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Autore: Deirbhile    28/09/2012    1 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo undici: Il confine della solitudine è un tè caldo

 

 

Quella mattina, mentre Chiara usciva dalla libreria del Corso, era particolarmente uggiosa. Il cielo, tanto plumbeo da far accapponare la pelle, si ergeva come una distesa greve e polverosa, macchiata di tanto in tanto da guizzi folgoranti. Faceva freddo, così si strinse di più nel giaccone e affondò le mani nelle tasche, camminando con la testa leggermente china sotto il peso dello zaino. Decise di fare un’altra strada per arrivare al liceo, quella che usciva dal centro e passava per il condominio dove abitava Carmen.  Minacciava pioggia e Chiara camminava spedita, con un cipiglio infastidito. Quella mattina si sentiva stranamente inquieta. Forse perché doveva rientrare a scuola dopo il week-end passato a casa a riposarsi, per riprendersi dal quasi inesistente sbalzo di temperatura e riacquistare familiarità con la sua vita quotidiana. Non certo perché era curiosa di rivedere Roberta Della Corte, no. Suonò frettolosamente al citofono e si appoggiò al muretto vicino, aspettando di vedersi comparire davanti Carmen.

- Hai una faccia pallida- così la salutò quella, sorridendo mestamente. Evidentemente nemmeno a lei andava di tornare a stare dietro al banco con gli occhi della Manzi che la fissavano malignamente, come una civetta.

- La mia faccia è sempre la stessa- mugugnò la rossa, calpestando un mucchietto di fango che si era depositato ai bordi del marciapiede. La neve era quasi scomparsa, ma il suo gelo aleggiava come un fantasma fra le loro ossa. Carmen non demorse, era abbastanza usuale trovarla  in quello stato, scontrosa, acida e misantropica.

- Che vitalità… ieri ho visto che tornavi a casa con Riccardo…-

Tentò un approccio amichevole, vedendola così restia a parlare. Non c’era malizia nella sua voce, solo l’invadente curiosità che caratterizzava ogni migliore amica.

- Si infatti, mi ha aiutato a portare le valigie…-

   Chiara cominciò a pentirsi di averla chiamata per fare la strada insieme. Non voleva parlare con nessuno, senza un motivo preciso. Voleva solo stare in silenzio e sentire che c’era qualcuno vicino a lei.

- Va tutto bene?-

Non rispose, disse solo che aveva bisogno di un abbraccio. Carmen sembrò sorprendersi, erano così rari i momenti in cui l’amica si lasciava andare a manifestazioni d’affetto con qualcuno che non fosse Riccardo. L’abbracciò e sentì i suoi capelli mossi sfiorarle il collo, mentre la città ancora taceva, nonostante fossero già le sette e mezzo del mattino.

 

Quando entrò in classe Chiara notò che tutti avevano la stessa espressione di insofferenza stampata sui visi assonnati. Si accasciò sul banco, togliendosi il cappello di lana e gettandosi lo zaino ai piedi. Sabrina la raggiunse poco dopo, silenziosa e abbacchiata, e la salutò sommessamente, mentre anche Vanessa e Roberta prendevano posto più in là.  Non degnò la rossa di uno sguardo, si aggiustò i capelli ricci e cominciò a chiacchierare rumorosamente con la compagna di banco.

Chiara si trovò a fissare stizzita il loro banco, infastidita dal sorriso di Della Corte, dalla sua allegria e dalla sua risata cristallina.

“Sta bene” pensò amaramente. Qualcosa le si mosse nello stomaco, forse invidia, forse rabbia ingiustificata.  Forse perché si era aspettata di vederla con la stessa espressione vuota di quella sera in albergo. Il fatto che non fosse così sembrò sorprenderla ed inquietarla al tempo stesso. Era come se avesse bisogno di vederla star male, sentire che Roberta aveva bisogno di qualcuno. Di lei.

 

Persino gli insegnanti sembravano ancora rinchiusi nella bolla di tepore e divertimento che li aveva accolti a Vienna. Sabrina era impaziente, chiedeva l’ora a Michele ogni dieci minuti e ticchettava con la penna sul bordo del banco. Chiara poteva sentire i secondi passare sulla sua pelle e lasciare una tenue scia di attesa.

 

-Non voglio vedervi così rilassati! Oggi è ancora il quindici marzo, manca molto alla fine dell’anno perché voi vi lasciate andare. Certi poi non dovrebbero nemmeno pensarci, vista la loro disastrosa media-  strepitò la Morra, battendo un colpetto sulla cattedra, in attesa che finisse l’ultima ora. Roberta non si liberò del suo ghigno altezzoso nemmeno quando la professoressa ammiccò a lei, con un tono a metà fra il penoso e l’irato.  Probabilmente era conscia del suo povero rendimento scolastico, ma questo, da fuori, non sembrava importarle più di tanto.

 

All’uscita la pioggia ancora batteva sui vetri sporchi delle auto del parcheggio di fronte, scrostava la ruggine dei cancelli e inumidiva i passanti fino al midollo.  Carmen e Chiara uscirono per ultime, lentamente, rintanate nei loro ombrelli monocromatici.

-Perché?- domandò improvvisamente la più alta, parlando fra se, mentre attraversavano la strada trafficata per dirigersi a casa.

- Perché cosa?-

La rossa era seccata, si passava continuamente una mano fra le ciocche della frangia laterale.

-Perché oggi sei così silenziosa?-

- Io sono sempre silenziosa.- La premura del tono della sua amica la urtò ancora di più, senza motivo.

- Ma oggi è diverso. Quando stai in silenzio di solito sorridi…- continuò Carmen, visibilmente scossa. – Voglio sapere che ti succede.-

L’altra sospirò, silenziosamente, perdendo la sua voce nel tramestio delle foglie che stava calpestando.

-Non lo so, semplicemente il mondo oggi mi da più fastidio del solito-

La mora annuì, aggrottando le sopracciglia. Non aveva afferrato il concetto, Chiara era troppo complicata nel suoi giorni no per essere capita al volo.

Arrivarono al cancello verde che delimitava il giardinetto di casa Torri, animato solo dallo sgorgare di rigagnoli d’acqua fra le pieghe del terriccio. La ragazza lentigginosa fece per entrare, quando dal marciapiede sentì la voce di Carmen chiamarla.

-Tua madre è di turno in ospedale oggi, no? Sei sola…-

 

-Sono sempre sola-

 

La verità di quelle parole le piombò addosso come una cappa di ferro. I suoi genitori lavoravano tutto il giorno, con il loro ritmo di vita frenetico la tagliavano fuori come un pezzo di carta spiegazzato. Suo padre se ne stava rintanato nell’ufficio della loro azienda vinicola, sua madre invece correva da qualche parte in ospedale, nelle sue mani fasciate di lattice la vita di un bambino, di un anziano, di un uomo.

Stare da sola era la cosa che forse sapeva fare meglio. Studiava, certo, ma studiava sempre da sola. Leggeva, ma senza mai qualcuno che osservasse l’adorabile piega che prendevano le sue labbra quando erano immerse fra le pagine. Nessuno aveva mai valicato il confine fra lei e la sua solitudine.

-Posso entrare dentro a prendere un tè?-

Chiara acconsentì, con un cenno debole del capo. Si adagiarono mollemente sulla panca di legno che costeggiava il tavolo della cucina, mentre l’aroma di bergamotto riscaldava l’aria e alleggeriva l’anima. Il pranzo che sua madre le aveva lasciato giaceva nel forno, dimenticato.

Carmen e Chiara erano amiche dalle elementari e stare ad osservarsi per loro era molto più intimo del chiacchierare come futili conoscenti. Si erano incontrate in un giorno di pioggia, come quello. Chiara se ne stava seduta sui gradini della scuola, con lo zaino rosa adagiato fra le ginocchia infreddolite, nell’attesa che qualcuno venisse a prenderla. Carmen l’aveva osservata per un po’ da lontano, senza motivo. Poi, non avendo altro da fare, le si era avvicinata. Nemmeno i suoi c’erano. In quel momento, mentre bevevano il tè bollente in silenzio, guardando il pavimento, capirono che non c’è miglior amico al mondo di chi accetta di far parte della nostra vita da lontano, in un giorno di pioggia in cui tutti corrono per mettersi al riparo dal destino.

 

 

Roberta non le aveva rivolto la parola nemmeno nella settimana successiva, tutto era tornato alla piatta routine. I libri di Chiara finivano ammucchiati lungo le pareti della sua stanza, senza che lei avesse il tempo di leggerli, immersa fino alle orecchie di compiti. Casa sua era sempre vuota, fredda fino alle sei del pomeriggio, quando una parvenza di normalità in quella famiglia entrava dalla porta e poggiava la sua ventiquattrore sul pavimento dell’ingresso.

- Com’è andata a scuola oggi, piccola?- le chiese suo padre, una venerdì sera.

Chiara gracchiò qualcosa riguardo al voto della sua ultima versione di greco, mentre addentava un broccolo.  L’uomo brontolò compiaciuto, quando la figlia le comunicò un altro otto. 

- Siamo molto contenti del tuo profitto scolastico- le sorrise sua madre – brava proprio come Benedetta-

Quel paragone le fece salire in gola uno strano nervosismo. Sua sorella era sempre stata la migliore a scuola, ma a differenza di Chiara era molto più abile nel gestire la sua vita privata. Era solare, giocosa, socievole e per questo al liceo era stata molto apprezzata e conosciuta.

Avevano caratteri molto diversi, con in comune solo la passione per la lettura e per il freddo.

- Quindi stavamo riprendendo in considerazione l’idea di farti iscrivere a quello sport che ti piace tanto…- ricominciò esitante Matteo, rimestando il contenuto del suo piatto rumorosamente.

- Mi date il permesso di iscrivermi al corso di kick boxing!?- urlò raggiante la ragazza, lasciando immediatamente cadere le posate sul tavolo. I suoi genitori fecero una smorfia d’insofferenza. Nonostante non approvassero uno sport tanto tosto per una deboluccia come la loro bambina, erano concordi nel dire che se lo meritasse.

 

Quella sera, prima di addormentarsi, sorrise nel buio, pensando a quella volta in cui aveva guardato il cielo grigiastro e minaccioso che piombava su di loro il giorno in cui Benedetta doveva partire per Perugia

 

- Ma c’è nebbia, sicura di poter guidare?- le aveva chiesto, premurosa come lo era stata con pochi.

Sua sorella di certo non si era accorta di quanto affetto silenzioso aveva messo in quelle parole. Le piaceva amare le persone da lontano, senza sconvolgere la loro vita, senza pretendere nemmeno lo spazio fra un caffè e un capitolo da studiare.

Guardarle mentre camminavano per la strada o mentre ridevano e trasmettere amore solo con un’occhiata di sfuggita. Aspettando nella terra di nessuno, in attesa che avessero bisogno di lei, in attesa di ascoltare le loro paturnie, di concedere qualche abbraccio magari. Le piaceva l’idea di dare alle persone una forma di affetto tutta sua, fissa e immutabile.

 

- Ci sono le luci in autostrada, Chiara… E poi Perugia non è lontana-

Benedetta le aveva sorriso, disarmata dal viso da ragazzina di sua sorella. Si abbracciarono, piano. Durò poco, ma era come una promessa. Non c’era bisogno di stringersi forte, sarebbe tornata il prima possibile. Come accade spesso prima di addormentarsi, a Chiara venne da pensare alla sua vita. Al suo passato, al suo presente, al suo futuro. C’erano persone che avevano fatto parte del suo passato, alcune che facevano parte del suo presente, ma del futuro Chiara non conosceva nulla. Se lo figurava come una nebulosa violacea irraggiungibile, sapeva solo che, anche se avesse voluto, non c’era spazio per una come Roberta. Non voleva che il proprio piccolo universo, fatto di cose stabili e tangibili, venisse sconvolto dalla sua nervosa, affascinante incostanza.

 

  
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