What’s
going on there?
▬ Tingiti i
capelli di blu, dicevano.
Sarà divertente, dicevano. ▬
Quando Arthur sollevò l’asciugamano dai capelli
l’espressione che attraversò il
suo fino fu un po’ terrorizzata ed un po’
disgustata, tutto si sarebbe
aspettato al di fuori dell’ottenere una testa ancora
più disordinata di prima,
con ciocche bionde, verdi e blu che si alternavano come in uno strambo
dipinto
astratto partorite dalla mente si un francese fatto con qualche rana di
troppo
sullo stomaco.
Almeno poteva dire di aver inventato un nuovo colore perché,
di sicuro, in
nessuna parte del mondo si era mai vista una tonalità tanto
orrenda ed
insensata; nemmeno il Tamigi nei peggiori giorni di pioggia poteva
diventare
così.
I primi a
dover far fronte con quell’adorabile novità che si
era abbattuta sulla
capigliatura del ragazzo sarebbero stati i familiari e la cosa sarebbe
iniziata
presto, presto e male; chissà come l’inglese
già se lo sentiva. Forse perché da
quando Arthur aveva cambiato il suo stile, modificando la sua vita da
classico
inglesino tutto camicette e gilet a punk ribelle con più
buchi di uno scolabrodo,
in quella casa se ne erano viste di cose strane accompagnate da
rispettive liti
furiose e punizioni sempre più fantasiose;
perché, pur essendo ormai passato un
po’ di tempo, nessuno dei suoi due amati genitori si era
completamente abituato
alla nuova immagine del loro figliolo, e probabilmente nemmeno i
fratelli
l’avevano ancora fatto.
Così
il
risultato fu prevedibile . . .
Eily fu la
prima, aprendo la porta del bagno, ad adocchiare il fratello minore;
tra di
loro il rapporto non era mai stato seriamente cattivo ma prendersi in
giro era
la norma sin da quando erano bambini e quella era un’a dir
poco fantastica
occasione per la ragazza che, passandogli una mano tra i capelli ancora
bagnati
gli sorrise, prima di aprir bocca e dar sfogo ai suoi adorabili
pensieri.
«
Hey Arthie! » Fece, portando un dito a puntare sopra le
labbra
carnose, con aria vagamente pensierosa.
« Bello il colore; ti ha vomitato sopra un puffo o che?
»
Al che, Arthur, tentando di mostrare una maturità che non
aveva, si allontanò
dalla maggiore che intanto era scoppiata in una fragorosa risata per la
sua
stessa battuta liquidandola con un versetto di disappunto e un
borbottio
confuso che assomigliava particolarmente ad un “Fatti gli
affari tuoi”.
Ma quello era
effettivamente solo l’inizio di una mezz’ora che si
prospettava come una delle peggiori degli ultimi anni,
perché se la sorella era
stata capace di limitarsi a quella battuta scherzosa gli altri,
qualcuno in
particolare a cui ancora non aveva il coraggio di pensare,
l’avrebbero presa
peggio; molto peggio.
A preoccuparlo
non fu ovviamente l’incontro successivo, con il piccolo
di casa. Peter, il suo fratellino, infatti lo incrociò di
fronte alla porta di
camera sua e con quella vocina sempre allegra gli domandò,
con un’innocenza
tale da non dargli nemmeno tanto fastidio, se con quei nuovi capelli
avesse
acquisito anche dei poteri magici.
Ma nemmeno il pensiero di trovare Dylan lo turbava; il primogenito gli
andò
incontro girando l’angolo e si limito ad
un’occhiata rassegnata e ad
un’impercettibile movimento del capo prima di sistemarsi
l’ordinata camicetta
azzurra e tornare dritto per la sua strada come se nulla fosse
successo.
No, tutte le sue
attenzioni erano rivolte ai tre membri mancanti della
famiglia, quelli da sempre più pericolosi: Allistor
Fergus Kirkland, uno stronzo di prima categoria, meglio
conosciuto come
l’ultimo della sfilza di fratelli maggiori, il professore
universitario Arnold Henry Kirkland,
o padre di
Arthur, e, per finire, la casalinga isterica Margareth
Anne Kirkland, madre di Arthur.
Loro sarebbero stati il vero inferno
e lui non era certo di volervi affrontare.
Provò
comunque a scendere le scale silenziosamente, per arrivare
almeno al piano terra dove in caso di estremo pericolo non avrebbe
rischiato
molto a lanciarsi giù dalla finestra seguito da un pezzo di
mobilio lanciato da
uno degli amorevoli genitori ma qualcosa lo bloccò rudemente
ad appena tre
gradini dalla sua meta; una massa di capelli rossi disordinati, con
degli
odiosi occhi pronti a fulminarlo ed un sorriso vagamente inquietante,
tutte
questo su un corpo che lo superava di almeno cinque centimetri e con
qualche
chilo di muscoli in più: questo era
il volto del male per lui.
Allistor gli
bloccò immediatamente la strada, inchiodandolo al muro
con un braccio teso che Arthur subito afferrò, aggrottando
le folte
sopracciglia e sostenendo lo sguardo di sfida del fratello che intanto,
con un
punta d’odio, scrutava attentamente il minore per poi
lasciarlo andare con un
“You faggot” soffiato tra i denti.
E così
aveva affrontato la prima belva del suo inferno personale,
uscendo dal combattimento con ancora tutti gli arti al loro posto ed un
orgoglio non proprio distrutto; un buon risultato con cui iniziare,
soprattutto
poteva dargli la speranza necessaria per scontrarci con quei due mostri
così
diversi che ora lo scrutavano attoniti dalla cucina, come se
l’ultima modifica
nell’aspetto del loro povero figliolo avesse distrutto ogni
loro speranza di
vivere un’esistenza tranquilla.
« Oh
dear Lord-- »
Fu un sibilo sommesso quello che uscì dalle labbra impastate
di rossetto della
donna che ora si avvicinava al figlio con occhi furiosi e la bocca
spalancata
per la sorpresa.
« Arthur, ti rendi conto di cosa hai fatto? »
Oh, madre. Mi dispiace molto di aver
ucciso quell’uomo, non volevo.
« Non puoi fare ciò che vuoi tu! Devi
smetterla di comportarti così. »
Vero madre, ho sette anni io.
« Ne va della nostra reputazione!
Cosa diranno di noi le persone--?!»
UH—Ma che bella idea, madre.
Gli occhi di Arthur si illuminarono un attimo, prima di
saettare veloci
sulle porta d’ingresso ad appena qualche metro da lui.
« Oh.
Lo vedremo. »
E in men che non
si dica le sue creepers nere e consumate battevano
sull’asfalto che si stava bagnando delle prime gocce di
pioggia, puntando verso
l’insegna rotonda della metropolitana.
├───────────────────────────┼───────────────────────────┤
▬ Toc.
Un colpo.
Toc. Un altro.
Toc. Un altro ancora. ▬
Era lì a battere contro quella dannata porta da dieci minuti
ormai e nessuno si
era degnato di andare ad aprire alla sua magnifica presenza che, per un
fatidico scherzo del destino, aveva dimenticato ancora una volta le
chiavi
dell’appartamento. Ovviamente tutto questo era successo
perché la sua testa era
costantemente occupata da pensieri molto più importanti
anziché da qualcosa di
talmente stupido ed inutile come il ricordarsi delle banalissime
chiavi;
pensieri del genere non meritavano nemmeno di passare per la sua mente.
Ma merito o no adesso le conseguenze ricadevano su di lui, ah ma non
sarebbe
andata meglio a quei ragazzi che l’avevano lasciato fuori--!
Loro se la
sarebbero vista molto brutta quando la sua intelligenza
sopraffina gli avrebbe permesso di trovare un modo legale
di entrare lì dentro, quello era poco ma sicuro; e
certo
all’umanità era anche che sarebbe riuscito ad
aprire quella porta, o un
finestra, tutto da solo, lui non aveva bisogno dell’aiuto di
quegli inutili
coinquilini, o l’avrebbe fatto da solo o non
l’avrebbe fatto proprio.
Solitamente, per
quanto ne sapeva lui, gli altri ragazzi non lo
avrebbero mai chiuso fuori, era persone tranquille, per la maggior
parte più
serie di lui e poco propense agli scherzi ma, probabilmente, il non
vederlo
tornare a casa per qualche giorno aveva causato fastidi interni al
cervello
ordinato di Ludwig, suo fratello, e Lukas, il norvegese che stava
lì da prima
di loro, non doveva vedere l’ora di sbarazzarsi un
po’ del povero Gilbert
quindi, sempre probabilmente, potevano aver deciso di lasciarlo
lì fuori come .
. . punizione ? Che
cazzo—Almeno
Matthias avrebbe potuto fare qualcosa per impedirglielo! Avevano
condiviso
tante birre, dopotutto.
Fatto sta che
ormai era pomeriggio inoltrato e la natura non sembrava
essere dalla sua porta, aveva infatti anche iniziato a piovere e i tre
non si
erano ancora fatti vedere, costringendo l’albino a
proteggersi sotto quella
misera tettoia mentre dalla sua bocca uscivano imprecazioni in
tedesco-inglese
a dir poco fantasiose. Ma non gliel’avrebbe data vinta
così facilmente--!
Nemmeno sotto tortura avrebbe ceduto alla tentazione sempre
più forte di
mettere mano al cellulare e di comporre uno dei loro numeri per
ordinargli di
venire ad aprirgli; non era quel tipo di persona, se la sarebbe cavata
con le
sue innumerevoli capacità.
In men che non si
dica si era deciso finalmente a interrompere i
tentativi di buttare giù la porta di casa e con una spalla
dolorante stava già
attraversando la strada di corsa, incurante delle macchine che gli
avevano
suonato almeno un paio di volte, e con le braccia incrociate sopra la
testa a
proteggersi da quell’odiosa pioggerellina grigia fino a che
l’entrata della
metro non arrivò di fronte a lui.
Così, abbonamento alla mano e la voglia di trovare una
compagnia accettabile in
uno di quei pub caratteristici da quattro soldi di cui Londra era piena
si
lanciò giù dalle scale in corsa, scartando le
figure che tentavano di
sbarrargli la strada.
Una volta nel
treno però l’idea di un viaggio tranquillo
sfumò velocemente,
era un giorno di pioggia, nell’ora in cui le persone
tornavano verso casa dopo
una giornata passata chissà dove, costringendo Gilbert ad
accontentarsi di un
posto in piedi, spiaccicato contro la lurida porta scorrevole,
incastrato tra
un uomo d’affari con almeno 30 chili in più del
dovuto addosso ed un’allegra
compagnia di quattordicenni esagitate che passarono il tempo ad
indicare il
ragazzo. Attenzioni del genere sarebbero state anche ben accette se non
fossero
provenute da un gruppetto di bimbe presuntuose con
l’apparecchio ai denti ma,
magari, da un paio di belle ragazze.
Ah—Stava
andando proprio male come giornata e questa cosa non era
assolutamente magnifica, proprio no.
Però, come si dice, la speranza è
l’ultima a morire e da lì a poco, ne era
certo, avrebbe trovato qualcuno di interessante con cui passare la
serata, e
/magari/ anche la notte, va’--! Doveva solo portare pazienza.
Così,
sorridendo radioso, saltò giù dal treno e
percorsa a balzi la
scalinata che riportava in superfice, pronto per ricominciare al meglio
la
giornata, passando sopra ai rimproveri che avrebbe ricevuto dal
fratello una
volta tornato a casa, alla scuola che stava finire con i suoi ultimi
esami,
alle preoccupazioni di sua madre che gli risuonavano nella mente ogni
giorno da
quando aveva lasciato la Germania; passando sopra a tutto
come solo un ragazzo voglioso del meritato divertimento
poteva fare.
Quindi nel giro
di mezzo minuto si era fatto strada tra la folla ed era
finalmente uscito da quel groviglio di tunnel puzzolenti che era il
famoso The tube, orgoglio della
capitale
inglese, e poteva nuovamente respirare quell’aria
tremendamente umida che
creava una costante cappa grigia e soffocante sull’intera
città; ah, ma quanto
era piacevole vivere in Inghilterra, e, più che altro,
quanto erano simpatici
gli inglesi--!
Ma questo era un discorso a parte, che non doveva assolutamente
attraversare la
sua mente durante quella giornata, perché il suo prossimo
obbiettivo era
proprio quello di trovare un inglese accettabile e partire
già da subito ad
insultare quella terra ed i suoi stupidi abitanti non gli sembrava
proprio
l’inizio migliore. Su, doveva darsi da fare.
Allora,
riprendendo con la sua camminata frettolosa, prese a percorrere
le solite vie conosciute in quegli ultimi anni grazie a compagni e
sconosciuti
beccati in giro che avevano passate le loro ore a scarrozzarlo per i
pub del
vari quartieri, felici di mostrare a lui, straniero, quella splendida
faccia
della loro città. Ed effettivamente il ragazzo non li
avrebbe mai ringraziati
abbastanza per quel semplice favore che gli avevano fatto.
Ma in particolare la sua gratitudine aumentava ogni volte che di fronte
a lui
appariva quell’entrata così familiare, dai vetri
un po’ oscurati, con l’insegna
rossa circondata da motivi intricati di vernice nera scrostata; The Lions sarebbe sempre stato
lì
pronto, aperto, per lui.
Ma questa volta,
seduto lontano da tutti, alla fine del bancone, c’era
una faccia nuova ad accoglierlo insieme alla solita aria densa di fumo
di
sigaretta, e di altro, e l’odore pungente
dell’alcool che si insinuava sin
sotto la pelle.
Si trattava di una faccia pallida, con dei brillanti occhi verdi che fissavano ostinatamente il bicchiere mezzo vuoto che teneva in una mano, delle folte sopracciglia incurvate verso il naso sottile ed una capigliatura dai colori decisamente interessanti; una faccia degna delle sue magnifiche attenzioni che lo convinse ad avvicinarsi con un sorriso divertito sul volto.
--- Angolo dell'autore
Hello there--!
Finalmente mi sono decisa a pubblicarla; era una vita che stava
lì ad ammuffire in una vecchia cartella.
Però vorrei sapere da voi se come storia vi ha interessato
abbastanza, su gente, una recensione piccina ci starebbe anche, no?
<3
Anyway, vi ringrazio per
essere arrivati fino qui!