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Autore: Ceci Princessofbooks    29/09/2012    1 recensioni
"Le sue mani avevano conosciuto la vita e la morte, e ne portavano il marchio; in ogni solco rabbrividiva un frammento di tutte le esistenze che non aveva strappato dal buio, in ogni impronta tremava una scaglia di tutte le anime che aveva guidato nel mondo. Era per questo, che lei era una levatrice, una sacerdotessa delle forze che gridano nei grembi delle donne e di cui il suo popolo aveva dimenticato il nome. Era per questo, che l'orgogliosa signora di quel castello l'aveva sepolta nelle sue viscere di pietra, e ora le domandava il suo aiuto."
Genere: Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Re dell'Alba

Quando vennero a prenderla, la notte era solo silenzio. Ealdight era distesa per terra, rannicchiata contro il muro della cella: la grigia sonnolenza in cui era caduta si estinse come una candela, non appena lo stridio della serratura risuonò nel buio; rimase immobile, in attesa. Ad ogni respiro, percepiva l'alito umido della paglia, il freddo vecchio della prigione e del fango, il fetore grasso di latrina e di sangue. In silenzio, si alzò sui calcagni, proteggendo i solchi delle frustate sotto la tunica, e sollevando il volto. La massiccia porta di legno raschiò il pavimento, e una pennellata di luce le ferì gli occhi. Due ombre pesanti avanzarono nel vano, le corazze di ferro che balenavano alla torcia. Masticando un'imprecazione che non capì, uno dei soldati si piegò con un grugnito indolente e una ciotola di terracotta scivolò sui lastroni, fino a colpire il polpaccio di Ealdight.
La pappa d'avena era fredda e insipida, ma Ealdight la divorò in pochi bocconi furiosi, raccogliendo i grumi con le unghie. Dopo tre giorni nelle segrete della fortezza, non era certo il caso di preoccuparsi del proprio decoro;e inoltre, se finalmente qualcuno aveva deciso di sospendere il buio oblio in cui era rimasta, significava che presto avrebbe avuto bisogno di tutto l'acume della sua mente e di tutta la forza del suo corpo, se non per evitare i colpi, almeno per riceverli a testa alta. Terminò di mangiare scrupolosamente, fissando la smorfia ottusa e guardinga dei carcerieri. Erano uomini massicci, chiari e sani come manzi, dai capelli sbiaditi e le braccia lentigginose: uomini del Sud, i cui antenati avevano cavalcato gridando su altre piane, e i cui occhi appartenevano al cielo. Quelli nei volti della sua gente, invece, erano forgiati nella stessa materia del Galles; l'azzurro schivo del mare d'estate, il verde solenne dei boschi di castagno, il grigio formidabile della roccia e del ferro. Le sfumature che aveva visto schiudersi in innumerevoli sguardi in innumerevoli notti, fin da quando era diventata una nutrice.
Una guardia si agitò, a disagio. -Sbrigati, strega- ringhiò – Alzati, e cerca di darti una sistemata. La regina vuole vederti.-.
Ealdight si interruppe, serrando per un attimo le palpebre. Tutti nel villaggio avevano saputo che la giovane regina stava per dare al suo signore un figlio, anche a così breve distanza dalla morte del vecchio conte, insinuavano i più maligni; e in effetti, a giudicare dalla luna doveva ormai essere quasi il momento. Ma fino ad allora non l'aveva mai cercata, e vedendola uscire ogni domenica dalla cappella di pietra, avvolta nei suoi veli candidi, aveva sempre supposto che anche la loro sovrana rifuggisse le antiche arti.
Ealdight pose da parte la ciotola e si alzò lentamente, reprimendo un gemito: i lividi sulle gambe avvamparono come stringhe di fuoco, e per un attimo le gambe parvero cederle. Deglutì, e fu di nuovo in grado di restare in piedi.
Madre, ti prego, non lasciarmi cadere. Tutto, ma non lasciarmi cadere di fronte ai miei nemici. -La mia signora vi ha spiegato perché abbia bisogno di me?-.
-Io al tuo posto sarei solo felice di avere un modo per non continuare a marcire qua dentro.-L'altro soldato la strattonò in avanti, torcendole il polso. Odorava di taverna e di sudore. -Andiamo, prima che cambino idea.-.
Le guardie la condussero fuori, verso la porta chiodata delle prigioni; l'aria del corridoio era bruna e gelida, ma dopo il fetore della sua cella, Ealdight vi percepiva almeno più vita, l'impronta delle voci e dei respiri di altri uomini. Un topo squittì nel buio, saettandole tra i piedi.
Il soldato tarchiato si piegò sulla serratura, e una lama della pastosa luce delle torce le penetrò negli occhi; la notte splendeva oltre le feritoie, alla sommità dei gradini.
La guardia la colpì alle spalle, svogliatamente. -Vai avanti, e non fare scherzi.-
La levatrice cominciò a salire, con circospezione, il guanto di cuoio dell'uomo serrato intorno al braccio. Il nastro della scala, inargentato da stelle rade, si snodava sotto i suoi passi, fin quando la pietra cominciò a non essere più intrisa di sterco e di sangue, e i passaggi divennero più ariosi, i piani più levigati. La fortezza era ancora vuota, a quell'ora, quieta e colma di echi come una conchiglia. Ealdight procedeva attenta, senza guardarsi le mani.
Le unghie si erano scheggiate la notte in cui i soldati avevano schiantato la sua porta, frantumando le mensole di delicati flaconi azzurri, divorando col fuoco delle torce le fascine di erbe del suo tetto, la cassapanca consunta di sua nonna, l'effige di vecchia quercia della Dea, grigia di tempo e di pioggia, cinta dalle primule fresche che aveva raccolto nel campo; ricordava la stretta della guardia che l'aveva trascinata fuori dal letto, la nebbia di vino e di sudore del suo fiato, il rauco odio del suo grido quando gli aveva conficcato le dita nella cotta di maglia per trovare i suoi occhi, pazza di rabbia, pazza di dolore. L'avevano legata, prima di chiuderla in quella cella: l'aveva strattonata a terra, premendole il volto nel fango, inchiodandole la schiena con gli stivali, mentre alle loro spalle la sua casa moriva tra le fiamme: così la strega non avrebbe potuto evocare i suoi malefici da demonio, così la strega non sarebbe stata altro che una donna svestita e affilata dal freddo, da toccare e da colpire quanto l'ultima sgualdrina del villaggio. Ora Ealdight si sfiorò i polsi, ancora morsi da grandi anelli corruschi, là dove le corde avevano inciso la carne. Nonostante gli auguri dei soldati, però, quei solchi non la turbavano affatto: non erano le prime cicatrici che aveva ricevuto, né le più dolorose. Non era possibile, per qualcuno che aveva scelto come missione di tentare di guarire gli uomini, non graffiarsi cercando un bocciolo medicamentoso tra le spine, o bruciarsi al tocco rovente di un unguento; Ealdight le accettava, e le ostentava con orgoglio, sulle braccia nude e bianche, quando gli uomini e le madri venivano a cercare il suo consiglio e la sua conoscenza, e anche coloro che reclinavano il capo di fronte al dio insanguinato dei preti obbedivano alle sue mani sfregiate.
Le sue mani avevano conosciuto la vita e la morte, e ne portavano il marchio; in ogni solco rabbrividiva un frammento di tutte le esistenze che non aveva strappato dal buio, in ogni impronta tremava una scaglia di tutte le anime che aveva guidato nel mondo. Era per questo, che lei era una levatrice, una sacerdotessa delle forze che gridano nei grembi delle donne e di cui il suo popolo aveva dimenticato il nome. Era per questo, che l'orgogliosa signora di quel castello l'aveva sepolta nelle sue viscere di pietra, e ora le domandava il suo aiuto.
I soldati si fermarono, di fianco a lei. La guardia la strattonò in avanti, verso un' alta porta di noce scuro, e Ealdight quasi cadde. Le scale l'avevano sfinita; i graffi sulle ginocchia avevano ricominciato a sanguinare, i lividi sulle costole pulsavano. Ma il suo corpo si limitò a barcollare, senza cedere. Appena la nebbia smise di sussultarle nello sguardo, vide che erano saliti fino alle stanze padronali, al piano più alto del torrione: al suo fianco, dall'orlo di un arco, le colline di Dicembre svanivano in una bruma d'oro. Oltre i battenti, una tempesta di gemiti sommergeva a tratti, come una marea, un coro di sussurri premurosi e sommessi.
La lama di una lancia le raschiò la schiena. -Muoviti, strega- ruminò il secondo soldato, socchiudendo gli occhi porcini. -Farai meglio a non far aspettare la regina, se non vuoi che il vecchio Bill ti spieghi un attimo a cosa servono davvero quelle come te-. Il suo compagno latrò una risata da cane, le pupille sotto la cotta accese di grossolana malizia.
Ealdight lo ignorò, senza guardarlo; prima che il ghigno svanisse del tutto, l'altra guardia spinse la porta, e la nutrice entrò nelle camere dei suoi carcerieri.
La stanza era ampia e vuota, solcata dalla curva tonda di un unico arco; contro i muri nudi, sbiancati dalla salsedine, riposava una cassapanca dagli smalti vivaci e un telaio, la conocchia gonfia di lana chiara.
La regina giaceva sul letto, puntellata contro la testiera di quercia; uno stormo di donne, dai veli pallidi e i tondi volti da paesane, si agitavano intorno a lei in un frullio di gonne e bisbigli. Era spossata e contratta, e il ventre gonfio tendeva il lino della veste, le cosce piegate rosee e imperlate di rivoli umidi; ma i boccoli sul seno avevano il barbaglio del rame antico, e gli occhi di lapislazzulo saettavano come quello di un falco. Il suo volto trovò subito Ealdight, e quando parlò la sua voce fu quella limpida e implacabile con cui rispondeva ai supplici a fianco del suo signore. -Sei tu la levatrice, ragazza?-.
La levatrice non sorrise, e si limitò a ricambiare il suo sguardo. Lei stessa era abbastanza modesta da ammettere di aver visto poche primavere, ma la regina doveva essere ancora più giovane, poco più adulta delle fanciulle che si intrecciavano di fiori i capelli per la festa di Maggio.
Giovane, pensò, e spaventata, e colma di vita e di fuoco. Ecco tua figlia, Madre. -Sì, mia signora.-.
La regina annuì, serrando d'un tratto le labbra; il suo viso non mutò, ma le dita si contrassero di scatto sulla stoffa. -Lysa mi ha detto che sei abile, e conosci le leggi con cui gli uomini vengono al mondo. Ha detto che hai aiutato a nascere suo figlio.-.
Con un cenno del mento accennò alla giovane lentigginosa al suo fianco; lei chinò il viso con un sorriso incerto, impacciata in un impasto di orgoglio e imbarazzo.
Il grigio di pioggia degli occhi di Ealdight si addolcì.- Sì, mia signora. Una femmina, sana e bella, e forte come il sole.-.
-Mi ha detto che era sul punto di morire, e con lei la sua bambina. Che le altre levatrici l'avevano data per spacciata, ma tu l'hai riportata indietro.-.
Ealdight fissò la dama, senza arroganza e senza soggezione. I piedi nudi erano incrostati fango e di fuliggine, le caviglia archi sottili sotto le falde della tunica; i guizzi del braciere rivelarono la sua carne scavata, le ombre sotto i suoi occhi, le ciocche aggrovigliate che le sfioravano il collo. Eppure nulla in lei suscitava davvero un'impressione di fragilità, o ispirava davvero un gesto di pietà. Un respiro di vento schioccò rabbiosamente nella stanza, e la nutrice tremò sotto la veste troppo corta. Ma rimase in piedi, diritta, bianca e austera come le scogliere dell'Ovest.-Esistono più strade per raggiungere una meta, e non a tutti gli uomini è concesso conoscere le stesse.-.
La castellana sembrò voler ribattere, ma un brivido le squassò le spalle, l'arco dei fianchi, e d'improvviso non fu altro che una donna: e ancora una volta, Ealdight si ritrovò ad assistere all'oscuro miracolo che tramutava una madre nella più fragile e la più potente delle creature. -Ho bisogno che tu salvi il mio bambino. Non solo per me, non solo per lui, non solo per il mio signore. Mio figlio deve venire al mondo, e tu sei l'unica a potergli mostrare la strada.-.
La levatrice voltò il viso verso il letto, assediato dal tubare delle ancelle. I suoi occhi sembrarono d'improvviso pesanti, scuri come pietre di fiume, troppo grevi di conoscenze e di visioni per non scivolare verso il suolo, verso la terra. -Siete certa di ciò che mi chiedete, mia signora?-.
La regina la guardò, e un mutamento sottile, lieve come un tremore d'acqua, le scivolò sul viso; come l'ombra di un allarme, o di un ricordo. Ealdight la ricambiò, scavò in quei piani armoniosi e duri, e capì. Quella donna non possedeva l'antico dono: non aveva mai ascoltato il canto segreto della terra, né il mormorio immenso che animava una foresta nel buio, né aveva mai provato la sicurezza spaventosa e inebriante di star stringendo tra le mani le corde di un'altra esistenza; sapeva però riconoscere il potere, e rintracciarne i solchi anche nel suo volto stanco. Aveva toccato la magia, e avrebbe ancora sfiorato quei confini freddi e argentei; ma non avrebbe mai scorto le terre tenebrose e infinite che si stendevano al di là.
La dama respirò a fondo, serrando le labbra rosse. -Sempre-rispose solo.
Per un attimo, il tempo si dilatò intorno a Ealdight, distendendosi come un lago, fin quando la sala e il castello e l'alba furono implacabilmente distanti, più remoti delle sfere tenebrose del cielo.
Sapeva cosa sarebbe accaduto: quel bambino, che avrebbe incontrato il mondo attraverso il tocco delle sue mani e di cui avrebbe ricordato per sempre il primo grido, sarebbe stato marchiato dall'acqua sacra del nuovo dio, e sarebbe diventato uno dei giovani dai riccioli fulvi e gli occhi crudeli che popolavano la corte. Avrebbe imparato a disprezzare la sua sapienza e le sue leggende, avrebbe iniziato a bruciare le statue per cui deponeva fiori, a perseguitare i suoi boschi e i suoi spiriti. Ma tuttavia, nonostante tutto per lei non si trattava solo di questo. La vedeva, come vedeva tutte le altre, al modo indistinto luminoso con cui si scorge una mana nel tremito di un fiume, e tuttavia più vero delle sue stesse ossa: una scintilla, nascosta sotto la carne imperlata e calda della regina, nel buio fecondo e antico in cui tutto nasce e tutto si annienta, sospesa sull'orlo dell'esistenza. Il fuoco di un'anima, di un destino ancora da plasmare, di una storia ancora fragile e duttile come creta. Un'altra anima, che solo lei poteva schiudere alla luce, o soffocare nel buio. Un'altra anima, un altro persecutore, un'altra condanna.
Ealdight rimase immobile, gli occhi cupi. -Portatemi un catino d'acqua calda, dei panni morbidi e della garza. Non abbiamo tanto tempo.-.
Il parto fu lungo, e faticoso. La regina era giovane e sana, ma le sue anche erano quelle svelte di una cerbiatta orgogliosa, non di una matrona: il suo ventre era forte, ma inesperto nel dare la vita. Le contrazioni, apprese, erano cominciate presto, ma senza un'assistenza adeguata non erano state condotte con la dovuta delicatezza. Serrando i denti, la levatrice rimproverò la giovane per non averla convocata prima, con un poco dell'autorità scarna con cui aveva accolto le madri di fronte al suo altare pregno di erbe, lontana dall'audacia come dal disprezzo. Abbaiò ordini alle ancelle, tastò ossa ed umori, alzò la voce oltre le grida strozzate della regina, le strinse la mano quando i suoi occhi fieri si adombrarono di paura. Le chiese di non cedere, di lottare, e di spingere con ogni frammento di volontà. E Ealdight con lei. Spinsero, aspettarono, spinsero ancora; e alla fine, nel frastuono delle urla e delle preghiere, nella fragranza stordente del mattino e del sangue, due occhi tempestosi si schiusero per la prima volta al mondo. Mentre avvolgeva il bambino in un soffice panno di lana, annodando con un gesto esperto il lungo cordone iridescente e porgendolo alla madre, Ealdight si concesse il primo vero sorriso da molti giorni. -
È un maschio, mia regina. Robusto e forte, e con gli occhi del colore dei nostri abissi. -.
La giovane sorrideva, splendida e disfatta, sfiorando con le dita il piccolo volto acceso; ma le sue palpebre sussultavano, vinte dal sonno, e il bambino sembrava tranquillo:la levatrice si protese in avanti, portandoselo delicatamente tra le braccia.
Ealdight si allontanò, mentre le servitrici si assiepavano al capezzale, cercando un momento di quiete. Il fremito, l'esultanza ubriacante per aver ancora una volta donato il giorno ad un uomo, le formicolava ancora nelle ossa; ma un'ombra piombava da guglie lontane, e guastava la sua gioia. Abbassò il volto, cercando il grande sguardo chiaro del neonato, e il suo sorriso divenne amaro.
Così sarai tu, forse, ad abbattere gli ultimi templi, e a uccidere gli ultimi canti, pensò. A schiacciare me, o coloro che conoscono le mie stesse strade.
Fu solo allora che si accorse dell'alba.
Fu un attimo, un brivido della notte. L'orizzonte scintillò; le tenebre divennero più leggere. Il sole traboccò sulla cima dei boschi, e d'improvviso l'oro invase tutto, l'arco verde delle colline, le gole azzurre incise nella roccia, il mare rabbioso che si torceva sotto la rocca, ardendo il cielo, avvampando nel vento, finché la luce non sprofondò tutto in un unico respiro, come un'ala che si scuote, come un occhio che si schiude.
L'aurora tremò nella stanza, e la Dea le sussurrò nel sangue.
Ealdight rimase in piedi, raggelata, sbiancata da ciò che vedeva, e cominciava a percepire.-Sapete già come lo chiamerete, mia signora?-.
La donna sembrò riscuotersi. -No, non lo abbiamo ancora deciso. Perché me lo chiedi?-.
Ealdight non disse nulla; sollevò il bimbo che teneva tra le mani, e i fasci preziosi del mattino gli cinsero le tempie come una corona. Ora lei sapeva, sapeva, con la certezza con cui anni prima una ragazzina dagli occhi troppo grandi aveva saputo di essere nata per comprendere i misteri teneri e paurosi che si compivano nel ventre delle donne.
Ah, per questo, Madre, per questo mi hai chiamato? -Artù- dichiarò solo, voltandosi verso il letto in cui giaceva la regina Igraine: -Il suo nome sarà Artù.- .



   
 
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