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Autore: Lady_Cassandra    29/09/2012    2 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Vita in famiglia 

 
“Pensai a quello che mi aveva detto sul coraggio, su come bisognasse toccare il fondo per vedere chiaro se stessi” (Erika Jong, Paura di volare.)
 
 
Spencer Reid rinchiuso nel suo studio a controllare i fascicoli da archiviare, come era solito fare ogni mattina, sentì una voce femminile e ben modulata chiamarlo. “Papà, papà.”
Alzò lo sguardo e vide sua figlia in piedi sulla soglia della porta che batteva i piedi nervosamente contro lo stipite. “Dimmi, Ellie. Ti serve qualcosa?” le chiese sorridendo mentre si toglieva gli occhiali.
“Mi devi accompagnare a scuola, la macchina è ancora dal meccanico e mamma è già andata in ospedale...” gli disse abbassando lo sguardo per terra. Non sopportava di dover chiedere un passaggio a suo padre, erano anni ormai che ne faceva a meno.
“E l’autobus non è passato?Jules mi ha detto che...”
“Si è passato, solo che io l’ho perso. Allora me lo dai questo passaggio o devo chiamare a qualcun’altro? “ gli rispose stizzita interrompendolo. Si era già pentita di averglielo chiesto, ogni volta la storia si ripeteva, il nome della figlia perfetta saltava fuori svelando la cosa giusta da fare, l’unica possibile.
Suo padre fece un profondo respiro. “No, va bene. Ti accompagno io, tanto devo portare pure tuo fratello a scuola. Aspettami giù, finisco qui e vi porto” le riferì ed iniziò a sistemare le ultime carte sparse sulla scrivania.
“Ok…” farfugliò sua figlia, scomparendo in corridoio.
 
 
Scese al piano di sotto e notò che i suoi figli erano già saliti nella vettura, si affrettò a raccogliere i fascicoli depositandoli nella sua tracolla ed uscì di casa.
Una volta salito in auto, si accorse che sua figlia non aveva lo zaino. “Niente zaino, Ellie?” le chiese intanto che metteva in moto il veicolo.
“No, tanto i libri sono già a scuola” accennò laconica sistemandosi la cintura.
“Quindi niente compiti…” dedusse un po’ infastidito. Il totale menefreghismo di sua figlia riguardo la scuola lo lasciava sempre perplesso.
“Non è mica una novità” osservò Thomas, suo figlio minore, ridendo.
“Come sei spiritoso” rispose Elizabeth facendo una smorfia.
“Ragazzi, vi prego. Non cominciate”  li pregò quasi pentendosi di aver accettato di accompagnarli. Ogni volta assisteva ai loro litigi, sapeva che si volevano bene, erano tutti e tre molto affiatati e che quei litigi continui ne erano anche una prova, oltre che un normale comportamento fra fratelli, ma ogni volta gli provocavano mal di testa.
Accese la radio con il desiderio che si concentrassero sulle canzoni e smettessero di battibeccare e si diresse verso la scuola di Ellie, cercando di far il più presto possibile. Era in tremendo ritardo, ancora una volta. Ormai erano tutti abituati ai suoi ritardi.
Era completamente immerso nei pensieri che fluivano lineari dalla sua mente quando sua figlia ne interruppe il filo. “Puoi lasciarmi qui” affermò slacciandosi la cintura di sicurezza.
“Ma se non siamo neanche al cancello!” replicò il dottor Reid. “Manca circa mezzo isolato...” aggiunse, premendo comunque il pedale del freno, tanto lo sapeva che non avrebbe vinto contro sua figlia, non ci era mai riuscito.
“Vado a piedi. Ciao, ci vediamo dopo” lo salutò in fretta e scese dalla vettura sbattendo lo sportello. S’incamminò immediatamente verso il cancello dove l’aspettavano i suoi amici fermi davanti l’ingresso di scuola intanto che  s’intrattenevano a parlare con altri loro  compagni di classe. 
“Ce l’hai fatta, Reid. Pensavamo che non ti saresti presentata...” commentò Colin, il suo migliore amico, non appena fu arrivata.
Ellie inarcò il sopracciglio. “Perché non sarei dovuta venire?” domandò guardando perplessa l’amico.
“C’è l’interrogazione di biologia oggi, Els” le ricordò Nicole, l’altra amica d’infanzia di Ellie, ridendo.
“Oddio, me n’ero completamente scordata!e adesso che faccio? non ho toccato libro...” si allarmò per qualche secondo, preoccupazione che durò ben poco. 
“Come al solito, d’altronde” disse, infatti, suscitando le risate fragorose di Nicole e Colin.
“C’è tuo padre o mi sbaglio?” li interruppe Blair, indicando una berlina nera con le frecce di emergenza accese.
“Sì, è lui” confermò, sospirando. Fece immediatamente un segno con la mano al padre invitandolo ad andarsene.
Spencer la guardò e fece un cenno affermativo con la testa ed infine ripartì. “Beh se non altro oggi a scuola è entrata...” pensò. Era a conoscenza delle continue assenze di sua figlia, e ovviamente anche dei suoi pessimi voti.
La verità era che lui e quella ragazza non avevano nulla in comune, a parte l’aspetto. Già, Elizabeth era identica a lui, gli stessi capelli, gli stessi occhi, anche lo stesso sorriso, a volte nei suoi gesti aveva notato sé stesso. Tuttavia caratterialmente non gli somigliava affatto, anzi a dire il vero non somigliava nemmeno a sua madre.
Era una cosa a sé, l’unico suo interesse era la musica. A volte si chiedeva se avrebbe mai combinato qualcosa nella vita, a parte guai ovviamente, ma preferiva non pensarci; in fin dei conti era più semplice così.
Si voltò verso il figlio che gli aveva lanciato un’occhiata stranita tramite lo specchietto retrovisore e gli scompigliò i capelli. “Tu non mi farai dannare, vero?” domandò retorico sorridendo, Thomas era ancora piccolo non avendo compiuto nemmeno dieci anni, perciò sperava ancora che nella sua adolescenza non diventasse irascibile come la sorella maggiore.
Il figlio fece spallucce e scoppiò a ridere. “Ci proverò” lo rassicurò, a quel punto erano arrivati davanti la scuola elementare di Thomas e lo accompagnò all’ingresso, dopodiché lo salutò raccomandandolo di comportarsi bene e ripartì.
 
 
Entrata nell’aula, Elizabeth si affrettò a raggiungere il suo posto, in fondo alla classe. Sperava ardentemente che la professoressa Andrews non la vedesse, non oggi almeno, un’altra F non era esattamente tra i suoi piani, sperava di poter recuperare nel migliore dei modi possibili, e di certo l’ennesimo brutto voto non avrebbe giovato alla sua ormai precaria situazione. Sapeva di doversi impegnare, che forse, anzi molto probabilmente, non ce l’avrebbe fatta a passare quell’ultimo anno. Ma nonostante questa consapevolezza, Elizabeth faceva finta di nulla, continuando a far la stessa cosa di sempre, ovvero niente.
Mentre pensava ad una probabile scusa per saltare l’interrogazione, notò i suoi compagni intenti a ripetere senza sosta con il libro sulla gambe e si mise a ridere nel vederli così disperati.
Le risate della ragazza vennero però interrotte dall’arrivo della professoressa Andrews. “Allora, vediamo chi dobbiamo interrogare oggi…” affermò la donna, non appena prese posto sistemando la propria ventiquattrore sulla cattedra. “Ma prima facciamo appello” continuò aprendo il registro.
Alla vista della professoressa Elizabeth si allarmò, aveva sperato fino all’ultimo in un suo non arrivo, ma come al solito nulla andava come desiderava.
“Bene, bene. Vediamo chi è messa peggio” disse, una volta finito l’appello, e fingendo di osservare  la fila di voti dei suoi allievi, continuò. “Reid, a quanto pare quest’anno non aspiri più alla F, ma addirittura al non classificato” osservò intanto che la classe scoppiava in una fragorosa risata.
“Zitti …” intimò ai ragazzi che ritornarono in religioso silenzio. “Allora, Elizabeth mi concederai l’onore di interrogarti o dovrò aspettare ancora un po’?” chiese la professoressa con tono ironico.
“Temo, professoressa, che dovrà aspettare ancora un po’… davvero spiacente” le rispose la ragazza con lo stesso tono.
La professoressa fece una smorfia di disgusto. “Bene, Reid. Non mi lasci altra scelta, F”
“Sempre meglio di non classificato” rispose Elizabeth alzando le spalle e provocando un’altra risata nei suoi compagni.
“Preferisco non commentare questa tua battuta” affermò acida la donna inforcando gli occhiali. “Allora vediamo chi possiamo interrogare …” proseguì.
Per il resto dell’ora Elizabeth non parlò, si perse nel suo mondo senza curarsi del resto. Era nel suo rifugio dove nessuno l’avrebbe mai raggiunta, dove non c’era nessuno da deludere. In effetti, nonostante la suo apparente indifferenza, Elizabeth capiva che questa sarebbe stata l’ennesima delusione per i suoi genitori, ma soprattutto per suo padre. Era convinta che sebbene i suoi voti fossero l’uno peggiore dell’altro, suo padre si aspettasse ancora grandi cose da lei, aspettative che lei avrebbe inevitabilmente infranto.
La verità era semplicemente che Ellie non riusciva a mettersi in gioco, si sentiva bloccata. Aveva così tanta paura di deludere  le aspettative di suo padre al punto da decidere di non provarci nemmeno; in questo modo convinceva sé stessa che se magari ci avesse provato, avrebbe ottenuto un ottimo risultato, e suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei, così come lo era di sua sorella Jules, la secondogenita dei coniugi Reid.
Il suono della campanella riportò Elizabeth alla realtà, si affrettò a raccogliere le sue cose e si avviò verso l’uscita. “Elizabeth, scusami, puoi venire un attimo” la chiamò la professoressa indicandole il banco di fronte la cattedra.
Fece un respiro profondo e andò incontro la professoressa, sapeva che cosa le avrebbe detto, la stessa che ormai le avevano detto e ripetuto tutti gli altri professori.
“Siediti” suggerì con tono pacato.
“Preferisco stare in piedi, se non le dispiace”
La professoressa annuì e sospirò. “Allora… senti, credo che tu sappia che la situazione è pessima” esordì piuttosto titubante, indicandole la sfilza di assente e impreparati del registro.
“Sì, ne sono a conoscenza” rispose Elizabeth abbassando lo sguardo. In un certo senso si vergognava.
“Ormai l’unico modo per recuperare, oltre al farti interrogare ovviamente, sono i corsi pomeridiani per avere qualche punto extra, altrimenti la vedo difficile ad esserti sincera” ammise la Andrews, guardando la ragazza per capire se quell’affermazione suscitasse qualche reazione nella signorina Reid.
“Certamente, farò qualche corso. Non si preoccupi” la rassicurò la ragazza con tono poco convinto.
“Bene, allora ci vediamo alla prossima lezione. Mi raccomando, studia” le consigliò caldamente la professoressa guardandola negli occhi.
“Sì, farò anche quello” rispose e lasciò la classe dopo aver salutato la professoressa.
 
“Allora, Els che voleva la prof?” chiese Nicole mentre si dirigevano verso l’aula di Lingua Spagnola.
“Nada, praticamente mi ha detto che devo fare qualche corso per rimediare qualche punto extra” rispose “Ma figurati se li faccio” continuò ridendo.
“Els invece penso che li dovresti proprio fare, altrimenti si mette male…” ribadì l’amica abbozzando un sorriso.
“Già, mi sa che hai ragione” riconobbe la ragazza e si morse le labbra.
“Non dirmelo, hai preso un’altra F” affermò sua sorella Jules che in quel momento sbucava dal bagno.
“Sì, ma tu come lo sai ?” le chiese sorpresa. Sua sorella veniva a conoscenza di ogni sua mossa, si domandò se non la spiasse.
“Voci di corridoio...” rispose facendo la misteriosa “Stavolta papà ti ammazza davvero” continuò Jules.
“Solo se tu parli, altrimenti non dovrebbe proprio a venirlo a sapere” l’intimò Elizabeth.
Sua sorella fece il suo miglior sorriso per convincerla a contrattare. “Cosa mi offri in cambio del mio silenzio?”
 “Ti risparmi uno schiaffo, mi sembra un’ottima offerta” rispose bruscamente Elizabeth.
Jules si posò una mano sul mento e finse di pensare qualche secondo. “Non abbastanza. Preparati, sarà una lunga punizione” affermò divertita.
“Beh, mi sa che non dovrai aspettare a lungo per la condanna a morte” le interruppe Nicole indicando Spencer, fermo in corridoio.
“Papà…” dissero le ragazze guardandosi.
Si avviarono verso il padre che non le aveva ancora notate e lo chiamarono. “Spencer sei venuto a controllarmi?” gli chiese Elizabeth piazzandosi davanti a lui a braccia conserte.
Il dottor Reid fece un sospiro rassegnato. “No, non sono qui per controllarti, Elizabeth”
“E da quando mi chiami Spencer ?” le chiese stranito.
“Da adesso” gli rispose con noncuranza facendo spallucce.
“Papà, Ellie ha preso un’altra F.” dichiarò Jules abbracciando sua sorella.
Spencer chiuse gli occhi annotando mentalmente l’ennesima F di sua figlia, di cui era a conoscenza. “Un’altra F, Elizabeth?” si rammaricò, ormai le sue speranze che riuscisse ad essere ammessa in un qualsiasi college stavano divenendo un miraggio.
“Sì, un’altra. Ma scusa se non sei venuto a controllarmi, che ci fai qui?” gli chiese piegando la testa e con un tono da interrogatorio.
“Sono venuto con la squadra, una ragazza del 3° anno si è suicidata” affermò intanto che leggeva alcuni documenti.
“Ma cosa c’entra l’unità analisi comportale con un suicidio?” gli domandò ancora una volta la ragazza non convinta del risposta elusiva del padre.
“A quanto pare, si tratta di un suicidio sospetto” asserì “Comunque ora devo andare” continuò notando il suo amico, nonché capo Derek Morgan, uscire dall’ufficio della preside.
“Zio Derek! ” gridarono le due ragazze non appena lo videro.
“Ciao ragazzine…” le salutò a sua volta mentre scompigliava i loro capelli. “Scusate, ma dobbiamo proprio andare” proseguì facendo un cenno a Spencer di chiudere quell’incontro famigliare.
“Ci vediamo stasera” le rassicurò Spencer.
 “E tu…” indicando Elizabeth. “Nel frattempo inventati una buona scusa per giustificare quella F” la minacciò il padre agitando il dito indice in aria.
“Un’altra? Ma sei proprio incorreggibile!” esclamò il suo padrino intanto che scuoteva la testa ridendo.
“Sì, sì, mi inventerò un’ottima scusa. Non preoccuparti” affermò la ragazza rispondendogli per le rime.
“Lo spero per te” l’avvertì Spencer lasciandola in corridoio con l’amica e la sorella, ed infine si avviò verso l’uscita della scuola superiore “J. F. Kennedy” seguendo il suo agente supervisore.
  
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