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Autore: Lusio    26/09/2012    5 recensioni
A diciannove anni Quinn Lucy Fabray continuava a credere che tutto le fosse concesso, ma con le dovute conseguenze.
Noah Puckerman (ma preferiva essere chiamato Puck) voleva dare a sua figlia la vita migliore che potesse offrirle.
I Fabray volevano il loro posto nel mondo.
Gli Hummel-Hudson volevano scoprire il mondo.
Sue Sylvester voleva cambiare il mondo.
Dave Karofsky voleva una vita che fosse solo sua.
Rachel, Mercedes e Sugar avevano i loro sogni e le loro aspirazioni.
Mike e Tina volevano sposarsi nella terra delle grandi opportunità.
Blaine voleva raggiungere suo fratello.
Beth voleva stare in braccio a mamma Shelby.
Vite diverse che si incontrano in un unico destino. Un passato che ritorna. Una splendida nave che solca l'oceano. Un enorme blocco di ghiaccio alla deriva. Una data fatale.
14 Aprile 1912
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quinn Fabray, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Hai perso la tua occasione

 

Per tutto il resto della giornata, Quinn cercò di convincersi che non era vero ciò che aveva visto, che era stato uno scherzo della sua mente, unita al freddo sole d’Aprile e all’aria di mare; il dialogo con Kurt l’aveva fatta sentire vulnerabile come non si era più sentita da tanto e le aveva fatto affiorare tutti i ricordi del suo passato e buona parte di essi erano pieni del volto di Puck, dei suoi baci dolci ma anche rudi come l’ambiente nel quale era cresciuto, delle sue braccia che la stringevano così forte da spegnerle il respiro in petto, di quel ventre che non era più suo e che diventava più grosso ogni mese che passava. Sì, doveva essere così: quello non era Puck, erano i suoi pensieri che avevano preso corpo lì sul ponte di terza classe.

Eppure, quella sera stessa ritornò di nuovo alla balaustra e alla tenue luce delle stelle e delle luci sul ponte le parve di vedere nuovamente la sua ombra spiarla di nascosto come se anche essa volesse accertarsi della sua reale esistenza. Anche allora poteva esserci una spiegazione: il buio, l’impressione, i suoi pensieri, mille altre cose.

Solo quando andò a coricarsi le passò sugli occhi, come un velo che scivola via da uno specchio, l’immagine viva e guizzante come una fiammella dorata della bambina in braccio all’immagine di Puck. Poteva essere…

“Perché non l’ho vista meglio?” pensò per tutta le ore che seguirono, torturandosi i palmi delle mani con le unghie ben curate.

Il giorno dopo ritornò ancora a quella balaustra e, come se si fossero dati un appuntamento, vide ancora quella figura adesso troppo solida e reale per essere definita un’ombra o un ricordo . Ogni dubbio svanì quando i loro occhi si incrociarono nuovamente. Era Noah Puckerman sul ponte di terza ed era Quinn Lucy Fabray sul ponte di prima.

Accompagnata da Kurt, Quinn trascorse l’intera giornata sul ponte, incurante del freddo ma più terrorizzata dalla solitudine e desiderosa di avere un sostegno; non se la sentì di raccontargli la verità in modo che capisse la causa della sua ansia e, comunque, lui non le chiese nulla, forse capendo cosa la tormentava come lei aveva compreso il vero essere del ragazzo. E, come Quinn aveva fatto con lui, Kurt non le voltò le spalle e le rimase accanto fino a quando ella non capì che, se qualcosa, qualsiasi cosa, andava fatta avrebbe dovuto prendere lei l’iniziativa.

Quasi a volerle dare una spinta, il destino o il caso o qualunque cosa fosse, le venne in aiuto.

Il quinto giorno di viaggio, il 14 Aprile, era domenica. Si sarebbe tenuta una funzione religiosa presenziata dal capitano Smith in persona alla quale era stato concesso di partecipare anche ai passeggeri di seconda e di terza classe protestanti anche se si sarebbe tenuta in prima classe; così, solo per quel giorno si videro, nella stessa stanza, passeggeri di prima classe nei loro abiti migliori seduti nelle prime file, alcuni passeggeri di seconda e, ai margini estremi, su sedie più lontane se non in piedi, pochi passeggeri di terza. Non c’era poi così tanta gente; la maggior parte delle persone a bordo era troppo impegnata a godersi la traversata e tutte le comodità che la nave concedeva, altri erano cattolici (in terza classe c’erano anche ebrei, musulmani e altri) e visti i problemi che c’erano con i protestanti si preferiva evitare eventuali contatti religiosi.

Tra la schiera dei cattolici c’erano anche i Fabray, ma il capofamiglia non era uomo da farsi degli scrupoli, non quando gli si presentava l’ennesima occasione di farsi notare dall’élite, anche se quell’ “occasione” era identica a tutte le altre e, sicuramente, avrebbe portato ai medesimi risultati. Quindi si presentarono anche loro alla funzione; quella volta Quinn non si ribellò.

Mentre entravano, lo sguardo le cadde su una piccola scena all’apparenza di poca importanza: due giovani donne di terza classe che discutevano animatamente con uno degli steward che stava cercando di impedire l’accesso ad una di loro perché di colore.  Non era una cosa che a Quinn interessasse al momento ma un piccolo dettaglio attirò la sua attenzione: quando passò di fianco a loro, la giovane donna di colore diede una gomitata alla sua compagna, dal viso allungato e i capelli ramati, indicando nella direzione di Quinn e mormorandole qualcosa che non riuscì a cogliere nella marea di persone che parlavano nella sala.

Pensò di aver preso un abbaglio e che ad attirare l’attenzione delle due passeggere fosse stato qualcun altro sulla sua stessa scia; ma non era così. Un istante prima che potesse prendere posto, la giovane dal viso affilato le si accostò e, con una voce bassa ma squillante, le chiese:

- Siete voi la signorina Fabray?

- Sì. Perché? – replicò Quinn ponendosi sulla difensiva.

- Questa è per voi – concluse rapidamente la giovane consegnandole un pezzo di carta piegato in due e uscendo rapidamente dalla sala.

Ancora frastornata, Quinn accartocciò subito quel messaggio nel pugno col timore che i suoi genitori se ne accorgessero ma, per sua fortuna, ciò non accadde.

Per tutto il tempo che durò la funzione quel biglietto bruciò nella sua mano e la sua mente non poté fare a meno di correre alle parole ancora sconosciute che vi erano impresse ed ebbe il solo desiderio che quella messa protestante finisse subito. E quando, alla fine, il pastore congedò i fedeli, approfittando della folla che usciva rumorosamente, si allontanò accusando un capogiro ed uscì sul ponte e sedendosi sulla prima sdraio libera.

Senza curarsi della gente che avrebbe potuto vederla, dispiegò la lettera e ne lesse le parole scritte in quella grafia poco esperta che ben conosceva.

 

Vieni stasera alle dieci alla balaustra del ponte di prima, verso il cancelletto che lo separa dal ponte di terza. Io sarò lì.

 

                                                                                                                                 Puck

 

“E’ così. Non ci si può liberare del passato” pensò.

Rialzandosi fieramente, Quinn si accostò alla balaustra strappando un brandello di quel biglietto ad ogni passo che faceva; suo padre l’aveva costretta a bruciare tutte le lettere che aveva ricevuto da Puck in passato e non c’era motivo di risparmiare quell’ultima, scritta in fretta e furia e senza un briciolo di sentimento.

Quando i suoi gomiti toccarono il legno della balaustra, aprì le mani e liberò i frammenti di carta che, nel vento che li trascinò, persero il significato concreto che avevano nella loro interezza e salirono su, su dove, se avessero avuto gli occhi, avrebbero potuto vedere ciò che i passeggeri del Titanic nemmeno potevano immaginare; ma se anche avessero potuto, non vi avrebbero dato importanza. In fondo, viaggiavano su una nave inaffondabile.

 

* * *

 

Avrebbe potuto vivere quelle ore col cuore in gola adesso che aveva una motivazione concreta ma… perché mai? A cosa sarebbe servito? Ormai sapeva che non era stato tutto un gioco della sua mente e darsi un’ulteriore pena l’avrebbe solo fatta stare peggio. A pensarci meglio non capiva nemmeno perché si fosse spaventata così. Forse perché il suo passato ritornava a presentarle il conto.

Finita la cena disse ai suoi genitori che usciva per andare a prendere un po’ d’aria.

- Copriti bene, tesoro, e non prendere freddo – si raccomandò sua madre – E non fare tardi.

Quinn si limitò a rispondergli con un “sì” e rivolse un breve cenno del capo a Kurt, alzatosi per accompagnarla, facendogli capire che “doveva” andare da sola; il ragazzo la capì al volo e si rimise seduto.

Uscita sul ponte fu investita dall’aria gelida della notte e si strinse nel suo scialle foderato di pelliccia. Quella era una notte bellissima: limpida e punteggiata di stelle, con solo una leggera foschia a velarla; persino il mare era calmo, senza onde ad incresparlo, escluso il movimento della nave.

Più si avvicinava alla balaustra più i suoi passi si facevano pesanti e quando la raggiunse si lasciò scivolare lungo la barra di legno fino al cancelletto; si vede che le sue mani, rese insensibili dal freddo, erano più veloci o forse erano talmente irrigidite che il cervello non riusciva più a controllarle.

Quando giunse, lui era lì, aggrappato al cancelletto sulle scale che portavano sul ponte di prima e che venivano usate dai marinai e dagli altri membri dello staff. Era imbacuccato in un cappotto nero sbiadito che lo copriva fino alle orecchie ma era lui, Quinn lo riconobbe subito; poteva ancora sentire il suo odore misto al profumo pungente del freddo.

Probabilmente anche lui avvertì l’odore di Quinn visto che si voltò verso di lei prima ancora di sentire i suoi passi silenziosi. Come all’epoca dei loro incontri.

- Arrivi sempre silenziosa – furono le prima parole che Puck le disse dopo anni di silenzio.

- Le vecchie abitudini sono dure a morire – gli rispose Quinn; la sua voce aveva subito più cambiamenti in confronto a quella di Puck.

- Avrei preferito che tu mi venissi dietro le spalle e mi baciassi la nuca, come hai sempre fatto – disse Puck, senza però alcuna traccia di rimpianto nelle sue parole.

- Quello è il passato; ed è quello che non ritorna.

Puck si sistemò  meglio sul bordo del cancelletto appoggiandosi con i gomiti visto che le mani non le sentiva più, assumendo una posa molto più confidenziale, cosa che spinse Quinn ad irrigidirsi e ad arretrare di un passo. Puck fece finta di non accorgersene per non complicare ulteriormente quella situazione già difficile di per sé.

- Ti trovo bene – le disse con sincero apprezzamento.

- Grazie – rispose Quinn, educata ma fredda – Ti direi la stessa cosa anch’io ma non mi crederesti.

- Infatti. Lo sappiamo che non possiamo essere messi sullo stesso piano.

- Cosa ci fai tu qui?

- In questo momento mi sto godendo questa splendida serata – le rispose Puck, sarcasticamente – Sai com’è, non avevo niente di meglio da fare allora ho deciso di spendere quei pochi soldi che avevo per acquistare un biglietto di terza classe ed imbarcarmi su questa splendida nave.

- Se mi hai fatta venire qui, ad incontrarti, per prenderti gioco di me, hai fatto male i conti – replicò Quinn, piccata, già pronta a girarsi per andarsene.

- Cosa pensi che ci faccia qui? – riprese Puck, seriamente – Quello che fanno tante altre persone che viaggiano con me in terza classe: vogliamo raggiungere l’America.

- Se Dio vuole, ci arriveremo tutti in America, tra qualche giorno.

- Non vogliamo andarci per motivi frivoli come i vostri, tipo una vacanza o un viaggio di piacere. Noi stiamo attraversando l’oceano per costruirci una vita migliore di quella che avevamo prima.

- Vi auguro, allora, di riuscirci se è questo che volete – disse Quinn mantenendo un tono distaccato.

- Non hai altro da dirmi a parte queste cortesie da salotto?

- Sei tu che mi hai mandata a chiamare.

- Sei tu che mi hai visto per prima… tutte e due le volte.

- Dimmi subito cosa vuoi senza girarci attorno – scattò Quinn.

Puck rimase in silenzio per qualche istante, urtato dalla rabbia che palpitava nelle parole della ragazza ma tenne lo sguardo fisso su di lei, sperando magari di ferirla in qualche modo, dare anche a lei un assaggio di quello che lui aveva dovuto sopportare da solo in quegli ultimi anni; prima lui era quello povero e bistrattato e lei era quella ricca e avvantaggiata e in quel momento i ruoli si erano invertiti, pur continuando ad essere l’uno il povero e l’altra la ricca.

- Non mi chiedi di nostra figlia? – scandì lentamente, ogni parola simile alla mannaia che usavano i macellai per affettare la carne.

Ottenne ciò che voleva: Quinn impallidì come un cencio e si strinse ancora di più nello scialle; negli occhi lucidi un misto di sentimenti contrastanti.

- L’ho vista, quasi – mormorò con una voce carica d’emozione che tolse a Puck il desiderio di infierire ulteriormente.

- Sta crescendo bene – si limitò a raccontare – E’ ogni giorno più identica a te in ogni dettaglio: gli occhi, i capelli, le mani… il carattere – aggiunse concedendosi un sorriso – persino il neo che tu hai vicino all’ombelico, anche lei lo ha.

Ecco una cosa che non avrebbe dovuto dire, quella frase che riportava i ricordi a quegli anni in cui avevano imparato a scoprirsi l’un l’altra, a vedere che sotto i vestiti erano uguali, una carne di una stessa materia, con le loro imperfezioni e i segni che li contraddistinguevano. Forse presero entrambi coscienza solo in quel momento del fatto che il passato era ritornato di nuovo; si era riaffacciato quando i loro sguardi si erano nuovamente incrociati e in quel momento era fra loro, a legarli con i suoi fili invisibili.

- Vorrei poterla vedere – sussurrò Quinn, come in preghiera.

- Forse arriva un po’ in ritardo questo tuo interesse – replicò Puck, riprendendo il suo tono severo.

- Io mi sono sempre interessata di lei! – ruggì Quinn, inalberandosi – Non osare dire il contrario!

- E come lo hai dimostrato? Leggendo le lettere che ti inviavo e rispondendo quando potevi prima che tuo padre ci tagliasse anche questa via di comunicazione? Potevi dimostrarlo in un modo diverso, migliore: potevi venire da noi.

- E come avrei potuto, con mio padre che mi sorvegliava a vista e che non mi permetteva mai di uscire se non accompagnata?

- Una volta mi dicesti che l’unica cosa che volevi era ribellarti a lui. Non credo che tu sia cambiata al punto da esserti arresa.

- Io non mi sono arresa! – Quinn si sentì punta nel vivo – Pensi che per te siano stati difficili questi anni, ma tu almeno avevi degli amici, delle persone pronte a sostenerti, avevi… nostra figlia – da quanto ricordava, quella era la prima volta che lo affermava ad alta voce, rendendola una cosa concreta e non più solo una marea di sensazioni e ricordi; quell’affermazione la fece sentire, per la prima volta, libera da un peso ma piena di una voglia e di una smania intensi – Io, invece, sono rimasta da sola, a lottare ogni giorno contro mio padre e il suo egoismo, senza nessuno al mio fianco, senza nemmeno il sostegno di mia madre che è sempre stata sottomessa e arrendevole nei confronti di mio padre. In tutti questi anni, l’unica cosa che avrei voluto è essere libera.

- E allora cosa ti costava mollare tutto e andartene. Tuo padre non ti ha mica tenuta incatenata nella cantina di casa vostra.

- Hai almeno una minima idea di quello che ho passato da sola?

- Ti stai arrampicando sugli specchi. Cos’è che, veramente, ti fa così tanta paura da impedirti di reagire?

- Ma cosa vuoi? – esclamò Quinn, esausta, con le lacrime che avrebbero voluto uscire ma erano frenate dall’orgoglio – Pensi forse che io possa facilmente buttare all’aria un’intera esistenza sperando che gli altri lo accettino? Pensi che io sia libera, come te, di fare ciò che voglio liberamente? Quando avevo quindici anni lo pensavo ma ho dovuto rivalutare tutto quello che è successo nella mia vita. E se anche decidessi che non mi importa e che voglio lo stesso lasciar perdere tutto e andarmene per crearmi una vita mia, che cosa otterrei? Rimarrei sola. Perché, sicuramente, non posso pretendere che tu mi accolga nella tua vita, vero? – concluse lei, constatando una verità certa, priva di ogni speranza alla quale, in un primo momento, Puck non riuscì a rispondere.

- E’ vero. Hai avuto un’occasione quattro anni fa, ma l’hai persa – le rispose, alla fine, con una sincerità dettata più dal rispetto che dal rancore – Hai avuto la possibilità di scegliere; se avessi scelto me e la bambina ti sarei stato accanto ogni giorno della mia vita perché avresti dimostrato di essere la donna che mi ha conquistato; ma hai preferito prendere la strada più semplice. Nel tuo sguardo  vedo ancora quel fuoco che hai sempre avuto, eppure continui a lasciarti bloccare dalla paura; non posso che sperare che tu, un giorno, decida di passare dalle parole ai fatti e decida di crearti quella vita che meriti. Sappi che per me eri, anzi sei ancora importante, più di quanto credi perché il legame che ci unisce è di quelli che non si rompono, per quanto si cerchi di farlo. Cerca di essere importante anche per te stessa – la sua mano, che era corsa a cercare quella di lei, ritornò ad aggrapparsi alla barra di legno.

Mai come in quel momento Quinn provò il forte desiderio di andarsene via, per nascondere quel maledetto pianto che l’avrebbe solo fatta sentire debole e patetica. In qualche modo (forse il legame che li univa, forse il fatto che Puck riconoscesse ogni suo atteggiamento) il ragazzo decise di liberarla.

- Prima che tu te ne vada, c’è una cosa che voglio darti – disse, tirando fuori un foglio dalla tasca del cappotto – E anche per questo che ti ho fatta venire qui. Anzi, ora che ci penso, era solo per darti questa.

Quinn lo prese con titubanza e quando l’ebbe in mano la vide: una fotografia, una bambina piccolissima, nel suo semplice vestitino senza merletti o nastri, lo sguardo serio e imbronciato di chi è annoiato e stanco di stare fermo, i capelli che si perdevano nel colore giallognolo del ritratto fotografico. Due istanti l’aveva vista viva: quando l’aveva partorita e su quel ponte e quell’immagine immobile sarebbe stata l’unica cosa che avrebbe mai avuto di sua figlia. Questo fu uno dei mille motivi che la obbligarono a sciogliere violentemente il nodo che aveva in gola.

Non volendo infierire oltre, Puck si voltò per non rubarle quel momento – Buonanotte – le sussurrò, scendendo le scale, ricordando una Quinn più giovane e meno timorosa stesa al suo fianco in una stanza buia e anonima, ritornando nella sua cabina. Quando Quinn alzò gli occhi dalla fotografia per parlargli, lui era già sparito.

Il freddo ritornò in quel momento, più forte di prima.

Quando ritorno anche lei nella sua cabina, si lasciò cadere sul letto ancora vestita con il ritratto della bambina stretto al seno come se fosse stata vera e viva lì con lei, mentre le lacrime bollenti solcavano le guance intirizzite.

Nell’aria c’era ancora quel filo invisibile che continuava a tenere legati quella passeggera di prima classe e quel passeggero di terza, gettandoli in una spirale di immagini di un passato che non moriva e di possibilità di una vita che non ci sarebbe mai stata, se non nei loro sogni; quei sogni che mostravano una piccola casetta in campagna, un uomo che ritornava a casa dopo una giornata di lavoro nei campi, una donna che lo accoglieva con un bacio e che usciva fuori per chiamare una bambina che giocava col suo cagnolone a dirle che era ora di cena… la bambina che rispondeva: “Vengo mamma”.

Ed era solo un sogno.

 

* * *

 

Era passato un altro giorno, il quinto da quando il Titanic era salpato da Southampton. Ormai mancava poco; solo qualche giorno e sarebbero arrivati in America. Forse sarebbero arrivati anche in anticipo, aveva sentito dire in giro che era stato dato l’ordine di caricare i motori al massimo per arrivare prima in porto. Quel viaggio stava finalmente per finire.

Stranamente, quella sera, a Dave ritornò in mente suo padre. Da quando aveva messo piede su quella nave aveva cercato di non pensarci; aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle e, per sua fortuna, tutto il lavoro lo aveva aiutato a tenere la mente occupata. Quella sera spettava a lui il compito di controllare che tutte le porte di comunicazione tra le varie classi fossero chiuse a chiave; quella mattina, durante la funzione, c’era stato un gran via vai e Dave aveva dovuto sopportare in silenzio i commenti dispregiativi dei “marinai inglesi” sulla presenza di tutti quegli “stranieri”, chiusi sotto chiave la notte come topi in gabbia. Forse era stato questo a fargli ritornare in mente suo padre.

Se lo vedeva, come sempre, steso su quel letto freddo e sporco a mormorare sottovoce, con la vedova Bertha che gli passava delle pezze bagnate sulla fronte per evitare che gli salisse la febbre.

Papà.

La nostalgia iniziò a farsi sentire, forse troppo in anticipo. Chissà come sarebbe stato ritornare indietro, in quel vecchio quartiere, in quella umida stanza e dire “Papà, sono ritornato”. Di sicuro suo padre avrebbe ripreso con la solita litania: “Dave, figliolo, questa non è vita”.

Eppure nemmeno una vita da solo, con suo padre al di là dell’oceano, sarebbe stata tale.

Magari, se fosse riuscito a mettere da parte un bel po’ di soldi, sarebbe potuto ritornare a prenderlo e portarlo con sé; avrebbero potuto portare anche la vedova Bertha. Sarebbe stato difficile ma non impossibile.

“Sì, farò così: arriverò in America, lavorerò sodo, guadagnerò quanto è possibile per comprare una casa e quando avrò abbastanza soldi ritornerò in Inghilterra, prenderò mio padre e lo porterò con me in America”.

Questa decisione lo rasserenò più dell’idea di evadere da quella dura esistenza che lo aveva animato i giorni prima della partenza. Se aveva sentito che qualcosa gli mancava, adesso era sicuro di avere tutto.

Senza accorgersene era arrivato alla fine del ponte di passeggiata; aveva saltato l’ultima porta di comunicazione; infilandosi le mani in tasca e battendo i piedi intorpiditi, fece per ritornare indietro quando lo scampanio della campana delle vedette attirò la sua attenzione; dovevano aver visto qualcosa e a giudicare dalla violenza dei colpi di campana doveva trattarsi di qualcosa di grave.

Incuriosito, Dave si avvicinò e si sporse attraverso il parapetto per vedere cosa stesse accadendo, ma in quella notte buia non riusciva a vedere nulla; si chiese se non fosse stato un sogno ad occhi aperti delle vedette visto che avevano smesso di suonare la campana. In compenso gli parve di sentire un lontano grido stridulo, venato di paura; riuscì a distinguere solo “Dritto di prua”. Avevano qualcosa davanti, sulla loro traiettoria.

Per dei minuti buoni, Dave rimase in quella posizione sperando di riuscire a scorgere qualcosa, ma niente. Quando la vide.

Bluastra nella notte, con dei riflessi bianchi causati dalla luna, enorme, con due cime che si levavano in alto come due montagne gemelle, una massa di ghiaccio galleggiante sull’acqua*. Era quella la cosa che le vedette avevano visto? Adesso era di lato alla nave, probabilmente il timoniere aveva virato per evitarla.

Dave sentì il sangue gelarglisi nelle vene a quella vista. E il cuore gli mancò un battito quando le assi di legno sotto i suoi piedi sussultarono come se la nave stesse scivolando su un mare di biglie e un pezzo di quella massa di ghiaccio precipitò sul ponte di terza frantumandosi in tanti frammenti.

- O mio Dio! Ma cosa è successo? – esclamò con sgomento.

 

* * *

 

Quello che sul ponte era sembrato un tremito, nelle cabine di prua sembrò una scossa simile ad un terremoto; questo è quello che pensò Rachel, svegliandosi di soprassalto e scostando il braccio di Sugar che le gravava sul petto. Non era stato un incubo; quel tremore era continuato anche mentre si sollevava sul gomito, perfettamente sveglia e non fu l’unica a sentirlo: nello stesso istante anche Tina si riscosse dal suo sonno e dal letto di Shelby si sentì il pianto leggero della piccola Beth, spaventata dal rumore che aveva accompagnato quel brusco ondeggiare. Richiamate dal pianto della bambina, anche le altre donne si svegliarono.

- Ma cosa succede? – chiese Mercedes ancora assonnata.

- Avete sentito quel fracasso e come si è smossa la cabina? – si informò Rachel allarmata.

- Sarà una tempesta – suggerì Tina, alzandosi per vedere fuori dall’oblò ma solo per essere smentita dal mare calmo che le si parò davanti; scorse solo una leggera ombra bianca scomparire da destra ma forse era solo uno scherzo del sonno.

- Vado a svegliare gli altri – fece Rachel, scavalcando Sugar che si era ributtata sul letto senza dire nulla, abbracciando il cuscino e rimettendosi a dormire, e alzandosi per andare nella cabina degli uomini – Cerchiamo di capire se è successo qualcosa.

Quando uscì vide che altre persone avevano avuto la sua stessa idea.

Nella cabina risuonarono ancora i gemiti di paura di Beth che Shelby cercava di tranquillizzare.

 

* * *

 

Kurt aveva sempre avuto difficoltà ad addormentarsi; non ci riusciva se prima non leggeva almeno un capitolo di uno dei suoi amati libri, ma anche mentre leggeva non perdeva il suo contatto col mondo esterno. Quindi avvertì subito quel rombo lontano che gli ricordò l’apertura di un pesante cancello arrugginito seguito da un lieve tremito della lampada da notte accanto al suo letto.

- Finn – chiamò piano il suo fratellastro addormentato in una massa informe di coperte e cuscini – Hai sentito? – ma ottenne come risposta solo un grugnito e Finn si girò nel letto senza nemmeno svegliarsi.

Leggermente inquieto, Kurt posò la sua copia di “Agnes Grey”** sul comodino e scese dal letto per andare a bussare alla porta della stanza di suo padre e di Carole e accertarsi che non fosse successo qualcosa; male che andasse avrebbero perso solo un’oretta di sonno. Ma quando i suoi piedi nudi toccarono il pavimento si accorse di una cosa che aumentò il suo timore: non si avvertiva più il tenue e ormai familiare rumore dei motori della nave.

 

* * *

 

Erano le 23:40 circa del 14 Aprile 1912. A 1.518 delle 2.223 persone a bordo del Titanic restavano poche ore di vita.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Ancora oggi si hanno dei dubbi su quale sia stato l’iceberg contro il quale si scontrò il Titanic. Nei giorni che precedettero e che seguirono il naufragio ne furono fotografati vari in quella zona; per seguire le testimonianze e i disegni di alcuni dei sopravissuti, compreso uno delle vedette) io sono più propenso a credere che il famigerato iceberg sia questo (la qualità purtroppo è bassa ma non si trova altro) http://it.wikipedia.org/wiki/File:Titanic_iceberg.jpg

** Primo romanzo della più giovane e, a torto, la più ignorata, delle sorelle Bronte, Anne. Vi si narra la semplice vicenda di un’istitutrice, ma è anche una denuncia alla cattiveria e alla falsità delle classi agiate. Il secondo e ultimo romanzo di Anne Bronte, “The Tenant of Wildfell Hall”, narra invece una storia molto più scandalosa per l’epoca: una donna che abbandona il marito violento e decide di crescere il figlio da sola.

 

Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che è quello che più ho amato scrivere.

E metto anche le mani avanti e vi dico che, a causa dei miei impegni, non potrò essere più preciso e costante con gli aggiornamenti. Mi spiace. Ho già il prossimo capitolo completato che deve solo essere revisionato e trascritto a computer ma mi restano ancora due capitoli per completare la fanfiction e preferirei prima portarmi avanti e poi continuare.

Per essere sempre aggiornati potete controllare la mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Grazie a tutte le persone che continuano a seguirmi : )

Ciaoooo!!!!!

 

Lusio
  
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