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Autore: Rick_Holden    28/09/2012    0 recensioni
Il peso della creazione...
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il dettaglio era tutto: la sfumatura perfetta, il colore più adatto, le linee più sinuose e leggiadre. Ogni cosa doveva essere nel giusto spazio per la meravigliosa creazione. La tela si incrinava sotto il peso del pennello, mentre Lui lo agitava con i movimenti pirotecnici della danza d'amore della sua arte. Il colore si amalgamava nelle macchie, raggiungendo il giusto componimento che solo la mente di Lui aveva saputo immaginare.
Non era più Lui a stringere il pennello, non era più Lui a colorare quello spazio bianco, ma era il suo spirito che lo possedeva ed imprimeva le sue stesse tracce come il migliore dei quadri. Un diavolo gli era entrato in corpo e si muoveva con le ali e le mosse di un angelo nella sua più folle danza. 
Emozioni e sentimenti si mischiavano alle coloriture di sensazioni mai provate ed immaginate nel ritratto del viso più dolce e vivo che mano umana avesse mai accarezzato: ciocche di capelli che si appoggiavano soavemente sulla rosea spalla di una pelle così liscia e  soffice che sembrava quasi di poterla sfiorare e baciare. E dietro questa un volto pudico faceva capolino sotto una folta chioma rossastra, pieno di una infantile sorpresa e, allo stesso tempo, giovanile sensualità. Gli occhi, grandi come due enormi smeraldi incastonati nel monumento perfetto, mostravano una bellezza che le parole non potranno mai riportare ed un'armonia pronta a risvegliare la primavera nell'animo del più freddo degli uomini.
Quale descrizione di futili e ripetitive parole potrà mai mostrare la bellezza innata nell'arte dell'animo di Lui? Il volo del diavolo che lo possedeva non faceva altro che rendere più armonioso quella creazione ad ogni battito d'ali. 
Passarono minuti, ore, giorni, nei quali Lui danzò ancora con i suoi demoni, finché non ebbe raggiunto il momento in cui il volto nel quadro lo guardava con più vita di quanta Lui stesso potesse averne o sognarne. L'arte lo osservava attraverso quegli occhi che aveva dipinto con tanta dolcezza e, per un attimo, sentì un freddo brivido scorrergli lungo la schiena, quasi come se in quel momento si fosse reso conto di aver messo al mondo un figlio di inumana bellezza e la responsabilità di tutto ciò gli fosse ricaduta sulle spalle improvvisamente, lasciandolo preda di una paura così viscida e violenta da farlo tremare. Il terrore della creazione lo immobilizzò e stritolò con una morsa tale da provocargli dolore lancinante a tutte le ossa. L'impulso di fuggire crebbe in Lui come un impeto folle: sarebbe scappato di fronte al suo creato, sarebbe andato dove nessuno lo conosceva e nessuno avrebbe potuto rintracciarlo, avrebbe bruciato il quadro senza guardarlo e nessuno l'avrebbe mai visto, nessuno avrebbe mai amato la sua creazione, nessuno gliela avrebbe mai portata via, nessuno la avrebbe mai reso sua! Non poteva rischiare che qualcun altro la toccasse o la amasse più di Lui! Troppo di Lui era impresso in quel volto. Il demone lo aveva attraversato ed ora era stampato su quella tela a mostrare il suo stesso animo. Chi avesse visto quel quadro avrebbe conosciuto il suo intimo più profondo.
 Rapito dalla follia Lui si lanciò in avanti ed afferrò la tela senza lasciare che i suoi occhi si posassero sul viso dipinto su quest'ultima. Lo strinse con dolcezza per evitare che graffi inutili lo rovinassero: se anche le fiamme lo avrebbero preso, lo avrebbero preso intero, l'intera parte del suo animo. Cercò disperatamente un fiammifero in quel suo piccolo appartamento d'artista: non era neanche sicuro di averne ed ormai si era quasi abbandonato all'idea di dover uscire per comprarne quando ne trovò un paio, nascosti in una mensola. La sua piccola opera era adagiata sul tavolo, con il volto coperto e nascosto da qualsiasi occhio indiscreto. Ora doveva mettere fine alla sua breve vita, o qualcun altro la avrebbe potuta amare.
Si avvicinò lentamente cominciando già a sentire il dolore acuto della perdita a cui stava andando incontro ed ogni passo non faceva altro che aumentare la sua disperazione, ma la stessa cosa che lo rendeva più felice aveva in sè il potere di andarsene da lui, fuggire e abbandonarlo. Non poteva sopportare un tale dolore.
Sfiorò i bordi della tela e lasciò che le sue dita accarezzassero ancora quella superficie così ruvida e dolce allo stesso tempo. Si soffermò a pensare a ciò che era stato capace di fare, a come era riuscito ad inspirare vita e colore nel vuoto, a quale creatura si era dovuta impossessare di Lui per permettere la nascita dell'arte che era sotto i suoi occhi. Erano stati momenti di privata ed inebriante felicità, nel quale tutte le più pure e sfrenate emozioni scorrevano e accompagnavano il movimento della sua mano. Ed è stato in quei momenti che il mondo aveva deciso di fargli compagnia con i suoi drammi e le sue gioie, con le sue paure ed i suoi sogni, con le sofferenze del cuore e le urla di felicità. E tutto ora era lì, tra le sfumature, tra i colori, tra le linee, tra i punti. Bruciare quella creazione era come bruciare il mondo intero e tutto ciò che questo rappresentava. Non poteva permettersi un atto di tale crudeltà.
Tirò su la tela dal tavolo e la rigirò in modo da poter vedere nuovamente quel volto che il mondo gli aveva permesso di dipingere e ne rimase estasiato. La bellezza lo colpì ancora e ancora il terrore cominciò a contorcere il suo stomaco. Fu allora che capì.
Chiuse gli occhi, abbandonò il quadro sul tavolo.
Indietreggio.
Passo dopo passo.
Sentiva il dolore lancinante salirgli lungo la gola ed avrebbe voluto gridare ogni colore della sua pena, ogni sfumatura della sua sofferenza, avrebbe voluto che tutti capissero la miseria di un padre.
Non avrebbe mai potuto toccare o ferire ciò che amava. Non avrebbe mai potuto chiedere a questo un sacrificio così grande. 
Lo avrebbe perso sicuramente. Si sarebbe addormentato e, al mattino seguente, il figlio che tanto amava se ne sarebbe andato. Quanta altra gente lo avrebbe amato, lo avrebbe violato, lo avrebbe rovinato. Ma non poteva distruggere ogni vita per prevenire al dolore che avrebbe provato. Avrebbe voluto proteggerlo, avrebbe voluto proteggere se stesso, ma per farlo avrebbe dovuto ucciderlo.
Non poteva.
Indietreggiò ancora e ancora, finché non fu arrivato.
Allora inspirò e prese tutta l'aria che i suoi polmoni erano in grado di tenere, la raccolse e la fermò in sè finché non cominciò a fargli male.
Allora espirò dolore e coscienza.
Il suo diavolo avrebbe volato ancora.
Si spinse indietrò e sentì il vento attraversargli i vestiti ed accarezzargli la pelle mentre attraversava la finestra e cominciava a precipitare verso il vuoto.
Avrebbe lasciato tutta la vita e tutte le infinite possibilità a suo figlio, alla sua così bella creazione, avrebbe permesso a tutti di vedere quest'ultima e la gente presto avrebbe saputo del folle che danzava col diavolo e che aveva preferito morire piuttosto che vedere la cosa che più amava abbandonarlo.
Ed avrebbero detto ancora.
Ed avrebbero visto tutti.
Lo avrebbero visto volare. 
Un'ultima volta.


 

 

 

Il dettaglio era tutto: la sfumatura perfetta, il colore più adatto, le linee più sinuose e leggiadre. Ogni cosa doveva essere nel giusto spazio per la meravigliosa creazione. La tela si incrinava sotto il peso del pennello, mentre Lui lo agitava con i movimenti pirotecnici della danza d'amore della sua arte. Il colore si amalgamava nelle macchie, raggiungendo il giusto componimento che solo la mente di Lui aveva saputo immaginare.

Non era più Lui a stringere il pennello, non era più Lui a colorare quello spazio bianco, ma era il suo spirito che lo possedeva ed imprimeva le sue stesse tracce come il migliore dei quadri. Un diavolo gli era entrato in corpo e si muoveva con le ali e le mosse di un angelo nella sua più folle danza. 

Emozioni e sentimenti si mischiavano alle coloriture di sensazioni mai provate ed immaginate nel ritratto del viso più dolce e vivo che mano umana avesse mai accarezzato: ciocche di capelli che si appoggiavano soavemente sulla rosea spalla di una pelle così liscia e  soffice che sembrava quasi di poterla sfiorare e baciare. E dietro questa un volto pudico faceva capolino sotto una folta chioma rossastra, pieno di una infantile sorpresa e, allo stesso tempo, giovanile sensualità. Gli occhi, grandi come due enormi smeraldi incastonati nel monumento perfetto, mostravano una bellezza che le parole non potranno mai riportare ed un'armonia pronta a risvegliare la primavera nell'animo del più freddo degli uomini.

Quale descrizione di futili e ripetitive parole potrà mai mostrare la bellezza innata nell'arte dell'animo di Lui? Il volo del diavolo che lo possedeva non faceva altro che rendere più armonioso quella creazione ad ogni battito d'ali. 

Passarono minuti, ore, giorni, nei quali Lui danzò ancora con i suoi demoni, finché non ebbe raggiunto il momento in cui il volto nel quadro lo guardava con più vita di quanta Lui stesso potesse averne o sognarne. L'arte lo osservava attraverso quegli occhi che aveva dipinto con tanta dolcezza e, per un attimo, sentì un freddo brivido scorrergli lungo la schiena, quasi come se in quel momento si fosse reso conto di aver messo al mondo un figlio di inumana bellezza e la responsabilità di tutto ciò gli fosse ricaduta sulle spalle improvvisamente, lasciandolo preda di una paura così viscida e violenta da farlo tremare. Il terrore della creazione lo immobilizzò e stritolò con una morsa tale da provocargli dolore lancinante a tutte le ossa. L'impulso di fuggire crebbe in Lui come un impeto folle: sarebbe scappato di fronte al suo creato, sarebbe andato dove nessuno lo conosceva e nessuno avrebbe potuto rintracciarlo, avrebbe bruciato il quadro senza guardarlo e nessuno l'avrebbe mai visto, nessuno avrebbe mai amato la sua creazione, nessuno gliela avrebbe mai portata via, nessuno la avrebbe mai reso sua! Non poteva rischiare che qualcun altro la toccasse o la amasse più di Lui! Troppo di Lui era impresso in quel volto. Il demone lo aveva attraversato ed ora era stampato su quella tela a mostrare il suo stesso animo. Chi avesse visto quel quadro avrebbe conosciuto il suo intimo più profondo.

 Rapito dalla follia Lui si lanciò in avanti ed afferrò la tela senza lasciare che i suoi occhi si posassero sul viso dipinto su quest'ultima. Lo strinse con dolcezza per evitare che graffi inutili lo rovinassero: se anche le fiamme lo avrebbero preso, lo avrebbero preso intero, l'intera parte del suo animo. Cercò disperatamente un fiammifero in quel suo piccolo appartamento d'artista: non era neanche sicuro di averne ed ormai si era quasi abbandonato all'idea di dover uscire per comprarne quando ne trovò un paio, nascosti in una mensola. La sua piccola opera era adagiata sul tavolo, con il volto coperto e nascosto da qualsiasi occhio indiscreto. Ora doveva mettere fine alla sua breve vita, o qualcun altro la avrebbe potuta amare.

Si avvicinò lentamente cominciando già a sentire il dolore acuto della perdita a cui stava andando incontro ed ogni passo non faceva altro che aumentare la sua disperazione, ma la stessa cosa che lo rendeva più felice aveva in sè il potere di andarsene da lui, fuggire e abbandonarlo. Non poteva sopportare un tale dolore.

Sfiorò i bordi della tela e lasciò che le sue dita accarezzassero ancora quella superficie così ruvida e dolce allo stesso tempo. Si soffermò a pensare a ciò che era stato capace di fare, a come era riuscito ad inspirare vita e colore nel vuoto, a quale creatura si era dovuta impossessare di Lui per permettere la nascita dell'arte che era sotto i suoi occhi. Erano stati momenti di privata ed inebriante felicità, nel quale tutte le più pure e sfrenate emozioni scorrevano e accompagnavano il movimento della sua mano. Ed è stato in quei momenti che il mondo aveva deciso di fargli compagnia con i suoi drammi e le sue gioie, con le sue paure ed i suoi sogni, con le sofferenze del cuore e le urla di felicità. E tutto ora era lì, tra le sfumature, tra i colori, tra le linee, tra i punti. Bruciare quella creazione era come bruciare il mondo intero e tutto ciò che questo rappresentava. Non poteva permettersi un atto di tale crudeltà.

Tirò su la tela dal tavolo e la rigirò in modo da poter vedere nuovamente quel volto che il mondo gli aveva permesso di dipingere e ne rimase estasiato. La bellezza lo colpì ancora e ancora il terrore cominciò a contorcere il suo stomaco. Fu allora che capì.

Chiuse gli occhi, abbandonò il quadro sul tavolo.

Indietreggio.

Passo dopo passo.

Sentiva il dolore lancinante salirgli lungo la gola ed avrebbe voluto gridare ogni colore della sua pena, ogni sfumatura della sua sofferenza, avrebbe voluto che tutti capissero la miseria di un padre.

Non avrebbe mai potuto toccare o ferire ciò che amava. Non avrebbe mai potuto chiedere a questo un sacrificio così grande. 

Lo avrebbe perso sicuramente. Si sarebbe addormentato e, al mattino seguente, il figlio che tanto amava se ne sarebbe andato. Quanta altra gente lo avrebbe amato, lo avrebbe violato, lo avrebbe rovinato. Ma non poteva distruggere ogni vita per prevenire al dolore che avrebbe provato. Avrebbe voluto proteggerlo, avrebbe voluto proteggere se stesso, ma per farlo avrebbe dovuto ucciderlo.

Non poteva.

Indietreggiò ancora e ancora, finché non fu arrivato.

Allora inspirò e prese tutta l'aria che i suoi polmoni erano in grado di tenere, la raccolse e la fermò in sè finché non cominciò a fargli male.

Allora espirò dolore e coscienza.

Il suo diavolo avrebbe volato ancora.

Si spinse indietrò e sentì il vento attraversargli i vestiti ed accarezzargli la pelle mentre attraversava la finestra e cominciava a precipitare verso il vuoto.

Avrebbe lasciato tutta la vita e tutte le infinite possibilità a suo figlio, alla sua così bella creazione, avrebbe permesso a tutti di vedere quest'ultima e la gente presto avrebbe saputo del folle che danzava col diavolo e che aveva preferito morire piuttosto che vedere la cosa che più amava abbandonarlo.

Ed avrebbero detto ancora.

Ed avrebbero visto tutti.

Lo avrebbero visto volare. 

Un'ultima volta.

 

 

  
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