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Autore: i_will_find_my_way    25/09/2012    4 recensioni
A passo svelto mi diressi verso gli ascensori chiamandone subito uno, e dopo qualche istante si aprì la porta emettendo quel stupido tin.
Entrai e mentre stavo per schiacciare il numero del mio piano un ragazzo mi urlò di fermare le porte, così misi un piede tra di esse.
“Grazie mille!” mi disse ancora con il fiatone per la corsa.
* * *
Mi incamminai velocemente all’ospedale e varcai la porta a vetri annusando l’odore di medicine tipico di quegli edifici.
Andai verso gli ascensori e vidi che una ragazza era appena entrata dentro, così alzando la voce ed allungando il passo gli dissi di tenere aperte le porte.
“Grazie mille!” dissi non appena entrai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Taylor

La sveglia non smetteva di suonare.
Pigramente misi fuori dalle coperte un braccio e schiacciai brutalmente il pulsante che la accendeva.
Nonostante fossi in vacanza quella mattina dovevo andare a Londra, così dovevo alzarmi alle 6 di mattina per poter prendere il treno che portava lì.
Mi stirai come un gatto nel letto, e ancora con gli occhi chiusi mi alzai per andare in bagno schivando prontamente tutte le cose sparse nella camera.
Mia sorella e il suo ragazzo erano già svegli che preparavano la colazione belli pimpanti, loro erano abituati a svegliarsi così presto, io invece ero un bradipo.
Dopo essermi fatta una doccia tornai in camera per vestirmi, avrei trascorso la giornata in città girando per tutte le vie di Londra, e nonostante poteva piovere da un momento all’altro, misi ugualmente un vestito bianco morbido fino al ginocchio e delle ballerine rosse.
“Buongiorno!” dissi sedendomi al tavolo in cucina.
“Wei! Allora oggi Londra??” mi chiese mio cognato.
“Sì mi tocca purtroppo” dissi mentre addentavo un biscotto.
“Sei sicura di andarci da sola? Non puoi saltare l’incontro?”
“Hanna stai tranquilla, non mi succederà niente!” risposi dandole un bacio sulla guancia.
Ritornai in bagno per pettinarmi e lavarmi i denti.
Allo specchio guardai il mio riflesso. Avevo appena tagliato i capelli e già mi ero pentita. Non erano corti solo che prima erano più lunghi.
Mi corse l’occhio sul cellulare e vidi che erano già le sei e quarantacinque, era meglio sbrigarsi.
Passai un’ ultima volta dalla mia camera per prendere la borsa con dentro tutto quello che mi sarebbe servito durante il giorno e uscii sbattendo la porta.
“Vado ci vediamo stasera!” urlai e chiusi anche la porta dell’ingresso.
Percorsi il vialetto di casa mia e mi avviai per la strada che portava in paese.
Arrivata alla fermata del treno mi sedetti sulla prima panchina libera che vidi e iniziai a cercare nella borsa il cellulare.
Andai a riguardare i messaggi del giorno prima. Un’altra litigata con Matt.
Scusa non posso venire nemmeno domani, devo lavorare. Scusa
L’ennesima scusa, oramai era così e ci avevo fatto l’abitudine, ma c’era sempre in me la speranza che mi aiutasse e mi stesse vicino nonostante tutto.
Ancora assorta nei miei pensieri non mi accorsi dell’arrivo del treno. A fatica e di malavoglia mi alzai e mi avviai al mezzo.
Odiavo viaggiare in treno, l’odore che si respirava era insopportabile, e i sedili erano anche scomodi. Così per far passare il tempo misi le mie cuffie e ascoltai la musica per tutta la durata del viaggio chiudendo gli occhi.
Mi aspettavano quaranta minuti di viaggio, e stare seduta non faceva altro che aumentare il mal di schiena che avevo già.
Il cellulare vibrò improvvisamente e speranzosa che fosse Matt, aprì il messaggio.
Non era altro che mia mamma. Da quando non vivevo più con i miei genitori, dopo che mio papà mi aveva buttato fuori da casa, ci sentivamo spesso via messaggio.
Quando raccontavo la mia situazione a qualcuno faticava a crederci, o addirittura spalancavano gli occhi, allora io per smorzare la tensione ridevo, ma dentro di me sapevo che alla fine non era molto normale avere una vita come la mia.
Guardando dal finestrino mi accorsi che oramai ero arrivata a destinazione, così mi alzai dal mio sedile e mi avviai alle porte. Continuavo a guardare lo schermo al cellulare il quale aveva preso a vibrare, non mi accorsi del ragazzo che si materializzò davanti a me e mi ci scontrai.
Per fortuna mi aggrappai a un sedile, schivandomi una grandissima figura in mezzo al treno.
Il ragazzo si voltò e incontrai un paio di occhi azzurrissimi che mi squadrarono.
“Oddio scusa, non volevo. Stai bene?”
“No…cioè sì, tranquillo! Tutto ok, scusami tu piuttosto, ero intenta a guardare il cellulare” dissi risistemandomi la borsa che mi era scivolata dalla spalla.
“Scusami ancora! Comunque piacere Will!”
“Piacere Taylor! Scusa ma devo scendere, è stato un piacere scontrarci! Ciao!” dissi scendendo dal pullman e salutandolo con la mano.
Mi incamminai verso il bar dove di solito andavo prima dei corsi ripensando ancora a quel ragazzo. Era bello, anzi molto, ma aveva l’aria di un ragazzo a cui interessava solo divertirsi e a me non serviva un altro ragazzo così, avevo già Matt.
La giornata stranamente era soleggiata, in cielo non c’erano nuvole, e nonostante fossero solo le 9 del mattino faceva abbastanza caldo.
Mi sedetti al mio solito tavolino e ordinai un semplice succo di frutta. Anche se avevo appena 17 anni ero una ragazza molto tranquilla. Non avevo la necessità come i miei compagni di scuola di uscire tutti i sabato sera, ubriacarsi e altro, certo anche io avevo fatto le mie cavolate, ma adesso erano il mio ultimo pensiero.
Un bus rosso tipico di Londra passò davanti a me, e vidi che aveva attaccato un manifesto pubblicitario del Ministry of Sound, la discoteca più famosa della capitale.
Era lì che avevo conosciuto Matt nella mia unica fuga notturna che avevo fatto con Chelsea .
Quella sera c’era stata l’apertura del locale e non potevo mancare, così dissi ai miei genitori che avrei dormito da Chelsea, invece grazie a suo fratello che si offrì di portarci in macchina andammo a questa discoteca.
Dopo un’ora che eravamo entrate Chelsea era sparita tra la folla ed io ero rimasta vicino ad uno dei banconi del bar sparsi per il locale. Ad un certo punto un ragazzo biondo mi venne addosso, facendomi quasi cadere il cocktail che avevo in mano. Mi chiese scusa e si presentò subito, così iniziammo a parlare per tutta la serata e ci scambiammo i rispettivi numeri di telefono.
Sì può dire che Matt è stato il mio primo vero amore, o comunque la cosa a cui ci andavo più vicino, ma con il passare dei mesi invece mi resi conto che non eravamo fatti realmente per stare insieme, eppure ancora oggi non potevamo stare lontani.
Il cameriere arrivò portandomi il succo e gli porsi i soldi per pagare.
Bevvi tranquillamente il succo e una volta finito mi alzai e mi avviai verso il parco, d’altronde mancava ancora un ora prima dell’inizio del corso.
Mi sistemai gli occhiali da sole sul naso e camminai lungo il sentiero che attraversava tutto il parco, a quell’ora non c’era ancora nessuno, ma quando a mezzogiorno passavo di lì, c’erano bambini che correvano tra gli alberi e salivano su tutte le giostre. Era bello guardarli e pensare che un giorno sarei stata io a portare mio figlio a giocare, ma era meglio non pensarci ora, mi aspettava una giornata abbastanza frenetica quindi nonostante fossi ancora in largo anticipo mi avviai verso la struttura che si ergeva davanti al parco.
Attraversai la strada e mi fermai davanti a quell’enorme palazzo grigio che si alzava per metri e metri, la scritta bianca si poteva vedere a occhio nudo dall’altra parte del parco.
Prendendo un bel respiro spinsi la porta a vetri e venni investita subito dal tipico odore di medicine del posto che odiavo tanto, forse era la cosa più schifosa dopo il formaggio per me.
A differenza del parco, calmo e silenzioso, l’ospedale pullulava già di gente, infermiere che andavano di qua e di là, signori di mezza età seduti sulle seggiole che aspettavano il loro turno per fare analisi varie.
A passo svelto mi diressi verso gli ascensori chiamandone subito uno, e dopo qualche istante si aprì la porta emettendo quel stupido tin.
Entrai e mentre stavo per schiacciare il numero del mio piano un ragazzo mi urlò di fermare le porte, così misi un piede tra di esse.
“Grazie mille!” mi disse ancora con il fiatone per la corsa.
“Non c’è di che. Dove va?” chiesi gentilmente
“Al nono piano. Lei?”
“Anche io” dissi un po’ perplessa. Il mio telefono suonò e iniziai a cercarlo, senza trovarlo. Finì per svuotare la borsa ma almeno riuscì a rispondere senza nemmeno guardare il numero.
“Pronto?” chiesi mentre risistemavo il casino che avevo fatto.
“Sono io” rispose la voce del telefono.
“Oh ciao! Che c’è?”
“Senti volevo solo chiedere se eri già arrivata tutto qui”
“Sì, sono in ascensore. Come mai tutto questo interesse?” chiesi acida.
“Senti Taylor, non sono uno stronzo come tu puoi pensare…”non lo lasciai parlare, non ero dell’umore giusto per sentire lui e le sue cavolate.
“Scusa Matt, ma non ti sento, sto perdendo la linea…ti richiamo io!” e riagganciai.
“Bel modo di non parlare alla gente” dissi il tizio castano vicino a me.
“Ne valeva la pena fidati!” dissi spegnendo il cellulare.
Ancora il tin dell’ascensore ci avvertì che eravamo arrivati al piano giusto.
L’auditorium era in fondo al corridoio a destra e guardando di sfuggita l’orologio decisi che potevo concedermi prima una visita alle macchinette.
“Beh salve!” dissi al ragazzo di prima, che questa volta stava trafficando con il cellulare.
“Oh salve! E grazie ancora per prima!”
Mi avviai ai distributori e presi una bottiglietta d’acqua fresca e un twix da sgranocchiare mentre aspettavo l’inizio del corso.
“Ciao Taylor!”
Alzai lo sguardo confusa, mi voltai e vidi Jessi che stava venendo nella mia direzione. Ingoiai il boccone di cioccolato che avevo in bocca e la salutai.
“Come stai?”
“Tutto bene e tu?”
“Benissimo, andiamo a sederci all’auditorium? Almeno prendiamo i posti in fondo!” disse prendendomi sotto braccio.
Jessie aveva 25 anni, era molto più grande di me e la conobbi il primo giorno che andai all’ospedale, era la più simpatica del gruppo e l’unica con cui avevo stretto amicizia. Quella mattina portava dei pantaloncini marroni e una canottiera bianca. I capelli erano sempre portati con una frangia nera, ed era truccata pesantemente come al solito.
Ci accomodammo sulle scomodissime seggiole dell’ospedale e iniziò a raccontarmi dell’ultima giornata di shopping frenetico che aveva fatto.
“E così ho speso più di 100 sterline solo per una tutina, ma era bellissima!” disse battendo le mani.
“Secondo me prima che nasca il bambino non avrai più un soldo, a furia di comprare vestiti!” dissi massaggiandomi la schiena.
“Ma smettila che non ho speso più di tanto!” disse lei.
La stanza nel frattempo aveva iniziato a riempirsi, e tutte le sedie disposte in cerchio ad essere occupate. Donne che avevano un viso familiare, e alcune che invece non ricordavo. Alcune erano seguite dal rispettivo compagno, altre invece seguite dalla mamma o dalla nonna.
Jessi solitamente veniva con sua mamma, ma ancora non la vedevo.
“Dove è tua mamma?” chiesi voltandomi verso la mia amica.
“Oggi non c’è, sono con mio fratello, cioè io sono qui mentre lui è in giro per Londra a divertirsi. Oggi esco prima, tra un’ora perché devo andare da mia nonna, mi potresti passare gli appunti dopo?” disse lei alzando le spalle.
“Ma certo! Te li porto la prossima volta ok?” risposi io.
L’infermiera che oggi avrebbe tenuto il corso entrò in quel momento, e tutti tacquero subito.
“Ciao a tutti, mi chiamo Sarah e sono un’ostetrica dell’ospedale” disse la ragazza alquanto giovane per avere un ruolo del genere “Oggi parleremo del…” la porta si spalancò ed entrò il ragazzo che prima avevo visto in ascensore.
“Scusate l’interruzione” disse per poi andare a sedersi vicino a una donna con i capelli neri come la pece e gli occhi marroni.
“Stavo dicendo che oggi affronteremo il tema del travaglio” continuò l’ostetrica.
Il ragazzo che nel frattempo si era seduto incrociò il mio sguardo e mi salutò debolmente con la mano. Io feci lo stesso spostando subito dopo lo sguardo da un’altra parte.
Mentre ascoltavo Sarah parlare un colpo secco alla pancia mi fece sobbalzare, e istintivamente iniziai a massaggiarla per cercare di tranquillizzare il bambino che era dentro di me da 6 mesi oramai.
Non sapevo se era maschio o femmina, non avevo voluto saperlo, mi piaceva di più avere la sorpresa finale.
Un altro calcio e un’altra smorfia di dolore, non stava mai fermo quel fagiolo, come lo chiamavo io, tutti mi dicevano che si muoveva troppo ma io ci aveva fatto l’abitudine, specialmente la notte quando non riuscivo a dormire.




Ciao a tutti!! Sono nuovissima, e questa è la mia prima storia in assoluto.
Non posso obbligarvi a recensire, ma mi piacerebbe se mi fareste sapere cosa ne pensate...ogni cosa è ben accetta!!
Spero di avere attirato la vostra attenzione!!
Ora vi lascio, avrete di meglio da fare!! Al prossimo capitolo:)
Un bacio <3 ciau!
  
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