20 Aprile 2012
Mi sembra chiaro che sono ancora impantanato con te
Se fossi stata la stessa persona di mesi prima, non avrei mai trovato il coraggio di mentire a mia madre. Purtroppo, però, di me era rimasto ben poco.
-Caterina, cosa c'è che non va?- mi chiese notando che ancora non mi ero alzata dal letto.
-Non mi sento bene, mamma. Credo di avere la febbre.- mentii spudoratamente.
-Ti porto il termometro.-
"Maledetto aggeggio!", pensai. Provai la febbre. 36.4, ovviamente. Non ero malata. Scossi fermamente il termometro per far abbassare la colonnina di mercurio. Infatti, quando mia madre tornò in camera, lo prese per controllare la mia temperatura.
-Ma Caterina, potevi almeno aspettare che controllassi!- mi disse contrariata.
-Scusa, mamma. Sono veramente fusa. Comunque segnava 37.8.- Sperai che mi credesse.
-Credo che sia meglio se oggi stai a casa.- mi disse.
Trattenni a stento un sorriso compiaciuto.
-Io dovrei tornare verso le sei questa sera, ma se hai bisogno chiamami in ufficio.- Poi mi sorrise e uscì.
Aspettai di sentire la porta di casa che si chiudeva, poi mi alzai.
Non mi piaceva comportarmi così, sia chiaro, ma ci avevo riflettuto per tutta la notte: non ce l'avrei fatta ad andare a scuola, affrontare sei lunghissime ore di lezione, parlare con quegli ipocriti dei miei compagni e, intanto, fingere di non vederlo.
Certo, ormai erano giorni che non ci parlavamo, ma i ricordi tirati fuori il giorno precedente non mi avrebbero aiutata ad affrontare al meglio quella situazione. Avevo, però, iniziato quello stupido processo masochista e, volente o nolente, avrei dovuto portarlo a termine. Ero consapevole del fatto che avrebbe potuto rivelarsi una perdita di tempo, ma, se c'era qualcosa che mi avrebbe potuto aiutare a capire, allora l'avrei sicuramente trovato nel nostro passato.
Nostro.
Mio e suo, insomma. Un "noi" non era mai esistito e mai avrebbe potuto esistere.
Accesi il computer, ancora indecisa da che punto avrei potuto continuare. Poi la vidi. Non so come mai, ma non avevo mai tolto quella cartella dal desktop. Gita a Londra, aprile 2012. La aprii.
C'erano tutte le foto di quella settimana: monumenti, musei, serate di divertimento, le facce delle famiglie, il suo compleanno. Eravamo stati ospiti nelle case di famiglie della città, e la tua famiglia, sapendo che quella settimana sarebbe stato il tuo compleanno, avevano deciso di organizzarti una festa in una discoteca. Molto gentile da parte sua, no?
Aprii la foto che ci avevano scattato quella sera: eravamo abbracciati, sorridenti come in poche altre occasioni lo eravamo stati, le nostre teste appoggiate l'una a quella dell'altro. Era stato l'ultimo momento felice di quella serata, di quella settimana, di quell'anno. Avevo visto come la guardavi già da qualche giorno, avevo visto come lei si avvicinava a te quando pensava di non essere notata. Era tutta questione di tempo, ma io stavo già male.
-Rilassati,
va tutto
bene.-
Le tue mani scorrevano
delicate sulla mia schiena, quasi a voler scacciare tutto il mio dolore.
-No, non va bene.- ti risposi flebilmente.
-Cosa c’è che non va?
Per una volta cerca di non essere triste.-
Mi stavi rimproverando, ma
così dolcemente.
-C’è che non sto bene,
mi sento..non so neppure io come mi sento. Da schifo!- Non riuscii a
fermare
il mugolio indistinto che uscì dalla mia bocca dopo aver
pronunciato quelle
parole.
Sentii le tue braccia
stringermi più forte, eliminando quei pochi centimetri
d’aria tra i nostri
corpi. Ricambiai l’abbraccio incrociando le braccia dietro la
tua testa e
nascondendo la mia faccia nell’incavo del tuo collo.
-Io sono qui.- mi
sussurrasti all’orecchio.
Aspirai a fondo il tuo
profumo e sospirai sonoramente, chiudendo gli occhi.
Non so quanto tempo
passammo abbracciati nel bel mezzo di quella stanza buia e affollata,
non so
cosa mi convinse a staccarmi e fuggire via prima che le lacrime
facessero la
loro comparsa, ma fu in quel momento che capii quanto la situazione mi
fosse
realmente sfuggita di mano.
E per quanto tu continuassi a ripetermi che la nostra amicizia fosse
forte, io non riuscivo ad ignorare i miei sentimenti. Perché
i
battiti del cuore non sono come i battiti d'ali di una farfalla, non li
ammazzi con l'acido.
Ci vuole ben altro.
Ero appena uscita dal bagno. Mi ci erano voluti venti minuti per tornare ad avere un aspetto almeno lontanamente umano e il risultato non era dei migliori. Poi vidi che ti stavi avvicinando a me. La mia amica si irrigidì.
-Sei sicura?- mi chiese.
-Sì, grazie Vitto, ma posso farcela.- Mi sorrise prima di tornare verso i nostri compagni di classe.
Poi ti guardai. Mi stavi sorridendo, ma c'era qualcosa di strano nel tuo sguardo. Non ebbi il tempo di chiederti niente perché mi stavi abbracciando.
-Ale, cosa fai?- ti chiesi incerta.
-Ti abbraccio, no? È il mio compleanno, mi puoi anche abbracciare.- mi dicesti biascicando.
-Hai bevuto?- Domanda inutile.
-Un pochino, vuoi sentire?-
-Cosa?!- Pensai che tu fossi impazzito.
-Il mio sapore, no?- mi rispondesti con fare ovvio. Sentii le tue mani sulla mia schiena scendere sempre più in basso, forse fin troppo in basso.
-Il tuo sapore?- La mia voce era diventata più acuta del dovuto. La cosa preoccupante era che non sapevo se essere più spaventata o eccitata da quella situazione.
-Sì, il mio sapore...-
Avvicinasti la tua testa alla mia, alzai il viso di riflesso, ma quando le nostre bocche furono quasi in contatto, ti spinsi via.
Cosa stavo per fare? Cosa stavamo per fare? Non era possibile, no, assolutamente no!
Mi allontanai in fretta, interponendo la maggior distanza possibile tra i nostri corpi. Quando Vittoria mi vide, non ebbe bisogno di spiegazioni. Mi prese per mano e mi condusse verso l'uscita, per prendere un po' d'aria. Fui io a parlare.
-Mi ha quasi baciata!- singhiozzai. -Te ne rendi conto? Sono mesi che gli muoio dietro, gliel'ho anche detto, ma lui niente. Poi arriviamo qua e si lancia all'inseguimento della prima inglesina che vede. E adesso cerca di baciarmi? No, cazzo!!-
Sentii Vittoria sospirare, ma non riuscivo a vedere la sua espressione, avevo gli occhi pieni di lacrime. Stava per dire qualcosa quando una ragazza del nostro gruppo, Isa, che era a conoscenza della mia "situazione", corse verso di noi.
-Siete qui!- disse sollevata.
-Si, perché?- chiese Vittoria. Ci fu una pausa prima che Isa rispondesse.
-No, così.-
Vidi Vittoria annuire con il capo. Ma cosa..?
-Isa!- la chiamai. -Dimmi la verità.-
-Che dici Cate?-
-Cosa è successo? Perché ci cercavi?-
Vittoria abbassò lo sguardo. -Diglielo, è giusto che lo sappia ed è meglio che sia adesso..-
Isa sospirò. -Ti consiglio di non tornare dentro adesso, okay?-
-Perché?- domandai sospettosa.
Vittoria sbuffò. -Cavolo Isa, sei un'incapace. Cate, insomma, Ale e Lilian...-
-Ho capito, non c'è bisogno che tu aggiunga altro.- Tentai di sorridere. -Allora, di cosa parliamo per ingannare il tempo?-
-Sei sicura di stare bene, Cate?- mi chiese Vittoria, seriamente preoccupata.
Stavo per risponderle che andava tutto bene, che quello era il momento migliore della serata, che ero grata del fatto di avere amiche come lei al mio fianco, ma quando feci per parlare, sentii le guance inumidirsi e la gola chiudersi.
Stavo piangendo per la terza volta in una sera.
Note dell'autrice:
Buonasera!
Mi sembra impossibile, ma sto davvero aggiornando per la seconda volta in un giorno.
Allora, la storia tra Alessandro e Caterina si sta chiarendo piano piano. Era chiaro che tra i due dovesse essere successo qualcosa e questo capitolo ne è un esempio, ma ancora non è tutto..;)
Spero di aggiornare il più presto possibile.
Se avete voglia, recensite, fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Un bacio,
Jane Ale