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Autore: May_Z    28/09/2012    3 recensioni
Una serie di coincidenze, due strade che si uniscono, due vite che cambiano. Un passato stanco di restare nascosto, un presente da scoprire, un futuro che si fa sempre più incerto. Ombre nascoste in un cassetto, melodie canticchiate sottovoce, una porta che si apre per la persona sbagliata. Carte da gioco sparse sul letto, risate inaspettate, il sedile condiviso di un taxi. Profumo di caffè, gocce di pioggia fra i capelli, l'odore penetrante del fumo di un sigaro. E poi loro, un ragazzo e una ragazza. Hayden e Claire. E la loro storia.
Prima classificata al contest "Un giorno lo incontrerai (Originale Romantico)" indetto da MedusaNoir
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nome (su Efp e sul forum): May_Z
Titolo: Roxanne
Genere: Romantico
Rating: Arancione
Avvertimenti: //
Introduzione: Una serie di coincidenze, due strade che si uniscono, due vite che cambiano. Un passato stanco di restare nascosto, un presente da scoprire, un futuro che si fa sempre più incerto. Ombre nascoste in un cassetto, melodie canticchiate sottovoce, una porta che si apre per la persona sbagliata. Carte da gioco sparse sul letto, risate inaspettate, il sedile condiviso di un taxi. Profumo di caffè, gocce di pioggia fra i capelli, l'odore penetrante del fumo di un sigaro. E poi loro, un ragazzo e una ragazza. Hayden e Claire. E la loro storia.
Note iniziali: La storia, inizialmente, era stata concepita come One-Shot; scrivendo, però, si è allungata a dismisura e penso che una One-Shot di un tal numero di pagine sia piuttosto “scoraggiante”. Per questo motivo ho deciso di suddividerla in tre parti.
Inoltre ci tengo ad avvisare che gli avvenimenti narrati non seguono l'ordine cronologico quindi bisogna fare un po' attenzione alle date segnalate.
Per il resto ci vediamo sotto!

 

 

 

 

 

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13 Aprile 2010, ore 22.49
Upper East Side, Manhattan

 

Il fiato sul suo collo che odorava di fumo e lussuria.
Il peso di un corpo che non le apparteneva che premeva prepotentemente contro il suo.
Il respiro serrato nel petto, che non ne voleva saperne di liberarsi.
Gli occhi di un uomo che non l'avevano mai guardata davvero.
Quelle parvenze di vestiti, gettate sulla poltrona da mano incurante, che la fissavano con aria di rimprovero.
Da tempo aveva imparato a convivere con tutto quello: era il suo mondo, ormai, e la voce della coscienza che tentava di ricordarle quei valori cui era solita aggrapparsi era stata messa a tacere. La ragazza che era prima se n’era andata, sbiadita, e lei aveva smesso di rimpiangerla; ora era solo Roxanne, una femme de la nuit, e le andava bene così. E di tutto il resto non le importava… o, almeno, era quello di cui tentava di convincersi giorno dopo giorno, notte dopo notte, uomo dopo uomo.
Quando, però, la sua testa si voltò involontariamente a destra e il suo sguardo sfiorò nuovamente quel cassetto – e il suo contenuto, al quale si proibiva continuamente di pensare – il gelo ostinato dei suoi occhi si sciolse, rammentandole che era inutile continuare a mentire a se stessa, che, dopotutto, di qualcosa ancora le importava.
In quel momento un brivido le percorse la schiena e, come se una scossa l’avesse risvegliata dal tepore apatico che l’aveva avvolta, afferrò con decisione le spalle dell’uomo e lo fece voltare, stendendolo supino sotto di sé; con un movimento fluido oltrepassò il suo corpo con una gamba e si mise a cavalcioni sul suo bacino. Poi posò le mani sul suo petto, percorrendolo con le unghie, e, per un solo istante, lo sguardo della giovane donna si sollevò, verso il soffitto, lasciando che la lacrima che le si era formata all’angolo dell’occhio le scivolasse sulla guancia arrossata, sul collo, tra i seni sodi, sull’addome contratto, sulla linea morbida dei fianchi... poi quella lacrima si posò sul lenzuolo e, riabbassando lo sguardo, la giovane donna la vide scomparire. Con essa scomparì anche l’unica testimone di quel momento di debolezza e lei poté ricominciare a mentire a se stessa.

 

 

 

10 Febbraio 2009, ore 17.38
fuori dal “Coffee seeds”, Brooklyn

 

Claire allacciò l’ultimo bottone del cappotto e iniziò a lavorare al groviglio di auricolari, portachiavi e penne che si era formato all’interno della sua borsa. Concentrata su ciò che aveva fra le dita, Claire si avviò in direzione della stazione della metropolitana, percorrendo il tragitto che ormai conosceva meglio di casa sua; felice di avere concluso indenne un’altra giornata di lavoro e assaporando la serata tranquilla che le si prospettava, quasi non si accorse della mano che lei si posò sulla spalla, impedendole di proseguire.
«Claire».
I muscoli del collo si irrigidirono al suono di quella voce e la pelle del suo viso impallidì visibilmente: dal loro ultimo incontro, a casa dei McGill, Claire aveva sperato ardentemente di non dover mai più essere obbligata a scorgere nemmeno da distante quell’inconfondibile silhouette in bilico su Jimmy Choo dal tacco a spillo – speranza ovviamente vana visto che Louise altro non era che l’affezionata sorella del suo ragazzo.
«Louise» ribatté, con tono piatto, senza sforzarsi di dimostrare gentilezza o entusiasmo o qualsiasi altra sfumatura di emozioni positive che l’animo umano era in grado di spaziare. «Sono davvero felice di rivederti».
Louise, apparentemente insofferente al sarcasmo dimostrato da Claire, si avvicinò a lei, l’afferrò per le spalle e la costrinse a fronteggiarla.
«Vedo che hai la memoria corta,» sibilò «oppure sei solo tremendamente ottusa. Ma, onestamente, non sono qui per indagare i perversi meccanismi del tuo cervello… mi sembrava di essere stata piuttosto chiara quando ti ho detto di stare distante da Hayden».
Claire, incredula, scosse la testa e le sue labbra si storsero in un sorriso carico di esasperazione.
«Quando ti ho detto di stare distante da Hayden?» esclamò, con le pupille che, se fosse stato possibile, avrebbero scoccato saette incandescenti sui lineamenti odiosamente perfetti di Louise. «Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Mi spiace deluderti, ma non siamo in uno di quei scontatissimi telefilm di serie B dove la madre stronza di turno – be’, la sorella, in questo caso specifico – minaccia o tenta di corrompere la ragazza del suo adorato figliolo affinché lo lasci, e solo perché la ritiene inferiore allo standard a cui sono sempre stati abituati. Questa è la vita reale, Louise, e questi giochetti non funzionano».
Quasi non prese respiro nello sputare in faccia a Louise quelle parole e, di conseguenza, si ritrovò ad ansimare in maniera molto poco elegante una volta concluso il discorso; solo quando si rese conto del sorrisetto irriverente che deformava la bocca di Louise, però, la sua irritazione giunse al culmine.
«So perfettamente di non essere in un film, credimi,» rispose Louise amabilmente, per nulla scalfita dal discorsetto di Claire «e so anche che non me ne fregherebbe niente se mio fratello uscisse con una spazzina». Fece una pausa e fissò i suoi occhi in quelli sgranati di Claire; poi proseguì, curandosi di imprimere di veleno la frase che si apprestava a pronunciare: «Ma tu… tu sei solo una schifosa puttana».
A quelle parole Claire sentì le mani tremare senza controllo, il sangue che ribolliva nelle tempie, le guance accaldate che si tingevano di un rosso innaturale: fu necessaria tutta la forza di volontà di cui era in possesso per non schiaffeggiare Louise seduta stante, per non scagliarsi su quello sguardo carico di soddisfazione, di malignità malamente dissimulata, di consapevolezza di aver vinto ancora prima di iniziare a giocare.
«Vedo che sei in grado di controllarti: sai, sono un po’ delusa che tu non mi abbia ancora insultata o schiaffeggiata» proseguì Louise, imperterrita. «Mossa degna di ammirazione, te lo riconosco; e dopo che avrò detto tutto di te a Hayden… be’, sarà contento di sapere che almeno non sei una sboccata violenta».
«Io non sono più quella persona. E Hayden capirà, lo conosco… e lo conosci anche tu: sai che capirà» riuscì finalmente a ribattere Claire, dopo aver inspirato un paio di volte e dato refrigerio ai polmoni infiammati.
«Certo che lo conosco,» la rimbeccò Louise, quasi accondiscendente «ma temo sia tu quella che non sa proprio tutto. Dimmi… hai mai conosciuto la cara Natalie?».
«Na-Natalie?».
«Natalie» confermò Louise. «Hayden ti ha mai detto di quanto tempo hanno passato insieme? Di come lei gli spezzò il cuore, dicendogli di non essere completamente certa di voler stare solo con lui? Di quanto lui fosse innamorato di lei e di tutto il tempo che impiegò anche solo per tentare di dimenticarla?». Si interruppe per scrutare l’espressione dipinta sul viso di Claire. «Immagino di no. Ma c’è una cosa che dovresti proprio sapere: Natalie si è finalmente decisa, lo rivuole. E se lo riprenderà».

È paradossale la maniera in cui, nei momenti di maggiore confusione, tutto appare incredibilmente più chiaro, come se tutto ciò che in precedenza sembrava privo di senso improvvisamente acquistasse un significato, un significato che, dopotutto, era sempre stato lì, in bella vista.
Claire ricordò tutte quelle telefonate rimaste senza risposta, il viso di Hayden che si rabbuiava nel riconoscere il numero sul display, il disagio che lo investì quel giorno in cui incontrarono Natalie al parco, il senso velato delle parole di lei, la riluttanza di Hayden nel parlare di quella ragazza. Tutto era talmente evidente che Claire si chiese come avesse fatto a non capire prima.
«Hayden m-mi ama,» balbettò infine «non mi f-farebbe mai una cosa del genere».
«Tu, mia cara, nemmeno immagini l’intensità del rapporto che lega Natalie e mio fratello; ciò che hanno passato… non si dimentica mai. E poi, una volta che l’avrò messo al corrente di tutta la verità, chi pensi sceglierà? La ragazza di cui è stato innamorato da quando aveva quindici anni e che è disposta a rinunciare a tutto pur di stare con lui, o l’ex-prostituta che conosce da appena due anni e che non ha nemmeno avuto il coraggio di dirgli le cose come stanno?».
Claire sentì la propria convinzione vacillare.
Se c'era una cosa di cui era sicura, quella era il suo essere decisa, ostinata e controllata, il suo avere sempre la risposta pronta e il non farsi mettere i piedi in testa da niente e nessuno; ma se in quel momento Claire avesse potuto guardarsi da un punto di vista oggettivo, probabilmente non si sarebbe riconosciuta. Quella non era lei e non riusciva ad accettarlo: non avrebbe permesso a Louise di portarle via anche il suo essere.
«Io...». Voleva davvero difendersi in qualche modo, risponderle a tono o mandarla a quel paese, accompagnando l'invito con una giusta dose di offese; ma, semplicemente, non ce la faceva. E Louise sembrò accorgersene.
«E poi,» proseguì Louise, bloccando sul nascere il suo tentativo di ribattere «quando Hayden sceglierà Natalie, chi ti rimarrà dopo che tutti sapranno cosa sei? Il tuo lavoro? La tua famiglia? I tuoi amici? Ah no, aspetta... a quello ci hai già pensato da sola: tu non hai amici» concluse, tagliente.
Claire si morse il labbro inferiore e serrò le mani a pugno, sentendo le unghie che penetravano sempre più a fondo nella carne; si chiese quanto disumana potesse essere la perfidia di una persona, ma non fu in grado di darsi una risposta.

Claire aveva sempre creduto che l'amore significasse solo inutili problemi, che rendesse le persone deboli e schiave, che minasse l'indipendenza di chi, come lei, desiderava una vita spogliata da vincoli sgraditi. Hayden le aveva insegnato che si sbagliava, che l'amore non fa male, ma è quella cosa che ti fa sentire meravigliosa anche quando sei a letto con l'influenza e sei più acida di un limone acerbo. Claire non voleva essere costretta a rinunciarci, ma si rese conto che, in quel momento, i suoi desideri contavano meno di niente.
«Perché lo fai?» domandò infine, incapace di dare voce a quei pensieri che sentiva dibattersi freneticamente dentro di lei.
«Perché sono disposta a fare di tutto, di tutto, purché una... una come te stia distante da Hayden. Ma visto che non mi sembri una stupida, voglio farti un favore: lascerò che sia tu a parlare di quello a Hayden».
Claire distolse lo sguardo dal sorriso serafico di Louise e si scostò da lei, incamminandosi nella direzione opposta rispetto a quella che aveva intrapreso prima di essere trascinata in quella stomachevole conversazione.
Prima di tornare a casa, aveva qualcosa da fare.

 

 

 

10 Febbraio 2009, ore 18.24
Upper West Side, Manhattan

 

Claire attraversò la strada e in pochi secondi raggiunse il marciapiede opposto. Il braccio sinistro era piegato davanti alla fronte, tentando di riparare la sua visuale dall'acquazzone che, da poco meno di mezz'ora, aveva iniziato a riversarsi sulla città. I capelli, i vestiti, le scarpe erano fradici; persino le ossa sembrava avessero bisogno di essere strizzate con forza prima di tornare all'asciutto abituale. Claire però non se ne curò e continuò a camminare imperterrita, maledicendo l'ironia di tutta quella situazione: tutto era iniziato con la pioggia e, con la pioggia, tutto sarebbe finito. Paradossale, quasi.
A pochi passi dal palazzo al quale era diretta, Claire si immobilizzò, agghiacciata: qualcuno, sotto lo stipite del portone, aveva appena chiuso l'ombrello e aveva suonato uno dei campanelli – il terzo a partire dall'alto, seconda fila da sinistra, per l'esattezza: non era possibile che riuscisse a distinguerlo, quello era più che certo, ma Claire lo sapeva. Sapeva anche di aver visto quella persona – che ora spingeva la porta con la spalla e si apprestava a entrare – una volta soltanto, ma quella figura era impressa così chiaramente nella sua memoria che le possibilità di sbagliarsi erano pressoché pari allo zero.
E così Claire osservò il portone chiudersi alle spalle di Natalie, e la immaginò salire sull'ascensore e bussare alla porta di Hayden ed entrare e rivolgergli quel suo sorriso malizioso. La immaginò seduta al tavolo, a guardare Hayden con quegli occhi da cerbiatta innocente e spiegargli – con tono sommesso e pause ben calibrate – quanto le cose fossero cambiate. Immaginò Hayden che l’ascoltava con le palpebre socchiuse, il suo viso attraversato da diffidenza, indecisione, comprensione… e poi cosa? Speranza, forse? Nostalgia?
Claire immaginò tutto questo, ma non fece niente; in fondo era meglio così.
Però rimase lì, sotto la pioggia, un giorno intero o forse pochi minuti, con l’acqua che le scivolava tra i capelli e la pelle tremante sotto i vestiti fradici: sperò che la tempesta la portasse via da quella vita, ladra crudele di felicità.

 

 

 

15 Febbraio 2009, ore 22.03
Brooklyn

 

Claire spalancò la porta.
«Cosa vuoi?» chiese, senza premurarsi di controllare chi fosse il visitatore che aveva continuato a bussare per più di trenta minuti.
«Cosa voglio?» tuonò Hayden – Claire notò che le sue pupille erano visibilmente dilatate. «Tu mi chiedi cosa voglio?» ripeté più forte, come per assicurarsi che Claire cogliesse ogni singola parola che usciva dalle sue labbra livide. «Non pensi di dovermi qualche spiegazione? Sono giorni che mi eviti: non rispondi né ai messaggi né alle telefonate, non ti presenti al lavoro, non ti fai trovare a casa… sai, quasi mi stupisce tu mi abbia aperto».
Piccole rughe si formarono tra le sopracciglia di Claire, la sua testa era inclinata lateralmente e i suoi occhi pericolosamente spalancati: sembrava stesse per scoppiare da un momento all’altro. Invece si fece da parte, lasciando che Hayden entrasse in casa; era un ex-prostituta, ma ciò non significava che le piacesse dare spettacolo in pubblico.
«Spiegazioni? La tua sorellina non è stata esauriente?» chiese con tono di sfida, non appena ebbe chiuso la porta.
Hayden le posò le mani sulle spalle e la costrinse a guardarlo; quando parlò, i loro visi erano talmente vicini che i nasi sembravano sfiorarsi. «Sì, Louise mi ha detto tutto di… di quello… ma, al di là del fatto che avrei voluto saperlo da te, non è questo il punto. Cosa pensavi, che ti avrei cacciata via da casa mia non appena me l’avessi detto? Che ti avrei giudicata senza prima chiedere spiegazioni? Si tratta di cinque anni fa, avrei capito». Tacque un istante per riprendere fiato. «Cristo santo, dopo tutto questo tempo non hai capito proprio un cazzo di me? Non mi importa, Claire, tu per me rimani la stessa ragazza che mi aggredì perché credeva stessi tentando di rubarle il taxi».
Claire ammutolì, incapace di spiccicare parola: certo, sapeva che Hayden avrebbe capito, ma non si sarebbe mai aspettata che a lui non importasse assolutamente nulla del suo passato, che sarebbe stato pronto ad accantonarlo e andare avanti.
Magra consolazione, pensò Claire; nulla cambiava il fatto che lei fosse ancora infuriata con lui.
«E di Natalie? Che mi dici?».
«Natalie? E lei cosa centra?» – Claire si congratulò mentalmente con lui: era davvero un bravo attore, lo stupore sul suo viso sembrava davvero autentico.
«Non è forse lei la ragazza di cui eri innamorato pazzo? Quella che continuava a telefonarti e di cui tu non mi hai mai parlato? Quella che è venuta a trovarti pochi giorni fa?» esclamò, esasperata. «E non sprecarti a negare,» aggiunse «io c’ero, l’ho vista».
Si sarebbe aspettata di tutto Claire: che Hayden iniziasse a negare, che abbassasse la testa e ammettesse la sua colpa, che si inginocchiasse e invocasse il suo perdono. Quello che non si aspettava era che scoppiasse a ridere.
«Lo trovi divertente?» brontolò Claire, infastidita più che mai.
«È questo il vero problema? Natalie?» – ok, forse la sua incredulità è autentica, ammise Claire a se stessa – «Credi che le sue patetiche scuse mi abbiano convinto? Che io sia capitolato ai suoi piedi? Che in tutto questo tempo io ti abbia mentito e non ti abbia confessato di essere ancora innamorato di lei?».
«Non è così?»
Hayden le prese il viso tra le mani. «No, non è così» disse, con tutta la dolcezza di cui era capace. «Mi ha spezzato il cuore, è vero, ma io non provo più niente per lei. Niente, hai capito?».
Claire annuì e finalmente lo guardò negli occhi, chiedendosi come diavolo avesse fatto a dubitare di lui.
«E sai cosa le ho detto?» proseguì Hayden, stringendola a sé. «Le ho detto che ti amo, che con te sono felice e che non desidero altro. E poi… poi le ho mostrato questo».
Hayden la lasciò per un istante e frugò nella tasca posteriore dei pantaloni, estraendone un piccolo astuccio blu notte; quando Hayden lo aprì e ne mostrò il contenuto, le labbra di Claire si schiusero appena: «Davvero non ti importa di quello che ero?» sussurrò.
«Mi importa solo di te» rispose Hayden, con semplicità. Poi le porse la scatolina aperta e Claire l'afferrò con mano tremante: osservò la sottile striscia di oro bianco che sembrava solo attendere di essere infilata al dito e la perfezione del diamante sulla sommità – piccolo a sufficienza da non risultare vistoso, ma lucente come un sole in piena notte. Hayden vide le sue labbra curvarsi in un sorriso e i suoi occhi inumidirsi, come un riflesso di tutte quelle parole che non avevano bisogno di essere dette a voce alta.
Quando Claire lo baciò, Hayden non poté fare a meno di notare che c'era come qualcosa di diverso in lei, qualcosa nel suo bacio che sapeva quasi di disperazione.
Hayden, però, decise di chiudere gli occhi e scacciare via quella sensazione.

 

 

 

14 Aprile 2010, ore 00.12
Upper East Side, Manhattan

 

Solo quando sentì la porta chiudersi alle spalle di Forbes la giovane donna si decise ad alzarsi; si passò una mano tra i capelli scompigliati, si rivestì in fretta e sistemò alla bell'e meglio le lenzuola stropicciate del letto. Dopodiché raccolse le banconote che lui le aveva lasciato all'angolo del letto e, senza contarle, le ripose nell'astuccio ricoperto di perline che teneva sul ripiano della toletta – oltre che a farsi mantenere in quella stanza, lontano da sguardi indiscreti, ogni volta si sorprendeva di quanto riuscisse a guadagnare da quei clienti così viscidi e disgustosamente ricchi.
Improvvisamente, come preda di uno spasmo involontario, aprì il cassetto con uno scatto e ne estrasse la scatolina che vi aveva chiuso dentro più di un anno prima. Vederla le faceva ancora male.
Le faceva male perché era perfettamente consapevole di non esserne la legittima proprietaria: lo era stata, una volta, ma l'aveva restituita; la scatolina, però, era rimasta sul suo letto nell'appartamento di Brooklyn, con l'unica intenzione di farla stare peggio di come già si sentisse.
Le faceva male perché sapeva di non meritarla, ma meritarla era tutto ciò che, in fondo, desiderava.
Le faceva male perché le ricordava lui. Ciò che avevano avuto. Ciò che avevano perso.
Le faceva male perché, proprio perché quel piccolo astuccio blu le era stato offerto, aveva perso tutto – il lavoro procuratole da Emily, l'amicizia di Julie, il rispetto della sua famiglia.ù
Ma, più di tutto, quella scatolina le faceva male perché le ricordava lei, quando era ancora solo Claire.

 

 

 

16 Febbraio 2009, ore 09.33
Brooklyn

 

Quando Hayden si svegliò e tese il braccio al suo fianco, si rese conto di essere solo.
Quando, involontariamente, poggiò una mano sul cuscino – sul quale sarebbero dovuti essere sparpagliati i capelli scuri di Claire –, le sue dita incontrarono la superficie liscia della scatola contenente l'anello accompagnata dalla forma spigolosa di un biglietto piegato in quattro.
Mi dispiace, ma non posso permettermi di perdere tutto. Sappi che continuo ad amarti, diceva.
Dopo averlo letto, Hayden indossò le scarpe e la giacca, appallottolò il pezzo di carta e se lo ficcò in tasca; poi uscì, lasciando l'anello sul cuscino.

 

 

 

17 Aprile 2010, ore 16.20
Central Park, Manhattan

 

Claire amava passeggiare lungo i viottoli di Central Park, soprattutto se a primavera: il profumo delle magnolie in fiore, il ronzio delle prime api, l’abbaiare dei cani, le risate spensierate di chi, come lei, decideva di liberarsi dalle preoccupazioni e sentirsi finalmente libero.
Quando raggiunse la sua meta – una panchina quasi in riva al lago, ottenebrata dalle fronde verdi di un salice e con incisi i nomi Annie e Tyler sul legno consunto – si fermò ed estrasse dalla borsa un pacchetto di sigarette; ne accese una e si sedette, chiudendo gli occhi e assaporando il piacevole tepore dei raggi di sole sulla sua pelle.
Riaprì gli occhi solamente quando senti una presenza al suo fianco, qualcuno che si era seduto alla sua stessa panchina e che ora osservava una barchetta telecomandata che, solitaria, era giunta fino a lì. Quando la presenza parlò e la salutò, chiamandola per nome, Claire sussultò e iniziò a tossire, tentando di sopire la bruciante sensazione del fumo disperso nella sua gola.
«Hayden?» boccheggiò, incredula.
«Sai, da quando me l’hai mostrato, questo posto mi è sempre piaciuto. Quando voglio staccare vengo qui… spero sempre di incontrarti».
Claire, a corto di parole, si portò la sigaretta fra le labbra e inspirò una copiosa boccata di fumo. «Davvero?» disse solo, evitando di guardarlo.
«Sì. Ma fino a oggi non era mai successo… a dirla tutta, sono secoli che non ti vedo in giro».
«La città è grande».
Hayden sorrise. «Questo è vero» rispose.
La barchetta ormai se n’era andata, riportata sulla retta via dal suo proprietario; due uccellini cinguettavano allegri su un ramo poco distante da loro e Claire gliene era davvero grata: sembrava fossero volati lì apposta, per colmare con il loro dolce canto il silenzio che era calato in quella zona dimessa del parco. L’attenzione di Claire sembrava rivolta tutta a loro e, per una manciata di minuti, sembrò che anche Hayden li stesse ascoltando; poi, però, interruppe quella melodia e si rivolse a lei: «Come te la passi?» chiese.
Claire sospirò e, posando il gomito sul ginocchio, si voltò finalmente a guardare Hayden: era esattamente come lei lo ricordava.
«Si tira avanti. Le cose non sono state proprio facili, per me» rispose infine, senza riuscire a impedire che un velo di amarezza intaccasse le sue parole.
«Senti, Claire,» intervenne subito Hayden, imbarazzato «mi dispiace davvero per tutto ciò che ha fatto Louise. Io… non ne avevo proprio idea».
«Lo so, Hayden». Non c’era sarcasmo nella sua voce, né alcun accenno di accusa: solo tanta – troppa – rassegnazione.
«Ma ehi,» si affrettò a proseguire Hayden «se ti può far star meglio, ho convinto mio padre a spedirla a lavorare in una miniera in Nepal».
Claire scoppiò a ridere e, in quel momento, fu come se i mesi trascorsi separati non fossero mai esistiti, come se tutto fosse tornato come prima. Anche se non era così.
«Non sapevo ci fossero miniere in Nepal» rispose, senza smettere di sorridere.
«Pensa, nemmeno io».
Claire diede un ultimo tiro alla sigaretta e la spense su un sasso ai piedi della panchina; poi infilò la borsa a tracolla e si alzò. «Ora devo andare» disse, senza saperne bene il motivo.
«Certo» rispose Hayden. Poi si alzò anche lui, le posò una mano sul braccio e le diede un lieve bacio sulla guancia. «Stammi bene, Claire» aggiunse.
Claire assentì con un cenno del capo e si mosse in direzione di un cestino poco distante, intenzionata a gettarvi il mozzicone di sigaretta che ancora teneva fra le dita. Dopo averlo fatto si voltò, dirigendosi verso lo stesso sentiero che l’aveva condotta alla panchina; improvvisamente, come se ci avesse ripensato, si voltò nuovamente verso Hayden.
«Anch’io sono felice che tu mi abbia trovata, finalmente» disse – e lo pensava davvero.
Hayden le sorrise nuovamente e, andandosene definitivamente da lì, Claire comprese che, quel sorriso, non l’avrebbe mai dimenticato.

Dal giorno in cui gli aveva lasciato quel fatidico biglietto si erano persi di vista: lui l’aveva chiamata e cercata, ma lei aveva fatto in modo di non lasciarsi trovare; e così, dopo un po’, lui si era dato per vinto, accettando la sua decisione e proseguendo con la sua vita. Ironico che l’avesse rincontrato proprio quel giorno, quando solo poche sere prima aveva ripreso in mano l’anello per la prima volta dopo tutto quel tempo. Claire ancora non riusciva ancora a spiegarsi perché gliel’avesse lasciato – dentro di sé, però, sperava fosse per lasciarle una parte di lui, una parte che, nonostante tutto, le sarebbe sempre rimasta a fianco.
E a quel pensiero, lì, nel mezzo di Central Park, Claire sorrise.
Sorrise, anche se non sapeva cosa l’aspettasse, non sapeva se sarebbe stata in grado di uscire – di nuovo – da quella vita, se sarebbe riuscita a rinunciare alla scelta più semplice, quella che, dopo che Louise le ebbe portato via tutto, le era sembrata anche l’unica scelta possibile.
Sorrise anche se ormai era sola da troppo tempo, se l’unica persona su cui poteva contare in quel momento era se stessa.
Sorrise anche se sapeva che, prima o poi, Hayden, il suo Hayden, si sarebbe innamorato di nuovo, e avrebbe guardato un’altra donna come era solito guardare lei.
Sorrise perché, nonostante tutto fosse stato mandato a puttane, nonostante quel fottuto destino le avesse strappato anche ciò che di più dolce aveva, lei e Hayden erano stati felici. E, quello, nessuno avrebbe potuto portarglielo via.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice
Ok, ecco qui l'ultima parte.
Innanzitutto (e prima che me ne dimentichi), per evitare fraintendimenti, spendo un paio di parole sull'ultima parte della storia (dal dialogo tra Claire e Louise in poi, per intenderci): Louise intima a Claire di stare lontana da Hayden perché, appunto, non vuole che suo fratello stia con un ex-prostituta; però le da anche la possibilità di dirgli la verità, senza bisogno che lo venga a sapere da altri. Quando Claire vede Natalie entrare in casa di Hayden decide di non dirgli nulla – pensando che, comunque, non cambierebbe nulla. Louise, allora informa di persona il fratello, al quale, però, non interessa chi o che cosa fosse Claire in passato; quindi le chiede ugualmente di sposarlo: Claire ne è felice, ma si rende conto di non essere disposta a rinunciare a tutto. Ho immaginato, però, che durante il confronto tra Hayden e Louise a proposito del passato di Claire, lui le abbia rivelato di avere intenzione di chiederle di sposarlo; per questo motivo, senza sapere quale sarà la risposta di Claire, Louise decide di dire la verità su di lei a tutti.
Inoltre sono perfettamente consapevole che la sorella cattiva, l'ex-fidanzata, la proposta di matrimonio ecc. sono elementi già visti, ma io ho tentato di rivisitarli in maniera un po' differente e personale – spero di esserci riuscita.
Ok, questo è quanto.
Che altro dire?
Un po' mi dispiace essere giunta alla fine – anche se la storia vera è propria era già stata conclusa qualche mese fa – ma, d'altra parte, sono anche davvero felice di essere stata in grado di portarla a termine; questa è la prima (e, speriamo, non ultima) originale che scrivo e sono parecchio soddisfatta del risultato – cosa che posso dire di poche storie scritte da me. Ci sono affezionata e spero che a voi sia piaciuta almeno una parte di quanto io ho amato scriverla.
Ok, ora evaporo – mi sono resa conto di non essere in grado di scrivere delle Note decenti... – e vi lascio al meraviglioso giudizio di MedusaNoir (♥)... se la storia è così lunga, prendetevela con lei e con il suo contest.

M.

 

 

 

PRIMA CLASSIFICATA:
Roxanne – May_Z


Grammatica: 9.7/10
Punteggiatura: 9.3/10
Forma e stile: 8.9/10
Utilizzo delle caratteristiche: 9/9
Utilizzo dell'elemento scelto: 1.5/3
Gradimento personale: 20/20

Totale: 58.4/62

Oddio. Oddio. E ora come faccio a partire dalla grammatica con queste antipatiche lacrime che minacciano di uscire? Vorrei concentrarmi subito sulla trama, accidenti!
Bene, ok, mi calmo. Grammatica: ok, qui hai fatto solo due errori di distrazione (“An, ok” e “privo si senso”) e… ehm… uno decisamente divertente. “Il mondo delle fiche colorate”: “fiche” è singolare, andrebbe scritto “fiches” e possibilmente in corsivo… È comprensibile come io non abbia capito immediatamente cosa volessi dire xD
In “non aveva voluto saperne di suonare”, “ne” sostituisce “di suonare”, quindi dopo “saperne” andrebbe la virgola (stessa cosa con “lo” de “il taxi l’ho visto”); “sai” va inserito fra due virgole (“perché sai”); “Sapeva che se… confidenza, lui” è sbagliato, perché la frase introdotta da “se” divide “Sapeva che” dal “complemento oggetto”, quindi dovresti togliere la virgola o inserirla anche dopo “che”, mentre andrebbero tolte entrambe in “Perché, quella giovane donna attraente, non era” (soggetto e verbo sono qui erroneamente divisi).
Mi dispiace averti tolto punti nello stile per alcune ripetizioni (“poggiava/poggiolo”, “importava/importava”, “lei/lei” di “davvero interessato a lei – anche se lei non ne comprendeva il motivo”, “non riuscì/non riuscì”, “cucina/cucina”, “illuminato/illumina”) e per un gerundio subordinato a un altro gerundio “sedendosi/nascondendola”) che rende un po’ “pesante” la frase. Per il resto, ho bisogno di dirtelo? No, May, tu sai bene quanto io veneri il tuo stile! Uso calibrato di punti fermi, due punti e punti e virgola; alternanza perfetta di dialoghi e riflessioni; descrizioni talmente approfondite che sembra che tu abbia vissuto a New York. È tutto così… perfetto. Se avessi utilizzato un altro stile mantenendo la stessa trama, non credo sarebbe venuta fuori una storia così bella.
L’ironia e i gusti in comune con la ragazza sono elementi decisamente “di spicco” nella caratterizzazione di Hayden, che fin dalla prima descrizione ho immaginato come Jude Law; non mi capita spesso di dare volti famosi a personaggi delle storie che leggo, solo se ci penso attentamente, mentre in questo caso sono emersi chiaramente sia il volto di Jude Law che quello di Kaya Scodelario per Claire. Ma questo è dovuto anche al fatto che io penso sempre a lei. Va bene, torniamo alle caratteristiche: sono d’accordo con te per la scelta di non far “tentare” di continuo Hayden, la storia sarebbe risultata pesante e poco realistica; tuttavia sei riuscita comunque a dare l’idea della fedeltà sia nell’episodio di Natalie sia nel finale (in un certo senso è rimasto fedele alla sua ricerca di Claire).
Purtroppo ho dovuto dimezzarti il punteggio nell’elemento, perché si tratta del “rapporto” di una notte, ma non è evidentemente “inaspettato”.
Bene. Passiamo al contenuto. Bene, ok, soffermiamoci su questo. Hai presto 20? Toh, non l’avrei mai detto! Ero certa, conoscendo le tue storie, che avresti scritto un racconto piacevole, ma non che ti saresti spinta fino a questo punto. Se mi è venuto in mente Jude Law uno o più motivi ci sono stati: la descrizione iniziale di Hayden, che mi ha fatto ricordare Jude in “Alfie” (poi basta con questo film, perché sono due personaggi completamente differenti); il barista e la cliente che si parlano ogni giorno, però a ruoli invertiti, come in “Un bacio romantico”; l’alternarsi di presente e flashback (per quanto nel film che sto per nominare si tratta di piccole scene con lunghi sbalzi temporali) e l’atmosfera pervasa da un senso di ineluttabile drammaticità di “Closer”. Credo che questo elenco di elementi possa descrivere tutto ciò che mi è piaciuto della storia.
Alla fine, però, non è per Claire che provo tanto tristezza: Hayden era stato innamorati di Natalie da quando aveva quindici anni, era finalmente riuscito a togliersela dalla mente con Claire al punto che quando Natalie torna da lui non ha problemi a rifiutarla, dà l’anello a Claire e poi viene mollato. Ma poverino! Voglio un seguito, lo sai? Anche di poche pagine, come vorrei che esistesse un seguito per “Closer”. Odio i finali aperti. Ah, questo è bello che chiuso? Ok, odio i finali tristi.
Ultima cosa da dire: hai usato qualche clichè, ma li hai usati bene; adoro alcuni elementi che si riscontrano spesso nelle tipiche commedie romantiche americane, per cui non posso fare a meno che apprezzare come sei riuscita a giostrarli.
Complimenti, May!

  
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