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Autore: PuCcIaFoReVeR    01/10/2012    2 recensioni
Nasuada, ventiquattro anni e ragazza madre, abita con i suoi due figli gemelli in un’abitazione che cade letteralmente a pezzi. Murtagh, il padre dei due bambini, pensa che la ragazza sia emigrata in Brasile per farsi una nuova vita, mentre lei abita casualmente poche case dopo la grande villa della famiglia del ragazzo. Ignaro della sua paternità, si trova i due bambini sulla porta di casa, che cercano di vendere biscotti per racimolare qualche soldo per aiutare la madre a pagare le bollette. Intanto Nasuada conoscerà Eragon, il fratello minore di Murtagh, del quale non era mai venuta a conoscenza. Il ragazzo s’innamora della giovane donna e versa anonimamente tutti i mesi una modesta somma di denaro nel conto corrente della fanciulla. A causa di un incidente, il padre di Nasuada è sottoposto ad una difficile operazione e lei è costretta a lasciare i figli ad Eragon per un po’ di tempo. Proprio nella stessa dimora dove vive Murtagh...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Pov Murtagh
Mamma ci portò in cucina, servendoci una zolletta di zucchero intinta nel miele, come faceva quando ero triste da piccolo. Poi spinse tutta la famiglia a dormire. Ci ritrovammo nel corridoio delle scale, io e mio padre in pigiama, mentre mamma indossava una camicetta da notte troppo osé. Eravamo entrati nelle nostre stanze senza ricordarci dei figli di Nasuada. Così eravamo stati costretti ad uscire quando ce ne eravamo resi conto. «Selena, non abbiamo ancora deciso dove dormiranno i bambini.»iniziò mio padre interrompendo l’imbarazzante silenzio.
«Beh, la camera da letto di Eragon è la più grande, perciò...»iniziò lei. La fulminai con lo sguardo. Davvero aveva il coraggio di infierire in quel modo? «Non è sicuro far dormire dei bambini nella camera-porcile di mio fratello.»dissi acido, incrociando le braccia al petto. Mia madre mi guardò male.
«Murtagh! Non è carino! È pur sempre tuo fratello!»mi strigliò Morzan.
«E poi la mia stanza non è così scandalosa come può sembrare!» si lamentò Eragon.
«Non fate così. Però Murtagh ha ragione. Eragon, domani metterai un po’ in ordine là dentro. Per stanotte Gemma e Ryan dormiranno con Murtagh. Vi va bene?» chiese mia madre rivolgendosi prima a mio fratello, poi ai bambini. Annuii abbastanza soddisfatto e invitai loro nella mia stanza, dove tutto era in ordine.
«Uno di voi due dovrà dormire con me sul divano.» dissi indicando con un cenno del capo il piccolo sofà addossato alla parete dove occupava la nicchia della libreria. Si guardarono negli occhi, in un dialogo che solo tra gemelli può avvenire così silenziosamente. «Abbiamo deciso che dormirà Gemma con te.» disse il fratello incrociando le mani dietro la testa. «Non è esattamente quello che si chiama galanteria, ma per me va bene.» sentenziai alzando le spalle. La bambina sorrise e mi strinse le braccia sottili alla vita. Si misero il pigiama e si lavarono i denti nel bagno di fronte alla mia stanza. Intanto io coprii il divano di coperte e ne piegai una ai piedi. Augurai la buonanotte a tutti e due e mi sdraiai. Gemma si raggomitolò al mio fianco nella parte interna del sofà, appoggiando la testa sul mio petto. Arrossii pesantemente e chiusi gli occhi.
***********************************
Quando mi svegliai la mattina alla porta era appesa una busta di plastica trasparente con dentro una fotografia. Gemma non era più accanto a me, ma era addormentata vicino al fratello. Mi trascinai fino a poter prendere la busta e guardai la foto. Eravamo io e Gemma, io che abbracciavo lei e la bambina che mi cingeva il collo con le braccia. “Non siete carini insieme?” La scrittura di mia madre sul retro della carta fotografica mi fece arrossire. Aprii la porta e scesi silenziosamente in cucina, dove mia madre stava preparando la colazione. Le baciai la guancia e mi sedetti al tavolo. «Cosa vorrebbe dire quella scritta dietro a quella foto, mamma?» chiesi con tono accusatorio.
«Niente... è solo che... ecco... non ho resistito...» disse sorridendomi sinceramente. C’era qualcosa di strano in lei ultimamente. Alzai un sopracciglio, guardandola dubbioso.
«Fame, cucciolotto?» mi chiese tornando ai fornelli.
«Un po’...» confessai sovrastando il fastidioso rumore della mia pancia che brontolava.
«Lo credo! Mangi pochissimo a cena. Come farai a mettere su qualche chilo se non metti qualcosa sotto i denti?» disse baciandomi la tempia. La scansai con un mano.
«Smetti di baciarmi! Non sono un bambino!» protestai mettendo il broncio. Lei scoppiò in una risata cristallina e mi arruffò i capelli già spettinati dal cuscino.
«Vai a svegliare Gemma e Ryan. Avranno fame anche loro...»
Mi alzai e salii le scale quasi trascinandomi. Aprii la porta e scossi piano la bambina. Questa si voltò verso di me, senza aprire gli occhi. «Gemma... sono Murtagh... alzati... mia madre ha preparato la colazione...» sussurrai. «Mamma?» chiese socchiudendo gli occhi, ancora nel mondo dei sogni, probabilmente.
«No... Murtagh... Gemma? Mi senti?» chiesi vedendola richiudere gli occhi azzurro-ghiaccio. Scosse la testa e si voltò dall’altra parte, dandomi le spalle. «Tornate domani. Non sono in casa...» borbottò.
«No, Gemma... devi svegliarti...» dissi ancora. Si alzò a sedere a fatica e scese dal letto, cingendomi il collo con le braccia, per sorreggersi. «Dov’è tuo fratello?» chiesi non vedendolo sul letto.
«Suppongo che sia in bagno...» disse ancora assonnata. Si sfregò gli occhi, barcollando fino al corridoio. Bussò alla porta del bagno e Ryan gridò: «Lasciami in pace, Gemma!»
«Ryan! Sono Murtagh! Siamo al piano di sotto a fare colazione! Quando sei pronto scendi!» gridai a mia volta, prendendo la bambina per mano e guidandola in cucina. Le lasciai la mano e mi andai a sedere, ma lei rimase ferma sulla porta. Mamma se ne accorse e le andò vicino. Le augurò buon giorno e le baciò la fronte.
«Avrai fame...» disse portandola al tavolo.
«In realtà per niente...» sospirò. Mamma le cinse le spalle con le braccia, stringendola in un morbido e rincuorante abbraccio. «So che ti manca la tua mamma...» disse sfregandole la schiena con le mani.
«Sì...» mormorò lei. In quel momento arrivò anche Ryan.
«Devi mangiare qualcosa. Ti vanno dei pancake?» chiese sorridendo. Lei annuì e si sedette accanto a me. Mamma servì la colazione, sedendosi a guardarci sognante. Erano anni che voleva avere un altro bambino, ma noi uomini di famiglia le avevamo detto esplicitamente che non era una grande idea. La nostra non era stata una grande idea. Ci aveva messo il muso per mesi, vivendo in casa come se ci fosse solo lei. Anche ora, dopo diversi anni, riservava un po’ di rancore nei confronti di nostro padre. Ma adesso ne aveva due, serviti su un piatto d’argento. «Dato che vostra madre ha deciso di tenervi a casa da scuola, cosa pensate di fare oggi?» chiesi indicandoli con la forchetta. Ryan mandò giù il boccone tutto intero, battendosi sullo sterno per facilitare il passaggio del cibo. «Potrebbero venire con me allo studio fotografico...» propose mia madre. «Mamma... non è un posto dove portare dei bambini...» ribattei pensando alla stanza di fotografia di intimo. Mia madre annuì. «Ok. Hai vinto tu. Allora cosa proponi, Mr. So-tutto-io?»
«Oggi è il mio turno di lavoro da casa... potrebbero stare con me...»
«Ok... ma domani verranno con me...»
«Va bene, mamma.»
Selena si alzò dal tavolo raccolse i piatti vuoti, posandoli nel lavello. «Pulisci tu, amore mio. Io devo scappare. Ci vediamo stasera. Il pranzo è nel forno.»
La baciai e lei uscì di casa correndo. «Avete dei compiti da fare?» chiesi mentre riempivo il lavello d’acqua calda. «Sì... alcuni...» si guardarono in faccia.
«Avete bisogno di aiuto?»
«No, grazie. ce la caviamo discretamente in storia...»
«Siete solo alle elementari... certo che ve la cavate!»
«Sì, certo...» nella voce della bambina c’era un tono ironico. In pochi minuti pulii i piatti e trovai i bambini vestiti e tirati a lucido. «Quando vi siete allontanati dalla cucina?» chiesi.
«Mentre tu lavavi i piatti.»
«Devo ammettere che siete silenziosi... I vostri zaini sono nel ripostiglio sotto alla scala...»
I due si avvicinarono alla porticina, armeggiando con il chiavistello. «Lascia fare a me, donna.» disse il bambino, scostando la sorella. «Potresti anche usare le buone maniere, uomo.»
Mi misi a ridere, vedendoli litigare scherzosamente. Dieci minuti dopo nessuno dei due era riuscito ad aprire la porticina. Mi avvicinai, e la aprii con uno scatto secco. Presero gli zaini e si diressero nello studio, riempiendo il tavolo di libri e quaderni. Io mi sedetti sul divano compilare pratiche per l’ufficio. Finite quelle avevo una pila di fogli da firmare. I bambini, che avevano finito di fare i compiti si sedettero accanto a me, ammirando il mio lavoro stupiti. «Li devi firmare tutti tu?» chiese Gemma dopo un po’.
«Io firmo qui e mio padre firma da questa parte. Lui è il “boss”»
«Anche tu sei una persona importante?» chiese Ryan.
«Io sono il terzo più importante. Primo viene il proprietario della fabbrica, Galbatorix, poi viene mio padre e infine io.»
«E tuo fratello?»
«Lui si è voluto tener fuori. Fa l’impiegato. E vostra madre? Lavora o studia?»
«Quando ha scoperto di aspettare noi ha lasciato la scuola. Quando avevamo circa due anni si è cercata un lavoro. Adesso lei studia all’università e lavora in un bar.»
«Quanti anni avete?»
«Otto,quasi nove. E tu?»
«Ventisette, quasi ventotto. E vostro padre che fine ha fatto?»
Gemma si strinse nella spalle. «Non sappiamo molto di lui. Soltanto che era a scuola con la mamma nel 2003 e aveva qualche anno in più. Oh! Il suo nome inizia con M...»
In quel momento quasi svenni. Tutto coincideva. Quell’uomo ero io.
  
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