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Autore: Luna_R    24/09/2012    0 recensioni
In una notte fredda, come non se ne ebbero mai nell’Elide, la cacciatrice Asterope dette alla luce una bellissima bambina dal nome Ippodamia.
La partorì fra i boschi, ai bordi del fiume Alfeo, con il gorgogliare delle acque a farle da ninna nanna.
Si disse che la Dea Artemide in persona l’aiutò a partorire, conferendo alla piccola con il suo tocco, le doti caratterizzanti una cacciatrice. L’astuzia. L’istinto. E una bellezza folgorante come sigillo divino.
*storia ispirata al mito greco di Ippodamia*
Dal primo capitolo:
“Sono giunti altri pretendenti da terre lontane.”
“Mio padre è ostinato.”
“Tuo padre ti vuole bene.”
“Tanto da vendermi al primo offerente?!”
“Tanto da donarti al più valoroso, al più coraggioso, al più temerario uomo che esista sulla terra.”
Genere: Fantasy, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La leggenda di Ippodamia.

 

“La caduta del Re.” Capitolo N12

 

 

Io mi consumo come cera al calore quando guardo la giovinezza dei ragazzi dalle floride membra.

Contro il destino non c’è fuoco o muraglia che tenga.

Cit. Pindaro filosofo Grecia Antica.

 

Un boato si levò dalla folla quando Enomao arrivò sfilando sul carro insieme a Mirtilo.

I muscoli del volto tesi e le braccia protese in avanti cozzavano con il corpo solido e fermo, lucente di Crocinum l’olio di rosa, cannella e mirra.

Le donne lo guardavano fiere, qualche prostituta mandava baci e i bambini sventolavano in aria le spade di legno contenti e sognanti di veder capitare loro un giorno la stessa sorte.

Era il Re e non mancò un sorriso, un saluto, perchè sapeva quanto fosse importante quel momento e sapeva quanto il suo aspetto contasse sull’influenza del popolo; non riusciva a sopportare che si dicesse di lui che era di malumore o adirato, ciò che contava veramente era raccontare di lui di uomo fiero, eretto.

Un Re. Il Re.

 

Il clamore si affievolì, quando alle loro spalle e di poche spanne dietro, fece capolino il carro trainato da Pelope.

I suoi cavalli erano qualcosa di imponente mai visto prima, Ippodamia stessa sussultò alla loro vista.

L’auriga che li accompagnava era un tale Sfero dalla storia ombreggiata di ambiguità, sostituto del grande Cilla –fondatore di una città della Grecia a cui diede il suo nome- auriga personale del giovane quando era a Frigia, ma che morì annegato durante la traversata del principe in viaggio per Pisa.

Insieme rasentavano la perfezione di ciò che dovevano essere un principe e il suo cocchiere.

Pelope era nobile senza ombra di dubbio.

Sereno in volto, con i capelli ricci intrecciati alla nuca da vero guerriero; il chitone morbido era di un blu cobalto, colore assai strano per il rango elevato ed insolito nelle mode; molti lo decifrarono come segno di sfida, di una nobiltà in punto di cambiamento se avesse agguantato la vittoria.

Qualcuno in lui rivide l’antico splendore dei Re del passato che avevano fatto grande Pisa.

Qualcuno invece sputò in terra per scacciare la cattiva sorte che quella figura stramba emanava.

Tutti però parlarono di lui.

E non importava l’origine delle chiacchiere, Pelope era stato capace di attirare l’attenzione ed emanare suggestione.

 

Proprio come un Re.

 

“Pelope di Frigia, figlio di Tantalo il truce, finalmente ci incontriamo.”

“Salve a te nobile Enomao di Pisa.” Inchinò il capo in segno di rispetto, “ è un onore incontrarti.”

“Alza pure il capo principe” Rise. “La tua nomina ti precede.”

“Non facciamo attendere inutilmente la sorte dunque.” Asserì Pelope, stringendo più forte le briglie.

“E neanche la morte.” Enomao schioccò le briglie e si voltò di spalle, Olimpia sua meta e direzione.

 

Mia sigillò le sue mani su quelle del giovane; egli la guardò compunto, lanciando i cavalli al via.

Gli animali al segnale cominciarono a correre sul filo del vento, con le criniere spazzate all’indietro, sferzate dai colpi di brezza dell’ovest; Sfero guidava alla sinistra, Ippodamia s’era fatta al centro piccola e minuta, Pelope schioccava colpi alla destra.

Ogni tanto i loro sguardi si perdevano sognanti l’uno nell’altra; quella per loro non era solo una corsa ai cavalli, era il lasciapassare per un futuro roseo, che li vedeva insieme come una famiglia. Finalmente.

“Mia tieniti forte!” Mia ubbidì, quando sentì dal basso uno spostamento d’aria non consono per solo quattro zampe di cavalli; si affacciò oltre la balaustra e vide due paia di ali vive nascere dal fianco dei purosangue. “Cavalli alati!” Ululò, capendo finalmente il motivo per cui il ragazzo fosse tanto certo della vittoria, “ma non sei l’unico principe di Frigia! Mio padre ha quattro ali come le tue!” Pelope irrigidì i muscoli facciali, intuendo a sua volta il motivo delle assolute vittorie del Re, “sarà allora il Buon Poseidone a darmi la spinta per vincere.”

 

****

Enomao saltò sulla biga senza nemmeno afferrare le biglie; gli animali al suo salto cominciarono a correre a perdifiato lungo la strada che da Olimpia riportava a Pisa e da Pisa al bosco.

La sua mente era affollata da immagini che gli appestavano il cervello; non aveva avuto un buon sonno, seppur la sua superbia non lo fece vacillare neanche un momento. Non si trattava di un nemico temuto, dell’uomo che avrebbe fatto a pezzi il suo destino, quello che andava rincorrendo in quel momento era solo un piccolo e misero essere da scacciare via con un colpo di redini.

Asterope gli era venuta in sogno.

La sua fresca e bella moglie, madre di Ippodamia, nelle vesti bianche da nozze gli allungava le braccia come a volerlo con se; lui non si era opposto, facendosi cullare fra le calde membra dell’unica donna che aveva amato nella vita.

 

“Sei venuta a prendermi Asterope?!”

“La morte non è che la fine di una vita e l’inizio di un'altra, Enomao.”

“La mia vita è finita quando tu te ne sei andata mia Regina.”

“Lo so.” Asterope lo guardò dolcemente negli occhi, “ma ci ricongiungeremo e da allora sarà l’eterno.”

“L’eterno spetta agli Dei.”

“L’eterno spetta a noi.”

 

Ed era sparita fra gli ansiti della perdita; ma sul cuscino al risveglio trovò una piuma bianca. La piuma delle cacciatrici di Artemide.

 

Mirtilo era nervoso.

Teneva lo sguardo fisso sullo sterrato, ma gli occhi erano appannati e lucidi; l’odore della pelle di Enomao gli dava conati di nausea.

Odore di tradimento. Odore di mille battaglie trascorse insieme, fianco a fianco.

Era l’ultima corsa che avrebbero tenuto assieme e lo sapeva bene, perché nella notte trascorsa alle stalle aveva apportato una modifica al carro, sostituendo i chiodi di ferro delle assi delle ruote con dei perni di cera, che li avrebbero rallentati determinando così la sconfitta di Enomao.

 

“Per tutti gli Dei Mirtilo, guarda là!” Enomao scosse l’auriga spingendolo con lo sguardo sui monti, “Zeus ci veglia!”

Un enorme sagoma si stagliava fra la vegetazione fitta, vestita di bianco e con la folgore in mano; Mirtilo seguì il profilo del dito del Re ma scosse il capo. Enomao io non vedo niente.” Quello contemplò l’accaduto giustificando l’auriga come un semidio non ancora capace di sviluppare il suo lato divino ed affinare i sensi che aprivano le porte al contatto con gli Dei. “Un giorno vedrai.” Lo colpì affettuosamente sulla spalla e l’auriga si sentì stretto nella morsa dell’infamia ancora di più.

 

****

Ippodamia avvertì nel vento l’olezzo dell’essenza di Enomao; Pelope che stava imparando a captarla, intuito il pericolo, lanciò i destrieri al centro del percorso, intralciando l’arrivo della biga avversaria costretta a rallentare per non schiantarsi di muso contro di loro.

La ragazza si voltò e vide una nuvola di polvere agitarsi alle loro spalle, “eccoli che partono all’attacco. Ti sfileranno sul fianco Pelope, non concedere loro terreno o ti sbalzeranno via come una foglia. Tieni il ritmo e scaglia le tue ali più forte che puoi!” Il ragazzo annuì, incitando i cavalli a dare di più,” non avere timore per ciò che vedrai, chiudi gli occhi e vola via amore mio.”

“Non avrò paura.” La baciò, prima di portare frustate vigorose sul dorso dei cavalli. “Oh divinità sublime, Grande Poseidone!” Continuò con voce greve, “non è il pericolo che spaventa il guerriero. Io sono pronto ad affrontarlo!” Alzò il pugno al cielo urlando nell’alto delle loro teste come se una presenza invisibile ascoltasse le sue suppliche, “Chi è comunque destinato a morire una volta, come può subire una vecchiaia anonima, senza rischiare nulla?!” Un sibilo di vento freddo si insinuò fra di loro; Mia sorrise della prontezza degli Dei nel palesarsi nella risposta mentre Sfero ignaro dei poteri dell’alto, rabbrividì. “Amo questa donna e voglio farla mia! Donami tu l'ambito successo!”.

D’improvviso il carro fu come travolto da una tempesta di vento inarrestabile; i tre si tennero saldi, dimenticando per un momento le briglie e lasciandosi trasportare dall’inerzia dell’aria minacciosa e potente.

La biga sbandò ma tenne dritta la traiettoria. Enomao dietro rideva come un pazzo dal momento che il carro avversario sfrecciando in avanti a tutta velocità aveva aperto un varco d’aria che aveva permesso anche a loro di sfruttare della velocità del vento amico; Mia scalò di posto portandosi all’estremità del carro di modo che fosse vicina all’auriga del Re e che potesse guardarla. Stavano guadagnando terreno e sarebbero di certo passati in vantaggio se non si fosse palesata la soluzione che Mirtilo aveva trovato per lei.

 

“Pelope di Frigia arrenditi! I tuoi bai alati non possono nulla contro i cavalli di Ares!”

Mia guardava disperata Mirtilo senza poter dire o fare nulla, quello sentiva su di se gli occhi della giovane come spilli appuntiti; si piegò di lato, oltre la balaustra per verificare le condizioni delle ruote, ma queste continuavano a girare imperterrite.

La principessa si accucciò su se stessa in preda a conati di vomito; suo padre l’avrebbe sorpassata e vinto la gara, costringendola ai più atroci abomini una volta saputo che era gravida del bastardo che aveva osato sfidarlo.

Ippodamia canta!” Enomao urlò dall’alto del suo posto, “canta, cosa aspetti!”

Mia si tirò su con veemenza; tutto attorno era caos, la polvere si alzava in cielo come vortici, Enomao e Mirtilo erano color ruggine ormai, come anche Sfero e Pelope, i cavalli erano sudati e stremati e nitrivano di strazio mentre lei desiderava solo morire in quel momento.

Il Re era passato in vantaggio portandosi all’arrembaggio degli altari ben visibili, ma Pelope non desistette e si portò al loro fianco ancora una volta, forse l’ultima dato l’enorme sforzo richiesto alle bestie sfinite; Enomao guardò Ippodamia stretta alla balaustra con le mani nelle mani di Pelope, ed ebbe una forte sensazione di mancamento.

Non avrebbe cantato.

E quando lo guardò con occhi desolati, riuscì a comprendere quello che fino a quel momento non ebbe il coraggio di dirsi mai; vincita o non vincita aveva perso sua figlia. Le lacrime gli rigarono il volto, le briglie si annodarono intorno alle mani per un ultimo disperato tentativo di salvezza.

 

Ippodamia non era più sua.

 

****

D’improvviso il cigolio di una ruota attirò l’attenzione di Mirtilo. Era il momento.

Mentre cercava di respirare normalmente e arginare i battiti sfasati del cuore, afferrò la mano del Re. Enomao ci schianteremo.” Sua Maestà corrucciò la fronte, allargando gli occhi quando il rumore del cigolio arrivò anche ai suoi orecchi. “Dammi la tua spada forza!” Pazzo di rabbia, aveva solo un obbiettivo in testa, trucidare l’avversario. Il resto non riusciva a metabolizzarsi nei suoi pensieri. Non potevano schiantarsi. Non potevano perdere. Lui era invincibile. “Non c’è più tempo Enomao! Non arriveremo mai al via! Le ruote si stanno staccando, se non salteremo fuori moriremo!”

Nel preciso momento in cui Mirtilo si oppose al volere del Re, Pelope sfilò via come un turbine; la pressione esercitata dalla fuga della biga avversaria sbandò il carro con due violenti scossoni.

Fatali.

Le due ruote si staccarono continuando la loro corsa in direzioni opposte, finche non caddero su se stesse roteando; la biga si abbassò precipitosamente trainata a struscio dai cavalli in punto di morte, il terreno alzava massi e polvere che la riempivano aumentando il peso.

Mirtilo rabbrividì; non era esattamente la fine che aveva previsto, la cera avrebbe dovuto arrestare la corsa, renderla meno fluente, tuttalpiù sbandare un po’ il carro, senza traumi eccessivi. Ma qualcosa era andato storto e la situazione si stava mettendo nel peggiore dei modi.

Come se non bastasse Enomao si era messo a urlare pazzo di rabbia, attorcigliandosi le briglie fra le mani con la seria intenzione di far collaborare i cavalli e farsi spingere fino all’ultimo; ma le bestie crollarono e il carro si impennò con il muso.

 

“Salta fuori Enomao!” Mirtilo lo scosse per la spalla. “Salta fuori o morirai!”

 

 

Si udì un rumore orribile; Mia, Pelope e Sfero si voltarono indietro.

Lo spettacolo dinnanzi ai loro occhi non lasciava spazio all’immaginazione. Il carro si era andato a schiantare addosso ai cavalli dall’alto, spezzandogli la schiena di netto e appiattendoli sul terreno; Mirtilo era balzato fuori nell’attimo prima la biga si avvitasse su stessa e ricadesse sui poveri animali impazziti, rovinando sul terreno con il fianco sinistro.

 

 

La morte ombreggiò gli occhi Enomao.

Il Re era rimasto aggrovigliato nella sua stessa pazzia; non riuscì a saltare fuori dal carro impazzito in quanto le briglie lo tenevano legato per i polsi come una marionetta.

Fu ingoiato dai cavalli nella voragine che il carro aveva aperto fra i loro corpi straziati, ribaltandogli addosso.

 

Il rumore di ossa spezzate riecheggiò per tutta la valle.

 

****

La biga di Pelope tagliò il traguardo fra le facce attonite di Pisa; passarono attimi che sembrarono anni, in quello strano tepore misto d’ ansia e stupore.

Atreò tagliò il corteo accorrendo alla vista del fratello; lo issò per un braccio e urlò alla volta della folla.

 

Enomao è caduto! Acclamiamo il nuovo Re!”

 

Fine capitolo dodicesimo.

  
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