Fanfic su attori > Alex Pettyfer
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Autore: StopAndStareFan    23/09/2012    1 recensioni
Ventisei. Tredici moltiplicato per due dà ventisei. Tredici è un numero primo, quindi non si può scomporre in altri fattori. Si trae la diretta conseguenza che tredici non può essere diviso dal tre, che è la cifra perfetta. Perciò Alex non è perfetto.
Ho passato la maggior parte del tempo a fare questo ragionamento.
Il risultato? Mi sono innamorata di Alexander Richard Pettyfer.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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<< Kaeli! >> Una voce. Una voce maschile e famigliare, in quel momento estremamente fastidiosa. Borbottai qualcosa, affondando il viso nel cuscino profumato di lavanda.

<< Kaeli! >> Di nuovo quel suono. Mi rigirai fra le coperte, mugugnando frasi sconnesse e impedendo alla luce che penetrava dalla finestra della mia camera di darmi fastidio.

<< Kaeli Rae Anderson! Svegliati, per l’amor del cielo! >> Sentii uno spostamento d’aria, e capii che qualcuno aveva fatto irruzione nella mia camera e aveva spalancato le finestre, lasciando entrare la brezza fresca del primo mattino.

<< Che ore sono? >> Sussurrai con voce arrocchita, sbuffando e strofinandomi i piedi sotto le coperte. Per essere a Sidney faceva abbastanza freddo. Mi chiedevo se per caso fossi andata in letargo durante l’estate e mi fossi svegliata durante l’inverno.

<< Le quattro del mattino, e se non ti alzi dal letto perderai l’aereo. >> Disse mio padre. Aprii un occhio, e poi l’altro. Osservai per un attimo l’uomo alto e muscoloso che stazionava accanto al letto, con le braccia conserte.

<< Quale areo? >> Chiesi infine, assomigliando ad una perfetta idiota. Non capivo di cosa stava parlando.

Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa calva sconsolatamente. Poi mi guardò un istante, come per capire se fossi pazza o se dicevo sul serio.

<< Quello per Los Angeles. Lo stage? Regia? Ti ricorda qualcosa? >> Domandò sarcasticamente. Aggrottai la fronte, e quando una ventata d’aria gelida mi fece svegliare del tutto caddi dal letto per la sorpresa. Mi rialzai fulminea, afferrando i pantaloncini del pigiama.

<< Dannazione! Perché non mi hai svegliato prima!? >> Sbraitai mentre mi fiondavo in bagno. Lo sentii sospirare arrendevolmente. Mi feci una doccia in fretta e furia, e infiali i primi vestiti che trovai nell’armadio, ovvero un paio di jeans e una maglietta enorme che usavo per andare a correre.

<< Eccomi. Le valige? >> Domandai quando finalmente arrivai nell’atrio di casa. Lo stage… Come avevo fatto a dimenticarlo? Era l’occasione della mia vita. Sarei andata in uno studio di Hollywood e avrei aiutato un regista nelle riprese di un film. Era il sogno della mia vita, e avevo soltanto sedici anni!

<< Già in volo per Los Angeles. Non preoccuparti, ci sarà l’autista a ritirarle. Andiamo? >> Mio padre, John Anderson, spalancò la porta bianca della nostra casetta sulla spiaggia, e fece cenno di uscire. Prima che l’uscio si chiudesse alle mie spalle gettai un’ultima occhiata alla mia piccola abitazione: non l’avrei più rivista per circa tre mesi.

<< Bene. Spero che non le perderanno. In quelle valige ci sono tutti i miei vestiti. >> Commentai mentre salivamo sul fuoristrada nero di famiglia. John mise in motore partì subito a razzo, come faceva sempre. Diceva che guidare veloce era una liberazione per lui, come se il suo spirito selvaggio si librasse in tutta la sua potenza. Una volta l’aveva detto davvero, e io gli ero scoppiata a ridere in faccia: mio padre poteva anche essere alto un metro e ottantacinque e muscoloso, ma non era capace di fare del male nemmeno ad una mosca.

Arrivammo all’enorme aeroporto di Sidney in poco tempo. Era affollatissimo nonostante fossero soltanto le cinque del mattino, il mio volo era alle cinque e mezza, ma dato che avevo fatto già il chek in per le valige, non ero dovuta recarmi lì tre ore prima, come si fa di solito.

<< Allora. >> Dissi fermandomi davanti alle porte automatiche di cristallo, e trascinando il bagaglio a mano.

<< Allora. >> Ripeté mio padre.

Ci fissammo negli occhi per un lungo istante e poi ci abbracciamo. Mi veniva da piangere. Non l’avevo mai lasciato da quando mia madre era morta. Avevamo affrontato insieme tutte le nostre difficoltà, i problemi e le sofferenze.

Io avevo solo cinque anni, e avevo visto mio padre piangere per la prima volta. Avevo capito che non avrei mai potuto lasciarlo da solo, perciò mi ero fatta forza e l'avevo aiutato ad andare avanti.

<< Forza Kaeli, o perderai l'aereo. >> Si staccò e sorrise.

<< Mi mancherai... >> Sussurrai deglutendo, e ricacciando indietro le lacrime. Non potevo mostrarmi debole.

<< Anche tu, verrò a trovarti appena posso. Chiamami quando arrivi. >> Si voltò e camminò verso la macchina.

Distolsi lo sguardo e mi voltai, entrando nell'aeroporto. Sospirai, facendomi coraggio. Il mio sogno, la mia avventura, stavano per cominciare.

<< Buongiorno nuova vita. >> Mormorai, e mi incamminai verso il nastro trasportatore delle valige.




Note dell'autrice

Allora, eccoci qua. Scusate per il ritardo, ma con l'inizio della scuola non ho avuto molto tempo. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Recensite per favore, è gratis :)







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