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Autore: VaVa_95    30/09/2012    7 recensioni
<< Don't think, just Save Me >> Questo è quello che pensano tutti i protagonisti di questa storia. Non pensare, salvami. Perché forse è proprio questo di cui si ha bisogno: avere una persona da salvare, per sentirsi un vero eroe, più di quanto non lo si sia già. TRATTO DAL CAPITOLO UNO: - Ehi! Voi due! Spicciatevi che dovete andare a scuola! – strillò la voce potente di Jimmy, mentre prendeva le chiavi della macchina. Non capiva proprio le donne, perché dovevano prepararsi per così tanto tempo? Lui si svegliava dieci minuti prima del suono della campanella e, in cinque minuti, era già pronto per andare, doveva solo aspettare quei due uragani delle sue sorelle minori.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAP. 11



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25 – 12 – 2009





- Voglio sapere perché siamo in un bar, a Natale, a New York – borbottò Cris, passandosi una mano fra i capelli, ovviamente sfiorando il ciuffo blu.
Saya alzò gli occhi al cielo. Amava sua cognata, la conosceva da una vita, ma quando aveva le classiche paranoie da donna incinta avrebbe voluto buttarla dalla finestra.
Di un grattacielo.
Al cinquantesimo piano.
Ma ovviamente la adorava troppo per fare una cosa del genere… e poi, nell’albergo in cui stavano (lontano dal caos di Manhattan), si arrivava solo fino al sesto piano.
- Non possiamo rilassarci un po’ tra noi? È Natale! Una tregua da quei cinque ce la meritiamo! -
- Si, ma ci abbiamo lasciato Lia, Lea e Val. Per loro non vale la stessa cosa? – domandò la ragazza, per poi prendere un sorso di cioccolata – comunque, cambiamo discorso, non voglio sapere cosa stai tramando quindi se mi chiederanno qualcosa io non so e non ho mai saputo niente, chiaro? -
- Chiarissimo signora Sullivan – esclamò la giovane, ridacchiando.
Erano passati dieci anni dalla fondazione degli Avenged Sevenfold, anche se si poteva dire che erano entrati ufficialmente a far parte della scena musicale americana (e mondiale) solo nel 2001, dopo l’uscita del loro primo album. Ci avevano messo un po’, ma era veramente uscito un bel lavoro. Come gli altri a seguire, del resto.
Erano successe tante cose, in dieci anni. Tutte importanti, anche se poteva benissimo dire che due di quelle erano state il matrimonio di Cris e Jimmy e la nascita (tra qualche mese) del loro primo figlio.
Il primo mini-Deathbat, lo chiamavano.
Deathbat.
Era strano come una parola potesse racchiudere tutto. Deathbat era il nome con il quale si erano etichettati i fan degli Avenged Sevenfold, dopo che il famigerato teschio con le ali aveva fatto la sua comparsa per la prima volta.
Lo aveva disegnato Lia, in un momento di noia, mentre la band stava provando, e da allora era diventato il loro logo. Qualcosa con cui identificarsi, qualcosa di cui andare sempre fieri.
Un punto di riferimento. Una famiglia. I Deathbat in fondo erano una famiglia. E avevano cinque papà straordinari, che davano anima e corpo per loro, per non deluderli.
E lei (loro) era veramente contenta di far parte di quella famiglia. Di esserlo sempre stata. In fondo, era pur sempre la sorella di James Owen “The Rev” Sullivan.
L’angelo della band. Perché era quello che era Jimmy: era un angelo.
- Hai notato che New York è l’unica città in America che tiene tutti i negozi e i bar aperti anche a Natale? Che voglia hanno le persone di lavorare anche a Natale? – domandò, tanto per parlare un po’.
L’ansia la stava uccidendo, era anche inutile continuare a fissare l’orologio. Inoltre, aveva paura che qualcuno le riconoscesse, dato che anche se non erano membri degli Avenged Sevenfold erano sempre con loro.
Fra tre giorni, il ventotto di dicembre, dovevano tenere un concerto, per “augurare un buon fine anno a tutti i Deathbat e annunciare la nascita del piccolo Sullivan”, aveva detto Matt.
Come avevano osservato tutti, tanto valeva fare il concerto l’ultimo dell’anno, ma Jimmy si era fermamente opposto a ciò.
Come se quel giorno dovesse segnare un nuovo inizio, come se volesse cancellare qualcosa di brutto legato a quella data, sostituendo il pensiero con un ricordo molto più piacevole.
E l’interrogativo rimaneva aperto: che cosa voleva cancellare, in quella data?
Sapeva che voleva andare avanti. Spesso scherzava sul fatto che anche a ottant’anni avrebbe suonato la batteria, cosa che non aveva mai pensato prima di stare con Cris, neanche per un istante.
In ogni caso, era inutile porsi delle domande: suo fratello era un genio e sapeva il fatto suo. Se voleva così si faceva così, fine.
- Sinceramente non lo so, voglio solo bermi questa cioccolata, il piccolino qui dentro ne ha bisogno. -
- Ehi, non ricominciare. Perché lo chiamate tutti piccolino? Se è femmina? Jimmy vuole una femmina! Anche io voglio una femmina! -
- La maggioranza vince – esclamò Cris, pulendosi la bocca con il tovagliolo – rimane comunque valida la domanda che ti ho fatto prima: perché accidenti siamo qui? -
Saya la guardò sorpresa: com’era possibile che non avesse capito? Insomma, erano solo loro due, che erano sempre andate in classe insieme, avendo sempre gli stessi corsi… ma non erano in due.
Erano in tre.
- Si vede che sei incinta di un Sullivan, tesoro mio – constatò – andiamo. Settembre 1999. Nuovo anno scolastico. Nuova alunna. Maggio 2000. Questa nuova alunna si trasferisce a…? -
- Oh santo cielo stai dicendo che vedremo Electra?! – strillò, per poi subito tapparsi la bocca per non attirare l’attenzione.
Unico lato negativo dell’essere sempre in contatto con gente famosa: si veniva perseguitati quasi più di loro.
- Esattamente! Dovrebbe arrivare qua alle quattro – la informò, mentre un sorriso a trentadue denti le si dipingeva sulla faccia.
Si erano sempre tenute in contatto, anche se non potevano sentirsi molto spesso. Saya la teneva aggiornata su quel che combinavano i ragazzi e le altre mentre Electra sulla situazione generale di New York, sul lavoro, sulla scuola… quattro anni prima era riuscita a laurearsi in cardiologia, ma non era ancora effettivamente pronta per entrare a lavorare a tempo indeterminato in un ospedale. Come se le mancasse qualcosa, come se dovesse saldare un conto in sospeso.
E lei, ovviamente, sapeva quale.
- Avrai anche fatto una genialata, ma… perché non dirlo anche alle altre? -
- Perché se andavamo via tutte pensavano chissà cosa, sai come sono fatti quei cinque – esclamò la giovane, assaggiando il suo cappuccino.
- E cosa dovremmo fare, una volta che è qui? Sono passati dieci anni, tesoro. Se è cambiato tutto? -
- Dalla parte di Zacky è cambiato qualcosa? -
Cris sembrò pensarci un attimo. Ovviamente no.
Certo, in dieci anni era tornato ad essere il solito sciupafemmine, ma il suo amore per Electra non era mai cambiato. Le aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta. Dovevano solo aspettare.
L’amica aveva assolutamente ragione: era anche lei stanca di vederlo aspettare. Era ora di far smuovere le cose. Il destino poteva anche metterci lo zampino, ma stava alle persone decidere cosa fare o meno.
Ed era ora di agire.
Era ora di tornare come prima. A quel noi che da tempo non c’era più.
 


Faceva freddo quel giorno. New York era una città piena di tubi di scappamento, di luce, di negozi caldi che ogni volta che si apriva la porta una vampata di calore inondava il marciapiede.
Quel giorno però era diverso. Faceva proprio freddo.
E non perché quella notte aveva nevicato e ora per le strade c’era un metro di neve (già diventata grigia per l’inquinamento), forse Electra sentiva freddo dentro.
Come se avesse un cubetto di ghiaccio nello stomaco, una sensazione di timore che stava lì, non si muoveva. Non diventava più grande, ma di certo non era intenzionata a sparire.
In quel momento la sentiva più presente che mai, man mano che si avvicinava all’insegna di quel bar, che recava lo stesso nome del negozio di alimentari a cui loro, insieme, usavano andare quando erano ad Huntington Beach.
Per questo quando Saya l’aveva chiamata rompendole le scatole (stava pur sempre aiutando suo fratello a studiare storia) per l’ennesima volta in dieci anni chiedendole come, dove e quando si potevano vedere, la ragazza aveva subito pensato a quel bar.
Era strano come un nome poteva far ricongiungere persone che non si vedevano da anni.
Non sapeva come aspettarsele, le sue amiche.
Lei era cambiata parecchio. Era diventata più alta, in più era dimagrita (non di molto, di qualche chilo, era però quasi sicura che tutte le avrebbero dato dell’anoressica), aveva cambiato il suo modo di vestire da magliette di qualsiasi band e leggins o pantaloni scuri a completi giacca-pantalone. I suoi capelli erano sempre ricci (impossibili piastrarli), tenuti sciolti che le arrivavano più o meno fino alla cintola, mentre gli occhi li truccava solo con matita e mascara, senza più il pesante ombretto nero che era abituata a tenere.
In un certo senso, era sicura che anche loro erano cambiate allo stesso modo, anche se avevano sicuramente conservato quella parte da rockettare. In fondo, avevano a che fare ventiquattr’ore su ventiquattro con vere e proprie rockstar.
Si fece coraggio ed entrò nel bar, togliendosi il cappotto e appoggiandolo sull’appendiabiti accanto alla porta, per poi voltarsi a guardare i tavoli. Non c’era molta gente, ma il bar era comunque molto frequentato e, neanche a dirlo, non riusciva a vedere neanche l’ombra delle sue amiche.
Ci pensò su: persone in perenne contatto con gente famosa dovevano fare in modo di non dare troppo nell’occhio, di conseguenza nei luoghi non conosciuti tendevano sempre a prendere un tavolo piuttosto appartato.
Sapeva dove cercare. Andò nell’altra sala, meno frequentata, notando che al tavolo vicino alla finestra, lontane da tutto, erano sedute due persone che avrebbe riconosciuto anche con un sacchetto in testa, che discutevano animatamente. Forse erano lì da un po’, dato che avevano già ordinato… era ora di andare a salutarle.
- Posso interrompere la vostra conversazione o siete impegnate? – domandò, appoggiando le mani sul legno del tavolo, ottenendo l’attenzione.
- Electra! – strillarono le due, felici, alzandosi e stringendola in un abbraccio.
Quell’abbraccio rassicurante che non aveva mai dimenticato.
- Ciao ragazze, buon Natale – mormorò, senza ovviamente volerlo sciogliere – mi siete mancate. -
Erano anche loro cambiate parecchio.               
Saya indossava un completo giacca pantalone beige e una camicia bianca, il classico look da perfetta manager quale era (ed era strano, anche lei aveva sempre voluto fare il medico, ma quando Jimmy le aveva proposto di occuparsi della band non aveva certo potuto rifiutare). I lisci capelli castani le cadevano sulle spalle e un ciuffo ribelle le copriva l’occhio destro, anche se la bellezza di quegli occhi blu rimaneva ovviamente invariata. Anche lei aveva abbandonato l’ombretto nero e il trucco pesante, lasciando spazio ai colori chiari.
Anche Cris era cambiata. Aveva sempre il solito ciuffo blu (probabilmente non l’avrebbe mai vista senza quella ciocca colorata), ma anche lei aveva totalmente cambiato il modo di truccarsi e di vestire. Indossava un vestito blu scuro, con una cintura sotto il seno che le fasciava un po’ la pancia e un paio di leggins neri come gli stivali (senza tacco) che indossava. Risplendeva di luce propria. E cos’era quel rigonfiamento sotto il vestito, messo anche un po’ in risalto dalla cintura?
- Oh mio Dio – esclamò – ma sei incinta?! -
La ragazza annuì, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Non aveva fatto a tempo ad avvertirla, dato che erano sempre in viaggio e poteva mandare solo veloci mail… una gravidanza non era certo argomento da “ehi, sono incinta, ora scappo perché c’è il concerto, ci sentiamo!”.
- Oddio, che bella cosa! Quindi… insomma… è come se diventassi zia anche io! -
- Non è “come se”, lo diventerai anche tu, tesoro mio! – esclamò la giovane, abbracciandola ancora.
- Raccontami tutto – affermò la giovane, dopo aver ordinato un cappuccino al cameriere – di quanto sei? Sai se è maschio o femmina? -
Non voleva sommergerla di domande, ma quella notizia le aveva davvero scaldato l’anima. Era felice, per Cris, Jimmy e tutti gli altri, anche per lei.
Una nascita era comunque un miracolo. Certo, si doveva passare attraverso una sofferenza allucinante, ma era comunque un miracolo, soprattutto per Cris.
- Ventuno settimane  – annunciò, passandosi una mano sulla pancia (che si vedeva poco, anche se la cintura serviva a metterla in evidenza) – non so ancora niente, Jimmy non lo vuole sapere, preferisce la sorpresa. Ma io so che sarà maschio. -
- Femmina, cavolo – borbottò Saya, alzando gli occhi al cielo – femmina. Anche Jimmy vuole una femmina! -
Electra scoppiò a ridere. In effetti, quando avevano avuto l’occasione per parlare, Jimmy aveva sempre precisato che, se mai fosse diventato padre, avrebbe sicuramente voluto una femmina. Ma era anche vero che una madre sentiva se il suo bambino era dell’uno o dell’altro sesso.
Se Cris sentiva che era maschio, era probabile che lo fosse davvero.
- Mi aggrego, maschio – annunciò, annuendo.
- E che cavolo, basta! – esclamò Saya, esasperata.
Ormai lei e Jimmy non dovevano far altro che rassegnarsi. Il voto di Electra era comunque stato quello decisivo, anche lei diceva maschio.
- Avete già pensato al nome? -
- Se è femmina… cosa che ovviamente non sarà… volevo… non so, forse chiamarla Ophelia, ti ricordi? Il nome che piace tanto a te – esclamò, sorridendo – se è maschio… non lo so. In effetti non ci ho proprio pensato e penso che non l’abbia fatto nemmeno Jimmy. Però so che vorrebbe chiamarlo Brian.
Era ovvio che lui volesse una cosa del genere. Brian era sempre stato il suo tutto, dare il suo nome al bambino poteva benissimo considerarsi l’ennesimo gesto d’affetto nei confronti di quel chitarrista svitato.
Però, parlando di chitarristi svitati, doveva assolutamente chiedere alla signorina “io non sto parlando” come andavano le cose con Brian. In tutti quegli anni aveva ricevuto solo una misera mail che parlava di lui. Certo, era chilometrica, ma era solo una mail.
- A proposito di Brian, tu – indicò Saya con fare accusatorio – dobbiamo parlare. Devi spiegarmi. -
La ragazza arrossì, abbassando lo sguardo sulla sua tazza, come se il cappuccino all’interno fosse la cosa più interessante del mondo.
- Vabbè, parlo io – esclamò Cris – ormai fanno coppia fissa da otto anni, ormai. -
- Io lo sapevo! – strillò la ragazza, sorridendo – l’ho sempre saputo! Mi devi cinquanta dollari! -
- Sapevo che avresti detto questo – sospirò la ragazza, per poi sorridere – sai… ecco… volevo chiamarti stamattina… ma… ecco… -
- Oh che palle – esclamò Cris, alzando gli occhi al cielo – si sposano.  -
Electra non era sorpresa di sentire che Saya si sposava. In fondo, anche se era stata sempre la cinica delle cinque anche lei aveva come sogno nel cassetto quello di sposarsi e di creare una bella famiglia.
La sorprendeva sia il fatto che si sposasse con Brian (in fondo nell’ultimo periodo in cui era stata ad Huntington Beach sembrava odiarlo). E soprattutto, che Synyster Fuckin Gates si volesse sposare. Insomma… non era mai stato tipo da quelle cose.
- Voglio i dettagli, signorina, i dettagli. -
Ovviamente parlarono a lungo. Non c’era molto da raccontare di quella mattina, in realtà, si soffermarono molto sul fatto che Jimmy aveva buttato giù dal letto tutti quanti eccitato come un bambino dicendo che era Natale e che, finalmente, potevano passare un giorno senza pensare alla musica. Anche se, quando si parlava di Jimmy, era impossibile non fare musica.
Infatti la prima cosa che aveva fatto dopo che Brian aveva fatto la sua (insolita) romantica proposta era stata quella di mettere nel lettore cd che si trovava nella camera il primo album dei Pantera, con il volume al massimo. Se non aveva svegliato tutto l’albergo era stato un miracolo.
- Saya, ho bisogno che mi accompagni in bagno – esclamò Cris a un certo punto – il bambino mi ha scombussolata. Sono diventata una macchina che mangia, dorme e fa pipì. Assurdo! -
Electra scoppiò a ridere, per poi osservare le due che si allontanavano in direzione del bagno.
Cominciò a guardare fuori dalla finestra, osservando la neve che aveva cominciato a cadere di nuovo. Le piaceva la neve, ma non le piaceva a New York. Tornare a casa sarebbe stato un disastro, ne era sicura. Lasciando da parte i pensieri sulla neve, però, doveva davvero trovare il coraggio di dire alle ragazze quel che sarebbe successo il ventotto di dicembre.
Quando Alex aveva scoperto che gli Avenged Sevenfold (erano diventati presto la sua band preferita) davano un concerto a New York, aveva pregato tutti i membri della famiglia di portarlo, perché ormai aveva quindici anni e poteva benissimo andare ad un concerto. Ovviamente si erano tirati tutti indietro, tranne lei. Non aveva mai smesso di seguirli, neanche per un istante e anche lei li voleva vedere ad un concerto. Per vedere cosa combinavano? No, lo sapeva, aveva assistito a tantissime prove della band. Era per vedere lui. Per vedere se si era dimenticato di lei o meno.
Adorava pensare alla prima opzione. Si erano promessi che avrebbero riavuto il loro “noi”, ma il tempo era passato, avevano preso strade diverse… era una promessa che non si sarebbe potuta mantenere. Forse, quel giorno, lo avrebbe visto per l’ultima volta. Per lasciarlo andare.
Per lasciarlo andare per davvero.
Nel suo campo visivo apparve una persona che conosceva bene, anche se non realizzò subito di chi si trattasse. Indossava un cappotto nero, dei pantaloni dello stesso colore stracciati che lasciavano scoperte le ginocchia (anche se nevicava e doveva fare un freddo cane) e delle normalissime scarpe Nike. I capelli neri contornavano il volto dalla carnagione ambrata e gli occhi castano scuro erano messi in risalto da una linea perfetta di eyeliner.
Doveva constatare due cose: la prima era che si trovava davanti Brian e non sapeva perché era lì, la seconda era che si truccava molto meglio di lei.
Accidenti a lui.         
Electra lo salutò con un cenno della testa, attirando la sua attenzione. Dalla sua faccia sorpresa si capiva perfettamente che né Saya né Cris lo avevano avvertito che sarebbero andate da lei, quel giorno. Era probabile che se avessero avvertito qualcuno della band sarebbero andati a dirlo a Zacky. Anzi, poteva benissimo considerarsi un dato di fatto.
L’ultima volta che avevano tenuto segreti fra di loro era finita male, quindi niente segreti tra i membri degli Avenged Sevenfold.
- Ma guarda un po’ chi si rivede – esclamò il chitarrista, che mentre la giovane era immersa nei suoi pensieri era entrato nel bar e si era seduto di fronte a lei – che combini qui? Caffè con amiche? -
- Ti sorprenderai a vedere chi sono le suddette amiche – rispose, sorridendo – comunque è un piacere rivederti anche per me, Gates. Buon Natale. -
- Lo sai che non sono tipo da saluti… sdolcinati, ecco. Non sono proprio il tipo da cose sdolcinate. -
- Certo, non sei proprio il tipo da cose sdolcinate ma chiedi a Saya di sposarti la mattina di Natale. Molto coerente, si. -
Brian la guardò ad occhi spalancati. Evidentemente non aveva ancora capito che era stata fino a pochi minuti prima in compagnia della sua amatissima futura moglie.
- Bri, sono con Saya e Cris, svegliati! – esclamò, ridacchiando.
Il ragazzo ci pensò un attimo.
- E perché accidenti quelle due non ci hanno detto niente? – domandò, più a sé stesso che a lei – saremmo potuti venire anche noi… -
Electra scosse la testa. Adorava Brian, ma doveva dire che in quegli anni sul punto di vista comportamentale non era cambiato di una virgola. Era sempre il solito Brian con due fette di salame sugli occhi che capiva le cose un po’ più tardi degli altri.
- Lasciamo perdere, sei sempre il solito – borbottò – allora, pronti per il concerto? -
Il chitarrista annuì, per poi puntare lo sguardo sulla tazza di cappuccino della sua fidanzata e tirare una lunga sorsata. Okay, ora lo avrebbe veramente ucciso.
- Prontissimi, come sempre… tu… mh… verrai? – domandò.
- Si, guarda – tirò fuori dalla borsa due biglietti – accompagno Alex. È il suo regalo di Natale un po’ in ritardo. -
- Fa vedere – esclamò, prendendo i biglietti e guardando a che posto erano. Si, poteva benissimo considerarsi una bella postazione, ma erano comunque troppo lontani dal palco. Non ci stava, si trattava della sua vecchia amica e di quell’uragano di suo fratello minore.
- Troppo lontani – constatò – sai che facciamo? Vieni direttamente con noi. -
- Assolutamente e categoricamente no – esclamò subito la ragazza.
- Electra non discutere con me. Farebbe piacere a tutti rivederti. Anche a Zacky. Anzi, soprattutto a lui. -
Silenzio.
Ancora una volta, il signor Haner alias Synyster Fucking Gates era riuscito a zittirla.
 
 


- Dimmi come hai fatto a metterti con Saya. -
Brian si voltò di scatto verso Electra, sorpreso.
Erano ormai in silenzio da un po’, da quando lui aveva nominato Zacky (sapeva che non doveva farlo, ma gli era venuto spontaneo), forse perché nessuno sapeva bene cosa dire.
O forse perché nessuno voleva dire niente.
Quella domanda in effetti lo metteva un po’ in ansia. Per due anni Saya gli aveva a stento rivolto la parola, non lo aveva guardato negli occhi, non gli aveva mai fatto sentire la sua presenza. E lui si sentiva uno schifo perché sapeva benissimo che era colpa sua.
In fondo era stato lui che l’aveva baciata quella sera. Ed era sempre stato che aveva giocato a fare il bravo ragazzo facendo coppia fissa con Michelle. Senza ovviamente sapere quel che la ragazza provava.
- Mh… che cosa sai? -
- Ti farei leggere le mail, ma vieni riempito di insulti, quindi… - cominciò la ragazza – però quando mi ha detto che vi eravate messi insieme non è scesa nei particolari. Forse perché era impegnata con l’Università ed altro. -
- Probabile – constatò il chitarrista, sorridendo – ecco… in realtà non è successo molto… Jimmy ci ha solo chiuso nello sgabuzzino. -
La ragazza spalancò gli occhi. Era ovvio che James Owen Sullivan poteva davvero fare qualunque cosa, ma di chiudere sua sorella e il suo migliore amico in uno sgabuzzino… non se lo aspettava.
- Vi ha chiuso nello sgabuzzino – ripeté, incredula.
- Esattamente. Per tutta la notte. Non ti dico quanto era arrabbiata Saya, ma poi… beh, abbiamo avuto occasione di parlare. -
- Ah si? E di cosa avete parlato, di grazia? -
Brian ci pensò su.
 
- Fottuto lurido bastardo! Apri quella porta! Mi hai sentito? James Owen Sullivan, io ti ammazzo! Apri! – strillò Saya, furibonda, battendo energicamente i pugni sulla porta del ripostiglio di casa Sullivan nel quale erano appena stati chiusi lei e Brian.
- Jimmy sul serio non è divertente – le diede man forte il chitarrista – apri! E domani abbiamo anche un concerto, ci sono le prove, cavolo! -
- Vuol dire che le salterai! – strillò da fuori la voce potente del batterista, allegra come al solito – io non apro finché voi non chiarite! È una situazione insostenibile! Quindi decidete: o ricominciate a parlarvi o starete lì dentro a vita! Non è difficile trovare un altro chitarrista! -
Detto ciò, si sentirono i passi del ragazzo diretti al piano di sotto.
Bene, perfetto. Ora Brian era chiuso in un ripostiglio con una pazza scatenata che continuava a picchiare i pugni sulla porta nel vano tentativo di buttarla giù.
Che dire, la giornata stava procedendo bene.
- Sai, penso sia inutile che continui, Jimmy non ha intenzione di… -
- Stai zitto Haner – esclamò subito la ragazza, fulminandolo – se parli, sei morto. -
Il ragazzo si sedette per terra, senza dire più niente.
Non che non volesse parlare: il problema era cosa dire. Cosa dire per farla sentire meglio. Cosa dire per vederla sorridere di nuovo.
E non sapeva nemmeno perché era ridotta in quello stato. Sapeva che era colpa sua, quello si. Ed era anche per questo che Jimmy li aveva rinchiusi lì dentro. L’unico posto della casa ad avere una porta mezza blindata (prima della loro nascita Joe ci teneva i gioielli di famiglia, poi messi in banca) e le pareti piuttosto spesse. E dove non c’era la maniglia interna, ma solo quella esterna. Aveva architettato tutto.
Il suo migliore amico (ed era sempre più fiero di poterlo definire tale) era un fottutissimo genio.
Passò un’ora buona prima che anche la ragazza si rassegnasse e si mettesse a sedere. Dovevano essere circa le dieci di sera. La serata era ancora lunga e nessuno sapeva cosa dire.
- Sono… ormai sono due anni che lei è andata via – provò a dire.
- Già, lo so – mormorò la ragazza, tirando un sospiro – mi manca. Se ora fosse qui, saprebbe sicuramente che dirmi. E magari mi avrebbe già tirata fuori di qui. -
- Sei sempre molto divertente – borbottò il chitarrista – manca anche a me, sai? -
Saya sembrò guardarlo strano. Forse perché lui era Brian, a lui non mancava nessuno. A parte i suoi quattro amici, si intende.
Ma anche Electra era sua amica. E le mancava perché lei era davvero l’unica che aveva capito che… beh, si, che aveva capito che lui si era innamorato di Saya. Che lo era sempre stato, in fondo.
Ma come al solito aveva preferito nascondere tutto e mandare, neanche a dirlo, tutto a puttane. Perché era la cosa che sapeva far meglio, in fondo.
Era un codardo. Che non sapeva affrontare le cose da solo. Era il momento di cambiare.
- So che è colpa mia – esclamò, cercando il suo sguardo sfuggente – ma… per quanto mi possa sforzare, non riuscirò mai a capire quel che ho fatto. Cosa ti ho fatto, Saya? -
La ragazza puntò i suoi occhi azzurri su di lui, colmi di odio. Forse non proprio odio, ma disprezzo, quello si.
- Ti sei messo a giocare al bravo ragazzo – rispose – al… ragazzo responsabile, pronto a prendere degli impegni seri… e con chi? Con Michelle, ovvio! Dopo quello che abbiamo passato noi, nonostante tutto. Dopo quel che mi hai detto. Come… come puoi amare una persona che… che… beh, non so bene cosa prova per te, ma di certo non è amore. -
- Io non la amo – tenne a precisare – l’amore non è uscire qualche volta, scopare e poi non sentirsi più per settimane. L’amore è altro. E poi, cosa te ne importa? Non mi parli da due anni, lo sai?! Io… -
- Non fare il cazzuto con me, Haner, ti conosco da una vita – lo interruppe – non metterti a dire che sai quel che fai e che al massimo ne paghi le conseguenze dopo. Non dirlo. -
Il chitarrista alzò gli occhi al cielo.
Ormai non ci capiva niente: tutte le cose che diceva erano sbagliate. Tutte le cose che faceva la irritavano. Insomma, doveva odiarlo proprio. E tutto questo per… per quel bacio di due anni prima? Due?! Si stava sfiorando l’assurdo.
- Qui stiamo impazzendo – borbottò – sei arrabbiata per una cosa che ho fatto due anni fa, da ubriaco? -
- Esatto Brian e anche di quel che hai fatto dopo – rispose Saya, convinta, mentre gli occhi le si facevano lucidi.
Ecco, se avesse cominciato a piangere sarebbe stato finito. La conosceva da tempo e sapeva che, nonostante quella corazza piena di realismo e indifferenza che la ricopriva, era una ragazza dannatamente fragile, che aveva bisogno di protezioni e certezze.
E, forse, aveva sempre pensato che lui fosse una di quelle. Ma come spiegarglielo? Non voleva farla piangere, lei detestava piangere. Era come se la sua corazza si sgretolasse.
- Che cosa dovevo fare, allora? Ti ricordo che sei stata tu a non volerne parlare. -
- E tu hai davvero creduto che non volessi farlo? – domandò, mettendo le ginocchia al petto e allacciandole con le braccia.
Si era praticamente rannicchiata, si stava difendendo.
Perfetto, di bene in meglio.
- Ti prego, non fare così – disse, sospirando – l’ultima volta che ti ho vista così è stato all’ultimo incubo. Dopo due anni non ci sono più abituato. -
- E allora lasciami in pace – ribatté la ragazza, rimanendo rannicchiata.
Gli enormi occhi blu erano fissi al pavimento, si spostavano seguendo le righe che separavano le piastrelle. Non aveva ovviamente voglia di parlare, ma a lui non importava. Dovevano chiarire l’argomento. Non voleva uscire di lì senza farle sapere come stavano le cose per davvero.
Se poi non cambiava nulla pazienza, poteva dire di averci provato.
- Ascolta bene quel che dico, perché non lo dirò di nuovo – esclamò – quando hai compiuto tredici anni sei cambiata. Non eri più una ragazzina più legata all’infanzia che altro. Eri… eri diventata una vera e propria donna. Ed è stato un attimo, quando ti ho rivista al tuo compleanno che… beh, non ho più capito nulla. Era stupido dire tutto quello che… si, che avevo cominciato a provare. Ho comunque tre anni in più di te. E poi parliamone, sei la sorella del mio migliore amico. Se fosse successo qualcosa? Beh, in ogni caso, in questo momento di confusione sono successe due cose: la prima il fatto che Jimmy era stato spedito in riformatorio e non frequentavo più casa vostra. La seconda l’arrivo di Michelle… mi sono dimenticato dei miei problemi. Ma mai di te, capisci? Il fatto che… beh… il fatto che, come dici tu, ora mi voglio comportare da “bravo ragazzo” è perché non voglio… che succeda la stessa cosa con Zacky. Con Michelle non succederebbe. -
- Perché? – domandò, pacata.
- Perché noi due siamo uguali. Il nostro… è puro divertimento. Forse sembra amore. Ma non lo è. L’amore è altro. -
Alla ragazza sfuggì una risatina sarcastica. Non sapeva se interpretarlo come un buono o un cattivo segno.
- Che ne sai tu, di amore? – domandò poi – se non sei mai stato innamorato? -
- Tu lo sei mai stata? – domandò di rimando.
Saya annuì. Non si riferiva certo a quell’idiota del suo ex ragazzo, con cui era stata insieme qualche mese l’anno scorso… altrimenti gli avrebbe davvero spaccato la faccia. Quel belloccio che sembrava la fotocopia di Ken, il bambolotto con cui giocava McKenna (la sua sorellina, di appena cinque anni), lo avrebbe fatto fuori volentieri…
- Si. – rispose, infine, dando voce al cenno affermativo della testa.
- Anche io. -
- Non ci credo. -
- Come fai a dirlo? -
- Perché sei Brian Haner. Lui non si innamora. -
Come biasimarla dopo aver dato una risposta del genere. Spesso lui teneva a precisare che era un Haner, gli Haner non si innamoravano. Ma ora che ci pensava, non era affatto vero.
Suo padre in fondo si era innamorato di sua madre. E anche quel completo idiota di suo fratello minore che non vedeva praticamente mai (era sempre impegnato con il servizio militare e, quando era a casa, era sempre in giro per locali) aveva trovato l’amore, per quanto la ragazza in questione non rispondeva certo ai suoi canoni di bellezza e intelligenza.
Perché lui no?
Perché lo era sempre stato, innamorato. Di Saya. E per negare ciò aveva inventato la scusa del “gli Haner non si innamorano”.
- Io invece sono stato innamorato. Lo sono ancora. -
- Di chi? -
- Di te. -
Silenzio. La ragazza non si era mai mossa dalla sua postazione, per tutta la durata del dibattito.
Adesso invece era arrossita, aveva sciolto la presa delle mani sulle ginocchia e aveva alzato lo sguardo su di lui. Brian aveva sempre detto che gli occhi di Saya erano meravigliosi, ma adesso lo erano ancora di più. Sembravano più grandi, sprizzavano meraviglia da tutti i pori come un bambino che si trovava in un negozio di caramelle.
- D- davvero? -
- Non lo ripeto una seconda volta – esclamò, alzando le spalle – non sono il tipo. -
Ancora silenzio. Odiava il silenzio, soprattutto se quello veniva da due tipi chiacchieroni come loro.
- Baciami. -
- C-come? – questa volta fu lui a balbettare.
- Non lo ripeto una seconda volta – disse, tranquilla, facendogli il verso – non sono il tipo. -
- Vai a fanculo, te e le tue imitazioni – esclamò, per poi arrivare con uno scatto felino a un millimetro dal suo viso e da quelle labbra che aveva sempre voluto baciare (la prima volta non contava, era ubriaco, per poco non se lo ricordava nemmeno). -
Aveva un buon odore, sapeva di vaniglia. Forse era il profumo, o lo shampoo per capelli.
- Tanto per esserne sicuri – sussurrò, mettendole una mano sulla guancia – ripetilo una seconda volta. -
- Per questa volta l’hai vinta tu, Haner, ma solo questa volta – affermò, per poi finalmente ripetere la parola desiderata – baciami. -
E questa volta non c’era davvero bisogno di ripeterlo ancora.
Anche le sue labbra sapevano di vaniglia, quel profumo avrebbe  presto cominciato a piacergli.
 
- Quindi è andata così? – domandò Electra, ridacchiando – non ti facevo così… mh… insicuro, Haner. -
- E invece si, l’hai sempre saputo, non far finta di niente – esclamò il chitarrista, ridacchiando.
- Beh, il tuo racconto mi ha fatto capire due cose. La prima che sei innamorato pazzo, sei arrossito giusto un paio di volte mentre raccontavi l’episodio – esclamò, sarcastica – la seconda… che non importa quanto puoi saperci fare con le donne, l’iniziativa la prende sempre Saya! -
E anche quella volta aveva ragione lei.
 
 

- Inutile chiedere cosa ci fai qui, ormai ci ho rinunciato – borbottò Saya appena il fidanzato era entrato nel suo campo visivo – e hai anche bevuto metà del mio cappuccino! Sei perfido, Haner! -
- Ma anche te, sei come il prezzemolo! Non si può andare da nessuna parte che ti si becca in giro! – la seguì a ruota Cris, facendo scoppiare a ridere Electra che aveva cominciato a scuotere la testa. -
- Beh, che dire, buongiorno anche a voi – rispose il chitarrista, salutandole con un amichevole gesto della mano.
Electra non poté fare a meno di notare la scritta “Marlboro” sulle falangi. Non aveva perso il vizio di fumare, allora… sicuramente, però, aveva diminuito la dose di sigarette dato che Saya le detestava. E lei era comunque un Sullivan, sapeva imporsi come si deve.
- Due parole: ti. Odio. -
- Che strano, stamattina non la pensavi così – constatò, per poi metterle un braccio intorno alle spalle appena si fu seduta – in ogni caso… di che parlavate? -
- Di bambini e pipì – rispose Cris, facendolo rabbrividire.
Decisamente non era ancora un tipo da bambini. Ma sicuramente avrebbe cambiato idea quando avrebbe visto suo nipote. Che era anche figlio del suo migliore amico.
Se non riusciva lui (o lei) a fargli cambiare idea non ci poteva riuscire più nessuno.
- Quasi quasi vi preferivo quando parlavate di matrimoni. -
- Il matrimonio di Val e Matt è passato da quattro mesi – lo informò Cris.
- Appunto.  Quattro mesi di pace senza sentire gridolini, strilli e varie. -
La ragazza alzò gli occhi al cielo. Era inutile dirgli di non parlare di matrimoni, dei ragazzi e cose simili in presenza di Electra. Né tantomeno di Val. In fondo il chiarimento fra le due era stato piuttosto complicato, anzi, non sapeva nemmeno se c’era stato (in fondo che cosa mai si potrà fare via telefono?).
Tuttavia, la ragazza sembrava tranquilla. In fondo, era sempre di Matt e Val che si parlava. Erano sempre stati la coppia perfetta e, forse, lo sarebbero sempre stati. E lei voleva comunque sentire parlare di loro. Forse l’avrebbe anche vista al concerto.
- Forse la vedrò al concerto – esclamò, dando voce ai suoi pensieri.
Sia Saya che Cris la fissarono da occhi spalancati. Non gliel’aveva ancora detto, non aveva trovato le parole… ma per lo meno, adesso poteva dire di aver loro raccontato veramente tutto.
- Verrai al concerto?! – domandò Saya, quasi strillando e tappandosi subito la bocca.
Ora che con loro c’era Brian Haner meglio noto come Synyster Gates dovevano essere ancora più prudenti. Non sempre essere famosi era un lato positivo, in fondo.
- Mi trascina Alex – esclamò, sorridendo – anche se Brian pretende che venga dietro le quinte. Ma non se ne parla proprio. -
- Non si parla proprio del fatto che rifiuti! – la corresse Cris – tu vieni! -
- No. -
- Assolutamente e categoricamente si. -
- Cris, ho detto di no cavolo. -
- Non discutere con me e il mini-James. -
Saya e Brian si scambiarono uno sguardo di intesa: potevano andare avanti anche per ore, ma avrebbe vinto Cris.
In fondo, ora quella regola valeva anche per lei: mai provare ad aver ragione con un Sullivan. Mai.






Note dell'autrice:
Ma ciao meraviglie! *le tirano addosso di tutto*
Non vi disturbate, davvero! Tenete da parte quegli oggetti micidiali per altri capitoli, in questo non succede niente di speciale! Mi odierete dopo! No, aspettate. Voi mi odiate già. Okay, potete riprendere a tirarmi le cose addosso *i lettori si guardano, le danno della pazza e ricominciano a tirarle addosso di tutto*
Okay, chiusa la parentesi sulla me mentalmente disturbata... si può notare come delle cose siano cambiate. Innanzittutto siamo nel 2009, il 25 di dicembre. Quindi sono passati ben 10 anni dal loro ultimo incontro, su per giù. Ma le strade si separano e si riuniscono, no? Altrimenti la vita avrebbe meno senso di quanto non ne abbia già...
E da notare anche il fatto che la gente è cambiata. Saya è cambiata, Cris è cambiata (tra l'altro mi odierà perché l'ho fatta mettere incinta, tanto amore per la mia Cris <3), Brian è cambiato e, neanche a dirlo, Electra è cambiata.
Uhm... cos'altro dovrei scrivere? Ah si: è un po' cambiato il modo della narrazione, dato che sono presenti dei flashback, sia in questo che nei capitoli a seguire.
E ho parlato abbastanza, non so nemmeno se avete perso tempo a leggere le mie cavolate quindi mi dileguo :3
Ringrazio Electra, Lia, Cris e Lea <3
Ringrazio coloro che hanno recensito:
_ Rosie Bongiovi
_ Electra_Gaunt
_ _Cris
_ _Leah
_ Dominil
_ Doripri
_ blueberryjuice (preparo il cappotto per la Groenlandia!)
_ Strong Haze
_ Erica_A7X
_ Slyth
_ KobraKiller_Juice
_ LiaEchelon
_ alexxx_fire_inside (<3)
_ Katsura
_ AlisGee
Ringrazio coloro che la seguono:
_ alexxx_fire_inside
_ AlmostEasy
_ BlackArrow
_ blueberryjuice
_ dizzyreads
_ Emss
_ Erica_A7X
_ GheggoBH
_ GyspyRose 
_ Katsura
_ LiaEchelon
_ LizLoveSyn
_ Luri07
_ MaryDay
_ MyChemicalDay
_ Rosie Bongiovi
_ Saturday24
_ wade 
_ _Cris
_ _Leah
_ __MD 
Infine ringrazio quelli che l'hanno messa tra le preferite *sparge cuoricini e orsacchiotti*:
_ alexxx_fire_inside
_ AlmostEasy
_ Crow15
_ KobraKiller_Juice
_ Manganese
_ Motherofgod
_ mimi96
_ NinaAlways
_ Rachel_Ugo
_ Rosie Bongiovi
_ Slyth
_ Leah
E ringrazio chi l'ha messa fra le ricordate:
_ GatesAnne
_ Ronnie02
_ _Cris

Ma quanto siete tutti dolciosi?!*-* Mh, allora, non so se mi sono dimenticata qualcosa quindi se avete domande e dubbi di qualsiasi tipo chiedetemi su Twitter @SayaWood oppure, se proprio non volete far sapere chi siete, sul mio account di ask.fm: http://ask.fm/SayaWood937

E stavo pensando: se facessi una raccolta con delle OS prequel e sequel? Sono ancora molto indecisa quindi davvero, spero possiate farmi sapere con una recensione, su Twitter o su ask.fm. Vi ho davvero dato tutti i mezzi per contattarmi e farmi sapere che ne pensate xD

Al prossimo capitolo!
Kisses
Vava_95
  
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