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Autore: spongy    11/04/2007    2 recensioni
La storia di un viaggio di emigrazione vista dagli occhi di un bambino.
Uno, due, tre. E’ il turno di Luisa a saltare. E’ sempre stata brava in questo gioco, perchè ha le gambe lunghe ed è molto agile. Io e Philip teniamo salda la corda e la facciamo girare ritmicamente.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno, due, tre. E’ il turno di Luisa a saltare. E’ sempre stata brava in questo gioco, perchè ha le gambe lunghe ed è molto agile. Io e Philip teniamo salda la corda e la facciamo girare ritmicamente.
Uno, due, tre. Mi incanto a guardare i piedi di Luisa che si staccano da terra con uno scatto, ogni volta. E’ così brava. Uno, due, tre.

Fa molto caldo nel mio paese e comunque, non c’è nessuno che si cura mai di venirci a portare una pezza o un bicchiere d’acqua. La mamma è sempre molto impegnata e ha questa espressione corrucciata che si addolcisce solo quando ci da la buonanotte. Dice spesso che presto ce ne andremo di qui, che questo posto non fa per noi e quando pronuncia queste parole, i suoi occhi diventano lucidi.
Ma io qui mi diverto. Basta che ci siano i miei fratelli con me a saltare a corda.

Uno, due, tre. Luisa passa il turno, ora tocca a me. Io non sono mai stato molto capace, invece, e sto cercando di concentrarmi, anche con le risate di Philip nelle orecchie. Gli sto per dire di smetterla, che devo stare attento così vedranno quanto sono bravo, quando all’improvviso vedo il viso pallido della mamma, che arriva di corsa verso di noi, prende mio fratello maggiore per un braccio e gli dice:

“Dobbiamo andare, Philip. Dobbiamo andare. Il papà ha trovato un posto su una nave, ora... dobbiamo sbrigarci... i tuoi fratelli...”

Riesco a sentire solo questo e quando Philip mi dice di prendere molto velocemente le cose a cui tengo di più, sto ancora sorridendo, con la corda in mano. Non mi ascolta nemmeno quando gli dico che è solo quella che voglio portare con me. Lei e i miei fratelli.


Non sapevo che nel posto in cui saremo andati avrebbe fatto così freddo, altrimenti avrei preso anche la mia maglia pesante. Il viso di Luisa è rabbuiato, non capisco perchè sia così triste. I suoi capelli castani sono sporchi, gli occhi velati. Non capisco, davvero. Infondo ci sono io, c’è Philip e la mamma e il papà, e c’è anche la nostra corda. Fa freddo e c’è tantissima gente su questa nave, siamo tutti appiccicati e continuiamo a correre di qua e di là. Ma almeno ci siamo noi e la nostra corda.
Ogni tanto sento la mamma e il papà che parlano animatamente tra loro, sussurrano. Non voglio sentire quello che dicono, così mi tappo le orecchie e mi metto a ripensare al movimento dei piedi di Luisa, che si staccano da terra. Uno, due, tre. So che presto potremo tornare tranquilli a giocare. Sarà bello e non ci sarà puzza di umido e chiuso e muffa, come qui. Sarà bello.



Sono più di due giorni che stiamo qui dentro, l’ho sentito dire da un ragazzo che si lamentava, lì, accasciato proprio dietro la signora con il velo verde. Non so dove stiamo andando, ma ogni tanto mi sembra di sentire uscire dalla bocca del papà, parole come Francia e Italia. Sembrano nomi di posti lontani e sono molto rassicuranti. Perchè lì potremo finalmente tornare a giocare. Uno, due, tre. Mi addormento spesso con questo pensiero, nella mia testa posso vedere chiaramente le gambe magre di mia sorella che si piegano per poi distendersi. E’ un pensiero che sa di buono. Uno, due, tre.

I miei sandali sono sempre più consumati. Non so, forse è tutta quest’acqua che c’è qui dentro. Mi viene da piangere, perchè ho molta fame e la mamma mi ha detto che il cibo non c’è. Che dovremo aspettare ancora un po’. Dice “ancora un po’” da molto tempo, ormai. Non so quanto è passato, non so quando è giorno e quando è notte, non so quanto tempo deve ancora passare. A volte, Luisa mi abbraccia forte e poi scoppia in lacrime e piange per ore, dondolandosi. Io fisso semplicemente la mia corda, spero che non si rovini troppo qui. E’ così bella.

Quando guardo Philip mi sorride sempre. Il suo, però, è un sorriso senza allegria, non gli brillano gli occhi. So che lo fa per rassicurarmi. Quando lo guardo penso anche alla mia vecchia casa e che per quanto fosse scomodo dormire lì, era molto meglio di adesso. Non riesco più a ricordarmi bene come prima, come sia saltare a corda. Me la rigiro tra le mani, ma proprio non mi vengono in mente tutte le sensazioni che sentivo prima. Mi sto scordando come sia brava mia sorella a saltare. Sto dimenticando e io non voglio dimenticare.

Sento un bambino piangere forte, da qualche parte. Sono passati giorni e giorni, settimane. Non so, anche il ragazzo laggiù ha perso il conto.
La nave è molto umida e sembra che mentre dormo si riempia sempre di più. Sto per addormentarmi di nuovo, quando sento molti strattoni e spinte. Sembra come un terremoto, ma la nonna me lo ha spiegato, tanto tempo fa, che i terremoti non li senti quando sei in mare. Semmai si scatenano dei maremoti.
Per fortuna il papà mi prende in braccio e mi stringe forte. Corrono, ecco cosa succede, corrono tutti. Sento il terrore, il terrore che si diffonde ovunque, fino a entrarti nelle ossa. Chiudo gli occhi, perchè è brutto quello che mi succede attorno, non voglio vederlo. Li riaprirò solo quando sarà tutto calmo, solo allora.

Sento il calore del sole sul viso. E poi una risata, una risata vera dopo non so quanto tempo. Allora, riapro gli occhi e vedo che ci siamo, che è tranquillo. E’ bello.
Qualcuno grida: “Siamo arrivati! L’Italia! Siamo arrivati!”

Il papà mi fa scendere e io inizio a correre. Corro, e non ti preoccupare mamma, non mi allontano te lo prometto. Corro perchè sono contento, perchè adesso posso essere contento. La mamma piange e ride contemporaneamente e io l’abbraccio forte. Forse ora siamo a casa. E mentre penso questa cosa, un nuovo calore mi invade il corpo e vedo i miei fratelli e li abbraccio. Nemmeno mi sono accorto di aver perso la mia corda.






  
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