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Autore: Giusy_Bi    04/10/2012    3 recensioni
Qualcosa di più profondo e forte del solito banale amore legava Zayn e Ginny.
E solo qualcosa di altrettanto forte e profondo li poteva dividere.
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"E tutto quello che Zayn poté fare fu stringere il corpo esanime di Ginny contro il suo."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Born to Die
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Per questa storia, mi sono ispirata alla canzone "Born to Die" di Lana del Rey.
E' una storia abbastanza triste, quindi fazzoletti alla mano per i più sentimentali e... buona lettura.
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I vicini di casa erano abituati alle continue discussioni.  
I litigi di Zayn e Ginny erano quelli che sembrano determinare la fine di una relazione. Quelli che nascono per una sciocchezza e che terminano con il boato della porta di casa che sbatte.
Zayn e Ginny litigavano spesso. Ma cosa poteva riavvicinarli ogni volta?
L’amore.
Non era nato da un semplice ‘ciao’, come tutte le persone di questo mondo, ma da un semplice, diretto e sincero ‘vaffanculo’.
Starbucks brulicava di gente quel giorno e Zayn, distratto come sempre, aveva versato metà del suo latte macchiato sulla nuova camicetta della ragazza che gli era accanto, Ginny.
No, non era la solita storia d’amore. Non era stato un colpo di fulmine.
Loro erano due poli completamente opposti, che però si attraevano.
Si amavano l’un l’altra e nulla al mondo poteva separarli, tranne…

Quel giorno era scoppiata l’ennesima discussione tra Ginny e Zayn.
“Hai detto a tua madre che sono stata bocciata, due volte!” urlò la ragazza.
“Beh, che c’è non è forse vero?” chiese Zayn.
“Ah, fottiti, stronzo” sbraitò esasperata Ginny “Quella troi… quella donna mi odia già!” disse la ragazza, correggendosi all’ultimo momento.
Zayn ignorò la giovane, continuando a guardare la tv dal divano del piccolo monolocale che dividevano, da circa due anni.
Era una sorta di nido d’amore, alla periferia est di Londra. L’avevano fittato dopo la folle idea di Zayn di andare a vivere insieme, nonostante le famiglie di entrambi fossero contrarie alla loro relazione.
Ginny, poco più che ventenne, aveva appena iniziato un lungo percorso di studi, anche se i libri non erano mai stato il suo forte.
Mentre Zayn, il ‘dannato’ come lo definiva Petunia, la madre di Ginny, era il solito ragazzo che odiava la scuola, fumava agli angoli delle strade e preferiva la musica al resto del mondo.
Era stata proprio la musica a legare profondamente i due, quando Zayn, senza averlo premeditato, iniziò a cantare “Wonderwall”.
Fu allora che Ginny si rese conto di amarlo, come non aveva mai amato prima d’ora. Ma non sapeva che era proprio per lei che Zayn amava cantare.
 “Mi vuoi ascoltare?” chiese per l’ennesima volta la ragazza. Era in piedi alla tv, determinata a farsi notare dal ragazzo che le sedeva di fronte, indifferente.
E lì, in piedi ed elevata in tutta la sua statura, Ginny rivolse lo sguardo alla persona che più amava al mondo.
Occhi castani, capelli neri, pelle ambrata e… e il sorriso che ti fa sentire improvvisamente catapultata in un’altra dimensione, forse il paradiso.
Il suo sorriso rendeva la vita degna di essere vissuta. E quelle quelle mani che tante volte avevano tenuto una sigaretta fumante, e che altrettante volte avevano percorso il corpo esile di Ginny.
La ragazza non poteva essere più diversa da Zayn; capelli rossi e lunghi, occhi verdi, corpo minuto ma formoso.
 “Sto guardando la tv, se non ti dispiace” disse con nonchalance il moro.
E senza rifletterci, Ginny gli mollò uno schiaffo.
Se ne pentì quasi subito. Ci aveva messo tutta la rabbia che aveva. Gli anni di litigi, l’odio e l’avversione dei loro genitori, gli studi che andavano a rotoli…
Lui la guardò con uno sguardo quasi impenetrabile. Arrabbiato?
Fatto sta che per qualche secondo la sua sola reazione fu portare una mano sul lato della guancia colpito e poi… afferrò Ginny per i fianchi e la trascinò sul divano con lui.
La ragazza si preparò, come se qualcuno stesse per picchiarla, anche se sapeva che lui non l’avrebbe mai fatto. E infatti non lo fece.
Zayn percorse e ripercorse più volte il ventre della ragazza che si contorceva sotto il suo tocco, a causa del solletico.
“Smettila!” urlò tra le risa Ginny. Aveva il fiato mozzato, gli occhi chiusi e ogni centimetro del corpo le si contorceva involontariamente.
“Chiedi scusa! Supplicami…” intimò Zayn alla ragazza, continuando a solleticarla dovunque gli capitasse.
“Mai… sei… un bastardo!” cercò di dire lei col fiato mozzato.
“Allora continuerò all’infinito!” la beffeggiò lui.
“Va… bene! Scusa.. ti prego, basta… ti amo” e appena Ginny pronunciò le ultime due semplici parole, le mani del ragazzo smisero di solleticarle il corpo.
E con quelle stesse braccia, con la quali poco prima stava “torturando” Ginny, Zayn strinse la ragazza a sé, contro il suo petto. E quell’abbraccio fu ricambiato da un’esausta Ginny, che continuava a respirare a fatica sulla spalla del ragazzo.
“Ti amo anche io” disse Zayn, allontanando il viso della ragazza dalla sua spalla, per baciarla con dolcezza.
Un bacio, uno dei tanti, uno dei miliardi di baci scambiati tra i due, ma speciale come ogni singolo bacio.
Faceva battere il cuore, sussultare l’anima e mandare all’aria ogni pensiero razionale.
Ginny, con la fronte poggiata contro quella del moro, continuava a guardarlo negli occhi, a desiderare di restare per sempre tra le sue braccia.
Desiderava lui, tanto quanto lui desiderava lei.
“Cosa ne dici del solito posto?” chiese Zayn, con il consueto sorriso che seguiva questa frase.
 Lo chiamavano ‘ il posto ‘, ma altro non era che un cinema all’aperto, che esisteva ormai da anni, alla periferia più esterna di Londra.
 Era lì che si erano dati appuntamento la prima volta e vi andavano ogni volta che c’era una proiezione, o semplicemente ci andavano per restare in macchina abbracciati, mentre la luce del film che veniva proiettato illuminava i loro volti o per restarci anche quando era chiuso.
Quella sera, gli ricordò Ginny, non c’era nessun film in programmazione, ma Zayn aveva un’altra idea: Guardare le stelle.
Il bello di quel cinema all’aperto era proprio questo, si poteva parcheggiare nello spiazzale anche quando era chiuso e restare stesi sul tetto della macchina a guardare le stelle, restare insieme e… basta. Era quello l’importante.
 Quando i due salirono in macchina oramai era sera inoltrata, e per strada passava una macchina di tanto in tanto.
“Scusami… per lo schiaffo, intendo” disse Ginny cercando di trovare una scusa decente per il gesto di poco prima.
“Fa niente, me lo meritavo” la fermò lui, prima che potesse iniziare a balbettare qualche banale giustificazione.
“Oh, no che non te lo meritavi…” continuò lei, gesticolando con le mani per cercare di farsi capire.
“Non fa niente, sul serio… l’importante è quello che hai detto dopo. Insomma, l’importante è che mi ami, no?”.
Questa volta a balbettare era Zayn.
Con le parole non era mai stato bravo, se esse non facevano parte di un testo di una canzone.
Lui era più a suo agio con le azioni, preferiva baciare d’impeto piuttosto che ammettere i propri sentimenti.
Il suo balbettare, il nervosismo che disperatamente il ragazzo cercava di nascondere, fece tornare alla mente di Ginny la sera in cui tutto accadde.
 Erano appena tornati da quel cinema, fino ad allora il massimo che avevano fatto era stato qualche innocente bacio, ma non erano mai andati oltre. E soprattutto non si erano mai detti “ti amo”.
Ma Zayn, che pareva nervoso, raccolse tutto il coraggio che aveva e, prima che la ragazza aprisse il cancello di casa, le urlò dietro “Ti amo, come non ho mai amato nessuna ragazza prima dite”.
Forse il cuore di Ginny si fermò per qualche istante, il tempo che quelle parole le entrassero dentro il cuore e le dessero il coraggio di girarsi e correre in contro al ragazzo.
Gli saltò letteralmente al collo, le gambe avvinghiate attorno al suo corpo, e le labbra unite nel loro primo vero bacio.
E dopo, quando le loro labbra si furono staccate di qualche millimetro, lei gli sussurrò “Anche io ti amo, come non ho mai amato nessuno”.
 Quando Ginny riaprì gli occhi, lasciando andare i pensieri indelebili di quella sera di qualche anno fa, era ancora in macchina, sulla via per la loro destinazione.
Era così ogni volta che pensava alla prima sera in cui si dissero ‘ti amo’, il cuore le batteva a mille e poteva quasi palpare il forte amore per il ragazzo che le sedeva accanto.
Si voltò per guardarlo negli occhi, e con la mano sfiorò quella del ragazzo che posava sul cambio delle marce.
Anche Zayn si voltò per guardare la ragazza negli occhi quando lei gli sussurrò un debole “Ti amo”, pieno dell’amore che aveva nel cuore.
L’ultima cosa che Ginny vide furono gli occhi di Zayn che guardavano i suoi e poi ci fu una luce abbagliante, e poi l’oscurità.

Sulla strada c’era un ragazzo.
In braccio portava qualcosa, o forse qualcuno.
Camminava a fatica sull’asfalto, e arrancava un piede dietro l’altro, come se le sue gambe stessero per cedere ad ogni passo.
Il viso di Zayn era coperto di sangue caldo che scendeva dalla ferita che aveva sulla fronte. La maglietta aveva una larga macchia rossa al centro, e altre più piccole sparse dovunque.
In braccio Zayn portava Ginny, priva di sensi.
Con ancora quel passo lento e la camminata barcollante, il ragazzo si allontanò dai resti di quella che era la macchina che guidava, per lasciarsi cadere al suolo, con il corpo di Ginny tra le braccia.
“Ginny… ti prego… Ginny!” urlò Zayn scrollando le spalle e schiaffeggiando leggermente il viso pallido della ragazza.
Le palpebre di Ginny si aprirono, giusto il tempo che bastava per incontrare per l’ultima volta gli occhi umidi di Zayn, da cui scendevano fiotti di lacrime, che lungo il loro cammino si mischiavano al sangue.
“Non… piangere. Ti… amo” fu tutto quello che Ginny riuscì a dire, a fatica, tra un colpo di tosse e l’altro, prima di allargare le labbra in un piccolo e debole sorriso, che le restò sul volto anche quando le palpebre si richiusero e la mano che stringeva quella di Zayn lasciò la presa.
 E tutto quello che Zayn poté fare fu stringere il corpo esanime di Ginny contro il suo, mentre le lacrime calde gli rigavano il viso e i ricordi di loro due passavano veloci nella sua mente, come un filmato mandato avanti veloce. 



   
 
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