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Autore: Yumeji    29/09/2012    2 recensioni
Il rumore di diversi spari attraversarono quel apparentemente tranquilla mattinata di inizio autunno, tingendo di altro sangue i muri del monolocale disabitato.
La vita "tranquilla" di Arthur verrà distrutta, Francis però lo vuole vuole aiutare. Ma il nostro inglesino accetterà mai di lavorare con un investigatore francese squattrinato specializzato in casi paranormali?
[Scusate per il ritardo, mi impegnerò per riprendere la storia tra breve ^^ ]
Genere: Avventura, Commedia, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo perdono per l'attesa!

Caso n23 /Caso soprannaturale number 1

Parte 3 di 4 (<--- ne sono certa ^^ )



E cosi la giornata volse al termine, mostrando ad un sole ormai calante i volti esausti di un francese, un inglese e un pulcino (appollaiato sulla testa del primo), seduti malamente su una panchina del parco cittadino, un’espressione sconsolata ad segnare i loro animi quasi gli fosse caduto il mondo addosso.
Una scena assai insolita anche per chi (come la nostra stella) è antico quasi quanto il tempo.
Molte persone si erano fermate più volte ad osservarli, probabilmente incuriositi da quell’aura oscura e malsana, tendente al violetta, di cui erano circondati.
Arthur e Francis si sentirono quasi fortunati che quella folla fosse giunta solo in quel momento, perché se fosse passata sole poche ore prima si sarebbe trovata davanti una scena ben più assurda, comica e bizzarra.
Un inglese alterato aveva preso a litigare sempre più a gran voce con il povero animaletto, il quale gli rispondeva per le rime usando un linguaggio molto colorito, che ben presto anche l’altro si ritrovò a sfruttare. Inutili furono i tentativi di Francis per azzittirli, i due non volevano dargli ascolto, solo quando cercò d’improvvisare uno spogliarello riuscì ad ottenere la loro attenzione, nonché una serie di insulti e il risultato che il suo cappotto gli fosse rubato da due vecchiette fin troppo arzille (le quali sembrarono deluse dal nulla di fatto). Il francese si era poi pentito di non aver atteso più allungo prima di richiamare Arthur, a quanto pareva non aveva ancora sbollito del tutto la rabbia per il commento “Mr. Sopracciglia”, ma il fatto che quel pulcino si fosse rivelato sul serio la mente di Gilbert Beilschmidt lo aveva sconvolto non poco. Ed essendo stato un incantesimo dell’inglese ad evocarlo la cosa più logica gli era sembrata che fosse lui a parlarci, poiché, dopo essersi fatto sfuggire quell’informazione, il piccolo Gilbert aveva deciso di tenere il becco chiuso su tutto il resto.
C’era poco d’aggiungere sul concludersi di quel lungo giorno, avevano discusso per tutto il tempo senza riuscire a togliere un ragno dal buco, le ore si era susseguite veloci senza che se ne accorgessero, lasciandoli solamente sfiancati e con in mano meno di uno zero spaccato.
- Arthur... Lo hai chiamato tu “sto qua”, dovresti sapere come farlo parlare – osservò il francese spazientito, risollevandosi un poco dall’apatia causatagli dalla stanchezza, l’aver sempre quel pennuto sulla testa gli stava rovinando di capelli.
- E se conoscessi un modo, non credi lo avrei già usato?- replicò l’altro con uno sguardo arcigno, accentuato non solo dalle folte sopracciglia ma anche dalle spesse e oscure occhiaie che gli segnavano il viso, -... Io ho semplicemente dato forma ad una coscienza legandola ad una persona diversa del suo possessore. Ho fatto in modo che trovando l’anima di questo nuovo possessore occupata dalla mente originale, e non avendo più possibilità di tornare al corpo d’origine, essa non avesse altra scelta che divenire corporea per non annullarsi. La coscienza è divenuto una cosa concreta perché il nuovo corpo a cui si è ritrovata legata non aveva un posto per lei nella forma astratta- spiegò tenendosi un pesante e gigantesco grimorio dalla copertina spessa e rilegate, e dalla pagine ingiallite, sulle ginocchia. “Ma da dove l’ha tirato fuori?!” si chiese a quel punto Francis, sino a quel momento non lo aveva notato.
Sfogliandone concentrato i capitoli Arthur tentava di trovare una soluzione, traducendone quella calligrafia appuntita e sottile, in una lingua che il collega (sbirciandovi) non riuscì a decifrare… Aveva però molti bei disegni illustrativi (principalmente di piante), fu l’unica cosa che il francese riuscì a comprendere di quel volume.
- Mi sono perso...- pigolò piano Gilbird aprendo il beccuccio a mo’ di sbadiglio, perché in realtà i pulcini non possono sbadigliare (ne ruttare).
- ... Anch’io- ammise il francese, troppo distratto dall’enorme libro del collega per prestare una vera attenzione alle sue parole. Un brivido però lo percorse lungo tutta la spina dorsale, una cosa infondo l’aveva afferrata, – E chi sarebbe la persona a cui avresti legato Gilbird?- chiese. Aveva un pessimo presentimento.
- Tu – fu la secca e sbrigativa risposta che ricevette senza nemmeno essere degnato di uno sguardo.
No, Arthur non doveva aver mai sentito l’espressione “addolcire la pillola”.
- Vorresti dire che adesso sono costretto a portarmi dietro questo esserino?!- gridò avvertendo una forte inquietudine serrargli il petto, cosa ne sarebbe stata della sua reputazione se lo avessero visto in giro con quel animaletto? -... E  perché poi ha preso la forma di un pulcino!?!!- aggiunse sempre più sconvolto, non capiva nemmeno lui quale delle due domande più gli premeva.
- Io non centro con il suo aspetto – replicò l’inglese austero, -... esso è dato solo dal carattere che possiede il suo vero proprietario – continuò visibilmente seccato, sbuffando pesantemente di fronte all’espressione confusa del francese.
La stanchezza lo privava di quella già poca pazienza che possedeva, e ad irritarlo ancora di più ora ci si metteva pure la sua gola, la quale aveva preso a pizzicargli terribilmente dopo tutto quel tempo passato ad urlare contro al pennuto antipatico, sperava almeno che l’indomani non si sarebbe ritrovato senza voce.
- Quindi Gilbert ha un carattere da galletto?.. – comprese Francis.
- Non fa ridere – risposero con un tono di sufficienza l’inglese e il pennuto, cosa che causò trai due uno scambio di occhiatacce ricolme di pura antipatia, non ammettevano di trovarsi d’accordo su qualcosa. - E tu. Non copiarmi!- dissero nuovamente all’unisono accendendo di un intenso rossore i propri visi (nonostante uno di essi fosse piumato), entrambi stavano fumando (letteralmente) di rabbia.
- Ehm... A dire il vero sembra piuttosto che Gilbird sia più legato a te, visto quanto andate d’accordo – rise intanto il francese divertito dalla scena, gustandosela piacevolmente dopo una giornata di intense fatiche (e dalle molte camminate),
- Non andiamo d’accordo! – parlarono nuovamente come un'unica persona, facendo ancor più sghignazzare il loro spettatore, il quale ricevette per punizione una beccata in testa e un pugno nel pancreas.
- Il grandioso ed l’insuperabile me non potrebbe mai fare amicizia con qualcuno di cosi antipatico ed insopportabile!- si difese Gilbird,
- Il mio orgoglio e il mio buon senso mi impediscono di fare amicizia con un qualcosa di tanto insopportabile ed antipatico – disse nello stesso momento Arthur, e solo per amor proprio il francese evitò di fargli notare l’uso degli stessi aggettivi per descriversi l’un l’altro,
- Non commentare!- lo ammonirono notando come si stesse trattenendo dal ridere.

- Comunque, almeno ci potresti dire perché sei cosi restio a rispondere alle nostre domande? – chiese con più calma l’inglese dopo un momento di silenzio, schiarendosi rumorosamente la gola prima di parlare,
- Sono fatti personali accaduti al mio padrone il “magnifico” Gilbert, non posso permettere che questo genere d’informazioni venga divulgato in giro. L’ho promesso – rispose il pennuto gonfiando il petto con fare fiero,
- Promesso a chi?- insistette Francis assottigliando gli occhi chiari,
- Ad Antonio –



[La scomparsa di Antonio Fernandez Carriedo]
- racconto di Gilbird -
Era una giornata fredda, terribilmente fredda per essere aprile, tanto da sembrar impossibile che la primavera fosse arrivata visto il gelo calato cosi d’improvviso. Il vento sferzava furioso portando con se la promessa di un temporale, e una luna d’argento brillava sopra le nostre teste con il calar della sera, occasionalmente nascosta dalla nubi cariche di pioggia.
Io ed Antonio ci trovavamo appena all’esterno della scuola (nella piazza sant’isa), seduti l’uno accanto all’altro su una panchina, alla disperata ricerca di un po’ di calore mentre i nostri fiati condensavano in tante piccole nuvolette di fumo. Tremavamo entrambi e nulla desideravamo di più al mondo se non un luogo caldo e confortevole, però sapevamo di non poterci muovere dalla nostra postazione. Quella era una serata speciale, soprattutto per chi aveva bisogno di risposte come lo ero io.
Ormai da molto eravamo consapevoli che qualcosa di strano stava accadendo tra le mura del vecchio college, ma nessuno aveva voluto darci retta, per quanto avessimo tentato di aggrapparci ai professori le nostre parole non furono ascoltate.
Cosi decidemmo, anzi, io decisi, che l’unico modo per farli ricredere sulle misteriose scomparse (o rinunce come volevano farcele passare), fosse di cogliere il colpevole o i colpevoli con le mani nel sacco!
Adesso posso ammettere di essere stato un (seppur magnifico) idiota per aver ideato un piano simile, e soprattutto per aver portato Antonio con me, ma da qualche settimana ero tormentato dalla preoccupazione e da un forte senso di colpa. Non che lo abbia mai esternato, ma penso fosse chiaro a molte alle persone che mi stavano attorno. Da quando “lei” se ne era andata, da quel momento, la semplice sensazione che quelle sparizioni non fossero normali divenne certezza. “NON è POSSIBILE CHE VETA RINUNCI COSI!!!” era stato il mio unico pensiero nei primi giorni dalla scomparsa di Elizaveta. La conoscevo bene e da troppo tempo, sapevo quanto ci tenesse a frequentare un college, per di più quando Veta desiderava qualcosa era praticamente impossibile fermarla. Per questo non potevo crederci quando hanno tolto il suo nome dalla porta della stanza che sino a quel momento aveva occupato, per questo nessuno mi avrebbe mai convinto che avesse mollato. Elizaveta possiede un orgoglio molto vicino (se non identico) a quello maschile, fare un gesto simile era una cosa inconcepibile per lei, soprattutto perché io lo avrei saputo subito e si sarebbe sentita umiliata.
- G-gilbo… Non che io abbia qualche ripensamento, ma...-a sei proprio sicuro che questa sia una buona idea?- la voce tremante di Antonio ruppe il filo dei miei pensieri, facendomi tornare al piazzale gelido e vuoto. “Certo che questa non è una buona idea!” mi dissi tra me e me,
- Ma certo, non ti devi preoccupare. Non ho mai ideato un piano cosi perfetto – lo rassicurai, mentendo spudoratamente, mantenendo il mio solito modo arrogante e sicuro e cercando di sorridergli, ma il freddo mi aveva intorpidito i muscoli facciali e il risultato fu una smorfia piuttosto inquietante, che però riuscì a far strappare una risata al mio amico.
- Ap-punto perché non lo hai mai ideato prima che mi preoc-cupo...- balbettò lui raggomitolandosi al meglio che poteva, continuamente scosso dai brividi, ormai da molto avevo imparato che il suo sangue latino lo rendeva alquanto sensibile alle basse temperature.
- Eh, dai! Abbi un po’ di fiducia – replicai in tono volutamente lamentoso, fingendomi offeso, - Infondo io ti ho sempre supportato – gli ricordai girando la testa dall’altra parte,
- S-i ma non era nulla di cosi pericoloso. Qui... qui stiamo parlando di rapitori, e assai esperti visto che riescono a convincere le loro vittime a seguirli. E ancora non sappiamo perché li rapiscano!! – Antonio tentò nuovamente di fare il coscienzioso, cercando di spiegarmi quanto quella fosse una follia.
Io però non lo ascoltai limitandomi a fissarlo in silenzio con un espressione seria, senza mai distogliere lo sguardo.
Rimanemmo a quel modo per almeno un minuto.
– E va bene! Mi fiderò di te e basta, okay!? – si arrese alla fine, non riusciva mai a resistere allungo al mio sguardo e poi era evidente quanto quei fatti lo incuriosissero, lo avevo capito da come fosse stato facile convincerlo ad uscire in una notte tanto gelida. – Solo una cosa...- aggiunse poi abbassandosi la sciarpa che rischiava di soffocarlo (si era imbacuccato per bene, con persino il cappello di lana), - Perché proprio sta notte? –
- Bhé... Semplice, perché è trascorso un mese dalla scomparsa di Elizaveta – risposi ghignando, fiero di quel colpo di genio,
- Si, ma chi ti dice che non ci sarà un altro intervallo di tempo come c’è stato tra Kiku e Lily? – osservò cercando di trattenersi dal rabbrividire,
- No. Si presenterà, di questo ne sono sicuro – dissi, e non mentivo questa volta, avevo la chiara (seppur astratta) sensazione che quel giorno, quella notte, sarebbe avvenuta l’ennesima sparizione, stava solo a noi impedirla.
- Devo fidarmi, giusto?- si ripete lui e io annui senza più aprir bocca.
Un leggero malessere mi attanagliava la bocca dello stomaco e cominciai a sudare freddo, sapevo che mancava poco tempo ormai, eppure non riuscivo a spiegarmi il perché di quella certezza, ma forse la mia mente era solo troppo stressata dall’ultimo periodo e cominciava a giocarmi brutti scherzi.
La sera prima mi era persino sembrato di udire Veta chiamarmi attraverso il forte vento.
- COSA CI FATE VOI, QUI?! – una voce rude e rauca alle nostra spalle ci fece trasalire terrorizzandoci ben più di quanto avrebbe potuto fare un qualunque rapitore, “il supervisore” riconoscemmo subito il tono del rozzo e grosso cubano.
- Ragazzi, si è fatto tardi... non sarebbe meglio che tornasse nelle vostre stanze? – disse una seconda persona, anche essa conosciuta, con un tono dolce e mite “il vicepreside Matti”…
Perché si trovavano lì?! Mi chiesi e, all’improvviso, capii il più grosso errore del mio piano perfetto: il star di vedetta proprio di fronte all’entrata della scuola ci dava, si, un ottima visuale, ma ci rendeva fin troppo visibili!”Ma porca..!”

Dopo una strigliata di un buon quarto d’ora da parte del “supervisore delle camerate” ci dirigemmo mogi, mogi alla nostra stanza.
- Cazz... Mi sembra di essere tornato alle elementari con quell’uomo – mi lamentai esprimendo tutto il mio malessere, non aveva avuto nessuno motivo per riprenderci a quel modo,
- Bhè... Devi ammettere che, visto i precedenti, sia normale che pensino subito male di noi – osservò Antonio sorridendo (come al suo solito), mentre mi camminava affianco.
- Tsk... Come si permette di rivolgersi a quel modo al magnifico me?.. Brutta palla di lardo – borbottai pieno di collera, gli avrei di nuovo tappezzato l’intero ufficio di foto oscene.
- Piuttosto, lasciando perdere il rimprovero... Cosa ci facevano lui e il baby-prof (Matthew) in giro da soli a quest’ora di notte? – mi domandò tenendosi il mento con fare pensieroso,
- Saranno andati fuori a bere – risposi.
- Da soli..? Potrebbe essere, ma ti ricordo la passione che Mr.Superompi tiene per i liquori, eppure non puzzava per niente d’alcool e non sembrava per nulla brillo – osservò e mi stupii del suo sguardo attento, o meglio olfatto, perché io non avevo notato nulla.
- E che ne so! Avranno avuto un appuntamento – sbottai irritato, per colpa loro avevo perso la mia possibilità di scoprire qualcosa... O forse, no?
Sorrisi malignamente mentre il mio carissimo amico avanzava ancora rimuginando per il chiostro, chiedendosi se fosse possibile che una persona come il vicepreside Matthew potesse avere dei gusti tanto orripilanti.
Bhè, già strano un po’ lo era visto come se ne andasse sempre in giro con un orsacchiotto nonostante i suoi anni, ma era veramente possibile?
Il cubano e il canadese..?
Lo fermai di colpo afferrandolo per una spalla e vidi il suo sguardo smeraldino, da prima confuso, attraversato da un lampo panico quando comprese le mie intenzioni.
- Mi dispiace per te Gilbert. Sei un buon amico, ma non farò mai una cosa simile – disse sorridendomi visibilmente a disagio prima ancora che potessi parlare, -Mi dispiace molto per la scomparsa del tuo amico Ivan e di Elizaveta, ma infondo non sono affari miei. Non ci ho scambiato nemmeno mai una parola – cercò di svignarsela ma mi spostati davanti a lui bloccandogli la strada, rendendo più salda la presa afferrandolo per entrambe le spalle.
- Dai Antonio, ti chiedo solo di fare la guardia qui nel giardino del chiostro e di venire ad avvertirmi se succede qualcosa di strano, io intanto perlustro le camerate – gli chiesi tenendo un tono falsamente lamentoso, ma ghignando tra me e me, Antonio aveva già distolto gli occhi dai miei, probabilmente la stanchezza causata dall’ora tarda lo rendeva più malleabile alle mie richieste.
- Perché ci devo stare io fuori?- mi chiese quasi supplicante mentre lo lasciavo lì da solo, - Sai che non sopporto il freddo – ribadì sbuffando.
- Se hai freddo basta che indossi qualcosa di più pesante. Tipo una pelliccia, che ne dici?- gli proposi quando ormai avevo già raggiunto il portone di entrata,
- Ahaha... Molto divertente – fece lui ironico, era già vestito peggio di un eschimese, gli sarebbe stato impossibile mettere altro, - Sei un coglione! – aggiunse e fu una della poche volte in cui il sorriso non gli colorò le labbra.  
 


- E poi..?- chiese Arthur alzandosi in piede di scatto, troppo preso dal racconto per sopportare una cosi brusca interruzione,
- E poi... Non ricordo – rispose Gilbird roteando gli occhietti scuri con fare spazientito.
- Come puoi essertelo dimenticato!? Era la parte più importante! – si innervosì l’inglese afferrando l’animaletto e stringendolo in un pugno,
- Sono quasi morto! È ovvio che abbia la mente un po’ confusa! – ribadì il pennuto beccando la mano con cui lo teneva il biondo, il quale lasciò la presa per il dolore. - Comunque quella è stata l’ultima volta che ho visto il mio amico Antonio – aggiunse atterrando tranquillamente tra la conca formata dalle mani di Francis che si era spinto in avanti per afferrarlo,
- Bhè... Almeno qualcosa l’abbiamo scoperta – disse il francese cercando di alleggerire la tensione creatasi trai due mentre la furia omicida di Arthur rischiava di travolgerli.
 - Si, sappiamo dove il ragazzo si trovava quando è scomparso – ammise il collega ignorando momentaneamente i suoi propositi di un brodo di pulcino per tornare con le mente al caso. Si certo, ora sapevano qualcosa in più, ma non era molto, ancora non avevano idea di come fosse andata la vicenda. Potevano solo supporre che, una volta separati, Antonio avesse avuto un brutto incontro con il famigerato rapitore e, quindi, avesse fatto la medesimo fine dei suoi compagni. Troppi però erano i buchi da riempire, ad esempio: perché la scomparsa di Carriedo non risultava un allontanamento volontario dalla scuola come lo era stato per gli altri? Se fosse stata la stessa persona a rapirlo allora non avrebbe trovato difficoltoso a farlo risultare ritirato, visto come si era già specializzato in materia. E poi, non era un po’ sospetto l’arrivo di Matthew sulla scena? Davvero il vicepreside era cosi estraneo ai fatti come voleva far credere?
Aveva già mentito una volta sull’apparente laurea di Beilschmidt, non sarebbe stato cosi tanto strano se lo avesse fatto di nuovo. E...
- Aspetta! – esclamò Arthur, inciampando nella logica dei propri pensieri, - Tu non avresti dovuto essere a scuola, sei stato ritrovato nel quartiere xx  il mattino dopo! –
- Di questo ne sono più che sicuro, quella sera non mi allontanai mai dal college Sant’Isa – negò il pulcino e allora l’inglese ricordò le parole di Sesel “Gilbert aveva perso molto sangue, nonostante questo però non vi erano ingenti quantità sul luogo del ritrovo”.
- Torniamo al College Sant’Isa – decise il giovane avanzando deciso verso l’ospedale.
- Come? Adesso..? – protestò Francis esausto, ormai il sole era calato da un pezzo e l’oscurità avvolgeva quasi interamente l’ambiente intorno alloro, il parco rimaneva quasi al buio in quelle ore, rischiarito solo da qualche raro lampione con la luce ad intermittenza.
- Si adesso! – confermò l’inglese senza degnarlo di uno sguardo, -... il vicepreside Matthew è fin troppo sospetto, gli andremo a fare qualche domanda! – aggiunse sicuro di ritrovare lì l’uomo.
Ai professori e al personale didattico erano stati messi a disposizione degli appartamenti nei pressi della scuola,
- Guido io! – si infervori d’improvviso Francis, era bastato pronunciare il nome di Matthew per far cadere tutte le sue proteste.
Nuovamente di corsa, un po’ perché erano di fretta vista l’ora tarda, un po’ perché Arthur si rifiutava di lasciar nuovamente in mano il volante a quel pazzo, i due detective tornarono a recuperare la loro macchina e partirono alla volta dell’università, ma nessuno dei due,  ne Gilbird, si accorse minimamente della presenza di un passeggero clandestino che, inconsapevolmente, trasportavano all’interno del bagagliaio.



[College/Università Sant'Isa]
Il piazzale di fronte alla scuola ristagnava in un silenzio quasi inquietante a quell'ora della sera, dopo la chiusura di tutti i negozi che si affacciavano sulla piazza non sembra vi rimanesse anima viva in quel luogo, nemmeno un piccolo bar in cui bersi qualcosa una volta concluso l'orario di lavoro. Poche luci illuminavano la strada di ciottoli e segnavano i contorni degli edifici, un leggero venticello si era alzato facendo ululare la propria voce dentro le fessure delle antiche mura e le strette vie.
All'improvviso, agli occhi di Arthur, le vecchie pareti che circondavano la scuola presero un aspetto inquietante in quell'opprimente oscurità. Lo sguardo dell'inglese sostava inquieto su quei vecchi mattoni deformati e rovinati dalle intemperie, vi leggeva storie d'orrore e di paura individuando visi dagli occhi incavati e dalle bocche sdentate spalancate in mute grida di terrore, simili a teschi dalle orbite vuote, pronti ad attaccarlo non appena avesse dissolto lo sguardo.
Per lui il suono dell'aria divennero grida di avvertimento, maligne risate, pianti.
In quel momento, Arthur si rese conto di qualcosa che solo poche ore prima non avevano neppure notato, l'intero ex monastero era cosparso del sangue di suoi cari amichetti fatati.
- Tutto bene fiorellino? - domandò Francis arrivandogli affianco, inclinando un poco la testa (dove al suo apice trovava nuovamente posto il piccolo animaletto piumato) verso di lui, sembrava preoccupato ma era sempre meglio diffidare di certe espressioni facciali del francese, era un ottimo attore.
- Sei impallidito - constatò Gilbird e Arthur si sentì a disagio ad essere scrutato dai loro sguardi,
- Sono solo un po’ stanco - sbuffò irritato, percorrendo quasi di corsa i pochi metri che lo separavano dal cancello della scuola, -... Perché è aperto? - domando constatando, difatti, che il battente era appena socchiuso.
- Il superompi chiude il cancello alle 23.00 al suo ritorno dal bar - gli confidò il pulcino, ora appoggiato alla sua spalla,
- Ah... Allora questo supervisore sarebbe il custode - commentò il francese mentre entrarono nel chiostro, il quale fece mancare un battito al cuore dell'inglese.
- Si, ma non dirglielo in faccia, si offende a morte quando lo fai. Comincia a sbraitare dicendo che definirlo a quel modo è "sminuire la sua professione"- spiegò imitando la voce grossa dell'uomo.
Ancora una volta Arthur si distaccò dai loro discorsi ed inizio a percorrere lentamente con lo sguardo il giardino del chiostro, soffermandosi allungo su ogni punto come volesse imprimerselo bene nella memoria, era lì che Carriedo era sparito giusto? Eppure, aveva la certezza che non fosse stato quello il luogo della sua scomparsa, una vocina flebile gli suggeriva di andare avanti, di cercare il vicepreside, e lo supplicava di sbrigarsi. Solo quando entrò dal portone principale la voce sembrò acquietarsi un po’ e anche lui si sentì meglio.
Alla luce del giorno non aveva percepito i resti di quei spiritelli, erano troppi antichi per essere avvertiti, si confondevano con facilità alla presenza di altre persone. Solo se si fosse concentrato allungo avrebbe potuto individuarli anche se a fatica, ma ora che era calata la sera, non vi era più un anima viva in giro e i residui di esistenza appartenuti ai vecchi resti dei membri del popolo fatato sembravano rilucere ai raggi lunari.
Certo, l'inglese sapeva che era cosa normale un tempo sacrificare qualche spirito magico per consacrare la terra sulla quale si voleva costruire una nuova chiesa, o per purificarla, ma fu un duro colpo per lui scoprire di aver ignorato un tale massacro, per quanto antico fosse.
- L'ufficio del vicepreside si trova al secondo piano nell’ala est – l’informò Gilbird quando si ritrovarono di fronte alle (in apparenza) infinite moltitudini di rampe di scale che portavano ovunque nel college.
- Bene. Le mie adorate scarpe nuove si sono già consumate - commentò ironico e a malincuore Francis, struggendosi per la prematura dipartita delle proprie calzature da 200 e passa euro.


Scalino dopo scalino, e dopo essersi persi un paio di volte, finalmente il trio: francese, inglese e pulcino, raggiunse trafelato l'ufficio del vicepreside su cui una bella targa in ottone lucidato, posta affianco alla porta, ne segnava il nome in un elegante corsivo.
- anf... Per-ché, anf.. dobbiamo sem-pre correre? - chiese il francese senza fiato,
- Perché oggi è un mese esatto dalla scomparsa di Carriedo, potrebbe avvenire un altra sparizione - gli confidò Arthur piegato sulle ginocchia facendo respiri profondi, era esausto. Una volta concluso il caso si sarebbe preso una vacanza. - Dobbiamo cercare di impedirlo - aggiunse e, con una leggera soddisfazione, poté vedere il volto di Francis farsi serio, ma forse il biondo stava solo provando l'espressione per presentarsi al meglio di fronte al “suo” bel Matthew. – Dai, muoviti! – gli intimò un po’ stizzito.
Bussarono alla porta, ma non ricevettero alcuna risposta,
- Se ne sarà andato? - ipotizzò l'inglese,
- La luce però all'interno è accesa - notò Gilbird sempre sulla sua spalla,
- Bene, entriamo - fece invece Francis superando il collega e aprendo la soglia che non era chiusa a chiave.
Meno di un nanosecondo dopo la sbatté violentemente tirando le labbra in un'espressione a meta fra lo sconvolto e lo schifato. - Ha davvero dei pessimi gusti - commentò sbiancando di colpo e appoggiandosi allo stipite, il mondo per lui aveva preso a girare al contrario.
- Eh..? - esclamò l'inglese confuso, come risposta Francis si limitò a indicargli la porta coprendosi con una mano gli occhi, sembrava al quanto amareggiato, e borbottava qualcosa del tipo "perché Matthew, perché?".
Arthur socchiuse piano la porta infilandoci la testa per sbirciare (insieme al piccolo Gilbird che stava morendo di curiosità), e ciò che vide lo sconvolse a tal punto che il giovane non riuscì a trattenersi dall'urlare peggio della classica protagonista da film horror, l'istante prima di essere brutalmente trucidata dal serial killer o dall'orrendo mostro di turno.


- BASTA, IO TORNO IN INGHILTERRA!! - piagnucolava l'inglese, seduto a ridosso del muro con le ginocchia strette al petto, - Lì queste cose non mi succedevano!! – continuò sognando ad occhi lucidi la propria adorata patria, il suo splendido cielo grigio sempre carico di nubi, l'umidità, la pioggia, la nebbia sul Tamigi... Ma perché cazzo gli veniva in mente solo riferimenti sul tempo?
- Kesesesese...- rideva intanto Gilbird ai suoi piedi, ghignando come un idiota, “lo sapeva!”
-... Perché, perché Matthew?- continuava intano Francis con a sua infinita litania, stringendosi il petto nella parte dell'uomo dal cuore spezzato.
- Mi...mi dispiace avervi fatto attendere - balbettò il canadese uscendo titubante dal proprio ufficio (dopo il grido dell'inglese gli era stato impossibile non notare i due detective), il suo tono basso e tranquillo tradiva un nota d'imbarazzo e la voce gli si era fatta leggermente rauca. Aveva i capelli scompigliati, gli occhiali leggermente storti e i vesti stropicciati, gli erano persino saltati un paio di bottoni dalla camicia, portava le scarpe ma non i calzini, - Vo... volevate chiedermi forse qualcosa? - chiese accennando ad un sorriso ricolmo d'inquietudine, visibilmente a disagio.
- PERCHé LUI? - gli domandarono i tre all'unisono, facendo accendere di un intenso rossore il suo bel visino delicato,
- Io intendevo sulla scomparsa di Antonio! - sbottò Matthew visibilmente irritato, seppur mantenendo un tono di voce piuttosto basso mentre la figura possente del custode usciva dall'ufficio allacciandosi con disinvoltura la cintura dei pantaloni.
- Ah, si. Eravamo venuti appunto per questo...- ricordò Arthur asciugandosi gli occhi e tirando su rumorosamente con il naso cercando di darsi un po’ di contegno nel alzarsi, pulendosi con la mano i pantaloni. - Perché ci ha mentito? - chiese vagando in certo con lo sguardo per non incrociare quello del cubano, dopo quello che aveva visto si vergognava come un ladro, - Tu... ehm, lei, in realtà era già a conoscenza delle sparizioni vero? - e gli occhi del canadese si spalancarono un poco alla sua domanda, ma fu un movimento quasi impercettibile, molto controllato, che Francis notò con fatica.
- Si sbaglia - negò il giovane vicepreside non mostrando alcun segno di cedimento, anche se il compagno al suo fianco fulminò con uno sguardo tutt'altro che rassicurante i due detective, intimandogli silenziosamente di andarsene, ma forse era solo semplicemente furioso di come era stata interrota la sua romantica serata con il bel professore, -... non so di cosa stia parlando -
- Allora non è stato lei a cercato di salvare Gilbert quando è stato attaccato dal rapitore? - intervenne Francis e sta volta lo stupore fu ben visibile sul viso d Matthew, come su quello di Arthur, del custode e, si, persino di Gilbird.
- Cosa..? - fu l'inglese a rompere per primo il silenzio,
- Bhè... Gilbert è stato trovato mezzo morto in un quartiero malfamato, ma (per l'appunto) era ancora vivo. A quanto sembra qualcuno gli ha prestato un primo soccorso, poi ha chiamato sia la polizia che l'ambulanza, ma si è volatilizzato prima del loro arrivo. E dobbiamo tener conto che il ragazzo è stato trasportato lì dopo essere stato ferito, probabilmente non voleva mettere nei guai la scuola vero, mio caro vicepreside? - spiegò Francis dando sfoggiò di tutte le proprie doti investigative con disinvoltura, spostandosi i capelli dalla fronte mostrando un affascinante sorriso furbesco.
-...- il canadese rimase muto sostenendo però il suo sguardo e serrò forte le mascelle in un leggero moto di rabbia. No, non sarebbe stato tanto facile incastrarlo.
- Matthew non sapeva assolutamente che Beilschmidt era stato ferito, sono stato io a lasciarlo lì! - intervenne allora il custode pronto a difenderlo, ma lui non sembrò molto felice del suo intervento, un fulmine di collera gli aveva appena attraversato il viso quando si portò una mano a massaggiarsi la fronte, sbuffando sconfortato.
- Orsacchiottone, hai appena ammesso di centrare con questa faccenda...- gli fece notare esausto, probabilmente in quel momento si stava facendo una lista mentale sui pro e i contro di amare quel cicciabombolo.
- Eh? Ma ti stavano accusando, ci avevano scoperto – si difese il cubano,
- Non hanno prove, non potevano dimostrare ne la tua, ne la mia presenza sul posto. Tu però l’hai appena confessato! – gli disse furente, incapace di alzare il tono ad una nota più elevata.
- Come l’hai capito? – chiese invece l’inglese, senza farsi sentire dai due, avvicinandosi lentamente al collega mentre gli “innamorati” continuavano la loro discussione, si stupiva che Francis avesse scoperto una cosa simile, ma cominciò anche a provare una certa ammirazione per il collega, lo aveva colpito vederlo per la prima volta adempiere sul serio il proprio lavoro.
- Ho tirato ad indovinare, fiorellino – gli rispose il suddetto approfittando della vicinanza per fargli l’occhiolino, ma ciò che ottenne fu solo l’ennesimo pugno in mezzo alla fronte,
“E io che pensavo di riconsiderarlo come essere umano!” pensò Arthur vergognandosi di se stesso per aver solo considerato l’idea.
- Va bene, va bene! Adesso basta...- esclamò il dolce vicepreside, battendo forte le mani per attirare l’attenzione di tutti, visto che con il suo tono di voce non sarebbe mai stato udito da nessuno, un sorriso tirato ne segnava le labbra mentre una leggera ruga gli attraversava la fronte, -Ora che ci avete scoperto forse è bene se vi raccontiamo tutta la storia dal principio, no? – propose sospirando appena, fin troppo remissivo per non essere sospetto agli occhi di Arthur, - Se volete accomodarmi nel mio uff..fi-cio – si interrupe nel vedere le facce schifate dei due detective, probabilmente dopo aver visto quella scabrosa scena di passione proprio sul divano della stanza non avrebbero mai accettato di rimetterci piede.



Un silenzio inquietante avvolgeva il giardino interno della scuola, avvolto in un’oscurità resa più tenue solo dai freddi raggi argentei che scaturivano dalla luna, alta in un cielo di tenebra.
Solitaria si stagliava, il nostro satellite, in quella notte avvolta dal silenzio, unico e solo spettatore dei fatti che si sarebbero compiuti di lì a poco, nessun altro ne sarebbe stato testimone se non gli stessi protagonisti i quali, ignari del pericolo, percorrevano lentamente i corridoi del college, diretti alla maestosa biblioteca dell’istituto.
Solo Francis volse, per un istante, l’occhio verso la finestra ammirando l’ambiente oltre essa, “è come se tutte le stelle si fossero spente” pensò distrattamente, senza però dare ulteriormente peso alla sensazione, distratto dalla presenza di Matthew che gli stava facendo strada.
- Se volete sapere come si è svoltata tutta questa storia è forse meglio partire dall’inizio… – aveva detto il baby-prof dopo che i due detective avevano rifiutato il suo invito ad accomodarsi nel suo ufficio,
- Sappiamo già come è andata – fu la secca risposta dell’inglese incrociando le braccia al petto, mostrando una sicurezza di cui era totalmente sprovvisto al momento,
- Potrebbe anche essere che le vostre conoscenze siano ben più ampia di quanto io immagini, ma sono certo che non abbiate ancora idea di chi si aggiri per questa scuola – e, per qualche motivo, il sorriso gentile e cortese che gli rivolse fece tremare le mani dall’irritazione ad Arthur, quel comportamento falsamente accondiscendente non gli piaceva affatto, gli ricordava troppo l’atteggiamento di Francis.
- E cosa abiterebbe tra queste mura? – intervenne, appunto, il francese sorridendo allegro raggiungendo il fianco del collega, voleva stare il più vicino possibile al giovane vicepreside e ignorò del tutto le occhiatacce cariche di intento omicida con cui il grosso cubano, alla loro spalle, lo fulminò. “Posso capirlo” si disse Arthur notando la sua densa aura oscura carica di rabbia,
- Probabilmente l’ospite più antico di questo monastero – proruppe il colosso facendo voltare appena il biondo, che gli riservò solo uno sguardo carico di sufficienza con cui lo fece infuriare ancora di più. “Picchialo, a sangue, a sangue!!!” lo incitava intanto mentalmente l’anglosassone.
- Ovvero..? – domandò Arthur, un poco deluso dal comportamento troppo controllato del “supervisore”, insomma, Francis si era attaccato come una cozza al ragazzo con cui, neppure mezz’ora prima, stava per avere un amplesso, perché non reagiva?.. Ma, soprattutto, perché lui si ritrovava ad irritarsi per un argomento nel quale non centrava minimante?!?
L’inglese cominciò a rivalutare seriamente la possibilità di farsi una vita al di fuori del lavoro.
- Bhe… Noi lo chiamiamo il “chierichetto”, ma in origine era considerato lo spirito protettore di questa scuola – ritornò a parlare Matthew mantenendo non sorriso di circostanza, sembrava abituato ad essere costantemente interrotto, probabilmente la cosa non lo toccava più.
- Chi? Santa Isa?..-
- No, rana annacquata – e, dopo aver taciuto per ben dieci minuti, Gilbird riprese finalmente la parola, - Anche se il monastero era dedicato a lei, la santa non ha mai avuto contatti con questa città, ne con la scuola. Lo spirito di cui baby-prof sta parlando è in realtà il fantasma di un giovane morto durante i lavori di costruzione dell’edificio. Si dice che il suo corpo sia stato seppellito nelle fondamenta stesse della chiesa – raccontò con voce gracchiante e tetra, per dare un tocco di orrore a quella storia già di per se tragica.
- Ooh, è una storia di fantasmi! – esclamò Arthur ascoltando con interesse le parole del pulcino (costantemente sulla sua spalla), ma forse con un entusiasmo esagerato visto l’argomento.
- Non è una storia di fantasmi! – intervenne il cubano, -… è un fatto serio, è forse l’episodio più antico che riusciamo a ricondurre a questa università – volle sottolineare come se l’affermazione dell’inglese lo avesse offeso.
- ehm… Sbaglio o il pulcino a parlato? – rimase invece allibito il vicepreside, lo sguardo sconvolto nell’osservare l’animaletto quasi si fosse ritrovato davanti ad un esperimento segreto proveniente dell’area 51.
- È una lunga storia. Non ci dia troppo peso cherry – sviò velocemente il discorso Francis, sul serio, se avessero anche solo tentato di spiegare da dove fosse saltato fuori Gilbird, bhé… Sicuramente Arthur sarebbe stato internato (come minimo).
- Hai sentito, l’ha chiamato “cherry”, Sig.supervisore non è che quel tizio sta cercando di rubarti il fidanzato?- continuò invece a parlare Gilbird, divertito all’idea di poter punzecchiare mr.superompi, era sempre stato il suo passatempo preferito, e anche in una simile situazione le vecchie abitudini faticavano a morire.
- Secondo me ci sta anche troppo appiccicato..- pensò ad alta voce Arthur, lasciando che la leggera irritazione per la superficialità del compagno trovasse sfogo nel dare man forte al pulcino. Se quell’energumeno avesse dato sul serio una lezione al francese, probabilmente, si sarebbe sentito meglio.
Peccato che, quel momento non giunse mai, perché lo stesso inglese chiese, - E cosa centrerebbe questo “chierichetto” con tutta questa storia delle sparizioni? – tornò al discorso principale, era troppo dedito al caso per lasciarsi allungo sviare dalle proprie pulsioni. “A differenza di un certo qualcuno” adocchiò malamente Francis.
- La leggenda vuole che, chiunque incontri questo fantasma, ne rimarrà talmente affascinato da seguirlo sino nell’oltretomba- spiegò il cicciabombolo, rivoltò però solamente ad Arthur, ignorando persino lo sguardo che Matthew gli rivolse.
- Ma no, i fantasmi non fanno cose simile..- negò convinto l’inglese, - loro rimangono su questa terra perché incapaci di arrivare nell’aldilà, come potrebbero mai condurvi qualcun altro? Se ne fossero in grado non rimarrebbero di certo a vagare su questa terra- spiegò con fare saccente, trattenendo a malapena il riso, panzanate simili ne suscitavano sempre l’ilarità.
Non si accorse però che la sua espressione divertita causò un certo sconcerto in quel loro piccolo gruppetto. Nessuno dei presenti avrebbe mai pensato che l’inglese potesse prendere un aria tanto tranquilla e spensierata. - Certo, possono essere fastidiosi, ma nient’altro. Sempre che non siano cosi potenti da controllare l’abitazione che infestano, allora è meglio traslocare – continuò il discorso, ma sembrava più parlare a se stesso che ad altri.
Intanto, in tutto quel cianciare, il suo inconscio aveva già raggiunto una risposta, la quale mente però non voleva ancora elaborare. - Gli unici esseri che possono incantare un individuo abbastanza da fargli dimenticare il senso della realtà sono gli spiritel-li…- il sangue gli si gelò nelle vene quando si rese conto delle propri parole, sbiancò mentre le gambe gli si facevano di piombo, costringendolo a fermarsi di colpo.
Possibile che il popolo fatato, che i suoi amati amici, compagni di una vita, centrassero qualcosa con tutto quel che era accaduto?
Un terribile dubbio prese possesso del suo animo e la terra sembrò mancargli da sotto i piedi, solo Francis comprese a cosa fosse dovuto quel suo improvviso cambio d’atteggiamento ma, prima che potesse fare qualcosa, un ululato possente e terrificante squarciò la notte.
- Proveniva dal giardino interno..- proclamò Matthew, anche lui divenuto pallido, tutti in quel corridoio avevano capito che quel suono non apparteneva ad un cane qualsiasi, troppo umano per esserlo. Sembrava il grido disperato di chi chiede aiuto.
Il suono fu seguito da un botto, come lo scoppio di un fuoco d’artificio o di uno sparo, per un istante le pareti stesse dell’antico edificio sembrarono tremare.
- Andiamo! – ordinò Arthur afferrando allo stesso tempo il polso del collega, intimandosi di reagire. Presto si sarebbe creato un disordine generale, era impossibile che, nonostante la distanza dei dormitori, gli studenti non avessero avvertito nulla, presto sarebbero usciti dalle loro camere. Dovevano agire prima che questo accadesse.



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Lo so, questo sarebbe dovuto essere il capitolo finale  del loro primo caso, ma "purtroppo" il racconto di Gilbird mi ha preso più spazio di quel credevo.... Mi dispiace, non ho scusanti per il ritardo, posso solo dire che questo povero scritto era pronto da mesi, ha fatto la polvere dentro la memoria di un computer (insieme ad altri miei scritti) che sfortunatamente era divenuto inutilizzabile. Ho atteso un secolo prima di riuscire a recuperarlo -3 -
Coomunque, il prossimo capitolo? Ci sto lavorando, l'attesa non sarà cosi luunga, ve lo prometto ^____-
  
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