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Autore: Clovely    26/09/2012    10 recensioni
«La storia di Cato e Clove ebbe inizio molto prima dei Giochi, quando erano ancora dei bambini. A Clove bastò solo uno sguardo per capire che c'era qualcosa di più sotto l'espression beffarda di Cato, il ragazzo dai profondi occhi di ghiaccio. Qualcosa di irresistibile e misterioso. Fu così, dopo un solo, breve incontro, che le loro vite iniziarono ad intrecciarsi, portandoli lentamente verso il loro destino.»
Noi tutti conosciamo Cato e Clove come i Tributi letali e spietati dal Distretto 2. Ma cosa sappiamo veramente di loro? La risposta è semplice: nulla. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa fanfiction, per tutti quelli che credono ci sia stato qualcosa di più, sotto la superficie dei due Favoriti. Anche loro devono avere una storia, una vita... un passato.
Questa è la mia storia di Cato e Clove, prima e durante gli Hunger Games e se vi ho incuriositi, leggete e lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere ;)
Genere: Azione, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cato, Clove, Favoriti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Till your last breath

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CAPITOLO 2
THE BOY WITH THE SWORD

Il sole stava lentamente sorgendo all’orizzonte, tingendo il cielo con colori tenui e scacciando la residua oscurità della notte. Un ragazzino biondo osservava l’alba dalla cima di un alto albero, con le gambe a penzoloni da un ramo robusto e le mani strette attorno ad esso. I suoi occhi azzurri iniziavano a bruciare per il contatto prolungato con la luce del sole nascente, ma lui non ci faceva caso. Era bravo a sopportare il dolore.
Cato amava quell’ora del giorno. Il cielo, soprattutto, era magnifico. Da una parte vedeva il sole sbucare timidamente all’orizzonte, portando con sé la luce, che annunciava l’inizio del nuovo giorno. Ma se solo si voltava dall’altra parte opposta poteva scorgere il cielo ancora scuro della notte passata.
Nero in lontananza, come i capelli della bambina che aveva conosciuto solo qualche giorno prima. Il ragazzo non sapeva spiegarsi perché lo aveva pensato, ma quella ragazzina aveva qualcosa di particolare. Una luce sfavillante, accesa in quei suoi occhi misteriosi. Sembrava diversa dalle altre bambine e quando si erano visti per la prima volta, lei lo aveva studiato attentamente, senza abbassare gli occhi in quella sciocca maniera garbata che usavano le altre ragazzine. Era come se lei lo avesse sfidato. Ed era solo una bambina. Ma in quegli occhi profondi come il cielo notturno, sembrava nascondersi un segreto, come qualcosa di misterioso... qualcosa che aveva colpito Cato.
Ma poco importava, tanto sapeva che non l’avrebbe più rivista per molto tempo e probabilmente quando sarebbe successo lei sarebbe cresciuta e sarebbe diventata come tutte le altre. Non sono forse così le persone? Fragili e mutevoli?
Il ragazzino scosse la testa. Tanto non aveva alcuna importanza.
Così tornò a guardare il sole.
Fu in quel momento di pace assoluta che una voce lo richiamò alla realtà. Una voce che mai si sarebbe aspettato di sentire. Suo padre.
«Cato! Vieni giù, subito!» Il ragazzino abbassò lo sguardo, con un cipiglio scocciato. Amava arrampicarsi in posti dove sapeva che non sarebbe stato trovato e quindi disturbato. Gli alberi vicino a casa sua erano il luogo adatto. Cato aveva scoperto di potercisi arrampicare lanciandosi anche dalla finestra della sua cameretta. Certo, le prime volte aveva avuto paura di cadere, ma poi si era fatto coraggio e aveva compiuto il balzo. Da allora non aveva più avuto paura, era diventato facile come respirare.
Vedendo che il ragazzo non accennava a muoversi, l’uomo urlò più forte, con una certa irritazione nella voce. «Cosa c’è? Non sei capace di scendere? Muoviti, devo parlarti!»
Il ragazzino aumentò la presa sul ramo fino a farlo scricchiolare. Come poteva anche solo pensare che non ne fosse capace? Suo padre, che avrebbe dovuto conoscerlo meglio di chiunque altro, non sapeva nemmeno quanto fosse diventato agile negli ultimi tempi. Non si era mai accorto che di mattina, e spesso anche di sera, sgattaiolava dalla finestra e spariva per ore intere? Non si accorgeva mai di nulla?
Cato credeva di non conoscere per niente suo padre. Lo vedeva così poco che per lui era quasi un estraneo. Era sempre al lavoro, la maggior parte della sua vita la trascorreva fuori di casa e quando vi faceva ritorno era scontroso e taciturno. Almeno quando non urlava insulti a sua madre. O se la prendeva con lui. Negli ultimi anni aveva iniziato a farlo.
Per questo ora avrebbe dovuto essere felice nel vedere suo padre che lo chiamava. Che lo aveva anteposto al suo prezioso lavoro. Che doveva dirgli qualcosa.
Ma a Cato anche questo non importava. Era da anni ormai, che quell’uomo aveva cessato di essere suo padre. Si comportava in modo civile solo quando c’erano altre persone attorno, come al pranzo di pochi giorni prima. Era solo una maschera, il suo essere cordiale con tutti e anche con la sua famiglia, come se gli importasse qualcosa. Non era mai così, nella vita reale. Come in quel momento; urlava e sbraitava, di fretta come sempre.
Per tutte queste ragioni Cato non riusciva a vederlo in altro modo se non come un estraneo. Era solo una persona che di tanto in tanto arrivava a casa sua e urlava. Tutto qui.
Per questo quando scese dall’albero con pochi agili balzi non lo fece per obbedire al padre, ma solo per dimostrargli che era più bravo di quanto lui credesse.
L’uomo tuttavia non parve impressionato. Quasi non lo guardò.
«Era ora.» Disse seccamente lanciando uno sguardo al figlio. «Ti ho portato questa.» Disse estraendo da dietro la schiena quella che aveva tutta l’aria di essere una spada. Gli occhi di Cato si illuminarono improvvisamente. «Voglio che inizi ad esercitartici. All’Accademia si entra al compimento degli undici anni, ma credo che tu ora sia abbastanza grande per iniziare. Voglio che arrivi là già preparato ed addestrato. Voglio che tu sia il migliore. E’ chiaro?»
Cato stava ancora osservando la spada che il padre gli porgeva. Era un’arma bellissima e il ragazzino non vedeva l’ora di metterci sopra le mani e di utilizzarla.
«Ho detto... è chiaro
«Sì.» Alzò gli occhi azzurri sull’uomo e lo osservò con freddezza. «Non c’è bisogno che me lo dica tu. Io sono già il migliore.»
Il fantasma di una risata increspò le labbra dell’uomo che gli scompigliò i capelli con una mano, porgendogli la spada con l’altra. Cato la prese tra le mani con attenzione reverenziale, come se fosse un oggetto di immenso valore.
«Così mi piaci, ragazzo. Ma hai ancora molta strada da compiere. E tanto lavoro da fare. Sei lontanissimo dall’essere il migliore. Credi che quel tuo trucchetto sull’albero possa impressionare qualcuno? Devi impegnarti molto più di così.» Cato lo guardò, mascherando la delusione e l’offesa. Ma non fece in tempo a ribattere perché l’uomo, senza aggiungere nulla, si era già voltato e si allontanava con passo svelto.
Il ragazzo rimase fermo immobile a fissare l’uomo che scompariva, tenendo la spada stretta tra le mani. Suo padre voleva che lui fosse il migliore. Ma come poteva pretendere questo da suo figlio? Come poteva pretendere qualcosa da lui quando non lo degnava della minima attenzione per tutto il resto della giornata? Come poteva pretendere che imparasse da solo a maneggiare correttamente una spada? Aveva appena dieci anni. Tutti i suoi compagni non avevano mai tenuto in mano nemmeno un coltello, se non per mangiare. Cato sfoderò la spada, colto da un impeto di rabbia verso l’uomo che avrebbe dovuto essere suo padre. Non pensò nemmeno quando colpì, semplicemente seguì il suo istinto. Sentì il peso bilanciato dell’arma, la sentì fendere l’aria con leggerezza e conficcarsi con precisione nel tronco dell’albero che aveva scalato poco prima, lasciandovi un solco profondo.
Cato estrasse la spada senza alcuno sforzo e fece roteare la lama. Dopotutto non era così difficile. Era già diventato agile con coltelli e lance di piccola taglia. Una spada non doveva essere poi tanto diversa.
Sì, ce l’avrebbe fatta benissimo anche da solo. Sarebbe diventato il migliore. Sarebbe diventato il migliore con quella spada e lo avrebbe fatto da solo. In questo modo suo padre non avrebbe più avuto nulla da ridire, una volta visto quanto era stato in grado di fare. 
A questo pensava il ragazzo, mentre affondava la spada nei tronchi degli alberi con precisione letale. 



~

SPAZIO AUTORE


Salve a tutti! Ecco finalmente il secondo capitolo! Come avrete capito, è anch’esso introduttivo. Nel primo ho introdotto soprattutto il personaggio di Clove; questo secondo capitolo invece mi è servito per presentarvi il personaggio del piccolo Cato e soprattutto la sua famiglia. E suo padre.
Vi dico subito che la parte introduttiva finisce qui! Finalmente dal prossimo capitolo la storia potrà partire e vedremo Cato e Clove incontrarsi di nuovo, a distanza di qualche anno dal loro primo incontro. Spero siate interessati e che leggiate anche il prossimo capitolo che, tra l’altro, conto di aggiungere presto (scuola permettendo -.-)
Ringrazio moltissimo Dream Moan per aver recensito e ringrazio di cuore anche tutti quelli che hanno letto la storia e l’hanno messa tra le seguite o le preferite!
Spero vi sia piaciuto il capitolo, ad ogni modo lasciatemi una recensione, tanto per farmi sapere cosa ne pensate! Mi farebbe davvero moltissimo piacere ;)
Ora devo scappare a studiare! Alla prossima ;)

~ C


   
 
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