Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Natalja_Aljona    28/09/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Trecentosessanta


Trecentosessanta

Take a sad song and make it better

Prendi una canzone triste e rendila migliore

 

Parte Prima

 

Un vecchio zingaro ungherese

Di te parlando, mi giurò

Che c’eri prima di suo padre

Prima del padre di suo padre

Più in là nel tempo non andò

I cerchi del tuo tronco sono

Ferite d’armi e di parole

Che mai nessuno vendicò

(Velázquez, Roberto Vecchioni)

 

Budapest, 17 Marzo 1819

 

E la tempesta ci sorprese
Due miglia dopo Capo Horn
Se ne rideva delle offese
In mezzo al ponte si distese
E fino all'alba mi cantò
Ragazze, terre, contadini
Da sempre popoli e padroni
Fu lì che tutto cominciò

(Velázquez, Roberto Vecchioni)

 

-Tornatevene in Austria, maledetti infami! Questa è la nostra terra, la nostra vita!

Liberate l’Ungheria, restituiteci i nostri diritti, la nostra Szabadság!

Tornate a Vienna, tornate a Schönbrunn e nei vostri mille castelli, noi di casa ne abbiamo una sola, e ce l’avete negata per troppo tempo!

Noi non saremo mai vostri sudditi, noi siamo cittadini ungheresi!

Lasciate la nostra Magyarország, lasciate Budapest! Ön nem vagytok magyarok...

Ön nem vagytok magyarok! Mi hai sentito, Franz II? Te nem a mi király! Te soha nem is lesz!-

Tra la folla di manifestanti ungheresi al passaggio della carrozza di Franz II d'Asburgo, Kaiser d'Austria, d'Ungheria e di Boemia, più di ogni altro spiccava un ragazzino giovanissimo ma con un'audacia e una furia senza pari.

Era una forza della natura, e la sua indignazione eguagliava con una sola voce quella dell'intera folla.

Folti capelli neri scompigliati e lucenti occhi del medesimo color carbone.

Una camicia bianca strappata, pantaloni logori e stivali alti fino al ginocchio, da militare.

Pelle nivea e un sorriso bello da stordire, da star male.

Era Kolnay Desztor, vent'anni compiuti da tre mesi, l'eroe della via Rákos.

Voi non siete ungheresi e Tu non sei il nostro re, Non lo sarai mai, gridava Kolnay Desztor tra la folla, gridava come un indemoniato, con i suoi vent’anni e il suo coraggio ineguagliabile, perché ne andava del suo futuro e del futuro di sua moglie, della sua Zsófike, e dei loro figli.

Il Kaiser neanche si voltò, e Kolnay perse la testa.

Si scagliò sulla carrozza reale, impiegando tutte le sue forze per vincere la resistenza delle guardie svizzere di Franz II.

Gli avevano sparato, ma lui non aveva tempo per cadere, sanguinare e sentire dolore.

Sparò anche lui, per scalfire la barriera di guardie, infilarsi tra di loro e raggiungere il re.

Era il 17 Marzo 1819, e in periferia, nella sua amata via Rákos, stava nascendo il suo terzo figlio.

Doveva liberare l’Ungheria in suo onore.

Dita scattanti sul grilletto, nonostante il sangue gli bagnasse la camicia, e bruciasse, bruciasse da morire.

Con le sue ultime energie sferrò un pugno a una guardia e sparò.

Sparò a lui.

Poi fu scaraventato giù dalla carrozza e provvidenzialmente nascosto dalla folla, che voleva proteggere l’eroe della Rivoluzione Ungherese, altrimenti Kolnay sarebbe stato fucilato all’istante.

Qualcuno lo portò via, in via Rákos.

Bussarono a Casa Hrabal e lo lasciarono lì.

Non era morto, ovviamente, quel maledetto austriaco...

Ma neanche Kolnay si sarebbe arreso così facilmente.

Quando Zsófike, la sua bella moglie diciannovenne -erano sposati da sette anni, ormai-, che aveva appena partorito il terzo Desztor, lo vide entrare sorretto da Milan e Bořek Hrabal, rispettivamente di diciannove e trentatré anni, lanciò un grido che nemmeno durante il parto...

Ma di esasperazione.

Secondo lei, gli uomini normali tendevano a dividersi essenzialmente in due categorie: quelli che quando gli nasceva un figlio, anche se il terzo, stavano accanto al letto dell’adorata sposa a tenerle la mano fino alla fine, anche se saltavano in aria ad ogni strillo, e c’erano quelli che se ne fregavano e andavano a farsi una birra o un giro di vodka all’Osteria con gli amici, per poi tornare come se niente fosse e dare un nome al pargolo.

E poi c’era Kolnay, il solito anticonformista, che tentava il suicidio, o meglio, mentre nasceva il suo terzo figlio faceva un attentato a Franz II d’Asburgo.

Chissà se si rendeva conto di averla lasciata a partorire con Bohumil, e quella testa bacata d’un suocero -troppo sangue Desztor per essere intelligente- le si era messo accanto col fucile sottobraccio, e le aveva sibilato, circospetto e quasi cospiratorio: “io ti guardo le spalle, tu fai quello che devi fare”, al che lei gli aveva gridato: “non serve a niente guardarmi le spalle, non è da lì che uscirà il bambino!”, anche se effettivamente aveva delle belle spalle, Zsófike.

Con un sorriso colpevole, ma negli occhi ancora le stelle dei sogni della Rivoluzione, Kolnay avanzò barcollando verso il letto e posò un bacio sulla fronte sudata di Zsófi.

La ragazza aveva i capelli biondi sconvolti e sparsi sul cuscino come raggi di un sole stanco, che aveva bruciato quasi tutta la sua luce, e i begli occhi perdutamente celesti di due tonalità più chiari del solito, a furia di piangere e di gridare in quel parto in cui aveva lasciato più dell’anima.

Era esausta, e anche un bel po’ arrabbiata con lui, quella testa calda, eppure fu lei la prima a chiedere:

-Com’è andata?-

-Gli ho sparato. E l’ho colpito, amore mio, l’ho colpito! Non è ancora morto, quel bastardo austriaco, ma la prossima volta...-

-La prossima volta, se starò ancora partorendo, resti con me-

-Ma non hai già finito?-

-Parlavo di un altro figlio, Kols! Non partorisco sempre lo stesso, stordito!

Quello di oggi è solo il terzo, no?-

Kolnay sorrise, annuendo.

-A proposito, dov’è?-

-Nostro figlio?-

-Eh...-

-Come lo vuoi chiamare?-

-Fammelo vedere, prima!-

Zsófike gl’indicò la vecchia culla di Pál, che due anni prima era stata di Csák e adesso del loro terzogenito, con un cenno del capo.

Kolnay la raggiunse con il cuore che gli batteva forte, e quando lo vide sgranò gli occhi.

Era...

Beh, no, non era bello.

Era pur sempre un neonato.

Questo era stato il discorso di Milan alla nascita di Pál, e quattro anni dopo anche a quella di Csák.

Chissà se l’aveva detto anche di lui.

Kolnay era a Hosök Tere a manifestare contro il Kaiser, quando il suo terzo figlio era nato.

Quel bambino, però, gli metteva una strana soggezione.

Non dormiva né piangeva.

Lo guardava con sufficienza e una qual certa aria di sfida, sembrava.

Kolnay lo osservò attentamente, e constatò con non poca fierezza che gli assomigliava molto più di Pál e Csák.

Pochi capelli scuri e due occhioni neri che parevano stelle.

Ma il suo sguardo, quello sguardo...

Era lo sguardo di un eroe.

Kolnay passò mentalmente in rassegna tutte e tredici le statue di Hosök Tere.

Szent István király I, László I, Könyves Kálmán, András II, Béla IV,  Károly Róbert I, Lajos I, János Hunyádi, Igazságos Mátyás Hunyádi, István Bocskai, Gábor Bethlen, Imre Thököly e Ferenc Rákóczi II.

Con un sorriso, si soffermò sul tredicesimo eroe.

Dal 1703 al 1711, Ferenc Rákóczi II, Principe di Transilvania, aveva guidato la Rivoluzione Ungherese contro gli Asburgo...

Proprio come stava facendo lui adesso.

-Feri...- sussurrò, senza staccare gli occhi dal bambino.

Feri era il diminutivo di Ferenc.

-Feri Desztor-

 

Adesso vola

Oltre tutte le stelle

Alla fine del mondo, vedrai

I nostri sogni diventano veri

(Mentre Dormi, Max Gazzé)

 

Parte Seconda

 

Mare di Kara (Mar Glaciale Artico), 2 Marzo 1843

 

Che anno è?

Che giorno è?

Questo è tempo di vivere con te

(I Giardini di Marzo, Lucio Battisti)

 

Come si chiuse la porta della cabina alle spalle, George si sentì infinitamente bene.

Stava tornando a Sparta, la sua Sparta.

Adagiò Natal'ja sul letto, e lei subito si spostò su un fianco per sentir di meno il dolore delle ferite.

Gee le si sdraiò accanto e le lanciò un lungo sguardo in cui brillò un turbine di sentimenti, ma tutti belli da morire.

-Come stai?- le sussurrò, seguendo il suo profilo con un dito.

-Con te...- mormorò Alja, destabilizzata.

Lui sorrise, scuotendo la testa.

-Come, non con chi-

-Male, malissimo... Ma non me ne importa niente-

-Mi ami, sei sicura?-

-Ti amo di più...-

Una fitta lancinante al fianco le spezzò le parole in gola, e Gee le accarezzò una guancia.

-Più di...?-

-Più di quanto sarebbe possibile-

George guardò dritto nei suoi occhi d'argento, finalmente più sinceri che mai e si sentì morire di felicità.

-Anch'io... Anch'io, mia Lys. Mia impossibile, meravigliosa Lys.

Ma quante me ne hai fatte passare, stellina... Quanto ho dovuto sopportare per te...-

Le prese una mano e se la appoggiò sul cuore.

-Lo senti? Lo senti, quante volte me l'hai spezzato?-

Ma non le lasciò neanche il tempo di rispondergli, perché la baciò, la baciò come aveva sognato di fare il giorno che lei aveva passato a baciare Feri, e la baciò per ricordarle che solo lui poteva baciarla così, che solo per lui poteva provare quello sconvolgimento nel cuore, quell'ardore di fiamme e promesse che questa volta avrebbero mantenuto entrambi.

Dopo quasi cinque anni di matrimonio...

Mai come nel '43 Natal'ja gli aveva fatto così male.

Ma sarebbe passato, stava passando e doveva passare.

-Mia piccola adultera...-

Natal’ja si sforzò di sorridere, ma un attimo dopo sentì come una coltellata al fianco, una lama affondata nella ferita, e sbarrò gli occhi turchini.

Le mancarono le forze, e lasciò la mano di Gee, che la chiamava, ma lei non lo sentì.

Era svenuta, svenuta per il dolore.

George le sciolse la fasciatura, e per poco non cadde dal letto per lo spavento.

Avrebbe dovuto esserci abituato, a quel genere di ferite, e lo era, ma quando quelle ferite erano sul suo corpo gli facevano tutto un altro effetto.

Era tutto -o quasi- sotto controllo, perché era lui a soffrire.

Guardò il lungo segno e il profondo solco lasciati dal proiettile -uno solo dei proiettili-, la pelle strappata, la carne devastata e il sangue fresco, che nonostante l’emorragia si fosse fermata aveva fatto in tempo a riversarsi sul tessuto fino ad inzupparlo.

Era una vista insostenibile, eppure quando ci era passato lui l’aveva anche sfidata, quella vista, e nonostante fosse costantemente lacerato da una febbre di fitte e di dolori folli, da spaccarsi i denti nello stringerli, aveva fatto finta di niente, perché lui era un eroe, perché lui era uno Spartano.

In quel momento, Alja riaprì gli occhi, e Gee sospirò di sollievo.

-Scusa...- mormorò la biondina, con voce tremante.

-E di cosa?-

-Non è carino svenire dopo un bacio...-

Lui la guardò con infinita dolcezza.

-Non guardare-

-Eh?-

-Non guardare. Ti ho sciolto la fasciatura, ora la riannodo. Se la guardi svieni di nuovo-

-Dici?-

-Santo Cielo, sembra che ti abbia azzannata il leone di Nemea!-

-Proprio lui?-

-Ed è solo una delle quattro. Passami il braccio-

-Prego?-

-Cioè, allungalo, non dico che te lo devi per forza staccare... Anche se lo è già, per metà-

Lys sospirò, con un mezzo sorriso.

Gee poteva essere innamorato e preoccupato quanto voleva, ma il tatto non l’avrebbe mai avuto.

O meglio, ne aveva eccome, ma non in quelle situazioni.

-C’è qualcos’altro che dovrei sapere?-

-Hai una spalla sfasciata, mezza schiena distrutta e qualche livido qua e là, ma a parte questo niente di eccessivamente preoccupante.

A parte gli scherzi, Lys... Hai avuto paura?-

-Di chi?-

-Di lui-

-Ci sono abituata-

-Abituata a quel mostro?-

-Non è sempre così-

-Lo so. E quando non è così riesce quasi a farti innamorare. Ma come ha potuto farti così male?-

-Io, Gee... Come avrei potuto permettere che lo facesse a te?-

 

Qualsiasi incantesimo le farai, anche dopo la mia morte...

Non avrai mai mia moglie, Feri Desztor.

Geórgos della stirpe de’ Kléftes

 

Well, I’d rather see you dead, little girl

Than to be with another man

 

Davvero, preferirei vederti morta, ragazzina

Piuttosto che con un altro uomo

(Run for your life, The Beatles)

 

 

 

Note

 

Take a sad song and make it better - Prendi una canzone triste e rendila migliore: Hey Jude, The Beatles.

 

La nascita di Feri, innanzitutto.

Dovevo parlarne, in un modo o nell’altro, così come dovevo parlare della Rivoluzione di Kolnay, della battaglia dei Desztor contro gli Asburgo in Ungheria, quella che continuerà e vincerà Feri nel 1848 al seguito di Lajos Kossuth.

A proposito di Lajos Kossuth, lui è il quattordicesimo eroe di Hosök Tere, anche lui ha una statua in Piazza degli Eroi, in quanto eroe della Rivoluzione Ungherese del ’48, ma nel 1819 le statue erano ancora tredici, per questo non l’ho citato nel capitolo.

Ho parlato di Ferenc “Feri” -gli equivalenti ungheresi dei nostri “Francesco” e “Ferruccio”- Rákóczi II, l’eroe al quale il nostro Capitano deve il suo nome, mentre quello a cui Kols e Zsófi dedicheranno il battesimo di Jàn è Jànos Hunyádi, un altro indimenticabile hős ungherese che avevo già nominato insieme a Rákóczi nel Capitolo 144, per spiegare i nomi del terzo e del quarto dei fratelli Desztor ;)

Pál deve il suo nome alla via della mitica segheria, mentre Csák e Hajnalka non hanno storie particolari, ma sono senza dubbio nomi ungheresissimi ;)

Quanto alla seconda parte, la lascio commentare a voi ;)

 

A presto!

Marty

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Natalja_Aljona