno sconosciuto incaricato da mio cugino di portarmi sana e salva a casa.
«Sai che ti chiami come il mio gatto?» mi disse all’improvviso alzando gli occhi su di me.
«What?» mi lasciai sfuggire dall'incredulità e sgranai gli occhi. che io sapessi (?) il mio, non era un nome da gatto. Fuffy lo era, Rolf, Rocky, Sissy.. Oddio! Qualunque altro nome sarebbe stato appropriato, ma non Emma!
«I've got a cat. His name is Emma» sorrise sornione e mi innamorai di una frase. Chiunque avrebbe potuto proporre una frase semplice come quella, ma detta da nessun'altro avrebbe avuto lo stesso effetto. Sorrisi involontariamente e mi spiegai meglio «Come può avere un gatto il mio nome?»
«Ce l'ha» ghignò senza aggiungere altro. Così parlai io «Ma è un maschio!» protestai.
«Ma non lo sapevo!» rispose usando il mio stesso tono.
«E' difficile rimanerne all'oscuro.» gli feci presente strappandogli un sorriso.
«Ma io ero convinto che fosse una gatta -spiegò addolcendosi - poi ho notato un organo non propriamente femminile e mi è caduto il mondo addosso. - mormorò affranto - Lei, lui, era Emma! Ed Emma non ha il maschile! - esasperò il tono - Così ho lasciato che fosse Emma, con crisi di identità da parte sua annesse, ora lui è Emma e io sono Ce. Insieme siamo Cemma.» proclamò fiero e si alzò porgendomi la mano per aiutarmi a fare altrettanto.
«Ci daranno per dispersi..» sorrise rendendo più chiaro il suo gesto. Annuii ed afferrai la sua mano mentre un brivido mi percorreva le braccia e un unico pensiero mi girava per la testa: grazie Jo.
Arrivammo a casa di Jo in pochi minuti, o almeno, così mi sembrò, vista la compagnia. Ero combattuta tra la voglia di riabbracciare quello squilibrato e quella di passare ancora del tempo con la mia nuova, piacevole conoscenza.Quando vidi la casa di mio cugino che mi aveva già ospitato precedentemente, anche se solo per pochi giorni, non capii più niente e prevalse solo la voglia di salire le scale, cosa che feci immediatamente scesa dalla macchina, senza curarmi di aver lasciato indietro il mio accompagnatore, presa dall’eccitazione di rivedere quell’agglomerato di idiozia.
Non feci neanche in tempo a produrre mentalmente delle scuse per Cesare che la porta mi si aprì davanti e venni travolta da un vortice che mi avvolse urlando come una ragazzina al concerto di Justin Bieber, così forte che non mi accorsi che silenziosamente, il mio nuovo amico era entrato in casa.
Ma non riuscii a dirgli di calmarsi, mi era mancato tantissimo, potei solo sorridere. Ero felice di vederlo felice. Lui era un uragano di felicità che non poteva non travolgerti, nessuno era immune a Jo. Quando era stato male era stato un vero e proprio incubo, me lo sognavo la notte mentre mi rinfacciava di non essergli stata abbastanza accanto ed era come se, con lui spento, tutto il mondo apparisse meno bello e invivibile. Vederlo così, quindi, era un tocca sana per il mio cuore.
«Ciao Bear!!» lo salutai con il nomignolo che ritenevo adorabile da più o meno sempre e mi allontanai sorridendogli, per fissare i miei occhi nei suoi, l’unica cosa che avevamo di uguale, con la differenza che lui li sapeva usare per risultare molto sexy, io avevo solo gli occhi azzurri.
«Ciao Monkey!» mi sorrise a sua volta scompigliandomi i capelli «Com’è andato il viaggio? – cominciò – Anzi no! Ne parliamo dopo, ora ti devo preparare al peggio..» si portò accanto a me chinandosi leggermente per arrivare a sussurrare al mio orecchio.
«What?» mi lasciai sfuggire non riuscendo a comprendere cosa mai avessi potuto aspettarmi entrando in quella casa-bunker.
E lui cominciò il suo show. «Quello che ti aspetta- sussurrò teatrale allargando il braccio sinistro e portando il destro sulle mie spalle – E’ quasi spaventoso, ma tranquilla! Io so come controllare la cosa. Lì dentro ci sono quattro persone.»
«Wow» commentai sarcastica.
«Alt! – portò una mano davanti al mio viso e poi proseguì – Non sono normali!»
«Frequentano te, me l’ero immaginato!» non riuscii a fermarmi.
Ma nemmeno la mia battuta lo fermò «Allora, c’è quello che hai già conosciuto, Cesare – provai a frenare un sorriso che tentava di affiorare spontaneo sulle mie labbra, se me lo fossi lasciata scappare sarebbe stata la fine. Ok, Jo mi voleva bene, ma di certo non avrebbe perso l’occasione per farmi fare delle bellissime figure di merda – Ecco, vedi lui.. Beh..» Tremai. Se mi avesse smontato l’immagine che mi ero fatta di Cesare non l’avrei presa molto bene.
«E’ il nostro chitarrista. – sospiro di sollievo – Ma forse già lo sai – annuii per spingerlo a proseguire in fretta – Bene! Lui è innamorato.. o meglio, era innamorato, di Elettra, la ragazza dai capelli ultimamente rossi che canta nel nostro gruppo. Ma ultimamente, quando si parla di lei prova un certo fastidio alla bocca dello stomaco, forse dettato dalla nuova cotta che lei non vuole ammettere di avere per uno con cui canta, ma lo scoprirai a tempo debito! – annuii fingendo disinteresse e tranquillità mentre dentro di me il mio cuore già perdeva un battito e il mio cervello mi insultava in tutte le lingue per quello che producevo in pensieri – Poi c’è appunto Elettra, non curarti del suo comportamento iniziale, è un po’ stronza quando non ti conosce.» Deglutii lievemente preoccupata immaginandomi una Pamela Anderson rossa in tacchi a spillo pronta a distruggerti quel briciolo di autostima duramente conquistato in tutti gli anni della tua vita con un sorriso.
«Poi c’è Mauri, lui è quasi saggio, solo che sta mandando a puttane tutta la sua saggezza per la sua nuova fiamma, in tutti i sensi, ha dei capelli rosso fuoco.. E alla fine c’è il peggiore, non lasciarti ammaliare dalla sua bellezza come tutte, ti prego. E’ Alex, fascino del batterista, fisico bestiale, occhi incantatori, sorriso da sono carino ma sbattimi pure al muro, mi piacerà. Lascia perdere proprio.»
Non c’è pericolo. Pensai e mi preparai ad entrare nella stanza, cioè, la sua casa.
 
Un passo e fui dentro.
La Pamela Anderson che mi ero immaginata non era altro che una semplice ragazza con i capelli rossi e degli occhi verdi, molto bella. Stupenda. Attentava comunque alla mia autostima, rimasi imbambolata a fissarla mentre nella mia mente girava solo l’imprecazione “Oh fuck”. Che tipo di speranza avevo voluto avere.
Non mi ero accorta di essere rimasta imbambolata a fissarla per un periodo troppo lungo per la sua pazienza, quando sbuffò spazientita e di voltò a fissare un quadro alle sue spalle me ne resi conto e scossi la testa, cacciando tutto l’imbambolamento.
«Ragazzi, lei è Emma, mia cugina!»mi presentò prontamente Jo, vista la mia palese difficoltà a formulare un qualsiasi tipo di pensiero in quel momento.
Subito mi si presentò davanti quello che immaginai fosse Alex, dopo la descrizione di mio cugino, come playboy ninfomane potenzialmente pericoloso. «Piacere, Alex..» ammiccò porgendomi la mano. Lo osservai, in effetti aveva tutte le doti al loro posto per poter ricoprire alla grande il ruolo che Jo gli aveva affibbiato, ma non finii il pensiero che qualcuno lo scansò «Maurizio, tanto piacere» gentile, senza alcun tipo di ammiccamenti vari e senza sorrisi falsi mi porse la mano che strinsi con un sorriso sincero. Infine fu il suo turno, doveva arrivare, mi preparai. «Elettra.» Non si era mossa di un millimetro, come se avessi potuto attaccarle qualche strana malattia inglese, se mi si fosse avvicinata di un solo passo. Interdetta feci un cenno del capo, quando ormai non mi stava più guardando, improvvisamente interessata al suo smalto. Scossi la testa infastidita, io non le avevo fatto nulla e venivo trattata così?
«Allora, il viaggio?» Chiese Jo e vidi con la coda dell’occhio Cesare sorridere divertito. Dimenticai ogni mancanza di cortesia in un attimo e mentre mi lasciavo sfuggire un sorriso pensai:
Non vedo l’ora di fare uno di quei test cretini per poter rispondere affermativamente alla domanda “Ci credi al colpo di fulmine?”.




***
Eccomi! Allora, voglio scusarmi per questo capitolo pressochè inutile, ma ce l'ho nel pc da millenni ed è l'unica cosa che posso postare per ora, lettrici care, voi l'avete già letto, mi dispiace!
Comunque, non so se l'ho già detto a qualcuna, ma il capitolo è Emma pov, insomma, non sono sicura che vada bene, ma dal momento che credo che in questa ff non vada bene più o meno niente è tutto normale.
Detto ciò, io leverei le tende e scusatemi.
  
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