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Autore: Mirin    03/10/2012    1 recensioni
«… dannazione, ascoltami Minato!» gridò, annichilita dallo sguardo vitreo di lui. Possibile che le avesse davvero mentito per tutto quel tempo, fingendo di reputarla importante sul serio? Quel viso onesto, pulito e luminoso nascondeva un grande bugiardo che l’aveva ingannata per tanti mesi?
«Non mi ami?» balbettò, detestandosi per quell’esitazione nella sua voce, per quella supplica indiscreta che sentiva nella sua voce. Trattenne il respiro per qualche secondo, mentre nella mente le vorticavano tutti i baci e gli abbracci scambiati, promesse di un affetto infinito e soprattutto bilaterale. Mai si sarebbe sognata di rivolgere quella domanda al suo ragazzo, l’unica certezza della sua vita –che sembrava crollare miseramente-, ma aveva bisogno di sentirsi rassicurata che la sua fonte primaria di gratificazione fosse ancora una realtà e non un’illusione perpetrata per anni.

(L)
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kushina Uzumaki | Coppie: Minato/Kushina
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Nome Autore: LadieBlue
Titolo della Storia: This is the part of me that you never gonna ever take away from me, no.
Personaggi e/o Coppie: Kushina Uzumaki, Minato Namikaze, Shikaku Nara, Yoshino Nara [MinaKushi con lievi accenni ShikaYoshi]
Colore Scelto: Blu Notte
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, One-shot,
Introduzione: [citando dal testo]
“«… dannazione, ascoltami Minato!» gridò, annichilita dallo sguardo vitreo di lui. Possibile che le avesse davvero mentito per tutto quel tempo, fingendo di reputarla importante sul serio? Quel viso onesto, pulito e luminoso nascondeva un grande bugiardo che l’aveva ingannata per tanti mesi?
«Non mi ami?» balbettò, detestandosi per quell’esitazione nella sua voce, per quella supplica indiscreta che sentiva nella sua voce. Trattenne il respiro per qualche secondo, mentre nella mente le vorticavano tutti i baci e gli abbracci scambiati, promesse di un affetto infinito e soprattutto bilaterale. Mai si sarebbe sognata di rivolgere quella domanda al suo ragazzo, l’unica certezza della sua vita –che sembrava crollare miseramente-, ma aveva bisogno di sentirsi rassicurata che la sua fonte primaria di gratificazione fosse ancora una realtà e non un’illusione perpetrata per anni. ”
Note dell’Autore (facoltativo): Prima di tutto volevo chiarire il perché l’utilizzo del genere “fluff” e “triste”, sebbene siano contrari l’uno dell’altro. Anche se tratta di un evento decisamente triste (che non voglio anticipare) ho cercato, per quanto è stato possibile, di renderlo leggero e scorrevole almeno in parte per non appesantire troppo e sfociare poi nel melodrammatico.
Chiarimenti (segnati con l’asterisco nel testo). *= si rifà ad una tradizione giapponese. I ragazzi, di solito, regalano il secondo bottone della loro divisa alla ragazza di cui sono innamorati perché è il più vicino al cuore e quindi ha “assorbito” le emozioni del ragazzo.
**= è una tradizione giapponese secondo cui una ragazza taglia i capelli quando un determinato evento l’ha fatta maturare. In questo caso è utilizzato più per il significato “simbolico” dei capelli di Kushina in quanto sono considerati “il filo rosso del destino”.
 
Minato camminava impensierito lungo il cortile, la brezza gli soffiava sul viso un dolce profumo di fiori di pesco e qualche petalo rosato s’infilava fra i suoi biondi capelli ribelli. L’eco distante di risate femminili stridule gli arrivava fastidioso alle orecchie ma nonostante tutto non riusciva a schiarirsi la mente da tutte quelle strane idee, maturate dopo ore di lezioni in cui era insolitamente distratto quanto gli altri. Il semestre scolastico volgeva al termine e le sue medie alte gli consentivano di auspicare a qualcosa di più. Con un sospiro sconsolato, iniziò a passeggiare più velocemente.
La sua neo-ragazza, Kushina Uzumaki, aveva notato un nuovo nervosismo in Namikaze ma aveva scelto di far finta di nulla dato che lui non si decideva ad affrontare l’argomento, accumulando dentro di sé tutta la frustrazione e finendo spesso con lo sfogarsi su Yoshino, la sua migliore amica.
Si sedette all’ombra di un albero particolarmente frondoso che gli offriva un discreto riparo dal sole cocente, decidendo di essere troppo stanco persino per tormentarsi con quei pensieri: fra un’ora sarebbe dovuto rientrare nuovamente in aula e, ligio al dovere com’era, si sarebbe riposato un po’ per affrontare al meglio le due ore di fisica che lo aspettavano. I toni brillanti del nontiscordardime e del fiordaliso facevano spiccare contro il cielo le vaporose nuvole che fluttuavano pigramente e persino l’edificio scolastico, di un alienante bianco lucido, risaltava nella sua austera costruzione. Aveva ancora il profumo dei fiori sulla lingua che scemava man mano e il piacevole stordimento che gli creava faceva giungere più in fretta il sonno. Le punte dei capelli dorati di Minato scintillavano appena quando venivano sfiorate dai raggi luminosi e un paio di ragazze lo additarono sospirando, esprimendo la loro voglia di perdersi negli occhi azzurri di Namikaze-san. Fu un bene che la furia dai capelli rossi che marciava in mezzo al cortile non le udì oppure prima di uccidere il suo fidanzato (quella parola la faceva ancora diventare paonazza ed abbassava lo sguardo con un mezzo sorriso imbarazzato ogni volta che qualcuno l’indicava come “coppia”) avrebbe compiuto un altro paio di brutali omicidi. Procedeva spedita verso Minato, un ringhio che sibilava roco fra i denti, mentre tutti la guardavano con un cipiglio a metà fra l’impaurito e l’esasperato. Ad onore del vero, la metà delle persone era già fuggita urlando dopo l’avvistamento della teppista Uzumaki  ma a lei non importava: la sua preda era il biondo, ignaro, osservante le nuvole con una strana espressione sul volto.
I capelli cremisi ondeggiavano furiosamente nell’aria profumata, così forte da dare l’impressione che lunghi fiori scarlatti stessero per sbocciare in quella frescura primaverile. Ultimamente non sapeva più cosa pensare: nonostante le maldestre rassicurazioni di Yoshino, Kushina non riusciva ad allontanare l’incubo che Minato si fosse stancato della loro relazione, che cercasse un pretesto per sfuggire da lei, come faceva da diverse settimane. C’era da precisare che il comportamento del ragazzo era del tutto inconsapevole e che agognava la solitudine dagli altri in genere, non dall’Uzumaki in particolare, ma questo Kushina non poteva nemmeno immaginarlo, dato che non era al corrente dei fatti che inquietavano il suo ragazzo (questa parola più informale le piaceva, rappresentava al meglio il ruolo confidenziale che Minato rappresentava per lei: non una rigida figura destinata a diventare suo marito, ma uno spirito affine capace di cogliere la sua essenza).
Minato, sentendo incombere una nuova ombra sul suo corpo, alzò lo sguardo con leggerezza, incontrando gli occhi blu (erano davvero blu? Ora più che mai gli parevano infuocati) di Kushina, furiosa a livelli record.
Ok, adesso che diavolo aveva combinato?
Metà del suo cervello lavorava furiosamente in cerca di date che poteva essersi dimenticato mentre l’altra metà cercava scuse lacrimevoli per risparmiarsi la fine dolorosa che Kushina aveva in mente per lui.
Non trovando né l’una ne l’altra cosa, si limitò a mugolare piano, tentando d’intenerire la sua aguzzina. Al suo lamento, Kushina rispose con un latrato rabbioso, indicando il retro dell’edificio scolastico.
“Scelta saggia” considerò Minato “così non ci saranno testimoni della mia esecuzione e nessuno potrà accusare lei.”
 
Molti professori si affacciarono dalle proprie aule per comprendere il motivo di urla di dolore provenienti dal corridoio. Un dolore davvero intenso, come qualcuno che viene …
«Tsume, per favore, basta!» … picchiato a sangue.
La ragazza, i capelli neri tirati indietro da un paio di forcine e degli strani tatuaggi rossi sul viso che assomigliavano inquietantemente a delle zanne, ringhiò come un cane rabbioso a cui era stata pestata la coda. In realtà il biondo che stava aggredendo aveva ricevuto solo un paio di leggeri pugni all’addome -per quanto potessero essere leggere le percosse di quella tizia- ma sarebbe stato bastonato di santa ragione se una mano delicata non si fosse posata sulla spalla della mora.
«Yocchan» disse la ragazza-lupo con una specie di divertita solennità, allontanandosi dalla sua vittima prestabilita: Inoichi Yamanaka.
Yocchan, il vezzeggiativo del nome Yoshino, ghignò, stranamente compiaciuta dell’accurata scelta di Tsume: Inoichi avrebbe cantato in quattro secondi.
«Dov’è Minato?» chiese, sentendosi come un agente segreto ad un interrogatorio da cui dipende la segretezza di stato.
Uno.
«Mi hai fatto quasi ammazzare solo per una stupidaggine del genere?» chiese, scioccato. E poi, da quando in qua a quella matta scatenata ed aguzzina-di-Shikaku interessava quel martire di Minato? Gli sfuggiva qualcosa e al ficcanaso pettegolo Yamanaka dava fastidio non venire a sapere delle novità, soprattutto quelle sentimentali.
 La ragazza alle sue spalle soffiò indignata, mormorando che se avesse saputo che due semplici pugni stendevano quella femminuccia di Inoichi, tanto valeva che se la prendesse con Hiashi che perlomeno non si lamentava.
Due.
«Cerca di essere meno drammatico e plateale, Ino-kun. Dimmi semplicemente dove si è andato a cacciare Namikaze e se per caso hai visto Kushina insieme a lui o dirò a Tsume di mordere molto più forte» bisbigliò mortifera Yoshino, avvicinando pericolosamente il suo viso a quello del ragazzo trattenendolo per il colletto.
Tre.
«So-solo-che-Minato-sarebbe-andato-in-cortile-durante-la-pausa-pranzo-per-riflettere-da-solo-per-favore-non-uccidermi» trillò tutto d’un fiato Inoichi, la voce resa acuta dall’ansia che Yoshino avesse avuto davvero l’intenzione di farlo fuori. Cosa che comunque non poteva dirsi per certo falsa se c’era in ballo Uzumaki, la sua migliore amica.
Quattro.
«Con gli altrifunziona meno velocemente» commentò menefreghista Tsume, tornando in classe per finire il pranzo.
«Ho bisogno di Shikaku» mormorò Yoshino pensierosa ed allungando il collo per trovare l’inconfondibile pettinatura alta del ragazzo.
«Il mio sesto senso ha forse intercettato un coinvolgimento amoroso di cui nessuno mi aveva messo al corrente, tantomeno quel vile che si fa chiamare mio amico?»
Il tonfo sordo del calcio che si abbatteva su Inoichi e il grido pungente che squarciò l’aria fu messo per iscritto negli annali della scuola.
Kushina si sedette ferocemente sui gradini adombrati dalla figura imponente dell’edificio scolastico. Minato le fu accanto in pochi secondi sebbene a distanza di sicurezza. Le nuvole che prima avevano solcato il cielo erano state sospinte dal vento e coprivano il sole, facendo diventare fresca persino quella rovente giornata pre-estiva.
Minato aspettò che Kushina parlasse e gli spiegasse il motivo di tutta quell’ira funesta che l’avvolgeva anche se credeva di aver capito cosa l’avesse scatenata. Non che non avesse previsto quello scenario ma si augurava che accadesse il più tardi possibile: gli addii erano sempre la parte più dolorosa e soprattutto salutare il conforto più dolce sarebbe stata l’azione più penosa da portare a termine.
In quegli anni aveva imparato a conoscere Kushina a fondo e a capire come ogni critica la rafforzasse dieci volte più di quanto la facesse soffrire, di come prendesse a cuore le faccende che riguardavano le persone amate e di come riuscisse a rialzarsi ogni volta che la vita le metteva un sadico sgambetto.
Aveva passato chissà quanto a sfiorare i suoi lineamenti con gli occhi, a bearsi della sua risata, a cercare le iridi azzurro scuro quando erano più lucenti e felici. Tutto quel periodo sembrava appartenere ad un epoca lontana, paragonato ad i tempi gioiosi che avevano passato amandosi reciprocamente e senza veli, legati dal filo rosso del destino.
«… dannazione, ascoltami Minato!» gridò, annichilita dallo sguardo vitreo di lui. Possibile che le avesse davvero mentito per tutto quel tempo, fingendo di reputarla importante sul serio? Quel viso onesto, pulito e luminoso nascondeva un grande bugiardo che l’aveva ingannata per tanti mesi?
«Non mi ami?» balbettò, detestandosi per quell’esitazione nella sua voce, per quella supplica indiscreta che sentiva nella sua voce. Trattenne il respiro per qualche secondo, mentre nella mente le vorticavano tutti i baci e gli abbracci scambiati, promesse di un affetto infinito e soprattutto bilaterale. Mai si sarebbe sognata di rivolgere quella domanda al suo ragazzo, l’unica certezza della sua vita –che sembrava crollare miseramente-, ma aveva bisogno di sentirsi rassicurata che la sua fonte primaria di gratificazione fosse ancora una realtà e non un’illusione perpetrata per anni.
«Vorrei che fosse così, Kushina, vorrei davvero che fosse così» mormorò, sconfitto dall’amarezza e dalla paura che avvertiva nel tono della ragazza amata. E così, pensò, era arrivato il fatidico momento della verità. Quante volte aveva guardato con terrore a quel giorno, pensando al dolore che doveva infliggere come una tragica frustata alla persona che meno voleva soffrisse! Eppure egli sapeva che non poteva aspettare ancora a lungo, primo perché aveva già preso la sua decisione e secondo perché Kushina non si meritava tutto quello che le stava facendo passare. Come un’intuizione improvvisa, si rese conto di quello che la giovane sentiva: l’incapacità di comunicare, l’insofferenza vedendolo così indeciso, lo spavento per una bugia celata con destrezza e si sentì uno stupido per non esserci arrivato prima e per averla ferita così duramente senza nemmeno averne l’intenzione. Non dimostrava di amarla fuggendo dalla realtà e facendo il bambino che vuole tutto e disposto a rinunciare a nulla, doveva essere un uomo e dirle quello che da mesi le nascondeva.
Stava a lei decidere se reputarlo uno stronzo oppure no.
«Kushina, vedi … io … sto per partire. Partire per l’America. Ho deciso di accettare una borsa di studio che mi permetterà di frequentare corsi avanzati di specializzazione in ingegneria» rivelò, tenendo gli occhi chiusi e prendendo grandi boccate d’aria fra una parola e l’altra, come se l’ossigeno potesse aiutarlo ad ingoiare la bile che gli saliva dal fegato e lo disgustava.
O forse gli provocava disgusto verso sé stesso.
Lei stette dieci minuti buoni in silenzio, gli occhi spenti rivolsi verso la gradinata sporca e ingombra di carte, persa fra i propri pensieri. Non poteva permetterselo ma provava un avviluppante e sconcertante sollievo. Il tono nauseato di Minato le chiariva quanto quella prospettiva lo mettesse a disagio e questo, malgrado tutto, le spiegava perché lui fosse stato così freddo e distante. Inconsciamente, cercava di proteggerla e questo maldestro tentativo di tutela era comprensibile solo se in realtà lui la amasse più profondamente di quanto egli stesso sapesse.
Poi un nuovo macigno le si fermò sullo stomaco, mentre una nuova preoccupazione faceva capolino nella sua mente, un’informazione che lui –questa volta volutamente- le aveva taciuto.
«Non mi hai detto quando andrai via. Né quando tornerai.»
Lo sentì stringere i denti e combattere nuovamente contro quel sapore nauseabondo che sentiva in bocca mentre addirittura una nuova lucentezza, data dalle lacrime, si sovrapponeva al celeste chiarissimo.
«Fra due settimane. Il ritorno non è … ancora sicuro. Non lo so nemmeno io, so solo che le lezioni basilari che dovrò seguire dureranno dieci mesi. Molto probabilmente starò fuori per un anno, un anno e mezzo.»
Kushina inspirò bruscamente, come se i suoi polmoni si fossero sgonfiati da soli.
Il ritorno non è ancora sicuro, risuonò maligno nella sua mente, un anno, un anno e mezzo.
«… d-due set-set-timane» mormorò, incredula. Un asteroide si era abbattuto su di lei, spezzandole le ossa. Due settimane per stare con lui e un anno prima di rivederlo.
Due settimane.
Due settimane.
Come avrebbe resistito un anno senza Minato, come? Adesso che era entrato nella sua vita, diventandone parte integrante come il suo cuore –o forse era proprio diventato il suo cuore?-, lui andava via e la lasciava sola. Sola. Sola. Questa parola riecheggiava nelle orecchie di Kushina, che sentiva il sangue scorrere sempre più lento nelle sue vene.
«Ti amo, ti amo e mi odio. Sono spregevole, se lo avessi saputo prima Kushina io non avrei mai …» “fatto cosa? Fatto cosa, Minato? Non avresti accettato la proposta? Tu eri consapevole del fatto di dover abbandonare Kushina se avessi detto di sì ma comunque hai deciso di fuggire via, di distruggerla. L’avresti avvertita prima? Avevi avuto la possibilità di farlo ma come il codardo che sei hai rimandato tutto all’ultimo minuto per averla tutta per te in questi mesi ed abbandonarla poi al suo destino, come il maligno che sei. Non saresti diventato il suo ragazzo? Non avresti avuto il coraggio di rifiutarla. E dici addirittura di amarla? Sei solamente uno senza la spina dorsale. Non la meriti. Non la meriterai mai.”
Le riflessioni del biondo furono interrotte dal preciso gancio destro di Kushina che si abbatté impietosamente sulla sua guancia facendogli scricchiolare un molare. La forza del colpo lo mandò lungo disteso nella polvere e finì col tossire forte mentre lei ansimava.
«Mi sento meravigliosamente» confessò, ridendo nonostante gli occhi lucidi «questo era per due motivi: uno, perché sei un bastardo» -Minato imprecò a bassa voce- «e due, perché non voglio più sentirti insultare la persona che amo. Già il fatto che tu ti penta per non avermi detto prima quello che avevi da dirmi mi basta come dimostrazione. Ti aspetterò, come ho sempre fatto. Però vedi di fare presto perché non ho tanti punching ball a disposizione. Per te non sarà un problema, no, in fondo sei un geniaccio pauroso, peggio di Shikaku.»
«Kushina …» mormorò, ringraziando l’entità divina che gli aveva concesso l’amore di una donna tanto stupenda.
Lei si alzò e gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. Il sole fece capolino fra le nubi, illuminandole la schiena e mettendo in ombra il viso dove era distinguibile solo lo scintillio delle iridi azzurro scuro.
Egli la afferrò, ma anziché tirarsi su,  gettò lei a terra, dove la fece cozzare le loro bocche appassionatamente, con una foga ed un’impazienza paragonabile solo alla prima volta che si erano scambiati un bacio.
Kushina rise ancora una volta mentre si accomodava meglio su di lui e attorcigliava una gamba attorno a quella dell’altro e portava le sue mani sulle proprie spalle, dove scesero ad accarezzarle la schiena.
Si abbandonarono languidamente a quel bacio e fra un sospiro ed un ringhio accennato, Minato la fece alzare e la spinse con veemenza, seppur con delicatezza, contro il ruvido muro dell’edificio scolastico.
Le unghie di Kushina corsero alla cieca sul corpo del ragazzo fino a trovare i suoi capelli e stringerli ferocemente  mentre Minato staccava le loro labbra e le diede leggeri bacetti sul collo che la fecero mugugnare di piacere. Gli morse una spalla e lo sentì rabbrividire mentre  lui risaliva a caccia della sua lingua sfiorandole il corpo con la punta del naso stranamente gelida…
«Emh, emh» si schiarì la gola imbarazzato Hiruzen Sarutobi, il preside della scuola che frequentavano. Ciò li riportò immediatamente alla realtà e ricordò loro che frequentavano una scuola e che soprattutto c’erano in quel momento.
“Ok, sei a scuola, in orario scolastico e quasi beccata dal vecchiaccio mentre facevi cose che non hai il diritto di fare in un luogo pubblico, datti un contegno e rivolgiti con garbo e nonchalance” si rimbrottò mentalmente Kushina, prima di esibire il suo più lezioso sorriso.
«Buongiorno, Sarutobi-sama» salutò cordiale mentre assestava una gomitata fra le costole al povero Minato, ricordandogli del laccio allentato della cravatta.
«Buongiorno, signorina Uzumaki e signorino Namikaze. Sono certo che questo è un lieto giorno per voi, a quanto ho visto.»
Il viso di Kushina assunse lo stesso colore scarlatto dei suoi capelli e Minato si limitò a ridacchiare, a disagio.
«Fareste meglio a rientrare in classe, le lezioni incominceranno fra pochi minuti» li congedò, facendo un gesto conciliante con la mano, e loro si affrettarono a seguire il suo consiglio.


«Minato andrà a New York per seguire una facoltà universitaria avanzata?!» chiese sbalordita Yoshino al ragazzo dalla strana coda alta che le era di fronte, che con sguardo sofferente disse «Te l’ho detto adesso, mendokusee. E mi piace l’idea di avere l’udito, Yoshino, non so se mi spiego.»
Tsume ed Inoichi, al suo fianco, si limitarono a spalancare la bocca inorriditi.
Poi Chouza –l’acuto osservatore, bastardo, caro amico Chouza- fece una considerazione che innervosì ulteriormente Shikaku.
«Le tue medie sono più alte di quelle di Minato-chan, Shika ed hai vinto una borsa di studio con un piazzamento migliore del suo. Come mai tu non sei stato chiamato a questo corso prestigioso?» domandò, curioso.
Shikaku si limitò ad alzare le spalle con strafottenza e si diresse verso i bagni senza spiegare nulla.
Dopo poco sentì dei passi rimbombare dietro di lui e si voltò, un sopracciglio inarcato.
«Non hai accettato, vero?» ansimò sorridente Yoshino davanti all’espressione sconcertata del Nara che si sciolse in un ghigno.
«E’ già abbastanza seccante dover parlare con le persone, figurati imparare una lingua nuova e dovermi esercitare ancora più duramente» liquidò la faccenda soffiando irritato mentre Yoshino, ancora gioiosa, si allontanava «… e poi io le cose che devo imparare le ho già a portata di mano» sussurrò, mentre il ghigno si trasformava in un sorriso di cuore.
La campanella squillò ed i ragazzi si accalcavano verso l’uscita chiacchierando allegramente del più e del meno. Kushina, che aveva mandato avanti una sospettosa Yocchan, cambiava le scarpe nell’atrio.
«Tieni» disse una voce dietro di lei «questo è per te.»
Minato, i capelli biondi spettinati, le stava porgendo un bottone (*). Gli occhi di Kushina s’inumidirono di gioia mentre rigirava quel piccolo tesoro rotondo che le aveva regalato.
«Non potevo strapparmi il cuore nel petto e quindi ho scelto una cosa che più si avvicinava a …» s’interruppe al suono strozzato ed agonizzante che eruppe dalla bocca della ragazza che si asciugò una lacrima di dolore dall’estremità dell’occhio.
Lunghi fili cremisi le scorrevano tra le dita: i suoi capelli. (**)
«Non c’era bisogno di stracciarsi i capelli, sei comunque nei miei pensieri, sempre» rise Minato, conservandoli nella tasca della giacca con un sogghigno intenerito.
«Male non fa, dattebane» ribatté offesa Kushina, gonfiando le guancie rosse per l’imbarazzo.
«E poi questo è il filo rosso del destino, ci terrà legati anche se tanto distanti» proclamò il ragazzo, con falsa gravità ma forse nemmeno tanto forzata.
«Minato?»
«Sì?»
«Ti aspetterò, anche se dovessi metterci dieci anni. Anzi, se ci impiegherai più tempo del previsto verrò io da te e ti seguirò in capo al mondo, dovessi andare in Islanda a completare gli studi.»
«Ti amo, Kushina.»
«E chi non mi amerebbe?»

Blue's noTH:
Mi sono accorta in un secondo momento che ho reso Shikaku in un certo senso molto, molto, molto simile al figlio, sarà perché li amo entrambi allo stesso modo dato che a mio parere uno è la versione più matura e più sexy dell'altro.
La mia prima MinaKushiiii! Sono davvero emozionata e la cosa è un po' squallida, ma anche la fic lo è, quindi si compensano :')
Che dire, grazie ai lettori ed amore imperituro ai recensori.
Kiss,
Ladie.

   
 
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