La leggenda di Ippodamia.
“La caduta del Re.” Capitolo N12
Io mi consumo come cera al calore
quando guardo la giovinezza dei ragazzi dalle floride membra.
Contro il destino non c’è fuoco o
muraglia che tenga.
Cit. Pindaro filosofo Grecia
Antica.
Un boato si levò dalla
folla quando Enomao arrivò sfilando sul carro insieme
a Mirtilo.
I muscoli del volto
tesi e le braccia protese in avanti cozzavano con il corpo solido e fermo,
lucente di Crocinum l’olio di rosa, cannella e mirra.
Le donne lo guardavano
fiere, qualche prostituta mandava baci e i bambini sventolavano in aria le
spade di legno contenti e sognanti di veder capitare loro un giorno la stessa
sorte.
Era il Re e non mancò
un sorriso, un saluto, perchè sapeva quanto fosse
importante quel momento e sapeva quanto il suo aspetto contasse sull’influenza del
popolo; non riusciva a sopportare che si dicesse di lui che era di malumore o
adirato, ciò che contava veramente era raccontare di lui di uomo fiero, eretto.
Un Re. Il Re.
Il clamore si
affievolì, quando alle loro spalle e di poche spanne dietro, fece capolino il
carro trainato da Pelope.
I suoi cavalli erano
qualcosa di imponente mai visto prima, Ippodamia
stessa sussultò alla loro vista.
L’auriga che li
accompagnava era un tale Sfero dalla storia
ombreggiata di ambiguità, sostituto del grande Cilla
–fondatore di una città della Grecia a cui diede il suo nome- auriga personale
del giovane quando era a Frigia, ma che morì annegato durante la traversata del
principe in viaggio per Pisa.
Insieme rasentavano la
perfezione di ciò che dovevano essere un principe e il suo cocchiere.
Pelope era nobile senza
ombra di dubbio.
Sereno in volto, con i
capelli ricci intrecciati alla nuca da vero guerriero; il chitone morbido era
di un blu cobalto, colore assai strano per il rango elevato ed insolito nelle
mode; molti lo decifrarono come segno di sfida, di una nobiltà in punto di
cambiamento se avesse agguantato la vittoria.
Qualcuno in lui rivide
l’antico splendore dei Re del passato che avevano fatto grande Pisa.
Qualcuno invece sputò
in terra per scacciare la cattiva sorte che quella figura stramba emanava.
Tutti però parlarono di
lui.
E non importava
l’origine delle chiacchiere, Pelope era stato capace di attirare l’attenzione
ed emanare suggestione.
Proprio come un Re.
“Pelope di Frigia, figlio di Tantalo il truce,
finalmente ci incontriamo.”
“Salve a te nobile Enomao
di Pisa.” Inchinò il capo in
segno di rispetto, “ è un onore
incontrarti.”
“Alza pure il capo principe” Rise. “La tua nomina ti precede.”
“Non facciamo attendere inutilmente la sorte
dunque.” Asserì Pelope,
stringendo più forte le briglie.
“E neanche la morte.” Enomao
schioccò le briglie e si voltò di spalle, Olimpia sua meta e direzione.
Mia sigillò le sue mani
su quelle del giovane; egli la guardò compunto, lanciando i cavalli al via.
Gli animali al segnale
cominciarono a correre sul filo del vento, con le criniere spazzate
all’indietro, sferzate dai colpi di brezza dell’ovest; Sfero
guidava alla sinistra, Ippodamia s’era fatta al
centro piccola e minuta, Pelope schioccava colpi alla destra.
Ogni tanto i loro
sguardi si perdevano sognanti l’uno nell’altra; quella per loro non era solo
una corsa ai cavalli, era il lasciapassare per un futuro roseo, che li vedeva
insieme come una famiglia. Finalmente.
“Mia tieniti forte!” Mia ubbidì, quando sentì dal basso uno spostamento
d’aria non consono per solo quattro zampe di cavalli; si affacciò oltre la balaustra e vide due paia di ali vive nascere
dal fianco dei purosangue. “Cavalli alati!” Ululò,
capendo finalmente il motivo per cui il ragazzo fosse tanto certo della
vittoria, “ma
non sei l’unico principe di Frigia! Mio padre ha quattro ali come le tue!” Pelope irrigidì i muscoli facciali, intuendo a sua
volta il motivo delle assolute vittorie del Re, “sarà allora il Buon Poseidone a darmi
la spinta per vincere.”
****
Enomao saltò sulla biga senza nemmeno afferrare le biglie;
gli animali al suo salto cominciarono a correre a perdifiato lungo la strada
che da Olimpia riportava a Pisa e da Pisa al bosco.
La sua mente era
affollata da immagini che gli appestavano il cervello; non aveva avuto un buon
sonno, seppur la sua superbia non lo fece vacillare neanche un momento. Non si
trattava di un nemico temuto, dell’uomo che avrebbe fatto a pezzi il suo
destino, quello che andava rincorrendo in quel momento era solo un piccolo e
misero essere da scacciare via con un colpo di redini.
Asterope gli era venuta in sogno.
La sua fresca e bella
moglie, madre di Ippodamia, nelle vesti bianche da
nozze gli allungava le braccia come a volerlo con se; lui non si era opposto,
facendosi cullare fra le calde membra dell’unica donna che aveva amato nella
vita.
“Sei venuta a prendermi Asterope?!”
“La morte non è che la fine di una vita e l’inizio
di un'altra, Enomao.”
“La mia vita è finita quando tu te ne sei andata mia
Regina.”
“Lo so.” Asterope
lo guardò dolcemente negli occhi, “ma ci
ricongiungeremo e da allora sarà l’eterno.”
“L’eterno spetta agli Dei.”
“L’eterno spetta a noi.”
Ed era sparita fra gli
ansiti della perdita; ma sul cuscino al risveglio trovò una piuma bianca. La
piuma delle cacciatrici di Artemide.
Mirtilo era nervoso.
Teneva lo sguardo fisso
sullo sterrato, ma gli occhi erano appannati e lucidi; l’odore della pelle di Enomao gli dava conati di nausea.
Odore di tradimento.
Odore di mille battaglie trascorse insieme, fianco a fianco.
Era l’ultima corsa che
avrebbero tenuto assieme e lo sapeva bene, perché nella notte trascorsa alle
stalle aveva apportato una modifica al carro, sostituendo i chiodi di ferro
delle assi delle ruote con dei perni di cera, che li avrebbero rallentati
determinando così la sconfitta di Enomao.
“Per tutti gli Dei Mirtilo,
guarda là!” Enomao scosse l’auriga spingendolo con lo sguardo sui
monti, “Zeus ci veglia!”
Un enorme sagoma si
stagliava fra la vegetazione fitta, vestita di bianco e con la folgore in mano;
Mirtilo seguì il profilo del dito del Re ma scosse il
capo. “Enomao io non vedo niente.” Quello contemplò l’accaduto giustificando l’auriga
come un semidio non ancora capace di sviluppare il suo lato divino ed affinare
i sensi che aprivano le porte al contatto con gli Dei. “Un giorno
vedrai.” Lo colpì
affettuosamente sulla spalla e l’auriga si sentì stretto nella morsa
dell’infamia ancora di più.
****
Ippodamia avvertì nel vento l’olezzo dell’essenza di Enomao; Pelope che stava imparando a captarla, intuito il
pericolo, lanciò i destrieri al centro del percorso, intralciando l’arrivo
della biga avversaria costretta a rallentare per non schiantarsi di muso contro
di loro.
La ragazza si voltò e
vide una nuvola di polvere agitarsi alle loro spalle, “eccoli che
partono all’attacco. Ti sfileranno sul fianco Pelope, non concedere loro
terreno o ti sbalzeranno via come una foglia. Tieni il ritmo e scaglia le tue
ali più forte che puoi!” Il ragazzo
annuì, incitando i cavalli a dare di più,” non avere timore per ciò che
vedrai, chiudi gli occhi e vola via amore mio.”
“Non avrò paura.” La
baciò, prima di portare frustate vigorose sul dorso dei cavalli. “Oh divinità sublime, Grande
Poseidone!” Continuò con voce greve, “non è il
pericolo che spaventa il guerriero. Io sono pronto ad affrontarlo!” Alzò il pugno al cielo urlando nell’alto delle loro
teste come se una presenza invisibile ascoltasse le sue suppliche, “Chi è comunque destinato a morire
una volta, come può subire una vecchiaia anonima, senza rischiare nulla?!” Un sibilo di vento freddo si insinuò fra di loro;
Mia sorrise della prontezza degli Dei nel palesarsi nella risposta mentre Sfero ignaro dei poteri dell’alto, rabbrividì. “Amo questa
donna e voglio farla mia! Donami tu l'ambito successo!”.
D’improvviso il carro
fu come travolto da una tempesta di vento inarrestabile; i tre si tennero
saldi, dimenticando per un momento le briglie e lasciandosi trasportare
dall’inerzia dell’aria minacciosa e potente.
La biga sbandò ma tenne
dritta la traiettoria. Enomao dietro rideva come un
pazzo dal momento che il carro avversario sfrecciando in avanti a tutta
velocità aveva aperto un varco d’aria che aveva permesso anche a loro di
sfruttare della velocità del vento amico; Mia scalò di posto portandosi
all’estremità del carro di modo che fosse vicina all’auriga del Re e che
potesse guardarla. Stavano guadagnando terreno e sarebbero di certo passati in
vantaggio se non si fosse palesata la soluzione che Mirtilo
aveva trovato per lei.
“Pelope di Frigia arrenditi! I tuoi bai alati non
possono nulla contro i cavalli di Ares!”
Mia guardava disperata Mirtilo senza poter dire o fare nulla, quello sentiva su di
se gli occhi della giovane come spilli appuntiti; si piegò di lato, oltre la
balaustra per verificare le condizioni delle ruote, ma queste continuavano a
girare imperterrite.
La principessa si
accucciò su se stessa in preda a conati di vomito; suo padre l’avrebbe
sorpassata e vinto la gara, costringendola ai più atroci abomini una volta
saputo che era gravida del bastardo che aveva osato sfidarlo.
“Ippodamia canta!” Enomao urlò dall’alto del suo posto, “canta, cosa
aspetti!”
Mia si tirò su con
veemenza; tutto attorno era caos, la polvere si alzava in cielo come vortici, Enomao e Mirtilo erano color
ruggine ormai, come anche Sfero e Pelope, i cavalli
erano sudati e stremati e nitrivano di strazio mentre lei desiderava solo
morire in quel momento.
Il Re era passato in
vantaggio portandosi all’arrembaggio degli altari ben visibili, ma Pelope non
desistette e si portò al loro fianco ancora una volta, forse l’ultima dato
l’enorme sforzo richiesto alle bestie sfinite; Enomao
guardò Ippodamia stretta alla balaustra con le mani
nelle mani di Pelope, ed ebbe una forte sensazione di mancamento.
Non avrebbe cantato.
E quando lo guardò con
occhi desolati, riuscì a comprendere quello che fino a quel momento non ebbe il
coraggio di dirsi mai; vincita o non vincita aveva perso sua figlia. Le lacrime
gli rigarono il volto, le briglie si annodarono intorno alle mani per un ultimo
disperato tentativo di salvezza.
Ippodamia non era più sua.
****
D’improvviso il cigolio
di una ruota attirò l’attenzione di Mirtilo. Era il
momento.
Mentre cercava di
respirare normalmente e arginare i battiti sfasati del cuore, afferrò la mano
del Re. “Enomao ci schianteremo.” Sua
Maestà corrucciò la fronte, allargando gli occhi quando il rumore del cigolio
arrivò anche ai suoi orecchi. “Dammi la tua
spada forza!” Pazzo di rabbia, aveva
solo un obbiettivo in testa, trucidare l’avversario. Il resto non riusciva a
metabolizzarsi nei suoi pensieri. Non potevano schiantarsi. Non potevano
perdere. Lui era invincibile. “Non c’è più tempo Enomao!
Non arriveremo mai al via! Le ruote si stanno staccando, se non salteremo fuori
moriremo!”
Nel preciso momento in
cui Mirtilo si oppose al volere del Re, Pelope sfilò
via come un turbine; la pressione esercitata dalla fuga della biga avversaria
sbandò il carro con due violenti scossoni.
Fatali.
Le due ruote si
staccarono continuando la loro corsa in direzioni opposte, finche non caddero
su se stesse roteando; la biga si abbassò precipitosamente trainata a struscio
dai cavalli in punto di morte, il terreno alzava massi e polvere che la riempivano
aumentando il peso.
Mirtilo rabbrividì; non era esattamente la fine che aveva
previsto, la cera avrebbe dovuto arrestare la corsa, renderla meno fluente,
tuttalpiù sbandare un po’ il carro, senza traumi eccessivi. Ma qualcosa era
andato storto e la situazione si stava mettendo nel peggiore dei modi.
Come se non bastasse Enomao si era messo a urlare pazzo di rabbia,
attorcigliandosi le briglie fra le mani con la seria intenzione di far
collaborare i cavalli e farsi spingere fino all’ultimo; ma le bestie crollarono
e il carro si impennò con il muso.
“Salta fuori Enomao!” Mirtilo lo scosse per la spalla. “Salta fuori o
morirai!”
Si udì un rumore
orribile; Mia, Pelope e Sfero si voltarono indietro.
Lo spettacolo dinnanzi
ai loro occhi non lasciava spazio all’immaginazione. Il carro si era andato a
schiantare addosso ai cavalli dall’alto, spezzandogli la schiena di netto e
appiattendoli sul terreno; Mirtilo era balzato fuori
nell’attimo prima la biga si avvitasse su stessa e ricadesse sui poveri animali
impazziti, rovinando sul terreno con il fianco sinistro.
La morte ombreggiò gli
occhi Enomao.
Il Re era rimasto
aggrovigliato nella sua stessa pazzia; non riuscì a saltare fuori dal carro
impazzito in quanto le briglie lo tenevano legato per i polsi come una
marionetta.
Fu ingoiato dai cavalli
nella voragine che il carro aveva aperto fra i loro corpi straziati,
ribaltandogli addosso.
Il rumore di ossa
spezzate riecheggiò per tutta la valle.
****
La biga di Pelope
tagliò il traguardo fra le facce attonite di Pisa; passarono attimi che
sembrarono anni, in quello strano tepore misto d’ ansia e stupore.
Atreò tagliò il corteo accorrendo alla vista del
fratello; lo issò per un braccio e urlò alla volta della folla.
“Enomao è caduto!
Acclamiamo il nuovo Re!”
Fine capitolo dodicesimo.