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Autore: Glory Of Selene    23/09/2012    4 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prima c’era solo nero, un buio viscoso e soffocante, di cui lui era cosciente solo a metà.
Poi, pian piano, la sua mente annebbiata cominciò a risvegliarsi, disorientata come dopo un lungo letargo, e Marco finalmente poté porsi delle domande che avessero un senso, al posto degli stralci di frasi e pensieri che gli erano sfrecciati davanti attraverso quell’odiosa nebbia nera, troppo veloci perché lui potesse afferrarli.
Cos’era successo agli altri?
L’angoscia fu la prima emozione che lo invase appena fu abbastanza lucido da riuscire a riconoscerla, forte come quando l’aveva lasciata, e lui si sentì riempire d’amarezza: aveva sperato di poterla abbandonare per sempre, pur sapendo bene che sfuggirle era impossibile.
La seconda emozione che provò fu una sorta di meravigliato stupore, quando capì in che razza di assurda situazione si trovava. Era sdraiato su qualcosa di morbido, e non sentiva la gelida morsa dell’acqua ghiacciata schiacciargli il petto ed entrargli nelle ossa e nei polmoni.
Lui non era morto. Non era morto. Ne era certo. Altrimenti, come spiegare il bruciore acuto che gli si stava propagando lungo gli arti? Solo in vita si poteva provare un dolore così forte ed improvviso.
D’un tratto, capì di stare bruciando vivo, ma la prospettiva non lo sconvolse così tanto come avrebbe dovuto, e si chiese se quell’incosciente freddezza nei confronti della propria sorte fosse in qualche modo dovuta allo shock di aver conosciuto la morte appena in tempo per poterle poi scivolare tra le dita.
Rimase a rimuginare sulla propria attuale situazione ancora per qualche minuto – chi l’aveva tirato fuori dall’acqua? E come aveva fatto a non finire sbranato dalle creature fluviali? E perché colui che l’aveva salvato aveva voluto dargli fuoco? –, poi decise di provare ad aprire gli occhi.
Con sua grande sorpresa, le palpebre risposero subito ai suoi comandi, e si schiusero sopra un mondo di luci abbaglianti, e indemoniate figure geometriche che si divertivano a cambiare posizione ogni volta che lui tentava di metterne a fuoco una.
Tutto quel carosello di assurdità lo spaventò, e lui si affrettò a chiudere gli occhi, immergendosi di nuovo nel suo buio ovattato.
…Che vigliacco. Non riusciva nemmeno ad affrontare gli scherzi dei suoi sensi deboli e disorientati.
Strinse i denti, e aprì gli occhi una seconda volta.
L’incubo era ancora lì, ad aspettarlo, ma lui si costrinse a combattere contro il giramento di testa e dopo qualche attimo di lotta estenuante finalmente riuscì a riconoscere alcune sagome che avessero un senso in mezzo a tutto quel suo mondo sballato.
Travi. Travi di un soffitto.
Travi di legno. Come faceva a non andare in cenere, tutto quel legno, sotto le fiamme del rogo in cui stavano bruciando le sue braccia?
Poi Marco girò la testa e si accorse di un particolare fondamentale. Non c’era alcun rogo all’interno della stanza; solo lui, su un letto. E le braccia erano cosparse di una sostanza verdastra.
Roghi. Roghi! Davvero aveva pensato che in una casa ci potessero essere dei roghi, senza che questa andasse in cenere in meno di un minuto? Si chiese se i litri d’acqua che aveva ingurgitato non avessero anche dato una tragica sciacquata al suo cervello.
In realtà, il vero problema non era quello, ma scoprire come era avvenuto il suo salvataggio. E perché. E di chi fosse quella casetta. L’ultima volta che aveva visto gli altri non erano sicuri nemmeno di riuscire a tenersi stretti la vita, figuriamoci di possedere una casa!
No, il suo salvatore doveva per forza essere qualcun altro.
Cercò di mettersi a sedere, ma il resto del corpo non gli ubbidiva bene come gli ubbidivano gli occhi, e si scoprì infinitamente debole, come se qualcuno avesse provveduto a ridurre in poltiglia ogni singolo muscolo all’interno del suo povero corpo martoriato.
In quell’esatto momento la porta si aprì, e una figura maschile entrò lentamente nella stanza. A Marco ci volle qualche secondo per riconoscere Tuomas in quell’uomo dagli occhi così tormentati e malinconici, in fondo ai quali brillava una scintilla cupa che il guerriero conosceva fin troppo bene: quella che ardeva in tutti coloro che avevano dovuto uccidere per evitare di essere uccisi.
Eppure, lo straordinario colore plumbeo di quelle iridi era rimasto invariato, come anche i suoi capelli corvini e i lineamenti del suo viso, che ormai a Marco risultavano familiari quasi quanto quelli del proprio.
L’illusionista prese una delle sedie di legno che si trovavano attorno al tavolo al centro della stanza, la mise accanto al letto e vi si sedette, strofinandosi il volto stanco con le mani.
«Dannazione, Marco, perché non ti svegli…» sussurrò, quasi per se stesso che per il vichingo sdraiato accanto a lui. Non si era accorto delle sue palpebre socchiuse. «Hai ancora un sacco di cose da fare qui… devi combattere, e proteggerci, e devi farci da capitano. Anette da sola non ce la fa. …Ti ho anche ripescato l’ascia, devi alzarti e continuare ad usarla. Ti prego.» sospirò. Teneva la testa china. «Devi ricordare tutto, e allora ci divertiremo. Faremo a gara a chi beve di più nei pub – so bene che vinci sempre tu, ma mi diverto troppo a vederti così rosso –, e poi suonerai, e canterai. Devi… devi uccidermi perché ho perso la tua spada, devi…» gli morirono le parole in gola, e allora rimase in silenzio, curvo come se il peso di tutte le sconfitte del mondo gli gravasse sulle spalle.
Il guerriero avrebbe voluto dire tante cose. Avrebbe voluto esprimere lo stordimento che provava, provocato dalla felicità più grande che un uomo potesse provare – erano vivi, entrambi, e con lui Marco sapeva che erano vivi anche tutti gli altri, in qualche modo ce l’avevano fatta, non importava come, ma ce l’avevano fatta, ce l’avevano fatta anche per lui.
Ma, in quel momento, c’era qualcosa di più importante che gli premeva in testa.
«Hai… perso la mia spada?»
Marco avrebbe voluto che la sua voce suonasse un po’ più autoritaria, e molto più arrabbiata, ma ottenne solamente un bisbiglio roco che emerse a fatica dal fondo della sua incoscienza, non ancora abbandonata del tutto.
La reazione di Tuomas, però, fu come quella di un uomo che avesse appena udito un grido: alzò la testa di scatto, gli occhi sbarrati pieni di meraviglia, e speranza, e gioia. Si protese verso di lui, e il vichingo sorrise debolmente, nel notare che non riusciva a contenere l’emozione.
Che rammollito, quel damerino da quattro soldi…
«…Marco?»
La sua voce tremava, e il sorriso del guerriero si allargò.
«Non ti risparmierò la vita per questo, sappi» mormorò, ma già non si sentiva credibile, mentre anche i suoi occhi cominciavano a farsi lucidi, nel tentativo di sfogare un’emozione che non poteva avere nome; erano rinati insieme, quel pomeriggio.
Tuomas tentò di nascondere le lacrime, e la risata che gli era salita in gola insieme a loro, ma non ci riuscì e la sua risposta fu un singulto violento di riso e pianto insieme.
Corse alla porta, che spalancò, e si gettò fuori scosso ancora dai singhiozzi, ma con un gran sorriso sul volto.
«Sì è svegliato! È sveglio! Ragazzi!» urlò, urlò di gioia. «E’ sveglio…»
Quando sentì lo scompiglio portato dalle grida dell’illusionista, il guerriero ridacchiò e chiuse gli occhi per un attimo, assaporando la sensazione di essere vivo.

Era sera, e i festeggiamenti per il risveglio di Marco erano già finiti.
Lisanna sospirò, e sorrise, quando vide Jukka ed Emppu dormire profondamente, i volti ancora rossi a causa di tutto l’alcool che si erano ingurgitati a furia di ridere e cantare. In effetti, avevano cantato anche troppo; non aveva mai sentito due persone così stonate distruggere insieme il nome della musica intera nel giro di qualche minuto scarso.
Ridacchiò, ripensando alle scene che aveva fatto Marco quando gli era stato detto che lui non poteva assumere alcolici, ma tornò subito seria nel pensare alla sua voce stupenda. Lui, a cantare, sarebbe stato un angelo in terra… anche da ubriaco.
Entrò nella casetta con cautela, facendo attenzione a non fare rumore, intenzionata a lasciare i panni puliti e uscire di corsa, ma dovette fermarsi, contro la sua volontà, quando vide il viso del guerriero rilassato dal sonno. L’amore le strinse il petto come in una morsa, e lei per poco non si sentì soffocare. Ma dopo, quando si fu abituata alla sofferenza che le provocava l’intensità di quell’emozione, sorrise  e si lasciò invadere dal suo dolce dolore. Sapeva di non poter evitare di subire il potere che la tenerezza – ma anche il terribile fascino – dei suoi lunghi capelli biondi e della sua aria da duro guerriero vichingo, sempre pronto a mettere il bene degli amici prima del proprio, esercitava su di lei.
«Lisanna?»
La giovane donna trasalì, e si affrettò a distogliere lo sguardo dal suo volto.
«Scusa, non volevo svegliarti. Adesso vado a dormire, ecco…» si avviò veloce verso la porta, le guance in fiamme, poi si accorse di aver ancora in mano il cesto di panni puliti e tornò repentinamente sui propri passi. «Sì, ehm… credo di aver dimenticato…»
Posò in fretta e furia il cesto sul tavolo, abbandonandolo lì alla bell’è meglio, e si voltò di nuovo per schizzare verso l’uscita e andare a nascondersi dietro ad uno dei cespugli più vicini.
Il suo piano sarebbe stato perfetto, se lei non avesse sentito la debole stretta di Marco avvolgerle il polso e non fosse stata costretta a bloccarsi, incatenata al terreno dagli stessi battiti frenetici del proprio cuore.
«Che ti prende?»
I loro occhi si incontrarono, e lei davvero non seppe cosa rispondere, mentre lo vedeva scrutarla fino a leggerle l’anima. Sì sentiva inerme, e completamente nuda, davanti allo sguardo penetrante dei suoi occhi azzurri.
«Rimani a farmi compagnia?» le domandò, lasciandola andare.
Per un istante rimase immobile, incapace di fare altro se non di sentire il proprio cuore lottare per saltarle via dal petto, poi abbassò il capo ed annuì impercettibilmente.
«Certo» sussurrò, e si sedette sulla sedia che tanto lei e Tuomas avevano usato durante quei giorni di terribile attesa.
Un silenzio imbarazzante calò tra di loro, lei si studiava le mani fingendo che fossero interessantissime, ma sentiva lo sguardo di Marco bruciarle sul volto, e si chiedeva quali potessero essere, ora, i suoi pensieri.
«Raccontami bene che cos’è successo mentre io ero svenuto. Chi mi ha tirato fuori dall’acqua?»
Lisanna si immobilizzò, ripescando quei ricordi orribili nella sua testa. Il corpo di Marco galleggiare nel fiume, così simile a quello di un uomo senza vita, i segni viola dei tentacoli addosso… si strinse nelle braccia, tentando di scacciare i brividi e il terrore che aveva rievocato dal passato.
«Sono stata io»
Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi mentre lo confessava.
«Davvero?»
Sentì lo stupore nella sua voce, e allora sorrise lievemente della sua incredulità.
«Lisanna. Vuoi guardarmi?»
Il suo corpo fu percorso da una scarica di pura elettricità, e lei sperò tanto che lui non se ne accorgesse, mentre gli ubbidiva e lentamente alzava la testa incontrando i suoi occhi.
Il suo viso era stanco, provato, invecchiato prima del tempo, eppure lei riusciva vederci qualcosa di profondamente bello senza alcuna difficoltà.
«Mi hai salvato la vita, lo sai questo?»
«E sono ancora in debito con te.»
Lui scosse la testa, la osservò bene, ma non disse nient’altro. Aveva visto, nei suoi occhi verdi, la determinazione di chi era certo delle proprie idee.
«Come vi siete liberati del gufo? E Tuomas? Come avete fatto a trovarli?»
«Erano insieme» rispose lei. «Il gufo ci ha separati e ci ha attirati nelle trappole che aveva preparato per noi.» aggrottò la fronte. «Per qualche strano motivo, lui voleva Tuomas.»
Marco si irrigidì, e ripensò alla scintilla che aveva solo intravisto negli occhi dell’amico. Gli si strinse il cuore. Che cosa aveva dovuto affrontare, da solo? Lui sapeva che non era un combattente.
«Tuomas l’ha ucciso.» continuò. «E ha scoperto questa casa. Qui abbiamo trovato tutto; anche i libri di medicina che hanno permesso a Jukka di curarti.»
Gli occhi del guerriero si riempirono di stupore. Una casa del genere non esisteva nemmeno nei racconti più rosei che si narravano ai bambini per spiegare loro che potevano esserci anche alcune creature soprannaturali benigne.
Ci mise invece di più per metabolizzare la morte del gufo. Per quanto l’avesse odiato in vita, e sebbene sapesse perfettamente che razza di schifoso traditore era stato, gli sembrava strana ora la sua morte, tanto in quei pochi giorni passati insieme si era abituato alla sua presenza.
L’immagine del lungo bacio che si era scambiato con Lisanna lo folgorò per un istante, e lui ne venne colpito come da un pugno.
La guardò, tentando di non lasciar trapelare dal suo sguardo tutto l’affetto che provava per lei. Così bella, e così nervosa… si chiese che cosa la stesse mettendo tanto a disagio. Forse era la sua presenza, e all’improvviso si sentì goffo e indesiderato.
Deglutì, e per una volta fu lui ad abbassare gli occhi.
«E’ tutta colpa mia, Marco.»
Il suo sussurro lo colse completamente alla sprovvista. Tornò a guardarla, e vide che una delle sue mani stringeva nel pugno la sua coperta.
«Mi sono subito così ciecamente fidata di lui…»
«Tutti ci siamo fatti abbindolare»
«Tu no.»
Per un secondo, solo per un secondo lui non seppe che cosa rispondere, poi sorrise e poggiò la propria mano su quella di lei, aprendogliela dolcemente e facendole lasciare la coperta.
«Se ci sono stati errori, allora sono stati errori di tutti. Va bene, Lisanna?» le prese il viso con l’altra mano, per poterla guardare negli occhi, quegli occhi verdi così belli e profondi, eppure troppo spesso nascosti dai mille veli del suo imbarazzo. «E’ così che funziona un gruppo.»

Poco lontano

Tuomas era seduto, con la schiena appoggiata ad un tronco, e guardava la luna.
Gli era sempre piaciuta la luna; ma soprattutto, il manto con cui lei si adornava ogni sera, la notte.
Non per niente, Nightwish gli era sempre piaciuto come nome per il gruppo. Era stato un po’ come dare un nome ad un pezzo della propria anima, e lui non avrebbe saputo definirsi in maniera migliore.
Sospirò, osservando la grazia e la lucentezza di un astro che brillava in un cielo che non era il suo. E pensò, come sempre, alla figura incappucciata che gli aveva permesso di trovare la casa, e di dare una speranza di salvezza a Marco.
Non aveva detto a nessuno di quell’incontro; nemmeno lui sapeva bene perché.
Forse perché sentiva che, qualunque cosa fosse, faceva parte del suo animo, abitava in un luogo troppo profondo dentro di sé perché lo potesse aprire a tutti. Eppure, il segreto di quel mantello non lo conosceva nemmeno lui.
Ma, all’improvviso, eccolo, quel suono inquietante eppure così straordinariamente familiare.
Tuomas balzò in piedi e, con il cuore che batteva, vide il suo fantasma personale ergersi a pochi metri da sé. L’illusionista non poteva vederlo bene, perché era di spalle, ma era certo che fosse lui; e il suo stupore si tramutò subito in determinazione.
Voleva che le domande che l’avevano assillato avessero finalmente risposta.
Lanciò uno sguardo alla figura rassicurante della casa dietro di sé, notò che tutte le luci erano spente e prese coraggio. Si girò – il fantasma era sempre lì, a fluttuare a pochi passi da lui –, si protese verso quel mantello sudicio e nero e appoggiò la mano su quella che avrebbe dovuto essere la sua spalla, per indurlo a voltarsi.
Un pizzicore allo stomaco gli suggerì di star provando paura, paura di quello che avrebbe potuto vedere, ma in quell’esatto momento – mentre la figura incappucciata si girava e gli lanciava un lungo sguardo, malinconico quanto penetrante – lui si rammentò di una cosa, che era rimasta confinata nel più piccolo angolo della sua mente e che non era più uscita, fino ad allora.
Un sogno.
Lui aveva fatto… un sogno.
E se ne ricordò, proprio mentre Tarja lo osservava con la sua espressione struggente, da sotto il cappuccio scuro.
Per un attimo a lui mancò il fiato, e lei indietreggiò, sottraendosi al loro contatto. Fu allora, che lui capì.
Il ricordo.
Avanzò, tese una mano, ma lei di nuovo fece un passo indietro, come se avesse paura di lui.
«Tarja…»
Sorrise, ma in risposta lei scosse la testa, sempre malinconica, quasi spaventata.
Lui si fermò, e la osservò per un attimo.
Non era cambiata in nulla… e anche per questo ebbe un tuffo al cuore nel guardarla in volto. Sentì la ferita riaprirsi, lentamente, come se volesse gustarsi il suo dolore piano piano. Per un attimo si domandò perché, perché l’aveva cacciata in quel modo cancellando con un unico gesto l’amicizia più importante della sua vita.
Ma poi si ricordò di lei, di com’era prima che tutto quel delirio cominciasse, dei suoi capricci e della sua vanità.
E gli si spezzò il cuore una seconda volta, quando riconobbe di aver fatto la scelta giusta.
Ma la donna che aveva davanti in quel momento non era così. Era triste, impaurita, smarrita, a lui faceva tenerezza, e non poteva impedirsi di volerle bene.
«Sei stata tu a mostrarmi la casa?»
Lei annuì, osservandolo con quei suoi occhi tristi.
L’illusionista sorrise, quasi senza accorgersene, e scosse lievemente la testa quando vide che lei era molto più perduta di lui.
«Grazie.» sospirò, tentando di eliminare il groppo che gli si era formato in gola, senza riuscirci. «…Tu non sei Tarja.» aggiunse. «Chi sei?»
Lei lo guardò di sbieco, poi abbassò il capo e i suoi lineamenti vennero nascosti dall’ombra del cappuccio.
Fu allora, che incominciò a cantare…

Palazzo Imperiale

Barricato nell’enorme stanza da letto dei suoi appartamenti, l’Imperatore era in piedi davanti alla finestra, ignorando completamente le pesanti coperte di broccato rosso e i veli dorati del baldacchino che avrebbero dovuto custodire il suo sonno.
Aveva pensato che sarebbe stato facile, ucciderli tutti, e ora era costretto ad ammettere di essersi sbagliato.
E lui odiava sbagliarsi.
Chiuse gli occhi, e cominciò a tremare violentemente, mentre i suoi muscoli scaricavano incontrollati una folle tensione, ovvero quella di aver dovuto controllare un burattino così potente a tante miglia di distanza.
In quell’istante, il corpo di Dominic non si stava decomponendo, ma stava tornando alla terra come argilla, perché dall’argilla era stato generato.
Non era stato per nulla difficile scoprire da che cosa il mago era stato salvato dalla morte, sulla nave e, sebbene non avesse idea di come avesse fatto un pusillanime come quello a tirare dalla propria parte delle creature sovrannaturali così potenti come il Gufo o il Corvo, l’Imperatore aveva subito trovato il modo per servirsi di quell’alleanza per i propri scopi.
Smise di tremare, ma la sua rabbia non si placò, e batté un pugno contro il davanzale della finestra.
Era arrivato così vicino ad ucciderli, ucciderli tutti…
Si girò di scatto, spense tutte le candele della stanza ed evocò la propria fiamma blu con un urlo indemoniato. Poco importava che qualcuno lo sentisse, anzi, meglio, avrebbero avuto ancora più paura di lui.
Una luce azzurra cominciò ad ardere sulle soffici coperte del letto, e lui non esitò ad infilarci dentro le braccia, rabbiosamente.
«Che cosa sta facendo quel figlio di puttana? Eh? Cosa? Cosa?»
Il fuoco si piegò e si contrasse, come se per una volta fosse riluttante ad eseguire gli ordini del suo padrone, e l’Imperatore quasi ruggì per la rabbia e lo sforzo di plasmarlo con la violenza e immergerci la testa per distinguere le ombre che era riuscito ad intravedere da fuori.
Il mondo attorno a sé divenne di un blu tremolante, ma non ci fece troppo caso e preferì invece dedicarsi a quello che vedeva.
Il volto bianco latte di una donna, spuntare dal grigio sudicio di un mantello.
Sul suo viso si dipinse una smorfia inorridita mentre la riconosceva e scattava all’indietro. Cadde dal letto, e la fiamma blu si spense, repentina, lasciandolo nel buio.
Rimase seduto nell’oscurità ad ansimare ancora per qualche secondo, poi riuscì a trovare la forza di schioccare le dita con mano tremante, e tutte le candele della stanza si accesero di colpo.
Si precipitò fuori dai propri appartamenti, urlando: «Tutte le guardie presenti nel castello! SUBITO!»

Poche miglia lontano dal Fiume Fantasma

Solo una volta, Tuomas, era rimasto a bocca aperta davanti al canto di qualcuno, ed era stato quando una sirena era spuntata tra le onde per condurlo nella sua dimora tra gli abissi. Eppure, mentre ascoltava Tarja (o quella che ne era il suo riflesso) cantare, scoprì che al mondo esisteva qualcuno con una voce più bella di quella delle sirene.
E mentre lei si piegava sotto il peso del cappuccio che era costretta a portare per vergogna di sé stessa, alcune note, perfette e vibranti, andarono a conficcarsi nel cuore dell’illusionista.
«Io sono questo per l’eternità: una dei perduti. L’unica senza nome, senza un cuore sincero come guida.»

This is me for forever
One of the lost ones
The one without a name
Without an honest heart as compass


«Io sono questo per l’eternità: una senza nome. Queste ultime righe sono l’unico tentativo di ritrovare la via perduta.»

This is me for forever
One without a name
These lines the last endeavor
To find the missing lifeline


«Oh, come desidero una pioggia rassicurante, tutto quello che desidero è sognare ancora. Il mio cuore devoto, perso nell’oscurità… darei tutto ciò che ho, per la speranza.»

Oh how I wish
For soothing rain
All I wish is to dream again
My loving heart
Lost in the dark
For hope I`d give my everything


Cadde a terra inginocchiata, e per un attimo si soffermò a sfiorare la corolla di un fiore notturno.
Poi, alzò lo sguardo malinconico dei suoi occhi verdi, quasi di ghiaccio, ormai sciolti dalla sua tristezza, e continuò a cantare del proprio dolore mentre Tuomas sentiva i brividi corrergli lungo la spina dorsale.
«Il mio fiore, appassito in mezzo alle pagine due e tre. La fioritura eterna e di una volta, scomparsa con i miei peccati.»

My flower, withered between
The pages two and three
The once and forever bloom
gone with my sins


Si alzò subito e, trasportata dalla canzone che stava cantando, si avvicinò lentamente a Tuomas.
La sua espressione era tormentata, e supplichevole.
«Cammino lungo il sentiero oscuro, dormo insieme agli angeli, chiamo il passato ad aiutarmi.»
Ora erano faccia a faccia, potevano sentire il respiro l’uno dell’altra – quello di Tarja era gelido, eppure aveva un profumo che lui non si sarebbe mai stancato di sentire –, ma tutto quello che lei fece fu appoggiargli una mano candida sul petto, lì dove batteva frenetico il suo cuore.
E le ultime note furono sottovoce, timorose, eppure vibravano accorate, come la luce nel verde degli occhi di lei.
«Toccami con il tuo amore… e rivelami il mio vero nome.»

Walk the dark path
Sleep with angels
Call the past for help
Touch me with your love
And reveal to me my true name


Quando Tarja smise di cantare, Tuomas si riscosse, e scoprì di avere gli occhi pieni di lacrime.
Se le asciugò in fretta, mentre lei lentamente lasciava scivolare via la mano dal suo petto, ma non c’era il rischio che lui se ne dimenticasse, perché la sua impronta era rimasta incisa a fuoco nel suo cuore.
«Ti prego, liberami, Tuomas…» bisbigliò lei.
Era la prima volta che lui la sentiva parlare, e la sua voce gli sembrò distaccata e sovrannaturale, ma al contempo calda e familiare come la propria.
«C’è qualcosa che mi tiene incatenata. E mi fa male.»
Vide il terrore nei suoi occhi.
«Mi fa tanto male. Io… io non so più chi sono…»
A Tuomas si strinse il cuore nel vederla in quello stato, e sentì un’amicizia durata anni pervadergli il cuore, potente come l’aveva lasciata,  e lui si stupì, perché credeva di averla ormai dimenticata. E in quell’esatto momento, lui seppe che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
«Ma come farò a liberarti?»
Lei si strinse nel mantello, e indietreggiò fino a diventare una figura appena distinguibile tra i rami.
Stava già per scomparire nella notte, quando parlò, e la sua voce risuonò vicina a lui come se gliel’avesse sussurrata nell’orecchio.
«C’è un palazzo d’oro su una verde collina, e dentro al palazzo c’è un mago crudele. La malvagità dell’incantatore ha creato uno scrigno; e dentro lo scrigno ci sono io.»
Le sue ultime parole aleggiarono impalpabili nell’aria.
«Liberami, Tuomas, e allora libererai anche te stesso»

In un solo istante accaddero molte cose.

Marco e Lisanna smisero di parlare di cose che alla fine non interessavano a nessuno dei due, si guardarono negli occhi, per davvero, per la prima volta.
Poi lui le prese delicatamente il volto tra le mani, le sorrise e la attirò dolcemente a sé, stringendola forte mentre le loro labbra si modellavano le une sulle altre come tessere perfette di uno stesso puzzle.

L’Imperatore stabilì come ricompensa una fortuna in oro, che sarebbe andata a chiunque sarebbe riuscito a catturare Tuomas e a portarglielo nel suo castello.
Vivo.
Rigorosamente vivo.

E Tuomas capì che, se davvero avesse voluto mettere fine a tutta quella terribile storia surreale, avrebbe dovuto penetrare nel castello, ed affrontare faccia a faccia un incubo immortale, e molto, molto più potente di lui.









Ciò che dice l'Autore

Eccoci qui, con il quindicesimo capitolo! Questo chap si è fatto attendere più del solito, ma la ripresa delle attività per me è stata davvero dura e mi scuso se vi ho fatti aspettare più del previsto.
Finalmente la verità su Dominic viene a galla; vi dirò, mi dispiace molto l'idea di aver fatto essere un burattino d'argilla il mio cattivo meglio riuscito... sigh. Ancora Dominic mi fa sospirare... la mia creatura!! ...Ma vabbé.
Marco e Lisanna diventano tanto teneri *w* Finalmente si dichiarano amore eterno e vissero tutti felici e contenti. Anche se la loro storia d'amore in realtà non è ancora finita, per ora mettiamola così!
Taarja :C Altra sorpresa shock: è lei il ricordo! Il mio fantasmino perduto.
Questo capitolo funge da spartiacque tra la prima parte della storia - loro che arrivano in questo mondo alternativo, si ritrovano, capiscono di volersi bene e di fidarsi l'uno dell'altro e capiscono chi sono i loro nemici - e la seconda ed ultima parte - le battaglie con i nemici e il finale -, seconda parte che li farà penare parecchio (se vi sono sembrata crudele in questi primi quindici capitoli, per voi sarà l'inferno quello che farò succedere nei prossimi! Muahahah! Malvagità mode: on).
Seconda parte in cui (tra l'altro) la narrazione tornerà a spostarsi principalmente su Tuomas (:3) che poi diventerà (ovviamente) il figone della nostra storia.
Insieme a Marco, naturale.
Allora, a parte queste piccole spiegazioni, spero tanto che il capitolo sia piaciuto!
Spero di poter pubblicare il prossimo al più presto.
Grandi baci!






















  
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