Anime & Manga > Death Note
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Autore: MadLucy    27/09/2012    3 recensioni
Giappone, 2025. Nel vecchio quartier generale dell'SPK cresce una bambina, consegnata quindici anni prima da Mello al suo più acerrimo rivale.
Inghilterra, 2025. Un misterioso studente della Wammy's House parte per il Giappone, portando con sè un quaderno nero e una Shinigami petulante.
Usa, 2025. Un esperimento genetico iniziato nove anni prima, il cui scopo era creare un essere umano dall'intelligenza devastante, ha esito positivo.
Spagna, 2025. In seguito a una serie di barbari e atroci omicidi, una ragazza dagli occhi rossi viene internata in un manicomio.
E Death Note può ricominciare lì dov'è finito.
Genere: Generale, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Segreto.


2010, Febbraio.

-Lidner, porti qui il biberon.-
-Arrivo subito.-
-Gevanni, dov'è finito quello strano pupazzo di nylon dalle vaghe sembianze di una pecora?-
-... sotto la scrivania, credo, ma... Near, non dovresti accanirtici così, è solo un peluche...-
-Rester, il ciuccio. Presto.-
Inutile specificare che la solita, impeccabile routine al quartier generale dell'Spk venne inevitabilmente stravolta. Pur essendo così piccola, Marion aveva portato ai membri dell'associazione segreta tonnellate di responsabilità e doveri che dovevano essere puntualmente eseguiti. Near era sempre stato insonne -era raro che gli capitasse di dormire per sei ore di fila- ma da quando era arrivata Marion ogni notte Lidner veniva a bussare alla porta della sua camera, stravolta ed esasperata, dicendo che le aveva provate tutte ma continuava a strillare. Nonostante potesse apparire buffo o assurdo, il gracile albino era l'unico capace di calmarla in men che non si dica: non perchè ci sapesse fare con i bambini, ma piuttosto perchè lei gli si era affezionata come a nessun altro.
Preferiva che fosse Near a darle da mangiare, a farla giocare, a passeggiare su e giù per i corridoi del quartier generale con la carrozzina. Ma quando era occupato, oppure Rester sentenziava che aveva bisogno di aria buona, erano pianti e commedie interminabili.
-E' la bambina più viziata che esista.- sospirava sempre Gevanni, vedendo Lidner entrare con uno strano sorriso e almeno dieci borse di vestiti per neonati nuovi.
Però era impossibile non volerle bene, e conquistò in breve tempo tutti gli agenti. Near si divideva fra il suo solito lavoro, casi di omicidio che comunque erano poco interessanti in confronto al caso Kira, e quella minuscola bambina che spesso si vedeva sulle sue ginocchia.
Da subito, l'albino aveva stabilito con voce piatta ma lapidaria: -Se le succede qualcosa mentre è sotto la vostra sorveglianza, siete licenziati.-
Si era sempre dimostrato impassibile ma allo stesso tempo protettivo nei suoi confronti. Aveva la stravagante abitudine di parlarle esattamente come faceva con i suoi dipendenti. Se durante la notte svegliava tutto il vicinato con pianti laceranti, la fissava severamente e ordinava: -Smettila. Non vedi che stai disturbando? Mettiti a dormire, domani riparleremo di questo tuo increscioso comportamento.- Per tutta risposta, la piccola lo osservava affascinata e taceva interdetta.
Quel giorno vi era parecchio fermento, poichè Lidner avrebbe dovuto portare Marion dal pediatra e lei, come se avesse intuito la non troppo gradita visita, si era messa a piangere a dirotto e dibattersi con un vigore inaspettato. Near, impegnato ad annotare su un'agenda tutte le spese affrontate quel mese, teneva la neonata con un braccio solo.
Quando i suoi dipendenti arrivarono con quello che era stato loro chiesto, l'albino tentò di calmarla rispettivamente con biberon, pupazzo e ciuccio. Tutti e tre finirono con un volo non indifferente contro il muro.
-Non funziona.- borbottò Rester, aggrottando la fronte e asciugando la pozza di latte candido spanto a terra.
-Ci vuole qualcos'altro.- ansimò Gevanni, schivando la pecora volante.
Lidner si morse il labbro inferiore, dipinto di rosa perlato, con un'espressione pensosa. D'un tratto, battè le palpebre stupita.
-Come ho fatto a non pensarci prima? Ci vuole una ninnananna!-
-Ninnananna?- Rester era scettico.
-Ma sì!- Lei sorrise, entusiasta. -Incanta tutti i bambini. Basta solo canticchiare qualcosa di carino.-
Near la raggelò con un'occhiata penetrante. -E' escluso. Nè io nè voi ci metteremo a intonare sciocche nenie prive di qualsiasivoglia significato. Sarebbe dannoso come veleno per la sua mente, che in questo momento assimila qualsiasi sciocchezza voi le propiniate. No, nel modo più categorico.-
-E allora? Come la si piazza su questo passeggino?- protestò Gevanni, esasperato.
Near inarcò le sopracciglia argentee, la classica espressione che i suoi dipendenti avevano incominciato a temere come il momento in cui stava per stupirli.
-Non ho del tutto bocciato la sua idea. Le racconterò qualcosa per calmarla.-
-Beh, proviamo.- assentì Gevanni, un po' dubbioso. Impossibile che stesse per esordire un classico quanto immortale "c'era una volta". Per quel poco che conosceva il suo superiore, lo riteneva del tutto incapace di attenersi a stereotipi o, in ogni caso, rientrare nelle leggi della prevedibilità. Ammutolirono tutti e tre, curiosi, in attesa di qualcosa.
Near fissò il piccolo volto corrucciato e paonazzo della piccola, guardandola negli occhi con l'intensità di un incantatore di serpenti.
-Il peso atomico (da non confondere col numero di massa ) o massa atomica  è la massa di un atomo di un dato elemento. In questo caso si parla spesso impropriamente di peso atomico assoluto e viene espresso in...-
Gevanni strinse le labbra il più possibile, imponendosi di non ridere. Rester fissò Near con sguardo vacuo d'incredulità. Lidner aveva un'espressione mista fra l'indignazione e il più assoluto sconcerto. Nessuno osò azzardare parola.
-... sperimentalmente si è ricavato che equivale a 1,660 538 921(73)x 10-27 kg, secondo i dati CODATA del 2010. Questa notazione della massa è nota come peso atomico relativo o massa atomica relativa, spesso abbreviata in massa relativa, e si può ottenere dalla formula...- Near proseguiva implacabile, con espressione apatica ma un'incredibile fluidità di discorso.
La piccola Marion aveva smesso di piangere. Non staccava lo sguardo verde limpido da quello liquido e buio dell'albino, ipnotizzata da un'alchimia che solo loro potevano avvertire, pendendo dalle sue labbra.
-Near, ma che stai dicendo?!- azzardò Gevanni, stralunato.
L'abino lo guardò di storto. -Stai interrompendo. Queste sono nozioni certamente più utili di quel mucchio di fesserie di cui volevate riempirle la testa. Ascolta.-
Nessuno si accorse che il tempo volava, se non quando furono in ritardo per la visita. Near fu costretto a chiudere la sua orazione sul peso atomico, e togliere la piccola dalle sue braccia non fu semplice.
Da allora, il tutore le narrò ogni giorno le meraviglie della chimica e della filosofia, della storia e della matematica. Snocciolava date, nomi, calcoli, leggi. Spiegava e ribadiva. Mormorava con pazienza ogni spiegazione.
Marion ascoltava.
Quel patto tacito non si sarebbe interrotto mai, nemmeno quando lei divenne abbastanza grande per imparare da sola e lui troppo inquieto per trovarne la forza.

2025, Maggio.

All'età di quarantasei anni, Tota Matsuda poteva dichiararsi ufficialmente felice. Tutto andava come ogni persona al mondo spera possa andare la sua vita: aveva sposato la donna che amava, e il sentimento che provava per lei diventava sempre più intenso e solido; aveva un figlio che era la luce dei suoi occhi, una casa meravigliosa, un lavoro che lo appassionava e gli dava un sacco di soddisfazioni. Era realizzato sotto ogni aspetto. Proprio nulla sembrava poter guastare un'armonia priva di stonature.
Ma lui sapeva bene di essere davvero fortunato, di dover ringraziare la sorte per ogni giorno sereno che passava, per la salute e la felicità concessi a lui e la sua famiglia. Non era un ingrato. Nel suo piccolo, svolgendo al meglio il suo lavoro, sperava di poter risarcire la vita della gioia che aveva ricevuto.
Quel mattino si svegliò di buonora, prima rispetto al solito, per compensare l'assenza di un collega. Erano le sei e trenta quando la sveglia sul comodino, di smalto blu, iniziò a canticchiare la consueta nenia. Sayu si rigirò fra le lenzuola fruscianti, inconsciamente, affondando il volto contro la stoffa del cuscino, e il marito si permise di osservarla intenerito per qualche istante. Le baciò delicatamente i capelli scuri e profumati, sentendola mormorare qualche parola in risposta. Poi si affrettò ad alzarsi, sfilare rapidamente il pigiama spiegazzato, indossare la divisa da lavoro e sciacquarsi il volto sotto il rubinetto. Come sempre, ci fu poco da fare per la chioma ribelle e indomabile.
Si avviò per il corridoio, di buona lena. Il sole si intrufolava dalle fessure delle tapparelle abbassate, creando riflessi sottili come lamine sul pavimento lucido. La giornata si preannunciava serena.
Lo sguardo di Matsuda, d'un tratto, scivolò sulla parete. Proprio lì, in bella mostra, stava un piccolo quadro dipinto da un formidabile artista di Venezia, dove lui e Sayu erano andati in viaggio di nozze otto anni prima, e raffigurava un mare di sinuose onde verdi e grigie che si increspavano con grazia contro una scogliera, luccicante d'acqua e salsedine. Gli pareva che fosse leggermente storto. Osservò attento, da diverse angolazioni: era un po' spostato verso sinistra, così lo raddrizzò con le mani e lo rimirò soddisfatto.
Stava giusto per proseguire verso le scale, quando udì un brusìo leggero. Lo identificò in breve come una voce che parlava piano, quasi sussurrando. Proveniva, ovviamente, dalla stanza che si trovava di fianco, quella di Law.
Matsuda si chiese, stupito, come mai fosse alzato a quell'ora. E con chi parlava? Era al telefono?
Rammentando le sue scarse abilità nell'origliare, pensò che sarebbe stato meglio andarsene e farsi i fatti propri ma, per pura curiosità, accostò l'orecchio alla porta.
Effettivamente sembrava avere un interlocutore, visto che diceva una frase e poi stava in silenzio un attimo, quasi ascoltando una risposta.
-... visto che mi vuoi tanto bene, potresti anche farmi un piccolo favore, per una volta.- diceva Lawrence, con voce conciliante.
Silenzio assoluto. Nessuna risposta.
-Lo sapevo che avrei potuto contare su di te... dopotutto, sei l'unica persona di cui mi fidi.- sospirò il ragazzo, quasi stancamente.
Matsuda battè le palpebre, sconcertato. Il suo tono era così strano... un'amarezza inconsueta, per la sua giovane età. Somigliava più a quella di un vecchio che regge sulle spalle gli errori di una vita passata troppo in fretta. Certo, trovava che suo nipote fosse piuttosto diverso dai suoi coetanei, però non gli era mai apparso così inquieto.
Invece di placare la sua curiosità, sentiva il desiderio di ascoltare ancora quella bizzarra conversazione. Che razza di problemi poteva avere?
-No, non penso. Il sistema di sicurezza è la difesa più ardua da superare, e se non dovrò preccuparmene guadagnerò parecchio tempo. Se tutto andrà bene, non ci metterò più di tre quarti d'ora.-
E lì Matsuda non capì. Sistema di sicurezza? Guadagnare tempo? Ma voleva rapinare una banca?! Quasi gli venne da ridere, a quel pensiero. Un ragazzo di diciassette anni che ruba a Kyoto?! E poi, parlando per assurdo, non ne avrebbe avuto alcun motivo. I soldi non gli mancavano.
Forse si trattava di un linguaggio in codice, e voleva in realtà dire qualcos'altro... Si riscosse: non era un mafioso nè un narcotrafficante, non aveva alcun motivo di creare simili sotterfugi.
Ma con chi cavolo stava parlando? Da solo? Un compagno di orfanotrofio al telefono?
-Non riesci a capire, eh? Lei è il massimo a cui posso ambire, per i miei scopi. Se l'avessi, nessuno potrebbe più contrastarmi! Non ci sarebbe nessun bisogno di metterla al corrente dei miei piani, o di farle prendere una qualsiasi decisione. E' completamente pazza, posso incantarla e manovrarla o chissà, magari lei mi stupirà e si rivelerà meglio di quel che credo. Che gusto ci sarebbe, a giocare una partita di cui si conosce già l'esito?- Rise, una risata breve e cupa. Una risata poco innocente, pregna di qualcosa di antico ed insano.
La stessa risata che, quindici anni prima... Matsuda avvertì un brivido percorrergli le braccia, la sgradevole sensazione di deja-vu che strillava sulla sua pelle ogni volta che osservava quel ragazzo dal passato così sventurato.
I suoi scopi. I suoi piani. La sua partita.
Finalmente quel fastidioso ricordo che non riusciva a pescare, nella sua confusionaria memoria, riaffiorò vivido. Uno schermo, che proiettava le immagini riprese da una telecamera. Higuchi, in una macchina, che cianciava imperterrito. Light che esordiva "ma con chi sta parlando?"
Già, con chi stava parlando? Non c'era nessuno con lui.
Con Rem.
Con una Shinigami.
Il tempo si fermò, per un secondo interminabile, che assecondò l'arresto di un solo battito del suo cuore.
Non era possibile. Il respiro si mozzò strozzato nella sua gola, in un rantolo silenzioso e soffocato.
Assurdità. Che assurdità. Anche lui?! Non era mica una malattia trasmissibile. Non poteva essere. Una coincidenza troppo ovvia, troppo...
Lawrence non sapeva neanche chi era realmente suo padre, e poi c'era Sayu che gli voleva così bene... Sayu.
Matsuda si odiò per avere pensato una cosa tanto terribile. Che quel giovane ragazzo potesse essere... essere... che avesse invitato a casa sua...
Interruppe il flusso furioso dei suoi pensieri. Attanagliato da un terrore opprimente, percorse l'ultimo tratto di corridoio e scese precipitosamente le scale. Stava morendo di paura, ma era deciso a non pensarci in quel momento.
Era un'idea stupida ed insensata, e lui era giunto a conclusioni troppo affrettate.
Forse sarebbe riuscito a convincersi.

Marion non usciva molto spesso. Near le aveva sempre ripetuto, in una cantilena che non aveva potuto fare a meno di imparare, che il mondo esterno riservava troppe insidie a coloro che avevano un passato travagliato e ricco di segreti, come lei, e che nelle grandi città anche i muri bisbigliavano le trame delle tragedie di cui erano stati spettatori.
Così quell'energica e vitale bimba bionda che era stata aveva dovuto crescere fra le mura d'acciaio di un mondo silenzioso e perfetto, dove la tranquillità non poteva essere turbata e il calore del sole non riusciva a filtrare, giocando con bambole di plastica e rampe di scale. Quando il tempo era davvero bello e non c'era troppo traffico, poi, le era concesso di scendere nel vasto giardino che Near aveva comprato per lei, proprio accanto al quartier generale. La figura silenziosa e onnipresente di Lidner o Gevanni si stagliava sempre con chiarezza nei suoi ricordi, e soprattutto rievocava la sensazione del loro sguardo vigile a pungerle la nuca.
Ma era stata felice sul serio. Tutti volevano soltanto il suo bene, e Marion obbediva grugnendo perchè l'idea di deluderli la inorridiva.
Quando usciva di casa, da sempre, non si era mai trovata a suo agio. Le parole di Near l'avevano persuasa, così osservava tutto con sospetto e diffidava di chiunque la fiancheggiasse su un marciapiede. Era un mondo che non sentiva totalmente suo, ma di tutti gli esseri umani eccetto lei. Aveva finito per ritenerla rumorosa, caotica e sfuggente, dove soltanto le persone più superficiali potevano essere felici.
E Harmony era superficiale? Diciamo di sì. Non per natura, però: per scelta. Era la sua filosofia.
-Ehi, cavernicola! Guarda cosa ti ha comprato la tua migliore amica, in avanscoperta nel terribile mondo dei Terrestri.- La rossa emerse dalla tromba delle scale, con un paio di Rayban indubbiamente nuovi e almeno tre borse per mano. Sfoggiavano i nomi dei più famosi negozi di abbigliamento della città, ovvio.
Marion squadrò l'amica, poco impressionata. -Non voglio niente, grazie per l'offerta. E smettila di chiamarmi così, se non vuoi un cazzotto in bocca.-
-Parli come un campione di box.- bofonchiò l'altra. Sollevò un dito, perentoria. -Punto primo: ti chiamo cavernicola perchè, quando uscirai da questo cubo di Rubik gigante dove abiti, mio fratello avrà fatto in tempo a imparare che non si mangia con la bocca piena. Punto secondo: la mia non è un'offerta ma un regalo, perchè tu hai bisogno di vestiti nuovi e tu metterai quello che ti ho comprato. Chiaro?-
-Cristallino.- ribattè la bionda, con uno sbuffo svogliato. Harmony le allungò due borse, con con un sorriso trionfante.
-Vuoi vederli?-
-Lasciameli nell'armadio.- mormorò lei, disinteressata.
Stava archiviando vecchi documenti di Near, ammassati da Lidner in un mucchio disordinato per gettarli via -tanto erano di due o tre anni prima, e a lui non sarebbero certo più serviti. Ma Marion era sicura che lui avrebbe disapprovato questa decisione, così aveva intrapreso quel lavoro interminabile quanto noioso; ogni documento andava sistemato in base alla data, l'argomento e il mittente. Perlopiù si trattava di fatture, conti, altre incombenze d'ufficio. Nulla di troppo eccitante, però lo faceva volentieri, sapendo che il suo tutore avrebbe fatto la stessa cosa.
Harmony sbirciò la pila abbondante di carte sulla scrivania e storse il naso.
-Tu non sei normale, ragazza. Fra un po' diventerai un vegetale. Possibile che devi sempre fare tutto quello che una normale ragazza di quindici anni non farebbe?!-
Marion rise brevemente. -Ti sembro una ragazza normale? Ho imparato da qualcuno che, se possibile, era anche peggio di me.-
Eh, già: Near non si era mai comportato come il ragazzo che era. A diciannove anni, invece di andare in discoteca e flirtare nei bar, investigava e dava il biberon a una neonata. A venticinque, le insegnava teoremi matematici e sventava omicidi. Non era mai stato come gli altri, lui era diverso. Lui non voleva quello che i suoi coetanei volevano, non pensava quello che i suoi coetanei pensavano, non sognava quello che gi suoi coetanei sognavano. Viveva in un mondo che si era costruito dal nulla, un mondo cui era stato concesso di fare parte anche a lei. Una lieve fitta al cuore la sconcentrò per qualche istante.
-La parte del tuo cervello dedicata al divertimento o si è fusa col tempo, o non è mai esistita.- sentenziò Harmony. -Ma ti annuncio che da oggi le cose stanno per cambiare, bella mia.-
-Oh no.- sospirò Marion, meccanicamente. Le sue mani muovevano le carte, dividendole nei giusti pacchi.
Lei annuì vigorosamente. -Hai bisogno di svagarti un po' e dimenticare tutte 'ste faccende di Kira eccetera. Non puoi pretendere di prenderlo in tre giorni! Non sei mica Wonder Woman!-
-Non ancora.- la corresse Marion, seria.
-Comunque sia, stasera usciamo a mangiare un boccone da qualche parte. Così ti distrarrai, fuori da questa ferraglia.-
La ragazza emise un lamento sordo, con una smorfia. -Mangiare fuori?! E dove?!-
Harmony alzò le spalle. -Boh, dove ci pare. Fast food, pizzeria, cinese...-
-Cinese no. Sono nauseata di quel pesce schifoso che mi porti sempre.- bofonchiò la bionda.
-Guarda che è schifoso solo per asporto...-
Ma non si accorse che Marion non la stava più ascoltando. Quando i suoi occhi scivolarono sul mittente di una grossa busta bianca, aggrottò la fronte. Era un nome sconosciuto, in caratteri occidentali... inglese, ecco. Qualcosa di inglese, probabilmente una struttura. Le prime parole erano nomi propri, ma riuscì a tradurre quelle che seguirono: laboratorio genetico.
Era ancora più confusa. Laboratorio genetico? Che voleva dire? Come mai un laboratorio genetico avrebbe dovuto contattare Near? Ma la cosa più sorprendente era che la data riportata era 23/5/25. Due giorni dopo la morte del suo tutore.
Incuriosita e sospettosa fece per aprirla, quando un rumore di passi sulle scale le fece voltare la testa. Era Gevanni.
-Marion, ci sono novità.- annunciò, e istintivamente guardò ciò che lei stringeva fra le mani. -Cos'hai lì? E' una lettera?-
-Sì, l'ho trovata fra i documenti di Near. Non so cosa sia, è da parte di un certo laboratorio genetico inglese e risale a poco fa...-
Prima che potesse finire, Gevanni si affrettò ad avvicinarsi e strapparle letteralmente la busta di mano.
-Non è nulla!- esclamò, con un sorriso di scusa per il gesto brusco. La ragazza lo fissò sconvolta.
-Ehi, che c'è scritto? Perchè non vuoi che la legga?-
-Te l'ho detto, niente!- insistette lui, poco convincente. -Lascia perdere. Scartoffie. Piuttosto, dovresti farti un giro con la tua amica.-
Harmony assentì con la testa, e Marion inarcò le sopracciglia.
-Va beh, come vi pare. Queste novità?-
-Abbiamo contattato la Wammy's House, per informare la direttrice che la nuova L ha deciso di collaborare.- spiegò Gevanni, giocherellando con la busta. -Era contenta. Ha detto che ha controllato se ci sono ragazzini dal comportamento sospetto, o che potrebbero ipoteticamente essere in possesso del quaderno, ma per ora nessuno desta i loro sospetti. Raddoppierà la sorveglianza, d'ora in poi, e se noterà qualcosa non esiterà a riferircelo. Ah, sì: presto dovrebbero arrivare via e-mail delle informazioni riguardo questa presunta L, da parte della direttrice.-
-Quando?-
-Quando riuscirà a riunire un gruppo consistente. A quanto pare, non sono facilmente reperibili.-
Marion annuì distratta. Non riusciva a smettere di pensare alla lettera, che Gevanni in quel momento stava riportando dabbasso. Non si era certo arresa, era più che intenzionata a scoprirne il contenuto: ma l'avrebbe fatto con l'astuzia, non con i capricci, come una bambina di sei anni. Cosa poteva esserci, di tanto segreto, che nemmeno a lei era permesso sapere? Erano un po' come i suoi dipendenti, adesso, perciò se voleva leggere qualcosa aveva il diritto di farlo.
Proprio in quell'istante, i passi sulle scale si fecero fragorosi. Le ragazze si aspettavano di veder ricomparire Gevanni, invece era Craig: il rosso aveva i ricci vermigli scompigliati dal vento (era venuto in moto) e un sorriso da vincita alla lotteria in volto.
-Ehi, siamo diventati milionari?- domandò Harmony scettica.
Il ghigno di lui si allargò. -Quasi. Diciamo che abbiamo fatto jackpot.-
Lanciò una piccolo album a Marion, simile a quelli che danno i fotografi quando si ritira le foto sviluppate. L'aprì, e socchiuse le labbra incredula.
-Q... questa è... Misa Amane?- sussurrò, in preda all'emozione.
-Esattamente.- replicò Craig.
La prima, dentro la sottile bustina traslucida, raffigurava una bella ragazza dai fluenti capelli d'oro pallido, con occhi castani e un sorriso dolce. Sedeva sui gradini di una piccola villetta rustica circondata dai prati, e osservava con sguardo amorevole un bimbo di circa un anno, che accennava incerto qualche passo. La sua chioma bionda luccicava al sole.





















































Note dell'Autrice: Sono troppo in ritardo, lo so! Perdooono! Però davvero ho fatto del mio meglio. E' colpa della scuola maledetta, scusate. =(
Ci sono tante novità, però, in questo capitolo! Per Lawrence si mette davvero male... ma confidate in lui, che è furbo! ^-^
Mi piacerebbe che, nelle recensioni, mi diceste se siete del Team Marion o Team Lawrence. Così, solo perchè è una cosa simpatica! Tanto per scoprire chi è apprezzato di più! (perchè è spuntata qualche fan del nostro biondino omicida, eh!)
Per quanto riguarda l'età di Matsuda, ho seguito la data di nascita del 13° manga, ma secondo me ne ha di meno!
So che il capitolo è cortino, ma visto che è pieno di svolte ho deciso di lasciarlo così. E poi, altrimenti, avrei aggiornato per Natale. -.- Mi rifarò nel prossimo!
Grazie a tuuuutti quelli che mi seguono, che hanno messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite e un bacio enorme a chi recensisce! Mi dare la carica giusta!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie per avere letto e mi piacerebbe sapere che ne pensate!
Lucy
  
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