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Autore: Sten__Merry    03/10/2012    2 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo accesi il computer nella tarda mattinata e mi accorsi di aver ricevuto una mail in cui venivo convocata in redazione per la consegna di un nuovo manoscritto da tradurre. Imprecai, pentendomi di non aver controllato la mia casella di posta il giorno precedente come avrei dovuto diligentemente fare.

Mi infilai in doccia, sbattendo contro ogni parete della casa, troppo presa dalla fretta per badare a prendere le misure, e mi preparai in pochi minuti. Una volta vestita e truccata, ancora con i capelli un po' arruffati, controllai l'orologio. Schioccai la lingua sbuffando quando notai che avevo meno di mezz'ora per arrivare dall'altra parte della città.

Con l'ipod nelle orecchie e il laptop saldamente stretto nella sua custodia mi lanciai in strada infilandomi correndo nella fermata della metropolitana.

Quando spinsi la porta dell'ufficio fui sollevata dal riscontrare di avere solo un paio di minuti di ritardo. Mi avvicinai al bancone della segretaria

“Salve, Brandy” sorrisi soddisfatta per l'essermi ricordata il suo nome dopo i pochi incontri che avevamo avuto “Ho un appuntamento con Jacob” lei sorrise cortesemente e mi fece cenno di accomodarmi nello studiolo dell'editore

“Mi scusi” esordii entrando “sono in ritardo” lui sorrise e annuì chiedendomi di sedermi, solo allora notai una donna dai capelli biondo cenere che sedeva accanto alla poltrona che Jacob mi aveva indicato

“Cassandra, non si preoccupi, ci siamo appena accomodati.” disse accondiscendente, poi con un gesto verso la donna mi spiegò che essa era l'autrice del romanzo che avrei dovuto tradurre. La osservai qualche istante e dovetti ammettere che era davvero di una bellezza fuori dal comune, a dire il vero era così bella da risultare quasi irritante nella sua perfezione. Avvolta in un tailleur beige, sedeva composta su una di quelle scomodissime poltroncine di design che ornavano la redazione come se fosse seduta su un letto di petali di rose, con le mani dolcemente appoggiate alle ginocchia e le gambe accavallate lateralmente all'altezza del polpaccio.

La vidi alzarsi con maestria, senza il minimo sforza e chinarsi verso di me

“Miss Hathaway” si presentò, io sorrisi quasi imbarazzata e ricambiai il gesto. Non fui sorpresa di sentire che una donna del genere portava lo stesso cognome della moglie di William Shakespeare; quando si dice predestinazione!
“Cassandra Collucci” continuai e dopo un fugace movimento del capo si rimise a sedere

“Cassandra, so che lei ha vissuto all'estero per lungo tempo, quindi credo di doverle una breve introduzione; Miss Hathaway è stata una delle migliori scrittrici emergenti della scena britannica negli anni passati ed è svettata ai vertici delle classifiche dopo solo pochi giorni dall'uscita dei suoi libri, è quindi molto importante per noi che i suoi racconti siano trattati con la massima delicatezza, e dopo aver letto i suoi precedenti lavori abbiamo ritenuto che lei sia la persona più adatta a fornirci la traduzione in lingua italiana delle sue opere.” io annuii, chiedendomi come mai non avessi mai sentito parlare di questa donna, Miss Hathaway si chinò di nuovo verso di me e mi sfiorò un ginocchio

“Vede, io sono convinta che il segreto del mio successo sia il fatto che controllo tutto ciò che faccio in ogni suo passo, quindi gradirei poter lavorare gomito a gomito con lei durante il suo lavoro di traduzione. Abbiamo scelto quello italiano come il primo mercato in cui esportare i miei lavori e tengo molto a essere parte integrante dell'operazione” mi morsi il labbro inferiore pensierosa ed annuii, mentre non riuscivo a smettere di chiedermi il motivo di tanta formalità da una donna che poteva avere al massimo cinque anni più di me.

Toccò di nuovo a Jacob parlare

“Dovrà tradurre una trilogia che tratta di una storia d'amore tra due adolescenti, che viene però interrotta da un brusco omicidio. E' una sorta di thriller psicologico articolato da momenti di profondo romanticismo. La cosa sorprendente dei libri di Miss Hathaway è che paiono adattarsi a ogni pubblico, e sarà proprio questo il Suo compito più difficile, Cassandra, riuscire a far sì che questa caratteristica permanga anche in un'altra lingua” io annuii intrigata e feci un sorriso a trentadue denti

“Ci proverò” promisi stringendo la mano prima a Jacob e poi all'autrice.

L'affare era concluso, avrei ritirato le mie copie dei libri da Brandy e sarei stata libera di iniziare a lavorare non appena dissipati i vari dubbi.

Nonostante non amassi avere a che fare con maniaci del controllo, da traduttrice la richiesta dell'autrice non poté che farmi piacere. Il processo traduttologico infatti non si basa, come molti pensano, nella mera lettura e traduzione letterale del testo di partenza, ma comporta una serie di problemi piuttosto intricati che è spesso necessario snodare con del fitto lavoro di ricerca, ed avere accanto Miss Hathaway mi avrebbe reso questa fase molto più semplice.

Mentre ero intenta a raccogliere i tre volumi sentii una mano che mi toccava la spalla e sussultai. Mi girai di scatto e mi trovai di fronte il sorriso smagliante e circondato da una perfetta linea di rossetto color pesca di Miss Hathaway

“Cassandra? Le va di parlare ulteriormente della nostra collaborazione davanti a un caffè?” faticai a non cedere al primo impulso di rifiutare inventandomi qualche inderogabile appuntamento, ma alla fine accettai pensando che sarebbe stato positivo iniziare con il piede giusto il nostro rapporto lavorativo.

Scendemmo al bar sotto la redazione, prima ancora di sederci sparì in bagno. Nel frattempo io ordinai due caffè e mi misi a leggere l'introduzione al suo libro per ingannare l'attesa. Pochi minuti dopo alzai lo sguardo e la vidi tornare. L'austero tailleur Chanel era sparito ed era stato sostituito da dei jeans scoloriti vintage e un pullover aderente celeste, in compenso il tacco alto era rimasto al suo posto. Dovette notare la mia faccia sbigottita perché parlo ancor prima di sedersi al tavolo

“Ormai gli scrittori sono considerati alla stregua delle rock star” spiegò ridacchiando“Così la casa editrice tende a creare un personaggio per te e ti chiede di seguirlo alla lettera. Il mio è la ragazzina snob che gioca a fare la signorina Rottermeier” io scoppiai a ridere

“Quindi tutta questa storia di Miss Hathaway è una farsa?” chiesi, in cerca di un ulteriore chiarimento

“Sì, serve a far contento Jacob. Ma non porto avanti la finzione nella mia vita di tutti i giorni, solo in redazione e nelle apparizioni pubbliche” continuò “A proposito, sono Abby” riallungò la mano e questa volta la strinsi sorridendo genuinamente

“Cassie” risposi. La mia opinione su di lei era vertiginosamente cambiata, ora con i capelli sciolti e il trucco alleggerito aveva perso di formalità e sulla sua pelle si intravedeva qualche leggera imperfezione che me la rese immediatamente più simpatica. Provai a parlare del libro, chiedendole a cosa si era ispirata, ma lei liquidò l'argomento dicendo che si sarebbe fidata di me.

Mi strinsi nelle spalle, probabilmente aveva solo voglia di fare due chiacchiere.

“Quindi Hathaway è il tuo cognome vero?” chiesi curiosa, lei alzò leggermente un angolo della bocca divertita

“Molta gente collega il mio cognome solo all'attrice americana, ma tu hai capito esattamente perché la casa editrice lo ha scelto. Credo sperassero portasse fortuna” disse stringendosi nelle spalle mentre spezzettava un bagel al salmone

“Evidentemente ha funzionato” lei arricciò leggermente le labbra, quasi intristita, quando le chiesi se andava tutto bene lei scosse la testa ma rimase in silenzio. Decisi di non indagare oltre, in fondo non conoscevo quella donna, ma fu lei che inaspettatamente si rimise a parlare.

“Da quando Miss Hathaway è entrata a far parte della mia vita mi sono ritrovata sola, gli amici non capiscono che io non sono il personaggio e se ne sono andati tutti. C'è solo il mio ragazzo ormai. Miss Hathaway mi sta rovinando la vita” concluse, io mi morsi le labbra

“Accidenti! Mi dispiace!” esclamai, e in quel momento compresi che mi dispiaceva sul serio, nonostante la conoscessi da solo un paio d'ore e la mia prima impressione non fosse stata delle migliori immaginai cosa dovesse essere stato per lei vedere che mentre il successo lavorativo si faceva sempre più evidente gli amici di un tempo decidevano di allontanarsi. Cercai di farla sorridere

“Lui però ti capisce, no? Spesso basta una sola persona per risollevare tutto” sottolineai, la sua espressione intristita si trasformò in pochi secondi in un sorriso smagliante

“Sì, lui è fantastico. E' nel mondo dello spettacolo, quindi comprende perfettamente. Non so come farei senza Antony” spalancai gli occhi cercando di deglutire il caffè che avevo in bocca senza soffocare. Se fossimo state le protagoniste di qualche leggera commedia americana il copione avrebbe previsto che lo spruzzassi per tutto il tavolo.

Antony? Abby?

Diamine, Abby stava per Abbygail. Ero in un caffè seduta di fronte alla donna dell'uomo per cui avevo perso la testa e a cui non sarei stata disposta a rinunciare per nulla al mondo. Provai a far finta di nulla non riuscendo a trovare un modo per sviare la conversazione, quindi la lasciai parlare di lui e la parte peggiore fu che lo riconobbi in ogni sua parola.

Era lui, era il mio Antony, il suo Antony.

Sapevo che avrei dovuto alzarmi e andarmene accampando qualche ridicola scusa, ma non ci riuscii. Abby mi piaceva davvero, la sua solitudine ricordava quella che avevo vissuto io gli ultimi anni che avevo passato in Argentina, così, quando realizzai che era la donna del mio amante non riuscii a evitare di sentirmi in colpa, talmente in colpa che, distrattamente, quando mi invitò a pranzo, accettai l'offerta senza ragionarci troppo.

Davanti a un piatto di gamberetti al limone arrivò la domanda che avevo temuto per l'intera mattinata
“E tu? Ti vedi con qualcuno?” mi chiese, genuinamente curiosa. Terminai di masticare con calma, cercando di scegliere le parole giuste per risponderle.

“Diciamo di sì, è una situazione che deve ancora definirsi” spiegai, sperando che cambiasse discorso il prima possibile

“Vi vedete da poco?” annuii e mi infilai in bocca un altro gamberetto

“Sì, sai, sono appena arrivata in città. Prima vivevo letteralmente dall'altra parte del mondo” replicai non appena deglutii, saltò fuori che aveva uno zio in Argentina dal quale aveva trascorso spesso le vacanze invernali e passammo la seguente ora a chiacchierare di luoghi e persone che entrambi avevamo conosciuto a Buenos Aires. Ridemmo insieme di Pablo el Loco, un barbone che passava i suoi giorni a girovagare attorno all'Obelisco e a spaventare i turisti che non lo conoscevano.

Le raccontai della prima volta che lo avevo incontrato, era uno dei suoi giorni no e aveva deciso che indossare biancheria intima lo avrebbe fatto ammalare gravemente, così, di fronte a me, aveva deciso di aprire il soprabito per spiegarmi quale fosse il modo migliore per evitare una visita dal dottore.

Abby rise convulsamente di fronte alle mie espressioni mentre lo descrivevo, guardandola ridere mi si chiuse la bocca dello stomaco e mi parve quasi mancare l'aria.

Improvvisamente, come un'agnizione, realizzai di non avere il diritto di star lì seduta con lei, provai ribrezzo verso me stessa, consapevole di essere la persona che avrebbe potuto potenzialmente toglierle l'unica cosa che la rasserenava. Dovevo andarmene al più presto, avevo bisogno di una boccata d'aria e di capire in cosa diavolo mi stavo infilando.

A fatica, quasi incapace di respirare ormai per l'ansia, mi congedai fingendo una telefonata urgente e uscii lasciando che l'aria sferzante di Londra mi colpisse con violenza le guance.

Digitai freneticamente il numero di Antony e aspettai di sentire la sua voce dall'altro capo del telefono.

“Ho appena incontrato Abbygail” sbottai, senza neppure lasciarlo parlare

“Cosa?” dall'altro lato lui in un sussurro, presi un grande respiro e cercai di spiegarmi meglio

“Devo lavorare con lei. Diamine, è una scrittrice e io una traduttrice” quasi isterica “Ho bisogno di vederti, ora. Ho bisogno di ricordarmi per quale motivo mi sono infilata in una situazione simile” aggiunsi, quasi implorandolo

“Sto già venendo da te” disse deciso prima di riattaccare.

Mentre mi spostavo verso casa non riuscii a smettere di pensare.

Chi ero io per infilarmi nel rapporto di qualcun altro? Sapevo di non aver alcun diritto di farlo, ma ero anche consapevole che probabilmente non vi avrei potuto rinunciare.

Il solo pensiero del suo tocco caldo e forte sulla mia pelle mi faceva rabbrividire e quegli occhi un po' chiusi, quasi a sembrare sempre stanchi, mi catturavano come nulla prima di allora, io lo sapevo, lui lo sapeva; era questo il tipo di potere che avevamo l'uno sull'altra.

Eravamo figli di una magia che non era nostra, ne subivamo l'influsso in maniera clandestina come i protagonisti di una tragedia shakespeariana. Non potei far altro che sperare che la nostra vicenda si potesse concludere in maniera migliore.

   
 
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