The
dawn of a new day
L'alba ha
una sua misteriosa grandezza che si compone d'un residuo di sogno e
d'un
principio di pensiero.
Victor
Hugo
L’alba
sta arrivando.
Lo
so perché mi scaturisce tutte le volte la stessa sensazione
sotto pelle, sento
vibrare tutti i miei nervi, come se si mettessero in allerta. Come se
la
percepissero.
Io
la sento.
La
sabbia mi scivola tra le dita, non posso trattenerla nel palmo della
mano,
nonostante io continui a provarci.
A
sperarci.
Nella
mente comune, si ha quest’idea generale che i cattivi odino
la luce del sole,
il giorno e tutto ciò che esso comporta.
Ma
io vengo qui ogni mattina, mi siedo sulla sabbia tiepida del primo
mattino e
attendo... attendo pazientemente l’arrivo della luce.
Eppure
io sono il cattivo.
Alzo
lo sguardo verso quel cielo ancora scuro e vedo che, proprio in
corrispondenza
della linea dell’orizzonte, come se stesse uscendo dal mare,
sta spuntando
lentamente il sole.
Ogni
mattina è lo stesso spettacolo, eppure, ogni volta
è un’emozione diversa.
Sempre
più forte.
Il
cielo, ora, si sta schiarendo pian piano, con una lentezza snervante e
sembra
quasi che un pittore stia pennellando di un colore più tenue
tutta quella
distesa.
Mi
alzo senza mai staccare gli occhi da quello scenario incantevole e vado
a
bagnare i miei piedi nudi nell’acqua fresca.
Fa
freddo, nonostante sia estate.
Fa
sempre freddo dentro di me.
I
miei costosi pantaloni neri si bagnano e a me non importa nulla,
continuo ad
immergermi nell’oceano freddo, che sembra anestetizzare il
dolore che sento fin
dentro le viscere.
Mi
lascio andare sott’acqua e sembra di trovarsi un altro
universo, dove la realtà
non può trovarti e tu puoi continuare ad ascoltare il suono
del silenzio per
sempre.
Ma
non può durare.
Torno
in superficie e rimango a galla, contemplando la magnificenza della
natura: ora
il sole è completamente alto e la luce troneggia sulla nuova
giornata che è
appena stata consacrata; e sembra che non ci possa mai essere stato il
buio
prima di quello splendore, perché è perfettamente
posizionato nel cielo, il
sole; ma l’equilibrio sta nel giorno e nella notte, nel buio
e nella luce.
Nel
bene e nel male.
Sembra
impossibile, ma tra qualche ora si potrà essere testimoni
del medesimo
meccanismo, in senso inverso.
Ma
io non voglio vederlo.
Non
voglio vedere il buio inghiottire il sole.
No,
tornerò qui domani mattina, alla stessa ora, e
aspetterò con pazienza la venuta
della luce, seduto sulla sabbia.
Io
sono le tenebre.
Tu
sei luce.
Tu
mi hai insegnato ad amare il giorno.
E
anche se ora sei lontana – troppo lontana -
io continuo a scendere alla spiaggia, per ogni alba,
perché tutta quella
luminosità mi ricorda i lineamenti del tuo viso e i tuoi
occhi splendenti.
Tu
portavi il calore che mancava dentro di me.
E
ora sono di nuovo così freddo che non sento niente se non il
dolore. Il dolore
per non averti trattenuta, per averti lasciata andare via, guardando le
tue
guance rigarsi di lacrime. Lacrime provocate da me.
Perché
io sono stato il tuo carnefice. Lo sono stato ogni volta in cui per i
corridoi
del castello ti incontravo e ti ignoravo per paura di espormi troppo, o
quando
ti rivolgevo una delle mie solite cattiverie, ricoprendoti di miserie.
E
poi ti vedevo piangere, gli occhi bassi e colmi di dolore,
perché tu volevi di più
e io non potevo dartelo. Io non sapevo
dartelo.
E
allora prendevo da te tutto ciò che mi potevi dare, premevo
il tuo corpo contro
il mio, sentivo le tue mani cercarmi, accarezzarmi, desiderarmi in un
modo
disperato che mi faceva commuovere. Ed entravo dentro di te, con forza,
con
dolore, perché in realtà eri te che stavi
entrando in me, ma non lo avevo
capito.
Non
ti ho mai capita.
Asciugavo
le tue lacrime con un orgasmo e poi scappavo di nuovo, lontano da te,
credendo
che avrei avuto un’infinità di tempo per potermi
riscattare.
Non
sapevo neanche io da cosa stavo fuggendo, ma ora mi rendo conto che
avevo
paura. Ero terrorizzato da tutto l’amore disperato e profondo
che tu mi stavi
donando incondizionatamente. Avevo paura della fiducia che riponevi in
me,
nonostante tutto il dolore che continuavo a provocare.
E
allora scappavo.
E
poi tornavo. Tornavo sempre, e tu eri lì, pronta ad
aspettarmi e ad accogliermi
tra le tue braccia, gli occhi che speravano che quella volta sarebbe
stata
diversa, che se ero tornato allora voleva dire che sarei rimasto.
Ma
non rimanevo. Mai.
Ti
guardavo da lontano andare in giro con quegli idioti dei tuoi amici
Grifondoro,
fare finta che nulla fosse successo. E mi chiedevo come potessi tenere
la testa
alta e l’orgoglio di ferro nonostante tutte le umiliazioni a
cui ti esponevo.
E
allora mi arrabbiavo, mi arrabbiavo perché sembravi fatta di
ferro, sembrava
che nulla potesse ferire la tua corazza.
E
ti pretendevo, con rabbia, con rancore, con sofferenza. Ti sbattevo
contro il
muro, le braccia vicino al tuo viso a chiuderti in una gabbia da cui
non
saresti potuta uscire, ti incatenavo con gli occhi ed entravo dentro di
te con
prepotenza, facendoti gemere di piacere e dolore, perché era
questo ciò che
eravamo: piacere e dolore.
E
non mi fermavo, non mi stancavo mai finché non ti vedevo
toccare il culmine,
esplodere e perdere il controllo che ti era tanto prezioso; e allora
sapevo che
ero io, e solo io, a possederti.
Adoravo
vederti cedere a me, sapevo di essere l’unico a poterti
prendere e ne
approfittavo, perché la consapevolezza che mi appartenevi mi
mandava su di
giri.
Sesso,
carne, labbra.
Bocche,
pelle, mani intrecciate.
Era
sesso arrabbiato, perché mi snervava tutto il tuo amore, non
sapevo come
trattare con tutti i sentimenti che sembravi mostrare.
Tutto
ciò che sapevo dare era sesso e tu lo prendevi.
Era
sempre la stessa storia, con me, hai sempre saputo che non sarei mai
cambiato,
che non avrei mai rinnegato chi ero per te.
E
forse fu proprio quel giorno in cui mi vedetti baciare una delle tante
ragazze
con cui andavo a letto, che decisi di averne avuto abbastanza.
Sei
una Grifondoro, hai l’orgoglio di una leonessa.
Ricordo
di averti afferrata nel corridoio illuminato solo dalla luce della
candela,
avevo il disperato bisogno di sentirti sotto di me, avevo bisogno di
sentire la
tua luce, nonostante non lo avrei mai ammesso all’epoca.
Ricordo
anche i tuoi occhi straziati, ricordo che mi guardasti, una lacrima
scorreva
lungo la tua guancia, e io capii che era finita, che ero riuscito
finalmente a
farti arrivare al limite della sopportazione. Ti girasti e, correndo,
ti
allontanasti da me.
Avevo
perso la mia luce.
Avevo
perso tutto.
Non
dormivo più, perché non appena mi addormentavo
sognavo i tuoi capelli sul mio
cuscino e il tuo odore sulle mie coperte.
Non
sopportavo di essere rimasto senza di te.
È
stata colpa mia, è sempre stata solo colpa mia; colpa della
mia codardia, della
mia ostinazione nel non voler ammettere che eri penetrata nel profondo
della
mia anima.
Ho
preferito lasciarti andare, piuttosto di affrontare la
verità.
E
ora cosa mi rimane?
Esco
dall’acqua, quel bagno è troppo freddo anche per
me, Draco Malfoy, colui che il
gelo lo ha nel cuore.
Mi
siedo sulla sabbia scaldata dai raggi del sole, chiudo gli occhi e
provo a non
pensare a quanto il mio cuore stia soffrendo.
In
fondo l’ho sempre saputo che prima o poi ti saresti stufata
di tutto
quell’amore impossibile, di tutto quell’odio,
quella rabbia e quei sentimenti
taciuti.
Sei
una Grifondoro, sei Hermione Granger, hai
l’orgoglio di una leonessa.
E
ora, tutto ciò che mi rimane è l’alba
della mattina, il ricordo del tuo viso
luminoso e della tua pelle morbida.
Il
ricordo di quando eri mia.
Mia.
Mia.
Mia.
Il
sole è alto nel cielo, la magia del suo sorgere è
terminata.
Tornerò
domani mattina, ad osservare l’alba
di un
nuovo giorno.
****
Allegria
portami via!
Si,
lo so, è triste. Ma mi è venuta così,
pensando a cosa sarebbe un amore
straziante... E poi mi sono venuti in mente Draco ed Hermione.
Se
siete arrivati fin qui senza darmi della depressa cronica, vi ringrazio.
Comunque
sia, spero vi sia piaciuta.
Lasciate
un commentino, così saprò cosa ne pensate!
Un
ringraziamento speciale ad Aniasolary che
ha letto la storia in anteprima, dandomi la sua benedizione.
Un
abbraccio,
Eryca.