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Autore: Andreews98    29/09/2012    0 recensioni
Una ragazza di 15 anni che ha avuto un'infanzia difficile, con una madre assente, affronta tutti i problemi che l'adolescenza comporta: i ragazzi, la sua situazione familiare, la paura di non essere accettata, l'anoressia e la scuola. Durante la storia però emergerà una grande voglia di riscatto che la porterà a raggiungere, finalmente, un'esistenza serena.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Ho minacciato quello con cui ci provava..."
Queste parole uscirono appuntite come coltelli e mi trafissero il cuore.
Un momento che appariva così perfetto diventò la situazione peggiore di tutto il mondo.
Le stelle, che prima sembravano tanto romantiche, diventarono un semplice pretesto per non guardarlo negli occhi, quei suoi fottutissimi occhi.
Si accorse subito che ci ero rimasta di merda, sarebbe stato impossibile non rendersene conto.
Mi abbracciò, stretta, mi baciò la fronte.
Avrei voluto che con quell'abbraccio passasse tutto, avrei voluto dimenticare ogni cosa, avrei voluto fidarmi ciecamente delle sue parole, avrei voluto non piangere, avrei voluto molte cose, ma non trovavo la forza per reagire.
Cominciai a piangere, e non smisi più.
"Ehi no, basta! Stop! Io voglio te, solo te! Non mi interessa niente di lei, non mi interessa niente di lui, con te sto bene, ed è questa l'unica cosa che conta. Amore ti prego, non voglio che tu stia male per me, non me lo merito."
Aveva perfettamente ragione, non si meritava così tanto da me, ma non riuscivo a trattenermi.
Con le sue parole avrebbe voluto rassicurarmi, farmi stare meglio, l'unica cosa che fece fu peggiorare tutto.
Non so perché, ma più parlava più io avrei voluto piangere, scappare, lontano da tutto, a Milano magari, da sola, senza nessuno.
Continuò ad abbracciarmi e tentare di rassicurarmi fino all'arrivo di mio padre.
Lo salutai, sempre con le lacrime agli occhi, e salii in macchina.
Per tutto il viaggio non spiccicai parola.
Quando entrai in casa l'unica cosa che dissi fu un "Buonanotte" poco convinta a papà e, appena entrata in camera e dopo aver chiuso la porta, mi lasciai andare.
Non trovai la forza neppure di arrivare al letto. 
Scivolai pian piano a terra e continuai a piangere sempre più intensamente.
"Scusa amore, davvero io voglio solo te, lo giuro"
Decisi di non rispondergli nemmeno, non avrei di certo trovato le parole giuste.
Spensi il telefono e continuai a piangere seduta sul pavimento, nel silenzio di camera mia, interrotto solo sporadicamente dai miei singhiozzi.
 
La mattina seguente, quando mi svegliai, avevo completamente dimenticato quello che era accaduto la sera prima. 
Il mio fu un risveglio tranquillo, nessuna sveglia, nessuna corriera da prendere per andare chissà dove, nessuna persona da incontrare, quella mattina contavo io e io solamente, è da un po' di tempo a questa parte non mi sentivo così rilassata, nonostante tutto.
Controllai l'orario: erano le 10.
Papà era andato al lavoro da circa 3 ore ed ero totalmente sola, libera di fare quel che mi andava.
Avrei dovuto controllare il cellulare ma non ne avevo voglia, quindi andai in cucina e mi feci un caffè poi con tutta calma mi lavai i capelli e solo allora guardai se qualcuno mi aveva cercata.
5 nuovi messaggi, tutti suoi.
Dicevano tutti più o meno le stesse cose: scusa, io voglio te, non riesco a immaginare di averti persa, ti prego perdonami.
Tutta la rabbia della sera prima era sparita e in quel momento apprezzai ancora di più di aver deciso di non rispondergli, almeno non avevo combinato casini ed ora potevo affrontare la situazione con più calma e razionalità.
Nemmeno mezza giornata fa non volevo più nemmeno sentir parlare di lui ma ora volevo solo viverlo, dimenticando tutto, andando avanti.
Per lui provavo qualcosa di inspiegabile anche per me, ma era piacevole e non avevo intenzione di farlo finire per una stupida minaccia.
Tuttavia, dovevo mettere in chiaro che io non dovevo essere solo un rimpiazzo per passare il tempo, per lui volevo significare qualcosa non essere una piacevole alternativa a qualcosa di irragiungibile per diversi motivi.
Lui per me aveva rinunciato alla sua ragazza attuale, io per lui avevo rinunciato ad ogni cosa.
Avevo appena iniziato a frequentare un ragazzo di 4 anni più grande di me che faceva parte del gruppo di tutti i più fighi della scuola. 
Avrei potuto conoscerli tutti, cominciare finalmente ad avere una minima importanza in una scuola.
Pensavo che le cose sarebbero cambiate "si, d'ora in avanti sarò lì dove tutti vogliono stare" mi dicevo "uscirò con le persone più popolari di tutta la città".
Poi arrivò lui.
Cominciammo a parlare così, per caso. Lui era il fidanzato di una mia compagna di classe e ogni tanto scambiavamo due chiacchere.
Certo, io in lui non ci avevo mai trovato niente di speciale e, se devo essere sincera, mi sono chiesta molte volte come la mia amica riuscisse a stare con un ragazzo del genere.
All'inizio non capivo, o forse, non volevo capire quanto fosse fantastico e unico.
Un giorno su facebook mi scrisse, facendomi i complimenti per la mia nuova immagine del profilo, e da quel momento in poi nacque qualcosa.
Alla fine, dopo circa un mese di chiaccherate e uscite, il 26 luglio, finalmente, ci fidanzammo.
Con lui ero diversa, riuscivo ad essere quella che sono realmente, riuscivo ad essere me stessa, e questo mi rendeva felice.
Non potevo permettere che finisse tutto, no, non volevo.
"Amore tranquillo, ieri sera è stato solo un momento di debolezza. Io non ce l'ho con te, non mi hai perso e non mi perderai mai."
Si, mi convinceva. Lo inviai.
 
Può sembrare strano, ma dopo quella sera le cose tra noi due non fecero che migliorare.
Uscivamo, ridevamo, insieme eravamo completi.
Tra noi c'era attrazione, amore, fiducia e complicità nonstante fosse più grande di me di ben 6 anni.
Qualsiasi altra persona sarebbe stata al settimo cielo, ma non io.
Io non ero completamente appagata della mia vita, certo per come stavano andando le cose ero felice, ma c'era quel mio pensiero fisso.
Quel rimorso immenso.
Mi mancava una cosa essanziale, mi mancava lei, la mia migliore amica.
Ero in seconda superiore e l'avevo conosciuta alle medie, era stata la mia migliore amica per 3 anni e mezzo poi per colpa di quella donna, di quella fottutissima e stramaledetta donna, era finito tutto.
Non era una novità che mia madre mi rovinasse la vita.
La mia condizione familiare non è mai stata normale, mia madre è una lurida e schifosa puttana e ha rovinato la mia famiglia con i suoi sotterfugi e le sue bugie.
La cosa più triste è che sono costretta a far buon viso a cattivo gioco e a passare due settimane ogni mese a casa sua.
"Lei ti vuole bene a suo modo, non è una donna cattiva, ha fatto degli errori, ok, ma chi non ne fa?" era il tipico discorso che sentivo pronunciato da chiunque da quando avevo otto anni.
Non è nemmeno troppo sbagliato come ragionamento ma nessuno può capire quel che si provi e tutto questa finta comprensione mi ha sempre dato ai nervi.
Non me ne frega un cazzo se lei a me ci tiene, io la odio e sarà così per il resto della mia vita.
Io non ho mai avuto una madre, l'unica cosa che ho avuto è un padre e dei nonni, paterni ovviamente.
Avrei anche una sorella, solo da parte di madre però, anche lei non rivolge più la parola a quella donna, da tanto tempo ormai. 
Lei probabilmente è l'unica che potrebbe capirmi, se non fosse che, a differenza mia, non ha abbastanza forza per affrontare i problemi di petto, ne è abbastanza intelligente per uscirne illesa.
In sintesi, lei è scappata.
Si è trasferita a Genova, sposandosi e facendo due figli prima di aver compiuto i trent'anni.
La vedo una volta ogni due mesi, se va bene, e le telefonate, sono pressocché nulle.
Se solo si preoccupasse anche di come sto io, e non solo dei miei voti, capirebbe, capirebbe ogni cosa.
Da quando i miei si sono separati mia madre ha cambiato 8 case in 8 anni, cacciata da ognuna per sfratto, non pagava nulla.
Non differente era il suo attengiamento verso gli uomini, 8 proprio come le case, proprio come gli anni.
Una di queste case era accanto a quella della mia migliore amica, quella schifosa ha approfittato di sua madre per denaro e di suo padre per puro divertimento personale, per poi scappare da lì, dopo un anno esatto.
Con che coraggio io avrei potuto farmi rivedere in casa loro?
Ho perso la mia migliore amica per colpa sua, come ho perso la mia infanzia, niente potrà mai restituirmi ciò.
Mi piacerebbe tanto che quei finti moralisti potessero capire quello che sono costretta ad affrontare ogni giorno: i miei vestiti rinchiusi perennemente in una valigia, avere la casa di tua madre a 50 minuti di macchina dalla tua scuola, dai tuoi amici, ritrovarsi ogni sera a soffocare le lacrime nel cuscino, fingere che tu stia benissimo.
Vorrei vedere quello che farebbero loro al posto mio.
Io sono forte, molto di più di altri.
Io non reprimo i miei sentimenti con alcool, canne e sigarette.
So controllare ogni mia emozione, dalla più forte alla più impercettibile.
Ma prima o poi tutti devono scoppiare.
Io l'ho trovato un modo per scoppiare, qualche anno fa.
Non potevo prendermela con nessuno, non avevo potere su niente, tranne che su una cosa: il mio corpo.
 
Dopo lo scatafascio della mia famiglia inconsapevolmente avevo messo su un chilo dopo l'altro, arrivando a pesare 60 chili per 1 metro e 55 di altezza, in seconda media.
Un giorno, a scuola, stavamo parlando del rapporto madre-figlia e io, che non potevo dire assolutamente nulla di buono, finsi di star male, e mi rifugiai nel bagno.
Lì, non sapendo come far passare l'ora, mi misi a guardarmi allo specchio.
Fu come svegliarsi dopo anni di sonno profondo, vedevo il mio corpo, e non mi piaceva.
Come avevo fatto a ridurmi così? Come avevo potuto permetterlo?
Da quel giorno feci un patto con me stessa, smisi di mangiare.
Se mangiavo qualcosa mi tagliavo le braccia con un taglierino, come punizione.
Passavo i pomeriggi a leggere storie su internet di ragazze anoressiche e bulimiche.
Per fortuna non ho mai voluto provare a vomitare il cibo, non mi andava, era disgustoso.
Quando ero da mia madre dicevo semplicemente che non avevo fame e, spesso, me la cavavo con qualche frutto, da mio padre, la maggior parte delle volte, dicevo di aver già mangiato con le mie amiche e, anche in questo caso, me la cavavo con poco.
Tirai avanti per quasi due anni senza toccare un piatto di pasta, assumendo di nascosto integratori supervitaminici che mi davano quel minimo di forza sufficiente per tirare avanti.
Pian piano poi, con il raggiungere dell'aspetto che volevo, aumentavo lentamente le dosi di cibo.
Non so se il mio possa essere considerato un vero e proprio caso di anoressia, fatto sta che, nonostante non sia mai stata, a parer mio, magra da far paura come una anoressica a tutti gli effetti, io, psicologicamente, la sono anche ora.
So di non essere per niente grassa, ma una parte di me quando si vede allo specchio continua a vedere quella cicciona che ero prima.
Non so come superare questo problema, sinceramente non penso nemmeno di poterlo superare.
Niente nella mia vita era positivo, dovevo rassegnarmi all'idea di non poter stare bene, mai.
Superato a grandi linee questo periodo, scoprii la mia passione per il calcio che, da quel momento della mia vita in poi, non mi ha più abbandonato.
 
Tutti ne parlavano in giro, quella era la serata del derby di Milano, il Milan capolista affrontava l'Inter, la principale concorrente per lo scudetto.
Io, più per costrizione che per interesse, guardai la partita insieme a mio padre. 
Avevo sempre detto di tifare Milan, come mio padre, appunto, e mio nonno.
Il Milan aveva vinto e io mi ero invaghita di Ibrahimovic.
Dopo quel giorno, guardai una partita dopo l'altra e mi invaghii un po' di tutta la squadra alla fine.
Non passò molto tempo prima di capire che volevo giocare a calcio.
Il giorno in cui mi iscrissi è probabilmente uno dei ricordi più belli della mia vita.
Era esattamente a metà della stagione, inverno già inoltrato e un freddo cane.
Io andai la al campo con papà, ovviamente, e mi informai un po' su tutto.
Quando cominciai non fu facile, tutt'altro.
Può sembrare un paradosso ma detestavo fare esercizi con la palla ai piedi e detestavo anche giocare.
Col passare del tempo, però, questo sport mi prendeva sempre di più e durante quelle due ore che passava in campo stavo bene, davvero bene.
Lì incontrai una delle mie più care amiche e tante altre persone con cui amo passare il mio tempo.
Ormai sono integrata perfettamente nella mia squadra.
Quando sono con loro sono diversa, sono spigliata, sicura di me, loquace, simpatica, sono semplicemente io.
Diciamo che è come se mi fossi creata un mio piccolo universo parallelo, in cui io sono un'altra, e in cui nessuno che non ne faccia parte può entrare.
L'unica persona esterna a cui ho aperto le porte di questo mio mondo è il mio migliore amico, e il mio unico vero amore.
 
Per evitare fraintendimenti, io amo alla follia il mio ragazzo.
Per lui farei ogni singola cosa pur di renderlo felice.
Questo però è ben diverso da quello che provo per Niccolò.
Non è un vero e proprio amore, lui è mio fratello, in un certo senso.
Tra di noi non c'è alcun legame di parentela, ci lega il fatto di conoscerci dai tempi dell'asilo ed essere stati sempre nella stessa classe.
Siamo cresciuti insieme e per me lui c'è sempre stato, nel bene e nel male.
Gli voglio così tanto bene, penso di poter dire che lo amo, ma non dell'amore che si prova per la persona di cui si è innamorati, di un amore puro, innocente e immenso.
Ogni giorno ringrazio il cielo per avermi permesso di conoscere, e di relazionare, con una persona così genuina, vera, simpatica, bella, ecco, il termine adatto per descriverlo è bello.
Dopo mio padre, è la figura maschile più importante della mia vita, per me è indispensabile.
Poi è a lui che ho dato il mio primo bacio.
Me lo ricordo come se fosse ieri.
Eravamo in terza elementare, a casa di una nostra compagna di classe.
Nel salotto lui stava giocando con l'interruttore della luce, la accendeva e la spegneva.
A me all'epoca piaceva molto, mi è piaciuto per ben sette anni, e quindi decisi di fare un passo avanti.
Mi avvicinai lentamente e, quando spense di nuovo la luce, lo baciai.
Non capimmo mai dove esattamente, io ricordo su una guancia, lui sulle labbra, rimarrà per sempre un mistero.
In ogni modo mi piace pensare che sia lui il primo ragazzo che ho baciato, come mi piacerebbe fosse lui il primo ragazzo con cui farò l'amore.
Chi potrebbe essere se non lui?
Ho quindici anni, mi sento fisicamente pronta, ma non psicologicamente.
Almeno questo discorso vale per Luca, il mio ragazzo.
Per Niccolò sarei pronta, ora, anche subito.
Per me non conta l'età, quella è relativamente importante.
Conta da quanto tempo conosci una persona, quanto ti fidi di lui e quello che significa per te.
Chiaramente la persona che soddisfa al meglio questo condizioni è lui, c'è poco da girarci intorno.
  
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