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Autore: raimoldatolda    29/09/2012    1 recensioni
Giusy si sta per laureare e allo stesso tempo lavora nella redazione di un giornale. La sua unica sfortuna sono gli uomini per cui si innamora. La sua unica fortuna è quella di avere un grande segreto: essere l'anonima scrittrice di "Beetroots Hill" il fumetto più famoso del momento. Ma da un giorno all'altro l'arrivo di uno sconosciuto che si crede il protagonista di Beetroots Hill, le cambierà tutta la vita.
dal terzo capitolo:
- Carter chi – incalzai puntando la chiave contro il suo petto irrigidito. Da quando vivevo in quell’appartamento da sola avevo imparato a proteggermi da ogni inconveniente. E poi quella pazza di mia madre mi aveva iscritto obbligatoriamente al corso di difesa personale.
- Carter Blaze – rispose con tanta naturalezza. Scoppiai a ridere ad alta voce e lui mi guardò male.
- sì come no... e io sono Cameron Diaz – sbuffai. Mai che uomo mi prendesse sul serio. Tutti bugiardi, anche da sconosciuti che pensano che io li desideri.
- oh, molto piacere Cameron – disse tendendo la mano.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ma certamente, comunque sta arrivando Alessandro” annunciò guardando in lontananza. guardai anche io dalla sua parte e nella folla intravidi colui che mi aveva detto che sarebbe uscito con un suo vecchio amico.
“o mio dio Gin! C’è Alessandro... Alessandro il mio!!” esclamai nel momento in cui lo vidi, e il mio cuore cominciò ad accelerare il suo battito.
“ma dove??” chiese Gin più spaventata di me, tant’è che si nascose dietro alla macchina, e io più coraggiosa di lei la seguii.
“quello là davanti a noi!”
“ma io non lo vedo... vedo solo Alessandro!”
“esatto!”
“ma non il tuo... il mio!” mi disse dandomi una botta sulla spalla.
“ma come fai a non vederlo? È quello con la camicia a righe!” cominciai a spazientirmi.
“no guarda... quello è il mio Alessan... oh mio dio Giù... come si chiama il tuo Alessandro di cognome??” confabulò Gin nel panico più totale. Venni percorsa da un brivido quando realizzai quello che stava per succedere.
“Alessandro Romolo? Non dirmi che i nostri Alessandro sono la stessa persona” sussurrai ad occhi chiusi con le mani unite in segno di preghiera.
“brutto stronzo bastardo!!!” urlò Gin uscendo dal nascondiglio. Alessandro – ormai né mio né suo – fece un’espressione accigliata quando notò il suo comportamento.
“che cosa è successo?” disse prima ancora che mi facessi viva dietro a Gin anche io. A quel punto sbiancò. “non ci posso credere. Voi vi conoscete”
“noi siamo migliori amiche” commentai acida guardandolo in faccia.
“vi posso spiegare ragazze...”
“guarda evita proprio perché sentire altre cretinate non ne abbiamo bisogno... è un periodo difficile. Dammi le chiavi e vattene” disse Gin con un risentimento addosso che faceva paura. Lui non aggiunse altro, le consegnò le chiavi e sparì. Gin risalì in macchina senza aggiungere una sola parola, aspettò che anche io entrassi in macchina e subito partì a tutta velocità.
“Gin?” azzardai un approccio. Ero sicura che si sarebbe voltata male nei miei confronti.
“non voglio parlare. Voglio solo andare a casa a mangiare nutella” disse furiosa. La guardai con gli occhi strabuzzati.
“secondo me non è l’idea migliore. Gin perché non...”
“a casa a mangiare nutella ho detto” replicò lei senza lasciarmi finire - Ok facciamo come dici tu anche stavolta – quindi decisi di smettere di parlare e accondiscendere una pazza furiosa che aveva appena scoperto che il suo ragazzo usciva allo stesso tempo con la sua migliore amica.
Gin non mi salutò neanche quando arrivammo a casa, tirò dritto per le scale e mi lasciò davanti al mio pianerottolo senza neanche voltarsi. Carter si stupì di vedermi già a casa e gli spiegai velocemente la situazione.
“da quello che mi è sembrato, Gin ce l’ha con me per Alessandro. Ha smesso di parlarmi”
“non credo che ce l’abbia con te veramente. Sarà furiosa con Alessandro, tu cosa centri?”
“anche io stavo uscendo con Alessandro”
“ma nessuna di voi sapeva che si trattava della stessa persona”
“hai ragione ma mi dispiace, e poi a me non interessava più di tanto, lei era molto presa da lui, io non come lei.. penso che sia giusto che sia in quelle condizioni ora. Anche se però io vorrei soltanto che capisse che io non l’ho fatto apposta”
“facciamo una cosa.” Propose Carter “Ora vado io su da Gin, le parlo e poi vado a lavorare. Vuoi che ti porti qualcosa stasera quando torno?”
“qualsiasi cosa che mi faccia dimenticare completamente questi due giorni” commentai ancora con gli occhi allucinati – neanche avessi rotto uno specchio. Ne avrei avuta molto meno di sfiga – e piena d’ansia. Carter mi diede un bacio sulla guancia – fino a qualche settimana fa mi avrebbe irritato altamente la sua stretta confidenza, ora mi sentivo protetta ad avere un coinquilino maschio del calibro di Carter – e uscì dalla porta. Ma senza Carter e senza Gin la serata si era prospettata di una noia mortale. Erano ancora le nove di sera ed io ero a casa, con un vestito che urlava di farlo uscire e la voglia di non rimanere in casa. Passai un’ora a rimuginare sul da farsi ma niente che mi soddisfacesse era uscito dalle mie idee. Presi le chiavi della macchina ed uscì senza una vera meta. La strada presa a casaccio mi portò inconsciamente in un posto molto familiare: casa di Peppe. Feci un’espressione un po’ schifata, ma d’altronde ero stata io a guidare fin lì. Ok. Teoricamente quella era anche casa di Cristel, potevo benissimo dire di essere andata a trovare Cristel perché mi annoiavo e la sera prima non avevamo avuto modo di parlare tra di noi. Suonai al campanello e dalla porta di casa in fondo al cancello uscì proprio Peppe coperto unicamente con un paio di pantaloncini da basket – che deficiente che ero – che mi guardò con un sorriso sornione che abbelliva i suoi addominali. Dall’interno della casa si poteva sentire benissimo il cd dei System of a Down a tutto volume.
“cosa ci fai qui?” mi chiese mantenendo quell’espressione marpiona. Mi grattai la noce del collo e in quel momento ebbi la frenetica voglia di scappare.
“ehm.... cercavo tua sorella...” balbettai guardandomi intorno. Per tutta risposta il suo sorriso si ingigantì maggiormente e divenne una stupida risata sarcastica.
“è uscita col suo ragazzo... dovevate vedervi? Perché non ti ha detto che non sarebbe rimasta a casa...”
“non fa niente, allora la chiamo domani...” dissi indietreggiando verso la macchina.
“non entri? Sono a casa da solo. I miei sono ancora al mare...” se avessi detto no sarei risultata una persona forte e ben risentita. Era appena finita – ancor prima di iniziare – con Alessandro. Se avessi detto di no però mi sarei pentita per sempre.
“ok...” sentii uscire dalla mia bocca. Chiusi gli occhi con la voglia di darmi una botta in testa ma aspettai che aprisse il cancello per correre velocemente da lui. Senza neanche pensarci mi buttai tra le sue braccia e cominciai a baciarlo con frenesia. Notai che gli rimaneva il sorriso stampato sulla faccia nonostante si divertisse a mordermi il labbro.
“vuoi rimanere qui sulla porta?” sussurrò al mio orecchio. Scossi la testa e lo seguii dentro casa. Chiuse la porta con una gamba e con forza mi spinse immediatamente contro al muro. Non mi sembrava vero. Lo respinsi e con un ghigno malizioso mi avvicinai e baciai il suo collo.
“non si gioca così” disse ridendo e di nuovo finimmo contro al muro. Era forte abbastanza da prendermi in braccio trattenendomi dalle cosce, così mi aggrappai a tipo koala addosso a lui. Ma nel momento più bello mi vennero i sensi di colpa. Era quello che volevo, ma il mio pensiero non era partecipe a quello che stavo vivendo, piuttosto pensavo a Carter e quello che mi avrebbe detto quando l’avrebbe saputo; a Gin, che mi avrebbe dato dell’incosciente e immatura, e che avrei potuto evitare di conoscere Alessandro se entrambe sapevamo che poco mi interessava di lui così lo avrei lasciato a lei.
“sei assente” mi risvegliò Peppe, che mi lasciò. Tossii nervosa. Avevo completamente dimenticato in quel momento di essere con lui.
“no... invece sono presente!”
“non sei mai stata così invece. Cosa c’è che non va?”
“la posizione. È sicuramente la posizione” balbettai all’improvviso.
“sicura?” disse guardandomi a un palmo dal naso. Sospirai mentre con un movimento brusco mi lasciò andare a terra. Andai a sedermi sul divano e lui mi seguì stupito.
“mi dispiace Peppe, non ci sono con la testa”
“va tutto bene in questo periodo? Sei strana” mi sentii rispondere da lui, l’artefice di tutti i miei problemi. Pensavo e ripensavo. Non facevo altro che pensare. Non riuscivo a far fermare la mia testa.
“il nostro rapporto non è esclusivo... vero?” chiesi preoccupata. Ma non per lui stavolta, per me. C’era qualcosa che mi turbava.
“no, non lo è... ma che hai?” non gli risposi neanche. Mi alzai di scatto e cominciai a raccogliere la mia roba e rivestirmi in fretta. In fondo avevo ottenuto ciò che volevo. Tanto avevo provato e riprovato che ce l’avevo fatta a passare una notte con lui. Mi voltai un attimo per guardare Peppe, era sbalordito.
“devo andare. Ti chiamo io, buon inizio delle lezioni” dissi infine mettendomi di corsa le scarpe e scappai da quella casa per tornare correndo al mio appartamento. Sarebbe stato meglio se fossi rimasta a casa a guardare un film poliziesco come una vecchia zitella acida. Per una volta che Peppe non aveva fatto il misterioso e non si era arrabbiato per qualsiasi minima mia incertezza ero scappata senza sapermelo spiegare. Arrivai sotto casa con i capelli ancora arruffati da vera pazza, il vestito allacciato storto e gli occhi spiritati. Mi buttai sotto la doccia per lavarmi da tutte le mie ansie. Lo scroscio dell’acqua su di me non faceva altro che sembrare una cascata di pietre. Perché avevo questo senso di colpa? Andai a dormire, ma non presi sonno. Perciò mi ostinai a voler aspettare Carter sul divano con un mattone letterario a portata di mano, come una mamma preoccupata. O semplicemente perché avevo la necessità di parlare con qualcuno. Poi verso le 3 sentii dei passi provenienti dalle scale ma nessuno che entrava in casa. Alle 4 Carter si decise a tornare.
“ehi... sei sveglia!” sussurrò quasi colto in fragrante.
“era ora che tornassi!” lo rimproverai scherzando.
“mmmm Orwell... lettura leggera...”
“arriva il saccente”
“ecco la vecchia e dolce Giusy che mi insulta! Mi mancavi!!!” rise e mi stritolò in un abbraccio. Mandai indietro un guizzo improvviso che mi aveva fatto sorridere. “allora. È strano che tu mi abbia aspettato... di solito dormi come un ghiro... e russi anche nel frattempo!”
“ma sentitelo... fai meno lo scemo per favore. Hai detto che mi avresti portato qualcosa di forte... dov’è il mio alcol?” chiesi scrutandolo dalla testa ai piedi. Da dietro la schiena tirò fuori una bottiglia di birra ridendo. Gli sorrisi mangiandomi un’unghia.
“tu sei il mio angelo!” esclamai dopo essermi alzata a prendere il cavatappi. “raccontami com’è andata con Gin” gli chiesi con un improvviso senso di calma e felicità. Lui sembrò turbato e scrollò le spalle.
“non ce l’ha con te. Non ce l’ha neanche con lui... ha detto che era troppo presto perché gli piacesse veramente”
“Gin ti ha detto una cosa del genere?” chiesi stranita. Se fosse per Gin, ogni volta che incontra un uomo, quello è già destinato a prescindere a essere suo marito. La conoscevo troppo bene per sapere che non poteva essere Gin. Carter aveva capito sicuramente male. Annuì invece, convinto di quello che aveva detto.
“è impossibile. Gin era furiosa quando siamo tornate a casa”
“ti dico che invece era tranquilla quando sono salito io”
“ok... se lo dici tu” feci spallucce. “ma cos’altro ti ha detto?” ero curiosa. Forse un po’ indispettita per il fatto che Gin avesse preferito parlare con Carter piuttosto che con me.
“niente. Mi ha offerto un po’ di cioccolata e fragole... poi sono andato a lavorare” disse con tutta la semplicità del mondo. Il comportamento di Gin era strano. Sicuro era stata la grande delusione. “ma perché sei così agitata?” continuò lui a stuzzicarmi – non sono agitata cretino – e guardarmi negli occhi.
“non riesco a dormire” confessai con un sospiro.
“cos’hai fatto mentre non c’ero?”
“sesso” mi scappò detto. Scattò verso di me molto più stranito di prima.
“questa me la devi spiegare. Giù tu non me la racconti giusta... non sarai mica gelosa?”
“io? guarda che non me lo sto inventando!” risposi a tono - Io gelosa? E di chi poi? – sotto al suo sguardo accigliato. “non ti posso raccontare niente però” mi vergognavo a narrare quella storia di vigliaccheria. Non volevo neanche solo mettere in mezzo Peppe; anche Carter aveva cominciato a non tollerarlo e anche solo nominarlo notavo gli desse fastidio.
“non mi dici neanche chi è?”
“assolutamente no”
“peccato”
“mmh...” mugugnai poco convinta. “Penso che ora mi sia venuto sonno. Notte Cart” dissi senza avvicinarmi a dargli il solito bacio della buonanotte. Sentii che qualcosa era appena cambiato.


“pronto??” mormorai al telefono. La chiamata mi aveva svegliata dal mio profondo sonno. “sorpresaaaaa!!!” urlarono in coro voci indefinite dall’altra parte del telefono. Confusa tolsi il telefono dall’orecchio per vedere chi fosse e sul display compariva il numero di mia mamma. Che fossero lei e le mie zie che non volevano darmi la sveglia in un modo particolare? “Giù?” continuò visto che stentavo a rispondere.
“eh..” mugugnai nuovamente – che conversazione sensata – chiudendo gli occhi.
“sveglia! Siamo a Legnano!!!” a quelle parole spalancai nuovamente gli occhi e mi alzai di scatto.
“e quando siete arrivati?” chiesi stupidamente saltando giù dal letto.
“ieri sera! Ti muovi a venire? Manchi solo tu” Si perché l’infanzia mia e delle mie sorelle, per non parlare dell’adolescenza, l’avevamo passata in quel paese sperduto ai confini di Milano e appena cominciai l’università si prodigarono subito ad accondiscendere una bambina capricciosa e violenta, com’ero a 18 anni, che desiderava avere casa nella città per seguire il trasferimento della famiglia di Peppe. L’unica ragione che aveva portato i miei genitori – pazzi – ad allontanarmi da Legnano era che ormai avevo già picchiato tutte le ragazze del paese. Dopo erano stati loro a decidere che una volta che la prima figlia si era accasata e l’ultima se n’era appena andata era ora di lasciare le altre due a Legnano e farsi lunghe vacanze di otto mesi all’anno in Calabria.
Capii che quel coro di vedove allegre erano le mie sorelle e capii anche che non scherzavano e volevano che le raggiungessi all’istante. Andai a salutare Carter spiegandogli che la situazione era tragica e non appena nominai le mie sorelle spalancò gli occhi impaurito al solo ricordo del loro primo incontro e tutta la telenovela che si erano fatte da sole su noi due. Ma quando uscii di casa invece di scendere le scale mi feci coraggio e salii al piano di sopra per vedere come stesse Gin.
Mi aprì con il pigiama e un’espressione del tutto inaspettata. Sorrideva.
“buongiorno Pina Colada”
“Gin Lemon!” mi apprestai ad abbracciarla come se non la vedessi da una vita. “come stai? devo parlarti, mi dispiace un sacco per il disguido di ieri, ma te lo giuro non è colpa mia! Non avrei mai voluto toglierti il ragazzo! Mi dispiace tantissimo, ma lo sai che farei di tutto per te!”
“Pina va tutto bene!” mi bloccò mettendomi una mano davanti alla bocca e ridendo di gusto. “ci sono stata un po’ male ma che vuoi che sia. Tu sei la mia migliore amica e sei molto più importante di qualsiasi stupido Alessandro che si metta in mezzo a noi!”
“e qualsiasi altro stupido di altri nomi direi” aggiunsi. Sospirammo entrambe pensando che il peggio era passato.
“però se sei proprio sicura che faresti tutto per me, mi trovi qualcuno che non mi condivida con nessun’altra?” mi chiese con una voce tenera, che quasi mi sciolsi.
“di certo non Peppe aahaha, quello è stato il mio problema per anni” dissi e poi ci pensai su un bel po’ prima di continuare “ci sono! Ti posso presentare il mio amico Nicolò. Te lo ricordi? È un bel ragazzo dai! Non mi puoi dire di no” dissi puntandole il dito contro e un sopracciglio inarcato. Lei mi guardava senza rispondere. Ci avevo messo un bel po’ per trovarle Nico, figuriamoci se potevo tirargli fuori un altro nome.
“ok allora quel gran figo del fratello del ragazzo di mia sorella Raffaella”
“e chi è?”
“devi fidarti, è proprio un gran figo” ero più esaltata io di Gin. Lei infatti manteneva un’aria di sufficienza. “Alessio! Così mi lascia in pace, che ne dici?”
“Giusy per favore.”
“ok, ok. Stavo scherzando, ma perché non ti fai un giro alla mia laurea? Ci saranno un sacco di bei grafici e tanto altro ancora, te ne fai uno e sei di nuovo su con la vita!” le avevo dato un consiglio che avrei potuto benissimo seguire io stessa – quasi mi sarei data una mano sulla spalla dal mio lampo di genio – ma Gin non sembrava per niente entusiasta dei nomi che le avevo fatto.
“Giù, di tutti questi uomini non mi hai nominato il più ovvio” mi disse con un filo di voce. La guardai con uno sguardo accigliato e arricciai le labbra confusa. “non hai detto Carter. Da questo devo dedurre che sei tu che non vuoi propormelo” spalancai gli occhi e improvvisamente mi venne un groppo in gola.
“io? ma stai scherzando! Carter... ovvio... ma perché non l’hai detto subito? Ti piace Carter?” la buttai lì, in attesa di un brivido e una notizia forse stupenda o forse pessima.
“beh no. Non come credi tu. Però c’è da dire che lui è un gran figo per antonomasia”
“ma certo! Con Carter! Tu e Carter, la nuova coppia. Mi piace... sono contenta”
“non si vede per niente Giù...”
“sto scherzando ovviamente. Gin se ci vuoi provare con Carter io ti sosterrò ma ora devo proprio andare, perché sono arrivati i miei e io devo andare a Legnano di corsa”
“ok bella, ma guarda che anche io scherzavo... non mi piace Carter!” esclamò ridendo mentre correvo giù per le scale.


“adesso che mamma è andata a fare la spesa con papà puoi dircelo” disse da un momento all’altro Emy.
“dirvi cosa?” chiesi con gli occhi ridotti a una fessura. Un po’ perché non capivo tutti quegli sguardi delle mie sorelle puntati addosso, un po’ perché il sole mi stava accecando. Non volevamo fare le fighe come le Sex and the City girls nel terrazzo della villa a prendere il sole, ma ci eravamo riunite a una tavola rotonda per lucidare gli argenti di nostra madre. E io mi sentivo oppressa da quegli sguardi indiscreti.
“com’è finalmente una vita normale senza tradimenti, senza pugni e senza dispiaceri” rispose Petro con fare filosofico. Aveva sempre più occhiaie ed era sempre più schizofrenica - Se a 32 anni dovrei fare la stessa sua fine non voglio avere figli – e ogni fruscio o minimo rumore scattava in piedi. La guardai con fare schifato. La mia vita non era assolutamente come pensava lei: a parte i pugni, gli altri due elementi della lista erano ancora presenti e ancora più presenti di prima.
“non lo so. Anche perché non è così” risposi accigliata. Raffa, che fino a quel momento se n’era stata tranquilla sul dondolo a dettare legge invece che aiutarci, si alzò e venne a sedersi accanto a me preoccupata.
“Carlo ti tradisce?”
“no” esclamai.
“sei tu che tradisci Carlo?” chiese apprensiva Emy.
“ragazze ve lo devo dire una volta per tutte. Io e Carlo non siamo fidanzati. Non stiamo insieme, non ci siamo mai neanche baciati” precisai con una nota di rammarico. Perché c’era sempre qualcuno che mi ricordava che ero sola come un cane. Le tre arpie mi guardarono serie.
“quindi non te lo sei scopata” si tradì Raffa – bon jour finesse – sbattendo le palpebre velocemente.
“proprio no...” dissi scuotendo la testa.
“cretina!” inveì Petro contro di me. Potevo dire loro che me l’ero sognata un paio di volte possedermi sul mio letto, ma non serviva a niente dire che il nostro rapporto di coppia era basato soltanto sulla mia fantasia. In più le parole di Gin rimbombavano nella mia testa da tutta la mattina. A me non piaceva Carter, era diventato un amico con il passare dei giorni e non quello che credeva lei.
“mamma mia come siete pettegole” conclusi tornando in casa. Il mio incontro con Peppe sarebbe stato sepolto e la stessa fine avrebbe fatto il discorso con Gin.


   
 
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