Lullaby
Capitolo secondo
Preludio
d’estate
Soul
se ne stava sdraiato placidamente sul suo letto con le cuffie nelle orecchie a
volume massimo, fissando il poster dell’ultimo concerto del suo gruppo
preferito. Faceva caldo e lui proprio non trovava un motivo valido per muoversi
dal letto. Avrebbe dovuto studiare per gli esami della sessione estiva, ma non
ne aveva alcuna intenzione. Il cuscino stava diventando caldo e l’unica
cosa che gli dava un po’ sollievo era la mano penzolante, che toccava il
pavimento in ceramica dello studentato.
Sobbalzò
quando un sasso atterrò, con un botto, a pochi centimetri dal suo letto,
dove stava sdraiato a pancia in giù, prossimo al sonno.
“Ma
che…?!” esclamò, mettendosi seduto
e correndo alla finestra, mentre le cuffie gli cadevano e rimanevano appese al suo
collo.
“Ehi!”
esclamò, svariati metri più in basso
stava Liz, con il suo solito cappello da cowboy che
lo guardava con aria di rimprovero.
“Che cacchio lanci i sassi? Potevi beccarmi in
faccia!” sbraitò.
“Pensavo
che il vetro fosse chiuso” commentò lei per nulla preoccupata.
“Avresti
rotto il vetro e poi la mia testa!” ribatté lui. “Smettila
di lamentarti e vieni giù, che cosa ci fai in
casa…!?”
Soul
sbuffò, ma dopo cinque minuti era seduto sul bordo della piscina vuota
del campus. Erano anni che era in quelle condizioni, ma nessuno ci badava,
qualcuno la usava per fare skate e pattinaggio.
Liz aprì la sua birra calda,
nonostante fossero le sei del pomeriggio e tutti quanti avrebbero
dovuto studiare. Black*Star insultava la squadra
maschile dei cheer leader “Io sono più
bravo di voi a fare le capriole!”
Liz lo ignorò prendendo un sorso di
birra dalla
lattina che aveva nella borsa, e Soul si chiese come facesse a non morire di
caldo con tutti quei braccialetti, tutte le volte che muoveva il braccio
tintinnavano. Una volta gli aveva detto che non se li toglieva mai,
probabilmente a dividere il letto, o simili, con una tipa del genere, sarebbe
diventato pazzo. Fortunatamente Soul non era tra gli uomini tipo di Liz e Liz
non era tra le donne tipo di Soul.
“Non hai abbastanza tette” aveva commentato una volta, e si era
preso una sberla voltafaccia.
“Hai
studiato ‘sta mattina?” domandò la ragazza, a Soul,
ovviamente, Black*Star viveva nel suo mondo. Soul si
mordicchiò l’interno delle guance “Mi sono svegliato
all’una” commentò, e il resto della giornata era stato
sdraiato a pancia in giù in bilico tra il sonno e la veglia.
“Tu?” domandò poi, immaginando che la risposta sarebbe stata
no, ma con qualche scusa più
approfondita della sua, e infatti.
“Sono
stata all’ospedale con Patty fino ad adesso” fece con fare pratico,
dopo mesi che Patty viveva in ospedale, quella routine era ormai divenuta
normale, per Liz. Ingollò un altro sorso di birra calda, desiderando
ardentemente dei nachos.
“Credo
che dovresti fare il volontario in ospedale, la dottoressa Nygus
dice che ce ne sarebbe bisogno, tirano su di morale gli ammalati. A Patty non serve, lei è sempre contenta, ma stare tanto
tempo in un posto del genere deprimerebbe chiunque” disse poi,
apparentemente senza un filo logico. Soul
inarcò le sopracciglia e la guardò perplesso “E
perché mai dovrei farlo io, scusa? Non ne ho alcun interesse, ho
da studiare all’università e per il conservatorio, perché
non lo fai tu, dato che hai l’animo della
crocerossina?!”
Liz sbuffò, come
chi ha assolutamente ragione ed è costretto a dire ovvietà
“Io non posso, cacchio, mi pare ovvio! Devo studiare e lavoro anche per
mantenermi gli studi, le cure di Patty, l’affitto della mia stanza, il
corso di aerobica e la ricostruzione delle unghie. E poi devo stare con Patty
quando vado all’ospedale, mica mi posso vestire da pagliaccio ed andare a stare coi bambini di pediatria”
esclamò.
Soul
avrebbe voluto dire che si stupiva che Patty non fosse stata messa nel reparto
pediatria, dove sarebbe stata da re, ma fece solo eco “Ricostruzione
delle unghie?”
“Beh,
dovrò pure essere carina!” brontolò l’amica, colpita
sul vivo, bevendo un altro poco della sua birra, non era nemmeno abbastanza per sentirsi brilla.
Soul
avrebbe voluto dire che i ragazzi non si preoccupavano molto delle unghie finte
delle ragazze, ma sarebbe suonato strano, quindi se ne stette zitto.
“Mi
ci vedi, comunque, a fare il pagliaccio?” continuò lui retorico, rubando
la birra a Liz, ormai era finita.
“Beh,
tu sai suonare il piano, puoi fare quello” sbottò Liz, come se fosse logico.
“Sì, portare un pianoforte
in spalla è sempre un piacere, chiedilo a Black*Star
che mi ha aiutato a fare il trasloco. E ringrazia che questo era a parete e non a coda come
quello che ho a casa dei miei!” ribatté
Soul, mentre l’amico si strappava la maglia in stile Hulk e si lanciava nella mischia
coi giocatori di rugby, anche se il pro della baruffa non era chiarissimo.
“Al conservatorio ti hanno
insegnato a suonare anche qualche altro strumento, no? Guarda che Patty,
ai tempi, suonava la cornamusa, lo so questo!” lo rimbeccò
puntando il dito.
Soul
alzò gli occhi al cielo “Non ne ho voglia di andare a fare il
volontario in un ospedale, ti basta come risposta, Liz!?” borbottò alla fine, sbattendo la lattina
ormai vuota, sul pavimento di piastrelle della piscina, senza troppa enfasi
“Ho un sacco di cose alle quali pensare e gli ospedali sono
deprimenti” concluse,
alzandosi in piedi e dirigendosi verso casa, con tutta l’intenzione di
mettersi a giocare a qualche videogame.
“Insensibile!”
esclamò Liz, con voce più stridula del
solito.
*
Maka, senza scendere dal letto,
ripiegò un fazzoletto e lo infilò nel cassetto del suo comodino.
Dentro c’erano le sue posate, una forchetta, un coltello e un cucchiaio.
Si
grattò il naso, prima di afferrare il quotidiano, che le stava sul letto
accanto a lei, e sistemarsi i cuscini dietro la schiena con tutta
l’intenzione di leggerlo, quando si accorse di suo padre, seduto su uno
sgabello, ai piedi del letto, che la guardava con l’aria un po’
persa.
“Maka, dimmi la verità,
è un terribile tentativo di suicidio?”piagnucolò. Maka strinse i denti e stropicciò il giornale, Spirit la faceva sempre arrabbiare.
“Ti
sembro una che sta cercando di morire?” domandò, come una domanda
retorica, stringendo il giornale con stizza, il signor Albarn
poté notare il suo polso magro contrarsi, mostrando i tendini.
Spirit la guardò, non era mai stato un
buon padre, ma era preoccupato per lei, davvero, soprattutto in quel momento,
lei era finita in ospedale e lui non aveva notato nulla fino a che non
l’avevano chiamato dal pronto soccorso, eppure vivevano insieme.
“Ho
videochiamato la mamma, prima, ha detto che la
conferenza in Austria è andata bene e che non potrà venire a
trovarmi presto, se è fortunata riuscirà
ad avere un paio di giorni di ferie per Natale” disse lei, cambiando
discorso e cercando di togliere l’aria sgualcita al giornale.
“Spero
che per Natale tua sia tornata a casa, tesoro”
commentò Spirit, voltandosi a guardare la
porta d’entrata. La stanza dove Maka era stata
portata era doppia, ma non aveva ancora nessuna compagna di stanza, il
condizionatore funzionava, ma Maka si era ingegnata
per spegnerlo appena arrivata e aveva aperto la finestra, faceva caldo, ma
entrava un po’ d’aria fresca.
“Per
Natale spero di essere in Canada, per il master che ti dicevo” fece lei,
passandosi la lingua sui denti e nascondendosi nuovamente dietro al quotidiano
che stava leggendo, pareva che ci fossero dei grossi cambiamenti in borsa.
“Ancora
studiare! Non ti permetto di studiare ancora! E’ sempre
stato un problema per te!” piagnucolò. La
ragazza si sbatté il giornale sulle ginocchia “Non dire queste
cose! Quando mai sarebbe stato un problema? Mi sono
fatta un po’ troppo prendere e…”
“Ti sei fatta un po’
prendere? Maka, ti ricordi
di quando hai detto che ti saresti buttata dal balcone perché avevi
preso un E nel compito in classe
perché non ti eri accorta della seconda pagina?” esclamò il
signor Albarn con enfasi, alzandosi di poco dallo
sgabello.
Maka fece lo stesso,
cercando di avvicinarsi il più possibile a suo padre, rimanendo seduta
sul letto, alzando un ditino magro e sentenzioso “Avevo sette anni e
l’ho solo detto!
E poi chi è che mi faceva guardare film giapponesi dove tutti facevano
Harakiri per trovare l’onore perduto?”
Il
signor Albarn deglutì e mandò
giù il colpo, faticosamente, in effetti era
colpa sua “Beh, lo facevo perché dicevi che ti sarebbe piaciuto
conoscere qualche cosa di più sul paese della mamma – ah, me
l’hai salutata?- non è poi per questo che ti sei laureata in
economia in lingua giapponese?” cercò di giustificarsi
l’uomo, che nonostante il caldo estivo, vestiva in giacca e cravatta.
Quello,
invece, fu un colpo al cuore per Maka, invece, che si
nascose nuovamente dietro al suo quotidiano.
“Quasi
laureata” corresse stringendo con fin troppa forza il giornale, non lo
stava leggendo, voleva solo nascondere e nascondersi
da suo padre. “E comunque sì, te l’ho salutata e lei ha
detto che sei un porco e che devi andare al diavolo”
Il
signor Albarn appoggiò la testa sul letto
d’ospedale della figlia, di solito faceva scenate, strillava e si
strappava i capelli urlando “Amore mio, lo sai che ti amo come se fossi
l’unica” e altre rivoltanti idiozie. Quella volta, però, non
fece nulla, solo gli si arrossarono gli occhi e strinse la mano attorno alla
caviglia della figlia, da sopra il lenzuolo, poteva sentirle le ossa, aveva
l’impressione di poterla rompere solo stringendo troppo. Non aveva mai
avuto quella certezza, che Maka si potesse rompere,
era sempre stata magrolina, ma aveva la grinta di sua madre.
“C’è
qualche cosa che vuoi che ti porti? Hai già tutto? Lo
spazzolino da denti, le mutande, il cellulare…”
Snocciolò
tenendo il tono di voce così basso che se ci fosse stato qualcun altro
nella stanza solo sua figlia avrebbe comunque potuto sentirlo.
“Il
saggio di economia di Richard Kent, dovrebbe essere
sulla mensola del salotto, è quello che hai macchiato col vino”
rispose lei pratica, dopo essersi incantata a guardarlo per un attimo, solo per
un attimo. Per un secondo le era parso vecchio.
“Ti ho detto che non voglio che
studi ancora! Ti devi riposare” sbottò il signor Albarn,
ritrovando tutta la grinta perduta.
“Papà,
mi voglio laureare il prima possibile, non se ne parla
che stia lontana dai libri per più di tre giorni!” esclamò
lei, tornando arrabbiata.
“Invece
di studiare potresti, per esempio, fare due chiacchiere con un’esperta,
il dottor Stein, che è più o meno mio
amico, mi ha detto che c’è una dottoressa che potrebbe aiutarti
e…”
“Se
mi aiuta a laurearmi più in fretta, questo dottor Stein è il
benvenuto, se no, che mi lasci in pace e che si sbrighi a farmi uscire di qui!” lo rimbeccò Maka,
mettendosi a leggere il giornale, questa volta sul serio e ignorando tutti i
seguenti tentativi di approccio di suo padre.
Fu
così che il signor Albarn si appoggiò
nuovamente con la testa al materasso, lasciando che il vento gli scompigliasse
i capelli, tenendo stretta la caviglia di sua figlia, come per essere sicuro
che non sarebbe volata via.
Maka non oppose resistenza, le sembrava di
essere sicura di non poter volare via. Entrambi speravano che l’ora di
cena non arrivasse mai.
Aki_Penn parla a
vanvera:
Alla fine sono arrivata col secondo capitolo,
ci ho messo un po’ ed è comunque corto, spero che vada bene lo
stesso.
E’ la prima volta che mi metto a parlare
di argomenti un pochino più seri, ovviamente le
stupidaggini ci saranno, è risaputo che non possa farne a meno, ma
diciamo che dovrò andare a toccare argomenti un po’ più
complessi, spero quindi di non scivolare nel banale e nel piagnisteo.
Tra le altre cose, dato i commenti che mi
avete fatto, vorrei precisare che non credo che si parlerà molto di
sesso, sì, un po’, ma niente di speciale, ve lo dico in anticipo,
per non deludere nessuno, mi piace scrivere lemon,
eccetera, ma mi sembra di essere un po’ monotematica e questa storia si
basa su ben altri argomenti. (E’ una SoMa,
comunque, non temete, di loro si parlerà.)
Il primo capitolo era in realtà un prologo
e nella linea temporale si posiziona alcuni mesi dopo
questo secondo capitolo.
In ogni modo, ringrazio tutti per aver letto,
recensito e preferito la mia storia, mi riempite di gioia, spero che il
capitolo sia valso l’attesa, grazie mille!!