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Autore: Mouthy    25/09/2012    0 recensioni
Gilbert Beilschmidt ed Arthur Kirkland.
Dopo un incontro in gioventù il fato ha fatto sì che le loro vite s'intrecciassero ancora, questa volta però in una stazione di polizia della capitale inglese.
Che ne sarà della passione di quella notte?
Riusciranno a ricreare qualcosa o le loro nuove storie impediranno loro di andare avanti?
-- Fiction a più capitoli / PrUK più varie coppie in secondo piano / Raiting che probabilmente passerà a rosso / POV doppio --
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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What’s going on there?

Tingiti i capelli di blu, dicevano.
Sarà divertente, dicevano.



Quando Arthur sollevò l’asciugamano dai capelli l’espressione che attraversò il suo fino fu un po’ terrorizzata ed un po’ disgustata, tutto si sarebbe aspettato al di fuori dell’ottenere una testa ancora più disordinata di prima, con ciocche bionde, verdi e blu che si alternavano come in uno strambo dipinto astratto partorite dalla mente si un francese fatto con qualche rana di troppo sullo stomaco.
Almeno poteva dire di aver inventato un nuovo colore perché, di sicuro, in nessuna parte del mondo si era mai vista una tonalità tanto orrenda ed insensata; nemmeno il Tamigi nei peggiori giorni di pioggia poteva diventare così.

I primi a dover far fronte con quell’adorabile novità che si era abbattuta sulla capigliatura del ragazzo sarebbero stati i familiari e la cosa sarebbe iniziata presto, presto e male; chissà come l’inglese già se lo sentiva. Forse perché da quando Arthur aveva cambiato il suo stile, modificando la sua vita da classico inglesino tutto camicette e gilet a punk ribelle con più buchi di uno scolabrodo, in quella casa se ne erano viste di cose strane accompagnate da rispettive liti furiose e punizioni sempre più fantasiose; perché, pur essendo ormai passato un po’ di tempo, nessuno dei suoi due amati genitori si era completamente abituato alla nuova immagine del loro figliolo, e probabilmente nemmeno i fratelli l’avevano ancora fatto.

Così il risultato fu prevedibile . . .

Eily fu la prima, aprendo la porta del bagno, ad adocchiare il fratello minore; tra di loro il rapporto non era mai stato seriamente cattivo ma prendersi in giro era la norma sin da quando erano bambini e quella era un’a dir poco fantastica occasione per la ragazza che, passandogli una mano tra i capelli ancora bagnati gli sorrise, prima di aprir bocca e dar sfogo ai suoi adorabili pensieri.
« Hey Arthie! » Fece, portando un dito a puntare sopra le labbra carnose, con aria vagamente pensierosa.
« Bello il colore; ti ha vomitato sopra un puffo o che? »
Al che, Arthur, tentando di mostrare una maturità che non aveva, si allontanò dalla maggiore che intanto era scoppiata in una fragorosa risata per la sua stessa battuta liquidandola con un versetto di disappunto e un borbottio confuso che assomigliava particolarmente ad un “Fatti gli affari tuoi”. 

Ma quello era effettivamente solo l’inizio di una mezz’ora che si prospettava come una delle peggiori degli ultimi anni, perché se la sorella era stata capace di limitarsi a quella battuta scherzosa gli altri, qualcuno in particolare a cui ancora non aveva il coraggio di pensare, l’avrebbero presa peggio; molto peggio.

A preoccuparlo non fu ovviamente l’incontro successivo, con il piccolo di casa. Peter, il suo fratellino, infatti lo incrociò di fronte alla porta di camera sua e con quella vocina sempre allegra gli domandò, con un’innocenza tale da non dargli nemmeno tanto fastidio, se con quei nuovi capelli avesse acquisito anche dei poteri magici.
Ma nemmeno il pensiero di trovare Dylan lo turbava; il primogenito gli andò incontro girando l’angolo e si limito ad un’occhiata rassegnata e ad un’impercettibile movimento del capo prima di sistemarsi l’ordinata camicetta azzurra e tornare dritto per la sua strada come se nulla fosse successo.

No, tutte le sue attenzioni erano rivolte ai tre membri mancanti della famiglia, quelli da sempre più pericolosi: Allistor Fergus Kirkland, uno stronzo di prima categoria, meglio conosciuto come l’ultimo della sfilza di fratelli maggiori, il professore universitario Arnold Henry Kirkland, o padre di Arthur, e, per finire, la casalinga isterica Margareth Anne Kirkland, madre di Arthur.
Loro sarebbero stati il vero inferno e lui non era certo di volervi affrontare.

Provò comunque a scendere le scale silenziosamente, per arrivare almeno al piano terra dove in caso di estremo pericolo non avrebbe rischiato molto a lanciarsi giù dalla finestra seguito da un pezzo di mobilio lanciato da uno degli amorevoli genitori ma qualcosa lo bloccò rudemente ad appena tre gradini dalla sua meta; una massa di capelli rossi disordinati, con degli odiosi occhi pronti a fulminarlo ed un sorriso vagamente inquietante, tutte questo su un corpo che lo superava di almeno cinque centimetri e con qualche chilo di muscoli in più: questo era il volto del male per lui.

Allistor gli bloccò immediatamente la strada, inchiodandolo al muro con un braccio teso che Arthur subito afferrò, aggrottando le folte sopracciglia e sostenendo lo sguardo di sfida del fratello che intanto, con un punta d’odio, scrutava attentamente il minore per poi lasciarlo andare con un “You faggot” soffiato tra i denti.

E così aveva affrontato la prima belva del suo inferno personale, uscendo dal combattimento con ancora tutti gli arti al loro posto ed un orgoglio non proprio distrutto; un buon risultato con cui iniziare, soprattutto poteva dargli la speranza necessaria per scontrarci con quei due mostri così diversi che ora lo scrutavano attoniti dalla cucina, come se l’ultima modifica nell’aspetto del loro povero figliolo avesse distrutto ogni loro speranza di vivere un’esistenza tranquilla.

« Oh dear Lord-- »
Fu un sibilo sommesso quello che uscì dalle labbra impastate di rossetto della donna che ora si avvicinava al figlio con occhi furiosi e la bocca spalancata per la sorpresa.
« Arthur, ti rendi conto di cosa hai fatto? »
Oh, madre. Mi dispiace molto di aver ucciso quell’uomo, non volevo.
« Non puoi fare ciò che vuoi tu! Devi smetterla di comportarti così. »
Vero madre, ho sette anni io.
« Ne va della nostra reputazione!
Cosa diranno di noi le persone--?!»
UH—Ma che bella idea, madre.
Gli occhi di Arthur si illuminarono un attimo, prima di saettare veloci sulle porta d’ingresso ad appena qualche metro da lui.

« Oh. Lo vedremo. »

E in men che non si dica le sue creepers nere e consumate battevano sull’asfalto che si stava bagnando delle prime gocce di pioggia, puntando verso l’insegna rotonda della metropolitana.

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▬ Toc. Un colpo.
Toc. Un altro.
Toc. Un altro ancora. ▬



Era lì a battere contro quella dannata porta da dieci minuti ormai e nessuno si era degnato di andare ad aprire alla sua magnifica presenza che, per un fatidico scherzo del destino, aveva dimenticato ancora una volta le chiavi dell’appartamento. Ovviamente tutto questo era successo perché la sua testa era costantemente occupata da pensieri molto più importanti anziché da qualcosa di talmente stupido ed inutile come il ricordarsi delle banalissime chiavi; pensieri del genere non meritavano nemmeno di passare per la sua mente.
Ma merito o no adesso le conseguenze ricadevano su di lui, ah ma non sarebbe andata meglio a quei ragazzi che l’avevano lasciato fuori--!

Loro se la sarebbero vista molto brutta quando la sua intelligenza sopraffina gli avrebbe permesso di trovare un modo legale di entrare lì dentro, quello era poco ma sicuro; e certo all’umanità era anche che sarebbe riuscito ad aprire quella porta, o un finestra, tutto da solo, lui non aveva bisogno dell’aiuto di quegli inutili coinquilini, o l’avrebbe fatto da solo o non l’avrebbe fatto proprio.

Solitamente, per quanto ne sapeva lui, gli altri ragazzi non lo avrebbero mai chiuso fuori, era persone tranquille, per la maggior parte più serie di lui e poco propense agli scherzi ma, probabilmente, il non vederlo tornare a casa per qualche giorno aveva causato fastidi interni al cervello ordinato di Ludwig, suo fratello, e Lukas, il norvegese che stava lì da prima di loro, non doveva vedere l’ora di sbarazzarsi un po’ del povero Gilbert quindi, sempre probabilmente, potevano aver deciso di lasciarlo lì fuori come . . . punizione ? Che cazzo—Almeno Matthias avrebbe potuto fare qualcosa per impedirglielo! Avevano condiviso tante birre, dopotutto.

Fatto sta che ormai era pomeriggio inoltrato e la natura non sembrava essere dalla sua porta, aveva infatti anche iniziato a piovere e i tre non si erano ancora fatti vedere, costringendo l’albino a proteggersi sotto quella misera tettoia mentre dalla sua bocca uscivano imprecazioni in tedesco-inglese a dir poco fantasiose. Ma non gliel’avrebbe data vinta così facilmente--! Nemmeno sotto tortura avrebbe ceduto alla tentazione sempre più forte di mettere mano al cellulare e di comporre uno dei loro numeri per ordinargli di venire ad aprirgli; non era quel tipo di persona, se la sarebbe cavata con le sue innumerevoli capacità.

In men che non si dica si era deciso finalmente a interrompere i tentativi di buttare giù la porta di casa e con una spalla dolorante stava già attraversando la strada di corsa, incurante delle macchine che gli avevano suonato almeno un paio di volte, e con le braccia incrociate sopra la testa a proteggersi da quell’odiosa pioggerellina grigia fino a che l’entrata della metro non arrivò di fronte a lui.
Così, abbonamento alla mano e la voglia di trovare una compagnia accettabile in uno di quei pub caratteristici da quattro soldi di cui Londra era piena si lanciò giù dalle scale in corsa, scartando le figure che tentavano di sbarrargli la strada.

Una volta nel treno però l’idea di un viaggio tranquillo sfumò velocemente, era un giorno di pioggia, nell’ora in cui le persone tornavano verso casa dopo una giornata passata chissà dove, costringendo Gilbert ad accontentarsi di un posto in piedi, spiaccicato contro la lurida porta scorrevole, incastrato tra un uomo d’affari con almeno 30 chili in più del dovuto addosso ed un’allegra compagnia di quattordicenni esagitate che passarono il tempo ad indicare il ragazzo. Attenzioni del genere sarebbero state anche ben accette se non fossero provenute da un gruppetto di bimbe presuntuose con l’apparecchio ai denti ma, magari, da un paio di belle ragazze.

Ah—Stava andando proprio male come giornata e questa cosa non era assolutamente magnifica, proprio no.
Però, come si dice, la speranza è l’ultima a morire e da lì a poco, ne era certo, avrebbe trovato qualcuno di interessante con cui passare la serata, e /magari/ anche la notte, va’--! Doveva solo portare pazienza.

Così, sorridendo radioso, saltò giù dal treno e percorsa a balzi la scalinata che riportava in superfice, pronto per ricominciare al meglio la giornata, passando sopra ai rimproveri che avrebbe ricevuto dal fratello una volta tornato a casa, alla scuola che stava finire con i suoi ultimi esami, alle preoccupazioni di sua madre che gli risuonavano nella mente ogni giorno da quando aveva lasciato la Germania; passando sopra a tutto come solo un ragazzo voglioso del meritato divertimento poteva fare.

Quindi nel giro di mezzo minuto si era fatto strada tra la folla ed era finalmente uscito da quel groviglio di tunnel puzzolenti che era il famoso The tube, orgoglio della capitale inglese, e poteva nuovamente respirare quell’aria tremendamente umida che creava una costante cappa grigia e soffocante sull’intera città; ah, ma quanto era piacevole vivere in Inghilterra, e, più che altro, quanto erano simpatici gli inglesi--!
Ma questo era un discorso a parte, che non doveva assolutamente attraversare la sua mente durante quella giornata, perché il suo prossimo obbiettivo era proprio quello di trovare un inglese accettabile e partire già da subito ad insultare quella terra ed i suoi stupidi abitanti non gli sembrava proprio l’inizio migliore. Su, doveva darsi da fare.

Allora, riprendendo con la sua camminata frettolosa, prese a percorrere le solite vie conosciute in quegli ultimi anni grazie a compagni e sconosciuti beccati in giro che avevano passate le loro ore a scarrozzarlo per i pub del vari quartieri, felici di mostrare a lui, straniero, quella splendida faccia della loro città. Ed effettivamente il ragazzo non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per quel semplice favore che gli avevano fatto.
Ma in particolare la sua gratitudine aumentava ogni volte che di fronte a lui appariva quell’entrata così familiare, dai vetri un po’ oscurati, con l’insegna rossa circondata da motivi intricati di vernice nera scrostata; The Lions sarebbe sempre stato lì pronto, aperto, per lui.

Ma questa volta, seduto lontano da tutti, alla fine del bancone, c’era una faccia nuova ad accoglierlo insieme alla solita aria densa di fumo di sigaretta, e di altro, e l’odore pungente dell’alcool che si insinuava sin sotto la pelle.

Si trattava di una faccia pallida, con dei brillanti occhi verdi che fissavano ostinatamente il bicchiere mezzo vuoto che teneva in una mano, delle folte sopracciglia incurvate verso il naso sottile ed una capigliatura dai colori decisamente interessanti; una faccia degna delle sue magnifiche attenzioni che lo convinse ad avvicinarsi con un sorriso divertito sul volto.

--- Angolo dell'autore
Hello there--!
Finalmente mi sono decisa a pubblicarla; era una vita che stava lì ad ammuffire in una vecchia cartella.
Però vorrei sapere da voi se come storia vi ha interessato abbastanza, su gente, una recensione piccina ci starebbe anche, no? <3

Anyway, vi ringrazio per essere arrivati fino qui!

  
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