Quella mattina, mentre Chiara usciva
dalla libreria del Corso, era particolarmente uggiosa. Il cielo, tanto plumbeo
da far accapponare la pelle, si ergeva come una distesa greve e polverosa,
macchiata di tanto in tanto da guizzi folgoranti. Faceva freddo, così si
strinse di più nel giaccone e affondò le mani nelle tasche, camminando con la
testa leggermente china sotto il peso dello zaino. Decise di fare
un’altra strada per arrivare al liceo, quella che usciva dal centro e passava
per il condominio dove abitava Carmen. Minacciava pioggia e Chiara
camminava spedita, con un cipiglio infastidito. Quella mattina si sentiva
stranamente inquieta. Forse perché doveva rientrare a scuola
dopo il week-end passato a casa a riposarsi, per riprendersi dal quasi
inesistente sbalzo di temperatura e riacquistare familiarità con la sua vita
quotidiana. Non certo perché era curiosa di rivedere Roberta Della
Corte, no. Suonò frettolosamente al citofono e si
appoggiò al muretto vicino, aspettando di vedersi comparire davanti Carmen.
- Hai una faccia pallida- così la salutò quella, sorridendo
mestamente. Evidentemente nemmeno a lei andava di tornare a stare dietro al
banco con gli occhi della Manzi che la fissavano
malignamente, come una civetta.
- La mia
faccia è sempre la stessa- mugugnò la rossa,
calpestando un mucchietto di fango che si era depositato ai bordi del
marciapiede. La neve era quasi scomparsa, ma il suo gelo aleggiava come un
fantasma fra le loro ossa. Carmen non demorse, era
abbastanza usuale trovarla in quello stato, scontrosa, acida e
misantropica.
- Che vitalità… ieri ho visto che tornavi a casa con
Riccardo…-
Tentò un
approccio amichevole, vedendola così restia a parlare. Non c’era malizia nella
sua voce, solo l’invadente curiosità che caratterizzava ogni migliore amica.
- Si infatti, mi ha aiutato a portare le valigie…-
Chiara
cominciò a pentirsi di averla chiamata per fare la
strada insieme. Non voleva parlare con nessuno, senza un motivo preciso. Voleva
solo stare in silenzio e sentire che c’era qualcuno vicino a lei.
- Va tutto
bene?-
Non rispose,
disse solo che aveva bisogno di un abbraccio. Carmen sembrò sorprendersi, erano
così rari i momenti in cui l’amica si lasciava andare a manifestazioni
d’affetto con qualcuno che non fosse Riccardo. L’abbracciò e sentì i suoi
capelli mossi sfiorarle il collo, mentre la città ancora taceva, nonostante
fossero già le sette e mezzo del mattino.
Quando entrò
in classe Chiara notò che tutti avevano la stessa espressione di insofferenza stampata sui visi assonnati. Si accasciò sul
banco, togliendosi il cappello di lana e gettandosi lo zaino ai piedi. Sabrina
la raggiunse poco dopo, silenziosa e abbacchiata, e la salutò sommessamente,
mentre anche Vanessa e Roberta prendevano posto più in
là. Non degnò la rossa di uno sguardo, si aggiustò i capelli ricci e
cominciò a chiacchierare rumorosamente con la compagna di banco.
Chiara si
trovò a fissare stizzita il loro banco, infastidita dal sorriso di Della Corte,
dalla sua allegria e dalla sua risata cristallina.
“Sta bene”
pensò amaramente. Qualcosa le si mosse nello stomaco,
forse invidia, forse rabbia ingiustificata. Forse
perché si era aspettata di vederla con la stessa espressione vuota di quella
sera in albergo. Il fatto che non fosse così sembrò sorprenderla ed
inquietarla al tempo stesso. Era come se avesse bisogno di vederla star male,
sentire che Roberta aveva bisogno di qualcuno. Di lei.
Persino gli
insegnanti sembravano ancora rinchiusi nella bolla di tepore e divertimento che
li aveva accolti a Vienna. Sabrina era impaziente, chiedeva l’ora a Michele
ogni dieci minuti e ticchettava con la penna sul bordo del banco. Chiara poteva
sentire i secondi passare sulla sua pelle e lasciare una tenue scia di attesa.
-Non voglio
vedervi così rilassati! Oggi è ancora il quindici marzo, manca molto alla fine
dell’anno perché voi vi lasciate andare. Certi poi non dovrebbero nemmeno
pensarci, vista la loro disastrosa media- strepitò
All’uscita la
pioggia ancora batteva sui vetri sporchi delle auto del parcheggio di fronte, scrostava la ruggine dei cancelli e inumidiva i
passanti fino al midollo. Carmen e Chiara uscirono per ultime,
lentamente, rintanate nei loro ombrelli monocromatici.
-Perché?- domandò improvvisamente la più
alta, parlando fra se, mentre attraversavano la strada trafficata per dirigersi
a casa.
- Perché cosa?-
La rossa era seccata, si passava continuamente una mano fra le
ciocche della frangia laterale.
-Perché
oggi sei così silenziosa?-
- Io sono
sempre silenziosa.- La premura del tono della sua amica la urtò ancora di più,
senza motivo.
- Ma oggi è diverso. Quando stai in silenzio di solito sorridi…- continuò Carmen, visibilmente scossa. –
Voglio sapere che ti succede.-
L’altra
sospirò, silenziosamente, perdendo la sua voce nel tramestio delle foglie che
stava calpestando.
-Non lo so,
semplicemente il mondo oggi mi da più fastidio del solito-
La mora annuì,
aggrottando le sopracciglia. Non aveva afferrato il concetto, Chiara era troppo
complicata nel suoi giorni no per essere capita al
volo.
Arrivarono al
cancello verde che delimitava il giardinetto di casa Torri, animato solo dallo
sgorgare di rigagnoli d’acqua fra le pieghe del terriccio. La ragazza
lentigginosa fece per entrare, quando dal marciapiede sentì la voce di Carmen
chiamarla.
-Tua madre è
di turno in ospedale oggi, no? Sei sola…-
-Sono sempre sola-
La verità di quelle parole le piombò
addosso come una cappa di ferro. I suoi genitori lavoravano
tutto il giorno, con il loro ritmo di vita frenetico la tagliavano fuori
come un pezzo di carta spiegazzato. Suo padre se ne stava rintanato
nell’ufficio della loro azienda vinicola, sua madre invece correva da qualche
parte in ospedale, nelle sue mani fasciate di lattice la vita di un bambino, di
un anziano, di un uomo.
Stare
da sola era la cosa che forse sapeva fare meglio. Studiava, certo, ma studiava sempre da sola. Leggeva, ma senza mai qualcuno che osservasse l’adorabile piega che prendevano le sue labbra
quando erano immerse fra le pagine. Nessuno aveva mai valicato il confine fra
lei e la sua solitudine.
-Posso entrare
dentro a prendere un tè?-
Chiara acconsentì,
con un cenno debole del capo. Si adagiarono mollemente sulla panca di legno che
costeggiava il tavolo della cucina, mentre l’aroma di bergamotto riscaldava
l’aria e alleggeriva l’anima. Il pranzo che sua madre le aveva lasciato giaceva nel forno, dimenticato.
Carmen e
Chiara erano amiche dalle elementari e stare ad osservarsi per loro era molto
più intimo del chiacchierare come futili conoscenti. Si erano incontrate in un
giorno di pioggia, come quello. Chiara se ne stava seduta sui gradini della
scuola, con lo zaino rosa adagiato fra le ginocchia infreddolite, nell’attesa
che qualcuno venisse a prenderla. Carmen l’aveva
osservata per un po’ da lontano, senza motivo. Poi, non avendo altro da fare, le si era avvicinata. Nemmeno i suoi c’erano. In quel
momento, mentre bevevano il tè bollente in silenzio,
guardando il pavimento, capirono che non c’è miglior
amico al mondo di chi accetta di far parte della nostra vita da lontano, in un
giorno di pioggia in cui tutti corrono per mettersi al riparo dal destino.
Roberta non le
aveva rivolto la parola nemmeno nella settimana successiva,
tutto era tornato alla piatta routine. I libri di Chiara finivano
ammucchiati lungo le pareti della sua stanza, senza che lei avesse il tempo di
leggerli, immersa fino alle orecchie di compiti. Casa sua era sempre vuota,
fredda fino alle sei del pomeriggio, quando una parvenza di normalità in quella
famiglia entrava dalla porta e poggiava la sua ventiquattrore sul pavimento
dell’ingresso.
- Com’è
andata a scuola oggi, piccola?- le chiese suo padre, una
venerdì sera.
Chiara gracchiò qualcosa riguardo al
voto della sua ultima versione di greco, mentre addentava un broccolo.
L’uomo brontolò compiaciuto, quando la figlia le comunicò un altro otto.
- Siamo molto
contenti del tuo profitto scolastico- le sorrise sua madre – brava proprio come Benedetta-
Quel paragone
le fece salire in gola uno strano nervosismo. Sua sorella era sempre stata la
migliore a scuola, ma a differenza di Chiara era molto più abile nel gestire la
sua vita privata. Era solare, giocosa, socievole e per questo al liceo era
stata molto apprezzata e conosciuta.
Avevano caratteri molto diversi, con in comune solo la passione per la lettura e per il
freddo.
- Quindi
stavamo riprendendo in considerazione l’idea di farti iscrivere a quello sport
che ti piace tanto…- ricominciò esitante Matteo,
rimestando il contenuto del suo piatto rumorosamente.
- Mi date il permesso di iscrivermi al corso di kick boxing!?- urlò raggiante la
ragazza, lasciando immediatamente cadere le posate sul tavolo. I suoi genitori
fecero una smorfia d’insofferenza. Nonostante non approvassero uno sport tanto tosto per una deboluccia come la loro
bambina, erano concordi nel dire che se lo meritasse.
Quella sera,
prima di addormentarsi, sorrise nel buio, pensando a quella volta in cui aveva
guardato il cielo grigiastro e minaccioso che piombava su di loro il giorno in
cui Benedetta doveva partire per Perugia.
- Ma c’è nebbia, sicura di poter guidare?- le aveva chiesto,
premurosa come lo era stata con pochi.
Sua sorella di certo non si era
accorta di quanto affetto silenzioso aveva messo in quelle parole. Le piaceva
amare le persone da lontano, senza sconvolgere la loro vita, senza pretendere
nemmeno lo spazio fra un caffè e un capitolo da
studiare.
Guardarle
mentre camminavano per la strada o mentre ridevano e trasmettere amore solo con
un’occhiata di sfuggita. Aspettando nella terra di nessuno, in
attesa che avessero bisogno di lei, in attesa di ascoltare le loro paturnie, di
concedere qualche abbraccio magari. Le piaceva l’idea di dare alle persone una
forma di affetto tutta sua, fissa e immutabile.
- Ci sono le luci in autostrada,
Chiara… E poi Perugia non è lontana-
Benedetta le aveva sorriso,
disarmata dal viso da ragazzina di sua sorella. Si abbracciarono, piano. Durò
poco, ma era come una promessa. Non c’era bisogno di
stringersi forte, sarebbe tornata il prima possibile. Come accade spesso prima di addormentarsi, a Chiara venne da
pensare alla sua vita. Al suo passato, al suo
presente, al suo futuro. C’erano persone che avevano fatto parte del suo
passato, alcune che facevano parte del suo presente, ma del futuro Chiara non
conosceva nulla. Se lo figurava come una nebulosa violacea irraggiungibile,
sapeva solo che, anche se avesse voluto, non c’era spazio per una come Roberta. Non voleva che il proprio piccolo
universo, fatto di cose stabili e tangibili, venisse
sconvolto dalla sua nervosa, affascinante incostanza.