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Autore: EsseTi    28/09/2012    6 recensioni
Dominik è un pianista ceco…e cieco.
Suona il pianoforte da quando ha sei anni, e a 13 ha lasciato Praga per raggiungere Milano e studiare al Conservatorio Giuseppe Verdi.
A 18 anni è una promessa della musica, con la passione per Mozart e Chopin.
Suona il piano perché è come vedere i colori.
Vive per la sua musica, ma si ritroverà a dividere il bilocale in cui vive con Federico, un barista estroverso e terribilmente disordinato. Federico, però, gli insegnerà che i colori non sono solo nella musica.
A lui piaceva l’arancione; la mamma diceva sempre che era un po’ come il calore delle coperte d’inverno, quando fuori faceva freddo e si mettevano a dormire insieme.[...]
Gli avevano insegnato le note, l’adagio, il notturno. Gli avevano insegnato Mozart, Chopin, Bach.
Nessuno, però, gli aveva insegnato di quanto fosse bello il calore di un bacio.
Quello, doveva essere il rosso.

Revisione in corso. Ci saranno modifiche importanti.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il vero contatto fra gli esseri si stabilisce solo con la presenza muta, con l'apparente non-comunicazione, con lo scambio misterioso e senza parole che assomiglia alla preghiera interiore.

Emil CioranL'inconveniente di essere nati, 1973



Capitolo 4:  Cioccolata calda
 
- Please don’t let me be misunderstood! na na na na na naaaa! -
- Cantante da quattro soldi me lo porti ai clienti questo crodino? –
- Agli ordini! –
Federico caricò il vassoio con due bicchieri pesanti e una scodella di patatine, diretto al tavolo dove due ragazzi aspettavano il loro aperitivo. Erano due tipi…particolari; almeno uno, con i capelli tinti di viola e il fard rosso sugli zigomi, lo era parecchio. Lui non avrebbe mai sognato di vestirsi in quel modo; certo, lavorando in un bar gay era sempre possibile incontrare tipi con uno stile diverso dal solito, ma conciarsi in quel modo era come gridare al mondo di essere uno psicopatico, più che un gay.
Lasciò l’ordine sul tavolo, prendendo la banconota che uno dei due ragazzi gli porgeva, e tornando vicino al bancone.
A quell’ora c’era molta gente, il chiacchiericcio incessante era confortante, lo faceva sentire vivo; la radio a tutto volume, in diffusione, accompagnava i momenti di serenità della gente.
Gli piaceva lavorare in quel bar; nonostante fosse trascorsa solo una settimana, aveva legato più o meno con tutti. Roberto, il gestore, si vedeva spesso; era un tipo bizzarro, con i capelli brizzolati da quarant’enne, lunghi e tutti legati in treccine che sembravano dei vermi che gli venivano fuori dalla testa: già il fatto che avesse aperto un bar dichiaratamente gay a Milano lasciava immaginare quanto se ne fregasse altamente dell’opinione del mondo. C’era sua sorella, Francesca, che si faceva chiamare Checca fino a quando non si era accorta che usare quel nome al locale le avrebbe rimediato non poche occhiate gelide, magari da quello stesso tipo con i capelli viola che stava al tavolo a sgranocchiare patatine; alla fine, aveva ripiegato su Chicca, che a lui sembrava più il nome di un cane. Sua zia aveva un cane con quel nome.
Poi c’erano Jacopo, Giulio, Simone, Samuele.
All’inizio non aveva pensato che sarebbe stato tanto facile: non aveva mai lavorato in vita sua, e inserirsi in un gruppo consolidato di colleghi di lavoro doveva essere difficile. Invece lo avevano accettato subito tutti, facendolo sentire a casa; più di quanto si sentisse a casa sua, almeno.
Ogni tanto si chiedeva se fosse peggio la casa dei suoi genitori a Palermo, dove doveva continuamente cercare una scusa per giustificare l’assenza di donne nella sua vita, o quella che da una settimana divideva con Dominik; fino a quel momento, Dominik aveva un larghissimo vantaggio.
Scosse il capo, distogliendo l’attenzione da quei pensieri; era ritornato alla sua postazione, abbandonando il vassoio vuoto sul bancone. Subito dietro a questo, intento a sistemare le bottiglie sulle mensole, c’era Samuele.
- Crodino a destinazione! E non dirmi che sono stonato, ho un senso dell’arte sviluppatissimo! –
Il ragazzo scoppiò a ridere, girando su se stessa una bottiglia di vodka affinchè fosse visibile la marca sul davanti; quando si voltò, poggiando i gomiti  sul bancone e spingendo il busto in avanti, Federico se lo trovò vicinissimo, con un sorrisino strafottente sulla faccia. Odorava di dopobarba, e di gin.
- Tu sei stonato eccome, ma hai un accento terribilmente sexy. –
Stava per rispondergli a tono quando una voce all’altra estremità del bancone richiamò la loro attenzione.
-Samuele! E’ finita la birra! –
Samuele si mise dritto sulla schiena, facendogli l’occhiolino, prima di rispondere al richiamo con un cenno della mano e sparire dietro le ante scorrevoli in legno che l’avrebbero condotto al magazzino. Federico stava ancora sorridendo, divertito.
Quell’uomo era letteralmente uno spasso, e nonostante lo conoscesse da appena una settimana gli stava già simpatico. Lavorava lì da due anni, era stato uno dei primi acquisti di Roberto, il gestore, e quando dietro al bancone c’era lui, al bar si respirava sempre vita; non soltanto perché fosse un figo pazzesco, ma perché preparava i cocktail migliori di tutta Milano.  
Era uno di quelli che, se li avessi visti fuori da una discoteca, lo avresti scambiato per un buttafuori. La prima cosa che aveva pensato quando lo aveva visto era stata se sbaglio un ordine questo qui mi fa fuori schiacciandomi tra pollice e indice. Invece si era rivelato la persona più buona del mondo. Aveva quasi 40 anni, ma a guardarlo, tutto muscoli, abbronzatura e tatuaggi, non ne dimostrava più di trenta. Da cinque anni aveva un compagno, Riccardo, se così si poteva definire: era un avvocato di dieci anni più grande di lui, rigorosamente sposatissimo. Con una donna.
Quando glielo aveva detto, con una mezza risata, Federico era rimasto a bocca aperta. Cosa c’era da ridere in un uomo che la notte spesso dormiva con te e alle cene di Natale portava a casa della famiglia sua moglie?
Gli aveva raccontato di avere con il fantomatico tizio una di quelle che si definivano “relazioni aperte”; a lui quella definizione era sempre sembrato un modo gentile per dire che si cornificavano a vicenda, ma Samuele aveva gli occhi buoni, non poteva sostenere una vita come quella. Lo faceva per amore del suo uomo; un avvocato non poteva permettersi di far sapere al mondo che fosse gay, e a sua moglie andava benissimo tenersi la sua bella casa e il suo buon nome purchè il marito facesse quello che voleva di nascosto al mondo. Oltretutto, quell’uomo aveva un figlio, che sicuramente non avrebbe preso bene la notizia.
A Federico tutto quello metteva tristezza; credeva di avere una situazione complicata a casa solo perché i suoi genitori non sapevano che fosse gay, ma la vita di Samuele era pesante sul serio. Non poteva nemmeno farsi vedere in giro con il suo  compagno, neppure per bere semplicemente una birra insieme, da amici.
Come avrebbero spiegato al mondo un’amicizia tra un avvocato della “Milano bene” e un barista palestrato?
Ma Samuele rideva sempre, prendeva tutto alla leggera, tra pacche sulle spalle e battutine maliziose. Da quando aveva iniziato a lavorare lì non facevano che punzecchiarsi tutto il tempo.
- Allora, ragazzino, ti sei incantato? –
Federico sobbalzò a quella voce, prima ancora che la mano grande gli si poggiasse sulla spalla dandogli una pacca. Samuele era tornato con una cassetta di legno piena di birre, per sistemarle nel frigo.
- Vieni e dammi una mano, ho due cocktail da preparare da minimo dieci minuti! –
- Attento a non lavorare troppo, potrebbero sciuparti! – L’uomo  rise di nuovo, una risata calda e profonda, sembrava provenire dal centro della terra; poi gli porse due birre da sistemare.
- Il lavoro fortifica, non lo sai? Ammettilo che ti eri incantato a guardarmi il culo, per questo eri sulle nuvole! –
- Passo le mie giornate qui a guardarti il culo, non te ne sei accorto? – gli rispose a tono, facendolo ridere ancora. Sembrava un gigante buono quando rideva. Federico osservò la schiena tendersi sotto la maglietta bianca che indossava, troppo stretta per contenerlo tutto; come facesse a essere così grande sarebbe rimasto sempre un mistero per lui. Lo vide ancora sistemare altre due bottiglie, passandogliene una per porla nel ripiano più alto.
- Allora, a casa come ti va? Hai già incontrato degli psicopatici in giro? –
- Nah, non ancora. Aspetto con ansia quel momento, solo allora potrò dire di trovarmi a Milano! –Risero entrambi, mentre l’uomo gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. – A parte questo, tutto ok. In uni non si fa mai niente, ma lavorare qua mi piace! –
- E il tizio con cui dividi la casa? Non hai detto di avere un coinquilino? –
Federico sbuffò, ripensando ancora alla sua ultima conversazione con Dominik.
- Un tipo strano, parecchio. Mi sembra di stare in una di quelle sit- com di seconda categoria ambientate sempre in un bell’appartamento. Sai, tipo La   vita secondo Jim. E’ sempre tappato in casa, e le volte in cui lo incontro si lascia andare a discorsi trascendentali senza precedenti! – Samuele scoppiò a ridere; in effetti, aveva fatto sembrare Dominik un malato di mente, quando era solo…strano. L’unico aggettivo che gli veniva in mente pensando a lui era quello.
Era fissato con la musica, con quel suo piccolo mondo, e credeva che chiunque dovesse essere interessato alle stesse cose che piacevano a lui; probabilmente era cresciuto così, a casa sua, non aveva molti amici. Non che gli importasse molto, ci aveva anche provato a coinvolgerlo un po’, ma non aveva voluto saperne. Con un altro sbuffo, Federico sistemò l’ultima bottiglia nel frigo, chiudendo lo sportello.
- Vieni da me no? Il mio appartamento non è vicino all’università come il tuo, ma è in centro. E poi ho la macchina, possiamo farci mettere gli stessi turni e veniamo insieme al locale! –
- E Riccardo? –
- Viene a casa mia qualche sera, ma non resta a dormire. Non ti dà fastidio se passa no? –
- No, figurati! – fece una pausa, tormentandosi il labbro. C’era una pellicina che lo infastidiva da un sacco. – Ma credo che resterò un altro po’, magari migliora! – aggiunse alla fine.
Dominik meritava un’altra possibilità: era solo un ragazzino che, se fosse stato come tutti gli altri, avrebbe preparato la maturità nel giugno successivo e avrebbe passato i weekend con gli amici. Invece gli interessava solo la musica.
- Se cambi idea, l’offerta è sempre valida! – gli rispose il compagno, afferrando uno strofinaccio per togliere della macchie dal tavolo. - Che dici, sabato ci facciamo una birretta fuori? –
- Sabato?  Questo sabato? –
- No, a Natale. Certo che è questo sabato! –
Federico si morse il labbro. Dominik. Gli aveva detto che sarebbero andati a vedere Milano, nonostante dopo due giorni non fosse ancora riuscito a convincerlo ad andare con lui.
Ragazzino impossibile. E ora si trovava davanti la possibilità di farsi una birra con Samuele, uscire da quella casa opprimente per mezza giornata e non dover pregare un ragazzino di uscire con lui come se lo stesse portando a farsi il vaccino.
Eppure gli dispiaceva; aveva accarezzato per giorni l’idea di quella giornata a Milano, di vedere la Galleria, il Duomo, e di farli vedere anche a Dominik, in qualche modo. Voleva portarlo fuori, farlo sciogliere e renderlo più umano, quando meno. Ma Dominik non voleva essere ammorbidito.
Per un attimo fu tentato di rifiutare l’invito; avrebbe convinto Dominik, sarebbero usciti e si sarebbero divertiti. Ma  quando Samuele si voltò, guardandolo interrogativo, si costrinse ad ammettere la realtà: lui e Dominik non sarebbero mai stati amici, e non avrebbe perso la possibilità di farsi un amico per correre dietro alle sue gonnelle.
- Mh, si va bene. Basta che non mi tocchi il pacco in macchina! –
Samuele rise di nuovo, gli occhi verdi si accesero di una luce divertita.
 

§ § §

 
C’era freddo lì dentro. E c’era troppo chiasso.
Era possibile che la gente riuscisse a fare tanto rumore?
A Praga c’era sempre silenzio, le persone camminavano tutte zitte, non si fermavano mai quando usciva con la mamma. A Milano, invece, non faceva che passare accanto a gente ferma a chiacchierare della scuola, dei figli, e del lavoro che non andava.
Si lamentavano sempre tutti: se avessero imparato a suonare,  a estraniare tutto il male nelle note, a vederlo volare in alto, lontano, sarebbero stati tutti più felici.
- Dominik? –
Sobbalzò, stringendosi nelle spalle. Fu istintivo aggrapparsi al braccio di Federico, accanto a lui, ma quel movimento improvviso sorprese anche lui. Doveva essergli sembrato un vero scemo a reagire in quel modo a lui che lo chiamava, ma quando si trovava fuori casa non si sentiva mai al sicuro.
Era come il vecchio criceto di sua sorella, che tutte le volte che veniva spostato per dieci minuti per pulire la gabbietta iniziava ad agitarsi. Si sentiva un po’ in quel modo, come un criceto che veniva strappato al suo ambiente naturale.
Si sentiva veramente al sicuro soltanto a casa, o al conservatorio; ma Federico aveva insistito tanto perché lo accompagnasse al supermercato. Di solito andavano insieme a fare la spesa il lunedì, oppure ci andava Federico, da solo; quel pomeriggio gli era venuto in mente di cucinare qualcosa di particolare, e l’aveva trascinato al supermercato, per avere un po’ di compagnia.
Federico non si mosse, quando lui si aggrappò al suo braccio; Dominik alleggerì la presa dopo qualche secondo, ma continuò a restare chiuso in se stesso, come pronto ad un attacco.
Il supermercato era nero, non gli piaceva per nulla.
- Ti piace la bresaola? – gli chiese poi, richiamandolo di nuovo alla realtà.
- Cos’è? –
- Una specie di prosciutto diciamo…non so come spiegartelo, ma è buona. Vuoi provarla? –
Fece una smorfia, poi fece spallucce.
- Non mi va. E poi hai detto che volevi preparare l’insalata con il tonno, e il formaggio fritto. – Non aveva mai assaggiato il formaggio fritto, ma Federico aveva giurato che fosse buonissimo, più buono del cioccolato. Non ci credeva molto, era impossibile che esistesse veramente qualcosa di più buono della cioccolata, ma valeva la pena provare; e voleva provarlo quella sera, non accettava altro, al costo di impuntarsi su una scemenza.
- Lo so, e facciamo quelli. Però la bresaola potremmo prenderla comunque…Facciamo così, lunedì decideremo. Se stasera ti piace il formaggio la prossima settimana ti faccio provare la mia piadina speciale! – Era così allegro mentre parlava, Federico.
Era tornato già dal lavoro stranamente allegro, doveva aver passato una bella giornata.
La sua era stata letteralmente disastrosa; la maestra lo aveva rimproverato perché ancora una volta non aveva rispettato lo spartito, e lo aveva persino minacciato che se l’avesse fatto durante il concerto non l’avrebbe più fatto suonare fino alla fine dell’anno accademico. E come se non bastasse sentiva di avere un principio di raffreddore, che per lui rappresentava una vera tragedia; l’olfatto, oltre al tatto, era il mezzo indispensabile cui si affidava per muoversi nel mondo.
Mentre si muoveva tra gli scaffali, immerso nei suoi pensieri, si sentì urtare così forte che se non si fosse aggrappato al carrello che Federico guidava sarebbe finito per terra. Era letteralmente impreparato a quel colpo, e chi lo aveva urtato non doveva proprio averlo visto.
Era stata una donna, e quando si scusò, non ebbe difficoltà a comprendere, dal tono, che si fosse accorta di aver urtato un ragazzo cieco. Erano così chiari i toni di voce degli uomini e delle donne, con quel misto di tenerezza, pietà e di sollievo, perché, in fondo, non era capitato a loro, e appena usciti da quel supermercato se ne sarebbero dimenticati facilmente. Lui il buio non lo poteva mai dimenticare, era il suo compagno di vita da diciotto anni, e tutte le volte che qualcuno lo guardava o gli si rivolgeva in quel modo, tutto il buio diventava ancora più buio. Le persone erano stupide, era arrivato a quella conclusione: non era come diceva la mamma, non avevano paura. Erano semplicemente stupide.
Federico no, però: Federico era imbarazzato, a disagio, a volte forse preoccupato, magari di fare una cattiva impressione, ma non era stupido. Fu proprio Federico ad afferrarlo con delicatezza per il polso, proprio dove la manica del maglione, leggermente sollevata, lasciava libera una striscia di pelle. La mano di Federico era caldissima, contrariamente alle sue.
- E’ meglio se ti appoggi a me, se becchi un altro colpo da una come quella finisci al tappeto! – gli disse, con una mezza risata. Dominik non rise, ma fece come gli aveva suggerito. lasciò che la mano scivolasse lungo il braccio del compagno, fino alla spalla. Federico indossava un giubbotto poco imbottito, liscio, con una tasca in corrispondenza della manica destra, e sulla spalla c’era un bottone, con un’applicazione. Gli aderiva alla spalla, probabilmente se fosse stato di una taglia più grande gli sarebbe risultato più comodo. Era caldo anche lì, sulla spalla; si sentiva anche attraverso il tessuto dei vestiti.
Camminare per gli scaffali del supermercato con lui accanto, aggrappato a lui, era diverso. Era come se, in quel modo, nessuno avrebbe mai potuto fargli del male. Era una sensazione strana, non era cambiato niente dai minuti precedenti; era solo a contatto con il suo corpo, ma si sentiva stranamente sicuro. Non si era mai sentito meno degli altri solo perché cieco, e aggrapparsi a Federico in quel momento era come ammettere di aver bisogno di qualcuno. Fino ad allora, aveva avuto la forza di ammetterlo solo con la mamma, solo a lei era permesso guidarlo in giro per Praga, o anche per Milano. Ma Federico era buono, poteva forse non permetterlo a lui?
Era sempre stato buono: comprava sempre cose gustose, cucinava cibo sano, gli spiegava le scene dei film alla televisione, gli aveva persino insegnato la posizione dei tasti sul telecomando, così avrebbe potuto guardare la televisione, come i canali di musica, senza aver bisogno di lui.
- Ti piacerebbe la cioccolata calda? La prendiamo? –
- Cioccolata? – Era bastata solo quella parola per rapirlo da tutti i suoi pensieri e riportarlo tra le file affollate di quel supermercato di Milano. Dominik adorava la cioccolata, in tutte le sue forme e varianti; si sarebbe accontentato persino di quella del supermercato, pur di averne. Lui, però, non aveva mai potuto prepararla quando viveva da solo: se per sbaglio si fosse bruciato, o avesse mandato a fuoco la casa? Aveva promesso alla mamma che non avrebbe fatto danni e che sarebbe stato attento. Ma adesso c’era Federico, con lui avrebbe potuto letteralmente affondare nella cioccolata! – Si prendiamola! E stasera ne facciamo milioni di tazze! – Federico rise, ancora accanto a lui.
- Addirittura milioni! Pensavo che facesse troppo caldo per la cioccolata. –
- Io la berrei anche ad agosto, non fa troppo caldo! E non ci sono i marshmellows? La mamma li mette sempre! –
- Vedremo, le caramelle sono alla cassa. Allora ne prendiamo due scatole per adesso, ok? Possono bastare? –
Il biondo annuì, ma era già più avanti, con il pensiero. Stava pensando a lui e Federico, insieme, sul divano, a bere la cioccolata calda, quella con i marshmellows; dolce, terribilmente.  
Tutto quel parlare di cioccolata lo aveva persino distratto dal pensiero di trovarsi in un supermercato, in mezzo alla gente. Con Federico era facile distrarsi, sentirsi al sicuro. Era sempre così buono. E lui che faceva? Si comportava male, come un bambino cocciuto. Ma cosa poteva saperne lui di cosa significasse sentirsi osservato dalle persone? Cosa poteva saperne di che inferno fosse trascorrere una giornata fuori, alle mercé degli sguardi delle persone? Solo la mamma sapeva come fare, come distrarlo da tutti. Federico no.
- Federico? –
- Mh? –
- Grazie, per poco fa… - Dall’altra parte ci fu un minuto di silenzio, durante il quale sentì la spalla del ragazzo, cui si era appoggiato,  sollevarsi in un gesto di indifferenza.
- E di che? –
- Allora sabato andiamo a vedere Milano? –
Non sarebbe stata una tragedia. Avrebbe voluto dire di averci pensato parecchio, nei due giorni precedenti, di aver riflettuto, di essersi reso conto di essere stato troppo precipitoso, e che in fondo in un’uscita non c’era niente di male. Ma non era vero; nei due giorni che erano trascorsi non aveva affatto cambiato idea, i dubbi e le paure c’erano tutti e non si erano mossi dalla loro sede. Solo che, in quei pochi minuti al supermercato, con la cioccolata, la signora che lo aveva urtato, la bresaola, si era  spostato lui dalla sua posizione, portandosi dietro le sue paure.
Federico era buono, non sarebbe successo nulla. Poi, una volta a casa, avrebbe chiamato la mamma per raccontarle tutto, e avrebbe suonato. Era certo che la sua musica sarebbe stata bellissima dopo aver assorbito la magnificenza di Milano.
Il fatto che Federico non aveva risposto subito, però, lo preoccupava. Ci mise qualche minuto prima di parlare.
- Questo sabato? Credevo non volessi uscire. –
- Ho cambiato idea. Non vuoi? –
- No, è che… - Un’altra pausa.  Federico doveva essere ancora arrabbiato con lui; avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poterlo toccare, di poter vedere la sua espressione. Anche la cioccolata. Alla fine Federico sospirò. – Certo che andiamo a vedere Milano  – sussurrò, prima di affrettarsi a cambiare discorso concentrandosi sulle mele da comprare.
Dominik non disse altro, non c’era niente da dire.
Certo, però, che Federico era proprio strano.




Nota al capitolo 4:
Rieccomi!
Ho postato con un giorno di ritardo perchè questi giorni sono così di totale relax che non faccio che dormire!
L'esame è andato benissimo, sono tornata a casa con un bel 30! E finalmente ritorno ai miei Dominik e Federico!
Inizio con il dirvi che ho nella mia testa praticamente una ventina di capitoli, ma per arrivarci devo scriverne ancora qualcuno!xD Questo è un capitolo di passaggio, dove ho voluto mostrare Federico in un luogo diverso da casa sua, e senza Dominik. E poi un'altra parte  dal punto di vista di Dominik: alla fine devo dire che in questo capitolo non succede un bel niente, ma nel prossimo capitolo vedremo finalmente Federico tirar fuori una parte della sua vera personalità.
Conto di aggiornare presto, e spero di leggere i vostri commenti! ^_^
Spero che non restiate delusi, ma questo capitolo era di fatto necessario! Alla prossima, un bacio!
   
 
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