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Autore: Cassandra Morgana    30/09/2012    1 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 46

Crema inacidita

 

 

Patrizio si rigira le chiavi dentro la tasca. Il primo impulso è stato cercarlo giù al bar, ad annegare i fumi del rancore in una tazza di caffè bollente. Tipo l’altro giorno, con Tony che lo guardava storto e uno sciame di uomini-massa che ridacchiava dietro le sue spalle, una ventina di sguardi appesi alla catena sui fianchi e alle zeppe che lo staccavano quattro dita dal suolo. Brutto essere diverso, quando non hai la pelle, la faccia giusta per sbatterlo addosso a chiunque.

La cosa che riesce meglio ad Alex è seminarti, lasciarti morire inghiottito dai suoi passi. Dote che può tornargli utile ora, con una taglia sulla testa e Basile a caccia di streghe.

Ora è lì accanto alla sua stanza e attende l’Apocalisse, gambe incrociate e schiena rigida contro il muro. Non si limita ad appoggiarsi: ci sprofonda con tutto il peso, i capelli viola che fanno a pugni col giallo piscio dell’intonaco. Niente di meglio da fare che strapparsi le pellicine intorno alle unghie fino a sanguinare, un modo per ammazzare il tempo e l’angoscia.

Patrizio deglutisce, in attesa. Lo fissa e attende il via. Che si accorga di lui. Che sollevi lo sguardo dal suo casino. Tana, Mr. Thompson.

- Sei impazzito? È mezz’ora che ti cerco. Che ci fai qui? – scrolla le spalle, sollevato.

- Non sapevo dove cazzo andare… – il verdetto, scandito da labbra nervose.

Le dita che si torcono l’una contro l’altra, impazienti. L’impulso ancestrale alla fuga.

- Dove sei stato? – Patrizio si lascia cadere al suo fianco, il pavimento gelido come una morsa sotto le natiche.

- Secondo te? – Alex solleva gli occhi al cielo, una scintilla di sarcasmo.

- Stanotte, dico.

- In macchina – distoglie lo sguardo – Con il gatto di Nicoletti.

Patrizio lo squadra da testa a piedi, le narici che fremono nella smania di capirci qualcosa in più. Non sembra troppo reduce da una notte all’addiaccio: i capelli puliti gli ricadono composti sulla faccia – al solito posto. La faccia non troppo disfatta, i vestiti non troppo spiegazzati.

Che ci fai qui da me? È l’unico punto fisso del tuo ciondolare qua e là?

- Non ho altro posto dove andare – sussurra, rassegnato.

- Puoi venire a stare da me – Patrizio si stringe nelle spalle.

E si morde la lingua, perché una frazione di secondo in più gli soffia in faccia che è troppo tardi, troppo per tornare indietro, ragionarci a bocce ferme e decidere se è il caso di scoprirsi così, passando per uno stalker o uno che non sa farsi un pacco di cavoli suoi.

- Ho una doppia – prosegue – E uno dei letti è libero: mio fratello è fuori con la ragazza… e ne avrà per un bel po’. Puoi venire a stare da me, finché non ti rimetti in regola. Se… non ti scoccia.

- Io sono in regola – lo interrompe Alex – E avevo pure la mia singola. Poi è arrivato Piani e mi ha praticamente costretto ad andarmene… con la scusa del gatto, che manco era mio, che non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo. Ma capisci anche lui – Alex storce le labbra, una voce sul finto-svenevole – Voleva stare vicino al suo amichetto del cuore per esercitarsi la domenica, e io stavo in mezzo alle palle. E, comunque, non ho nessuna intenzione di starmene vicino a due che possono soffocarmi nel sonno se gli gira male.

- E allora vieni da me – Patrizio deglutisce a fatica – Almeno te ne stai tranquillo.

Piano. Non scoprire le carte. Fa’ finta che sia casuale, stile buonsamaritano. Una pezza provvidenziale sopra il disastro.

Ignora il formicolio al basso ventre: Alex Thompson come compagno di stanza. La prima faccia che vedrebbe appena sveglio, con il sapore dell’alcool sulle labbra e gli occhi impiastricciati di kajal struccato a cazzo la sera prima. La voce leggermente roca di primo mattino a raschiare contro i timpani. Il box doccia in comune. La barretta di metallo infilata nel capezzolo sinistro.

Profittatore. Ti piace così tanto?

Deglutisce a vuoto, la salivazione azzerata e un formicolio fastidioso che morde alla base della nuca. Forse è solo questione di tempo.

- Ne sei sicuro? – Alex solleva un sopracciglio, distratto, le iridi di giada incastrate tra un micio trovatello, uno sguardo al vetriolo da parte di Andrea e le paturnie di metà mattina.

Patrizio si stringe nelle spalle.

Piano. Non farlo scappare di nuovo. È sempre la solita corda tesa. Tra lui e Andrea. Tra te e Basile. Tra la prudenza estrema, l’imbarazzo, la paura di scottarsi le dita, e la volontà di scoprire tutte le carte per sciogliere le ambiguità.

Annuisce.

- Già. Così Basile si farà i suoi bei film – Alex ridacchia – Se li farà a ragione: dirà che ti ho plagiato, messo in testa cose assurde, rivoltato contro di loro. E mi metterà in croce.

- Che stronzate! – Patrizio si ravvia i capelli con un colpo secco – Io non devo rendere conto a nessuno di ciò che faccio… o con chi voglio dividere la stanza, a chi rivolgo parola. Non sono libero di fare il cazzo che mi pare?

- Se permetti – Alex si schiarisce la voce, un’espressione sagace a contrargli gli zigomi verso l’alto, quasi un sorriso – Mi sarei fatto un’idea.

- Spara! – Patrizio raccoglie le gambe contro il petto, il mento sulle ginocchia.

Fa’ che non sia ciò che penso io.

- Ci ho pensato a lungo – Alex si osserva distrattamente le unghie, smalto nero opaco sbeccato in più punti e peli di gatto intorno al polsino – Detta così, potrei anche non avere motivi per stare sul cazzo a loro. Basile pensa che gli abbia rubato il posto e che sia un fottuto raccomandato, okay. E poi? Ha fatto ricorso, la Balducci rischia guai… Fatto: problema risolto – schiocca le dita – Cosa vuole ancora da me? Niente, è chiaro.

- Alex, non è così semplice – Patrizio si stringe nelle spalle.

- Pensa che sia emo, che sia gay o chissà cos’altro, che la cosa lo autorizzi a prendermi a calci nello stomaco? No. Mi sa di cazzata. È troppo poco.

Io vorrei che fosse una cazzata.

Patrizio vorrebbe raccogliersi su sé stesso, farsi piccolo fino a scomparire. Sono tuoi amici, cocco.

- Forse ti stai confondendo con Riccardi – biascica, ma il dubbio gli martella il cervello e guizza fino alla punta delle dita.

- Non lo conosco, Basile, ma non sembra così idiota – Alex scuote il capo, spazientito – È stronzo, non è coglione. Penso ce l’abbia proprio con me. È Alex il problema.

- Uhm… – Patrizio lo osserva di sguincio – Sei gay?

L’ha buttata lì. E ha distolto lo sguardo, l’imbarazzo che schizza a ondate fino alle tempie. Non voleva schiaffargli la domanda così, a sproposito, ma ormai il danno è fatto.

Alex sbatte le palpebre e si limita a un gesto generico con il braccio. Che suona come “lascia perdere”.

- Non è importante. Non cambia molto.

Per Basile, forse, per chi si reputa in diritto di renderti la vita uno schifo, che tu sia bianco o nero. Per me, cambierebbe eccome.

Una fitta di desiderio gli serpeggia addosso, si assesta alla bocca dello stomaco e da lì si dipana verso il basso, incendiandolo. È così egoista e inopportuna. Perché tutto sommato non sarebbe male, se avesse un marchio stampato in fronte per disambiguare. Non si capisce, cazzo. Chi o che cosa gli piace, se davvero gli piaccia qualcuno, uomo o donna. Non lascia trapelare niente. Non sembra innamorato, solo un po’ svagato. Sembra che Loria non lo lasci indifferente, ma sembra anche un’idea buttata sul tavolo e abbandonata a sé stessa insieme ad altre mille.

Riccardi si vantava di averlo capito subito, che Derossi era un finocchio. Ciglia lunghe. Sopracciglia scolpite. Qualcosa nel modo di gesticolare, di camminare. La cazzata storica.

Lui invece sembra una stella asessuata. Lui e i suoi occhi pseudo-truccati e il suo muso storto e imbronciato da ragazzino punk.

- Se può consolarti, il mio coming-out risale a pochi giorni fa – Patrizio si fissa le unghie.

Quando ero ancora convinto di sapere con chi avevo a che fare. Prima che la mia impalcatura di certezze crollasse e non lasciasse dietro nulla. Solo cenere, amarezza, veleno.

- E… beh, è stato tranquillo. Niente facce brutte, niente battute idiote. Non cambia nulla.

Credevo di conoscerli. Credevo di specchiarmi su una superficie piana, di andare sul sicuro. Che lui non fosse ciò che è. Ipocriti doppiogiochisti, poliedri con troppe facce.

- Non ci contare troppo! – Alex arriccia il naso – Non è “gay o etero”, il problema. Sono io, te l’ho detto.

- Tu?

- Non ci credi? – Alex solleva le sopracciglia, un sorriso acidulo – Pensaci bene: cos’è che gli fa prudere tanto le mani, al tuo amico Basile stronzofottuto? Da quand’è che è iniziata questa storia?

- Da quando gli hai soffiato il posto… secondo lui – lo interrompe, metallico, un fondo di esasperazione: perché ripercorrere tutto a ritroso? Perché così e ora? – Da quando l’hai sfidato in mezzo al piazzale e sfanculato di brutto.

- Da quando tu ti sei avvicinato a me. È questo che non sopporta: che tu prenda le mie parti e non le sue. Tu che sei anche suo amico.

- Un po’ complicato, difendere l’indifendibile! – Patrizio sbotta, il volto in fiamme – Anche se è tuo amico. Che avrei dovuto fare? Stringergli la mano? “Complimenti, ciccio, potresti usare insulti più fantasiosi… Oppure, bando ai sentimentalismi: la prossima volta picchia duro!”.

- Pensaci, Patrizio! – Alex spalanca gli occhi, e così fa un po’ di paura, perché le iridi sono tutto un ribollire sotto la superficie – Sei il front-man figo della sua fottuta band fottutamente figa, il suo gioiellino… Uno duro, quadrato, con le palle. Il suo sogno incarnato.

Le labbra si piegano in un sorrisetto perfido.

Come Nicoletti. È quello che stavi per dire?

- Sei l’uomo che fa per loro, quello che cercavano. Canti da dio. Saresti perfetto – Alex ridacchia – Ma sei gay. Okay, questa passi: nessuno è perfetto. Basta che non lo dia a vedere, che non cominci a sculettare, vestirti di rosa o mostrare di avere un qualche sentimento. Ma tu no! Tu cosa fai? Ti mostri tollerante con me! L’esempio negativo. Raccomandato. Emo. Sputtanatissimo. Non solo non sei d’accordo con loro, ma addirittura mi rivolgi parola, cerchi di fare amicizia. Gli vai contro e mi difendi spudoratamente. Gli metti le mani addosso per un cavolo di sospetto.

- Io non lo so cos’è successo – Patrizio si prende il capo tra le mani – Non lo so cos’ha visto, cosa crede di aver visto Derossi quel pomeriggio, cosa gli dice il cervello, se era strafatto di crack o della solita erba per signorine, ma voglio darti il beneficio del dubbio. Non riesco capire chi ho di fronte: se Basile scherza o fa sul serio, se mi ha preso per il culo tutto il tempo… e che diavolo ha in mente. Non so dove girarmi.

- È questo il problema – Alex distende le gambe, lo sguardo fisso sulla punta delle Converse nere di quarta mano – Sei tu. Tu che mi stai addosso, che l’hai cazziato per qualcosa che ha a che fare con me… E cava gli occhi a un cieco, dai: Basile ha capito. Ha capito che sei cambiato, che gli vai contro per partito preso. Per uno che lui odia a morte, e chissà cosa ti ho detto, chissà quanto ti ho riempito le tasche! Perché l’hai fatto, Patrizio? Rovinerai tutto.

- Grazie della considerazione! – Patrizio trasalisce, ma si obbliga a mantenere lo sguardo fermo nel suo che fugge e gira in tondo nel nirvana della sega mentale – E quindi tu sei quello che non avrebbe “uno straccio di nessuno disposto a spendere mezza parola per lui”? Quindi io sarei “uno straccio di nessuno”? Fai pace col cervello!

- Tu sei un discorso a parte – Alex scuote la testa, esasperato – Sei l’amico di Basile. E sei in una brutta posizione. Pensavi di fare la cosa giusta e hai agito d’impulso, hai detto “mo’ vado lì e gli spacco il culo”.

Patrizio avverte i pugni contrarsi per la tensione.

Dannatissimo, ingrato, stupido ragazzino.

Comincerà a chiedere. A farsi domande. Perché sono piombato nella sua vita, aggiungendo il mio al suo casino. Perché mi sono preso tanto a cuore la sua faccenda.

Dannatissimo.

- Non ti fidi di me? – Patrizio deglutisce a fatica, un nodo in gola dalle dimensioni di una valanga – Pensi che faccia il doppio gioco?

- Penso che ci stia prendendo gusto – Alex schiocca la lingua, il solito sorriso indecifrabile che gli pende dalle labbra come una malattia, come un mantra fastidioso – A metterti contro di loro, a fare il Robin Hood degli sfigati.

Si lascia andare contro la parete, un sospiro che gli vibra addosso, che inghiotte i pochi atomi d’ossigeno residui e li rende taglienti. Non si limita ad appoggiarsi al muro: ci affonda a peso morto, si lascia risucchiare.

- Ho i miei motivi – Patrizio gli afferra il polso, perentorio: magari riesce pure a evitare che si corroda la pelle intorno alle unghie fino a farsi cascare le dita – Non vedo perché dovrei mettermi un paraocchi e fingere che Basile abbia ragione, che non stia facendo niente di male, quando la sta facendo fuori dal vaso e si è fissato con questa storia.

- Patrizio, Patrizio…! – Alex ciondola la testa come una bambola rotta, gli occhi chiusi: sembra rassegnato – Perché lo fai? – riesce a sputargli, alla fine, la voce che si spezza – Mi vuoi morto? Quello è convinto che io ti stia rovinando: per questo mi odia e mi vuole fuori di qui.

- È assurdo! – Patrizio arriccia il naso – Lo faccio perché voglio vederci chiaro, perché lui non me la racconta giusta. Perché fino a questo momento credevo di aver a che fare con un certo tipo di persona, ma a quanto pare non l’ho ancora conosciuto bene. E sarà una doccia fredda, una martellata sui coglioni.

- Bene – Alex solleva lo sguardo verso il soffitto – Ottimo. Se poi, mentre chiarite l’equivoco da bravi amiconi, evitate di tirarmi in mezzo, di giocarvi la mia pelle, ve ne sarò grato. Non è normale, Patrizio – Alex ammicca.

E gli punta addosso quegli occhi assurdi, appena velati di stanchezza. Ma bruciano come spilli roventi ficcati addosso.

- Perché lo fai? Non è questo, c’è dell’altro.

- Forse perché, casualmente, sei tu quello che c’è finito in mezzo – Patrizio si passa una mano tra i capelli; tergiversa – Non pensar male, eh! Non gliel’ho mica suggerito io, che doveva detestarti per il fatto di esistere, darling.

Perché hai la pelle troppo delicata. Perché hai osato sfidarlo in campo nemico, mettere piede nel suo mondo dorato. David contro Golia e privo di una fionda, stretto tra l’impulso alla resa e il massacro annunciato. Perché ai loro occhi sei un cazzo di moccioso mezzo emo che farebbe meglio a chiudersi nel cesso a tagliuzzarsi, senza menarla troppo, senza offendere il loro gusto estetico con la sua presenza, senza rubare ciò che è loro. Che sia uno stage o un amico o una pedina sullo scacchiere.

Perché uno così, caro Basile, è quel tipo di persona che ti esalta umiliare, perseguitare fino a vedere il sangue e le lacrime sbocciargli sulla faccia.

Perché forse Thompson ha fottutamente ragione. Forse ha visto qualcosa di più.

Perché lo fai, Patrizio?

- Uhm… – Alex riprende a guardarsi intorno, scettico.

Lo sguardo saetta verso il basso e si assesta sul pavimento. Fugge via, scivola come olio, come schiuma sulla pelle, non si lascia afferrare.

- Tu cosa ci guadagni in questa storia, Patrizio? – ammicca, cinico.

Stai bluffando. Ce l’hai scritto in faccia, su quel sorriso di plastilina. Non sei in vena di scherzi: vorresti piangere, dichiarare bancarotta, ma continui a girarci intorno.

Un respiro profondo, l’ora della verità.

- Infatti, non è tutto. C’è un altro motivo… – calma – C’è.

Silenzio. Occhiata di ricognizione verso i piedi, tanto per assicurarsi che stiano ancora al loro posto. Lo sguardo che vira verso il corridoio e da lì fino all’imboccatura delle scale: nessuno in vista. Il delitto quasi perfetto.

- Questo – esala.

A due centimetri dalla sua bocca socchiusa.

E poi ci sono solo quei centimetri che diventano millimetri che diventano uno schiocco infinito, un pugno di attimi smarriti in qualche via di fuga tra le labbra che si toccano. Che si cercano e sfregano l’una contro l’altra e riscrivono i contorni di un’angoscia che non smette di bruciare sulla pelle, di sfrigolare come una colata d’acido.

C’è l’ansia di non farsi cogliere in flagrante e non scoprire troppe carte. Di fronte a lui che ha l’occhio lungo, lo sguardo vigile. La paura di mandare all’aria un intero castello di buoni propositi. Di rovinare tutto con un gesto, di farselo sfilare dalle dita.

Le sue labbra. Che non lo respingono e non lo accolgono: restano lì immobili, a decantare la sua paura, gustarla, rigirarsela in punta di lingua e poi riprendere da capo. Lo sguardo che vaga da qualche parte sul suo viso, sotto le palpebre socchiuse. Respira più forte, trema, ma non si scosta, non scappa. Non cede alla volontà di ricambiare le carezze intorno ai fianchi o all’impulso di mollargli una ginocchiata in basso. Un gemito stupefatto, appena percettibile in uno spazio ritagliato a caso, quando molla la presa e indugia verso la sua mascella contratta.

- Ecco… – sussurra, mentre tutto va a fuoco, i contorni si sbriciolano e una mano provvidenziale si affretta a riscriverli, e tutto va in frantumi e gli vortica intorno – È questo. Sono con te. Mi piaci… non so.

Non nel senso che mi stai simpatico o mi piace il colore dei tuoi capelli. Mi metti le farfalle nello stomaco, e per me la cosa è grave.

Alex spalanca le palpebre. Le guance arrossate, che nel suo caso virano sul fucsia intenso, e una piega impercettibile all’angolo della bocca. L’enigma racchiuso nella composizione spigolosa del suo viso, mentre scuote le ciglia e cerca di riprendersi. Forse è il disgusto, il rifiuto imminente, ad arricciargli le labbra. Forse è semplicemente sconvolto o sull’orlo del collasso. Forse tra un po’ vomita.

Non sei un libro aperto, cazzo. Sei la mappa della caccia al tesoro. Sei tremendo.

- Ehi… – Patrizio stira le labbra e gli posa le mani sulle spalle come un pallido sedativo – Va tutto bene, eh. Libero di mandarmi a quel paese.

E le labbra di Alex si incurvano, gli occhi lustri.

 

* * *

 

Non pensavi che facesse così male, il sapore acre della vittoria afferrata per il rotto della cuffia. Della battaglia che non ha mai avuto luogo se non nella vostra testa, nel delirio tra una birra e l’altra, tra colpi di piastra sui capelli biondi, luci slavate e guizzi di ombre sulla parete a farti compagnia.

La favola che piace tanto ad Andrea, sul sedersi in riva al fiume con la vanga in mano e il cadavere da seppellire, e giù menate varie, è la tipica favola a misura di ingenuo.

Balle: non è così che ci si sente. Dopo si sta male, di merda e senza un perché.

Fa male vedere l’altra faccia del mondo, odiata e idealizzata una sega mentale dietro l’altra, crollare e infrangersi al suolo, cessare di essere punto di equilibrio e di rottura. Non era disprezzo, in fondo, quello che ti colava dalle ciglia mentre affilavi la lama e apparecchiavi la loro disfatta con il note-book sulle ginocchia e il cuore pesante.

La vendetta a sangue freddo non è un gioco per cuori teneri, idealisti della domenica e ragazzi incazzati col mondo. Frigge come calce viva.

È strano vederlo così. Ciò che per lungo tempo, ai tuoi occhi, è stato il tassello mancante, la nemesi, l’immagine patinata che rifiutava il tuo ingresso nel suo mondo. Una volta c’erano loro, c’erano sguardi che si intrecciavano, mani che si agitavano nell’aria, gioie da condividere, segreti sussurrati, veglie al chiaro di luna e risate che sapevano di miele. Loro che si cercavano e stavano insieme, irradiavano vita e calore e pisciavano in faccia al mondo la loro individualità tagliata con la squadra. L’equazione sconnessa per cui loro erano l’esistenza, e tu la negazione, il rancore e l’apatia. Il frammento da rigettare indietro.

Non li hai mai guardati per quello che sono; una parte di te voleva stare con loro, assaporare com’è che ci si sente a far parte di qualcosa, immersi fino al collo nella soluzione alcalina della realtà, capaci di lasciare il segno dietro i propri passi.

Ora il giocattolo si è rotto, e non pensavi fosse… così, come liberarsi di una parte di sé. Con il vuoto nello stomaco e l’ingresso laterale del bar che ti accoglie con uno sbatacchiare di tende in faccia e lo scacciapensieri che oscilla appeso alla maniglia.

Lezioni terminate, tre ore di libertà per adoperarsi in qualcosa di costruttivo, e tutto ciò che riesci a fare è caracollare qua e là senza meta. Misurare il campo di battaglia dopo la battaglia, in cerca di feriti.

Il quadro ti rimbalza addosso, ma sembra incompleto, il chiacchiericcio non ti tange. Non eri tu, quella che in mezzo al caos esistenziale, si trascorreva l’intera mattinata senza spiccicare parola, appiattita al suolo?

Isa appiccicata ad Andrea. La pagliaccia Sara che ti faceva il verso pasticciandosi gli occhi di nero, e tutti che scoppiavano a ridere.

Scusa, Loria, non è nulla… Ho detto qualcosa? Non ho detto niente. E di nuovo risate e giochi pirotecnici per confondere l’avversario.

L’amica ossigenata con la faccia da maschio in cerca del malcapitato su cui allungare le grinfie – e della presunta rivale da impallinare. E poi Alberti, boss incontrastato, che si cagava tutte meno che te – una specie ben strana di donna. E Riccardi a caccia di streghe.

Era crema dall’aspetto allettante, ora è panna acida. Ma misurarti con loro, in qualche modo, ti aveva reso viva. Tra una vena depressiva e l’altra. Pensavi a loro, il trucco steso male che ti colava sulle guance sotto l’impulso delle lacrime, mentre Galileus solleticava la tua indole stronza con il sogno di distruggere Alberti – all’inizio non ci credevi: uno schizzato in più a piede libero che forse si prendeva gioco di tutti.

È venuto il turno di Alberti: caduto senza speranza di ripresa, uno strike perfetto. E poi Neri, ma quella non è stata un’idea tua, perché era l’unico che ti si filava. L’unico che vedesse oltre il velo che mettevi tra te e gli altri, qualcosa in più di un grigio uniforme. Poi anche lui si è rivelato una merda. Si è fottuto Andrea, e Gabriele ha dato di matto.

Però erano bastati un suo elogio di troppo e i complimenti di Andrea dopo un’esibizione discreta, a scatenare la fantasia omicida di Isa.

Adesso non c’è più. Dicono che Isa abbia sgabbiato di nuovo, e a farne le spese è stata l’ossigenata ninfomane. La pagliaccia resiste ancora, forse perché a Sua Maestà serve ancora una che le tenga la porta mentre va al cesso. Di Riccardi se n’è occupato Alberti, con nonchalance e un calcio stampato sul fondoschiena. Ineffabili come sempre, a distribuire o negare il pass per il paradiso.

Isa si avvicina. Schioda le chiappe dal suo trespolo, lo sgabello incollato al bancone da cui si osserva intorno come un rottweiler che ha fiutato il ladro. Ti fissa. Quasi hai paura, perché se una Isa razionale e calcolatrice è pericolosa di per sé, una Isa isterica è fuori controllo.

Peccato non possa più nuocere, non a lungo e con segni visibili.

- Avevi capito tutto… Brava.

Sospiri, perché è il primo impatto, quello che scioglie il ghiaccio.

- Cosa vuoi ancora? – le ringhi.

Mostrarsi scorbutici è d’obbligo, è il si-ne-qua-non per stabilire un contatto. Sia pure distruttivo. Lei non è qui per giustificarsi: odora di rabbia e di fiele da un chilometro di distanza. Scusarsi per una piazzata infelice e una minigonna strappata non è nel suo stile: lei ha sempre ragione, e se anche ha agito male, dirà che ha avuto i suoi sacrosanti motivi.

- Avevi ragione su una cosa: erano dei poveracci.

- Oh, se lo dici tu…! – sorridi, evitando allusioni e sollevando il bicchiere mezzo pieno.

Caffè e ammazzacaffè, e poi di nuovo in giro a far danni.

- Potrei ringraziarti, se non mi stessi sulle palle – Isa schiocca la lingua – Brava! Sei la rivelazione dell’anno. Sei scandalosamente figa: non te ne rendi conto, ma questa è una rivoluzione in piena regola. L’epifania del marcio. Dell’imbecillità che c’è in giro.

Sollevi gli occhi al cielo: te l’aspettavi, il momento topico. Attacco, botta e risposta. Adesso perderà il filo e attaccherà con il solito pippone delirante su Andrea e su di te bruttacattiva, e finirà con il solito vaffanculo bilaterale. Eppure non ti schiodi da lì. E non si schioda lei: continua a fissarti, le palpebre socchiuse sugli zigomi contratti.

- Tu mi fai paura, Loria – sentenzia – Sei partita da zero e hai messo a soqquadro tutto. Avevi capito chi erano, forse ti fingevi cretina per non farti sgamare. Dopo questa, puoi fare quello che vuoi, ricostruirti una vita, buttare tutto all’aria… Sei sprecata per fare da balia ad Andrea e combattere le sue battaglie inutili al posto delle tue. Scommettiamo che, come sei stata capace di mandare a puttane la mia vita, portarmi via Andrea, distruggere chi ti stava sul cazzo, rivelarmi a suon di schiaffi con che razza di cretini avessi a che fare, adesso riesci pure a farti una vita?

- Non sono affari tuoi – le soffi in faccia, acidità di stomaco in eccesso.

Ma forse ci crede davvero: forse, per un attimo, la scintilla che le guizza in fondo alle iridi è qualcosa simile all’ammirazione: saresti una preda ben più succulenta, più dell’ossigenata senza cervello e del teppistello da asilo Mariuccia.

- Non ti piacerebbe, che ne so… Avere un fidanzato?

- Già – scrolli le spalle, trattenendo una risata: se fosse una tattica studiata per convincerti a prenderti un pollo qualunque e lasciare in pace Andrea, sarebbe la più stupida mai partorita, completamente fuori dal suo stile – Lo diceva anche la nonna Pina. Che sono in età da marito.

- Vediamo – sussurra, salottiera, e si avvicina come una belva – Hai presente… Thompson? Secondo me gli interessi. Anche se, boh – pausa di ricognizione, studiato roteamento di iridi sotto le luci al neon – Non so… non mi convince molto. Non sembra così “uomo”, comprendi? Però c’è Moro, se vuoi: lui è carino.

‘fanculo. Chi è Moro? Uno dei tirapiedi di Basile, quello meno schizzato che preferisce farsi gli affari suoi?

- Senti, facciamola finita – vuoi tagliar corto: almeno tentare – Se hai paura che allunghi le mani su Andrea, va’ tranquilla.

Tecnicamente è pure la verità: lui ama Gabriele, e niente ti scalzerà l’idea dalla mente.

- E poi c’è Lastella – prosegue Isa, incurante delle obiezioni, della tua faccia annoiata, dell’eventualità di ritrovarsi da un momento all’altro nell’ameno paese di Fanculo.

- Ehm, Lastella è gay – la constatazione arriva in automatico.

Per negare fino all’ultimo.

- Luca Lastella, tesoro – Isa sorride, diabolica – Il direttore del gazzettino… quello tutto inzecchito. Cominciano a girare voci. Felicemente fidanzato, ma io mica ci credo a questa storia. Eri o non eri il suo trastullo?

Trasalisci. L’unica immagine che ti folgora la mente è una mattonata da dieci chili che ti mozza il respiro, il cuore che scivola all’altezza delle suole. Se non fosse così, la guarderesti in faccia e diresti che le ridono anche le chiappe, il rossetto scarlatto come una ferita inquietante. Trattieni il fiato, e la ruota riprende a girare fino a non vedere più i raggi. Il famoso pedone impazzito che irrompe in mezzo alla scacchiera e rimette tutto in gioco.

- Che puttanella! – Isa scoppia a ridere – Non hai mai perso il vizio di rubare ciò che non è tuo… Scommettiamo che sai rifartela, una vita che sia tua, con o senza Lastella? – incalza, beffarda.

- Non ho bisogno di scommesse idiote e non devo dimostrarti nulla – la geli, voce piatta e controllo alle stelle

- Però adesso puoi dimostrare quello che vuoi: era il tuo sogno, no? Avere i riflettori puntati. Ormai aspettano tutti la tua prossima mossa: vuoi deluderli?

- E allora scommettiamo quello che vuoi. Che almeno io non ho bisogno di giochetti del cazzo.

 

 

 

 

 

   
 
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