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Autore: direiellie    24/09/2012    1 recensioni
Vecchia fanfiction ispirata al film 'X-Men Le Origini: Wolverine.' (con pochi altri riferimenti agli altri film della saga) che ho deciso di portare avanti dopo un periodo di pausa abbastanza lungo.
Logan & Emily. Quello che ruota fuori e dentro loro lo scoprirete assieme a me.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Logan' Howlett/Wolverine, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Logan restò a casa anche il giorno dopo. Ed il giorno dopo ancora. La sua presenza non faceva che aumentare quella sensazione di schiacciamento che, pian piano, mi stava riducendo un senso di colpa umano, senza contare la paura di cui ogni mio pensiero era affetto. Non solo qualcuno, là fuori, mi stava cercando ed io non avevo la minima idea di quel che potesse volere da una come me. Non solo poteva essere chi aveva fatto del male a Logan ma addirittura chi aveva ucciso i miei genitori. Non solo la parola mutaforma continuava a frullarmi in testa come una stupida ed incomprensibile barzelletta, ma la presenza di Logan in casa si aggiungeva al peso che mi batteva sullo stomaco. Ero riuscita ad essergli di impiccio molto più di quel che avrei mai pensato e senza rendermene nemmeno conto. Come era potuto accadere? Come era riuscito a convincermi a non lasciare la sua casa, l'altra sera? Aveva giocato la carta della sopravvivenza: se solo avessi messo piede fuori da quella casa sarei stata in mano loro. Ma questo voleva anche dire non essere più un pericolo di Logan ed un suo inutile impiccio. E se invece l'avrebbe messo in guai ben più seri? Ero impotente. Avevo paura. Non sapevo distinguere il meglio dal peggio, il giusto dallo sbagliato. Aprirmi maggiormente a Logan avrebbe voluto dire altro peso che batteva sullo stomaco. Ero impotente. Che cosa avremmo dovuto fare? Che cosa avrebbe messo Logan fuori da tutto questo?
La sua figura che mi passò davanti per aggiungere legna al fuoco del camino di fronte a me interruppe le continue corse tra un pensiero e l'altro.
«Ehi, a che cosa stai pensando?»
Avevo scordato di star tenendo una tazza di caffè fra le mani e di avere un plaid intorno alle spalle. A che cosa stavo pensando? Mi aveva davvero appena posto quella domanda? Mi venne in mente il giorno in cui scendemmo in città.
«Mi sento come il giorno in cui siamo scesi in città, quando mi hai fatto salire sul pick up per tornare a casa. Avevo molte cose da dirti ma mi limitai a farti sapere che era andato tutto bene.»
Si sedette a fianco a me con ancora qualche pezzo di legno in mano che posò sul pavimento. Mi tolse la tazza dalle mani e mi aggiustò il plaid che stava cadendo tutto da un solo lato. Sospirò piano e quel sospiro non era altro che la sua comprensione.
«Niente di quello che è successo in questi giorni poteva essere impedito, tanto meno da te. Scopriremo cos'è quello che cercano, e gli impedirò di prenderselo.»
Nonostante tutto, in quel momento, non desiderai di trovarmi in nessun altro posto al mondo. Nemmeno a casa mia, nemmeno nel passato.
Guardai le mani di Logan che stavano immobili sulle sue ginocchia. Erano il riassunto della sua persona. Ferme, forti, bellissime.. pronte però a svelare quel che mai, esteriormente, ci si sarebbe aspettati di riuscire a scorgere. Logan era così, lo stavo imparando giorno dopo giorno.
«E che cosa faremo nel frattempo? Non possiamo stare chiusi in casa per sempre. Devi tornare a lavoro, prima che il senso di colpa mi inghiottisca definitivamente.»
Girai gli occhi al cielo per prendermi in giro da sola facendo attenzione che se ne accorgesse, e feci ricadere lo sguardo in basso.
«Domani riprenderò la mia routine, se questo può sollevarti. Forse là fuori le acque si sono calmate, almeno per quanto mi riguarda. Tu non devi neanche pensarci ad uscire da questa casa, intesi?»
Gli tirai un buffetto sulla spalla «Intesi» e avvicinai la mano destra alla fronte in segno di comando ricevuto. Sorrise, e sentii staccarsi un pezzetto di quella colpevolezza sullo stomaco.
La notte non riuscii a prendere sonno. Mi girai e rigirai sul divano per ore e quando ormai ero stanca anche di provare a dormire mi misi seduta, prendendomi il viso tra le mani e attorcigliandomi i lunghi capelli. La vista che si poteva ammirare dalla grande vetrata che affiancava il divano era diventata parte di me, soprattutto la notte, con il suo cielo sempre abbondantemente stellato. Mi piaceva perdere lo sguardo in mezzo ad essa ed immaginare tutti gli animali della foresta che ci abbracciava da ogni lato. Quella notte però, oltre a loro, facevano capolino nella mia testa anche le figure indefinite di chi era sulle mie tracce. Li immaginavo nascosti appena fuori casa, o nella foresta dietro di essa, aspettando che uno di noi due avrebbe di nuovo varcato la soglia e sentii all'istante il panico prendere potere lungo tutto il corpo, pensando alla mattina seguente e a Logan che raggiungeva il suo lavoro. Cercai forzatamente di precludermi certi pensieri, ed osservando gli alberi innevati riuscii finalmente ad addormentarmi. Nelle prime ore del mattino venni svegliata da un fortissimo temporale che sembrava voler gettare la sua ira solo sulla nostra casa. Non realizzai subito quanto fosse realmente violento e rumoroso, continui lampi illuminavano per meno di un secondo il paesaggio circostante e ancora del tutto assonnata mi feci catturare da loro pensando a quanto mi fosse sempre piaciuta la pioggia, perché in grado di cullarmi, nel senso più grande del termine, in ogni circostanza. Pensai per un breve attimo di trovarmi di nuovo a casa mia, nella mia stanza, sotto il piumone nel quale avevo affogato tante lacrime ed anche tante risate, in un passato che mi sembrava molto più lontano di quel che effettivamente fosse. Quando il tutto mi ipnotizzò a tal punto da farmi capire che quella notte non avrei dormito granché raggiunsi la cucina pensando al tè bollente che avrei potuto prepararmi. Appena presi il bollitore tra le mani, però, allo scrosciare della pioggia si aggiunsero le urla di Logan, mischiate a ringhi animaleschi che mai, in vita mia, avevo sentito. Nemmeno nei miei incubi peggiori.
Mi catapultai al piano superiore mentre la mia mente proiettava una sola immagine: il suo corpo coperto nuovamente di sangue.
Era invece seduto sul letto, con le braccia aperte, i sei artigli sguainati, il lenzuolo strappato in diversi punti e il viso coperto di terrore e rabbia. Non l'avevo mai visto così prima d'ora, un animale appena strappato dal suo branco o dal suo habitat naturale. Quando si accorse della mia presenza ritrasse subito gli artigli e rilassò i muscoli del viso, regolarizzando il respiro accelerato.
«Scusami, ti ho svegliata.»
Solo dopo che iniziò a parlare mi resi conto di quanto fosse così tanto più buia la sua camera da letto rispetto al soggiorno.
«Non ti preoccupare, ero in cucina, qualcuno prima di te aveva già deciso che non avrei dovuto chiudere occhio stanotte.»
Mi appallottolai in un angolo del suo letto a due piazze, attenta ai miei movimenti e a capire se avrei potuto infastidirlo. Poi ripresi a parlare.
«Cos'hai sognato di così... brutto?»
Abbassò lo sguardo. Io mi misi a gambe incrociate, lo sapeva che era la mia posizione di rilassamento e di tregua da tutto, quindi l'avrebbe preso come un invito a non mettere nessun freno alle sue parole, perché avrei accettato e compreso tutto.
«La guerra. La Guerra Civile Americana, la Grande Guerra...» sospirò «una delle poche e... orrende cose che hanno iniziato a tormentarmi da quando, oltre alla mia natura, non so più chi sono, o chi ero.» Aveva alzato le ginocchia per appoggiare su di loro le braccia e tutto il peso di quelle parole. Il viso lo teneva chinato, non aveva finito di raccontarmi i suoi terrori, ma non sembrava voler continuare ad accontentarmi. Che collegamento avevano quelle guerre con lui? Perché dovevano occupare i suoi incubi? Poi ripresi fiato dal bicchiere d'acqua in cui ero appena caduta, e mi risposi.
«La Grande Guerra? Tu hai combattuto nella Grande Guerra del... 1917?»
Abbozzò il sorriso di tutte le volte in cui riuscivo a stanarlo. Forse lui lo prendeva come un gioco, io invece ero entrata davvero, con tutta me stessa, in quel labirinto che portava il suo nome.
«Speravo non fossi una cima in Storia.»
«Infatti non lo sono.»
Questo voleva dire che grazie al fattore rigenerante, o semplicemente alla sua natura di mutante, non invecchiava. Avrei potuto arrivarci anche senza la storia delle guerre.
«Te l'avevo detto che la mia età non contava, dopotutto.» di nuovo quel mezzo sorriso.
«E invece conta più di quella di qualsiasi altro, diamine!»
Involontariamente mi feci prendere da troppo entusiasmo, e caddi ancora a gambe incrociate su di un lato «ops.»
Non mi rialzai, e corrucciai la fronte, ritornando seria.
«Pensi... che chi ti ha fatto questo abbia anche a che fare con il tuo arruolamento?»
Anche lui cambiò espressione, e distese le gambe.
«Non lo so... è possibile. Quel che accompagna tutte le guerre, durante la notte, sono continui flashback di una camera, che non riesco a riconoscere, ma che ha sempre la puzza di esperimenti, e di governativo. Ha una vasca al centro, e macchinari in disuso.»
Mai come in quel momento mi aveva resa partecipe dei suoi tormenti.
«Non devo esser stato un granché se è tutto qui quello che sono in grado di ricordare. Forse il migliore in quello che facevo, ma non un granché come persona.»
Avrei voluto prendere quel preciso istante dalla realtà e poterlo conservare come il post-it che mi lasciò sul tavolo la prima mattina. Con Logan ogni momento poteva essere l'opposto del precedente, ed in questo avrei potuto sgretolare tutta la sua indistruttibilità in una mia sola esile mano.
«Logan, tu non sei un mostro, qualsiasi cosa nasconda il tuo passato. Tu hai un dono.»
Mi guardò nella totale oscurità. Un lupo. Mi ricordò di nuovo la figura di un lupo. Uno dei continui lampi ci illuminò interamente. Mi concentrai un'altra volta sullo zampettante e insistente rumore della pioggia. La vista dalla camera di Logan era ancora più bella di quella che si poteva scorgere al piano inferiore, era la prima volta che potevo vederla. Mi stava ancora guardando.
«Tu lo sapevi, vero?»
«Che cosa?»
«Che qualcuno mi stava cercando. Per questo mi hai impedito di fare domanda per ogni tipo di lavoro, perché sarei stata esposta al pericolo senza saperlo.»
Si sdraiò e per la prima volta da quando ero entrata nella sua camera da letto sembrava sinceramente più tranquillo.
«Istinto. Non sono abituato a vederlo sbagliare.»
Pensai a quante volte dovevo moltiplicare l'essergli grata. Il futuro nascondeva altre moltiplicazioni, su questo non c'era dubbio. 
Facendo un balzo per sdraiarmi a mia volta gli intonai un sarcastico «A chi lo dici!» che stavolta lo fece ridere di gusto. Si voltò dall'altra parte, ancora ridendo, e con quel gesto mi diede il permesso di stare al suo fianco. Al sicuro. La sua schiena catturò il mio sguardo molto più del temporale che continuava il suo spettacolo, così, in una notte di pioggia, iniziai ad amarlo.

 

   
 
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