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Autore: Lady_Cassandra    04/10/2012    2 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Momenti difficili 

 
“Siamo prossimi al risveglio quando sogniamo di sognare” (Novalis)

Arrivato in ufficio, Spencer fu subito messo al corrente sulle ultime novità del caso. “Si chiamava Mary Alice Evans, 21 anni, lavorava come segreteria in uno studio legale in centro” lo informò JJ, porgendogli la foto della vittima. “E’ stata trovata seduta su una panchina del parco” continuò, indicando la panchina nella foto.
“Nel parco? Perché mai l’S.I. avrebbe deciso di lasciarla lì? È molto più rischioso…” affermò perplesso guardando fisso la collega. “Sempre se esiste un S.I.” aggiunse JJ.
“Com’è morta?” chiese in seguito mentre poggiava i fascicoli sulla scrivania.
“Per quanto ne sappiamo, si è tagliata le vene” gli rispose. “Anne sta parlando con i genitori della vittima, sono appena arrivati” gli riferì avviandosi verso la stanza dove la sua donna colloquiava con i parenti della vittima.
“Perfetto, Morgan è stato informato?” le domandò intanto che osservava le reazioni dei coniugi Evans.
 “Sì, sta venendo qui” rispose la bionda.
Dopodiché si voltò puntando i propri occhi azzurro cielo verso la parete della stanza dove era appeso il tabellone su cui erano stati aggiunti tutti i dati. “Ciò che non riesco a capire è la vittimologia. Non c’è alcun nesso fra le due vittime” osservò grattandosi il capo.
“Già, cosa può accumunare due ragazze di età diverse?” si domandò Spencer facendo partire gli ingranaggi della sua mente alla ricerca di un responso plausibile.
“Non solo età diverse, ma anche etnia e quartiere diversi. Chelsea Garrison era bianca e la sua famiglia godeva di un’ottima situazione finanziaria, invece la famiglia di Mary Alice, oltre ad essere di origini afroamericane, aveva grossi problemi economici” aggiunse la collega.
“Il che esclude la possibilità che le due frequentassero gli stessi posti” dedusse Spencer, sempre più confuso.
Stavano ancora discutendo sulle assenti analogie nella vita delle sue vittime quando uscì l’agente Walker dalla stanza.
“Allora, a quanto pare,  la nostra vittima sarebbe stata di recente contattata da un’agente di moda, che le avrebbe offerto la possibilità di lavorare per un’agenzia a New York” esordì Anne non appena era tornata dal colloquio con gli Evans.
Ricordò la conversazione avuta con sua figlia la sera prima. “Un’agente di moda hai detto?”
“Sì, un certo Louis Davis mi pare, ora non ricordo. Ma perché è così importante?” gli chiese Anne stranita che, nonostante lavorasse nell’unità già da più di due anni, non si era ancora abituata ai ragionamenti un po’ stravaganti del dottor Reid.
“Anche Chelsea era stata contattata di recente da un’agente. Forse è questo il collegamento fra le due vittime” le spiegò Spencer, le sue donne annuirono, era una pista da seguire in effetti.
“Vai da Garcia e chiedile delle informazioni su questo Louis Davis” continuò.
“Spence, Penelope non lavora più con noi” le ricordò JJ scuotendo la testa. Ogni volta se ne dimenticava, nominando la loro vecchia analista informatica, che mancava moltissimo all’agente Jereau. 
“Giusto… vai da Lucas” ordinò alla giovane collega ridendo. La verità era  che, nonostante Penelope non lavorasse con loro da più di 6 mesi, Spencer ancora non riusciva a capacitarsene, e ad essere sinceri quella pazza mancava parecchio anche al dottor Reid; era sempre riuscita a rallegrare tutti con le sue battute e con quel suo modo di fare completamente inadeguato ad un’agente del F.B.I., ma che tanto lo divertiva.
“Noi invece potremmo andare dai Garrison per chiedere maggiori informazioni” propose JJ chiedendo conferma con lo sguardo al collega che annuì.
“Giusto, andiamo” disse l’uomo recuperando borsa e giacca. “ Informa anche Morgan” disse in seguito rivolgendosi ad Anne che si era già avviata verso l’ufficio di Lucas.

Anche a scuola di Elizabeth si prospettava una mattinata molto difficile, la notizia del suicidio di Chelsea si era ormai diffusa, suscitando grande scalpore.
“La preside ha convocato tutti nell’aula magna… Colin è già lì” le informò Blair mentre Elizabeth e Nicole posavano i libri nell’armadietto. “Vuole parlarci del …” continuò la ragazza senza riuscire a finire la frase.
“…suicidio di Chelsea” disse, terminando la frase, Elizabeth.
“Già” risposero le altre due all’unisono. Infine si avviarono lentamente verso l’aula magna, facendosi coraggio a vicenda.
Una volta entrate, s’affrettarono a prendere posto, senza creare confusione per non disturbare le persone intorno e attesero l’inizio del discorso della preside che si schiarì la gola prima di cominciare.
“Oggi abbiamo appreso una notizia che ha gettato tutti noi nello sconforto: la scomparsa di Chelsea; una ragazza straordinaria, amata da chiunque abbia avuto il piacere, e anche l’onore aggiungerei, di conoscerla…” esordì la preside trovando i pareri concordanti dei suoi studenti che annuirono, tuttavia Elizabeth non ascoltava le sue parole, guardava fisso verso Matthew, il ragazzo di Chelsea, seduto in prima fila insieme agli amici della defunta ragazza.
Ad un certo punto, notò che il ragazzo si alzò, lasciando l’aula magna e senza pensarci un attimo lo seguì.
“Matt” lo chiamò prendendogli d’istinto la mano dopo averlo raggiunto in corridoio. “Tutto bene?” gli chiese facendogli un sorriso forzato.
“Sì, tutto bene. Non ce la facevo a rimanere lì dentro, mi sentivo mancare l’aria. Sentire il discorso della Stevens su Chelsea mi riesce impossible …” le confessò il ragazzo con un filo di voce.
Elizabeth annuì. “È comprensibile” gli disse infatti. “Dai, andiamo fuori a prendere una boccata d’aria” suggerì la ragazza ed insieme si avviarono verso il cortile.
“Mi sembra di vivere in un incubo. Chelsea era sempre allegra, non si faceva mai abbattere da niente, era lei a tirarmi su di morale, quando ero giù ed ora io non so come fare” le confidò.
“Non posso credere che Chelsea abbia deciso di suicidarsi, mi sembra una cosa talmente assurda, voglio dire, perché non mi ha mai detto di essere infelice? Perché non mi ha detto addio, neanche una lettera ha lasciato …” continuò tenendosi la testa fra le mani. Era distrutto, non riusciva ad accettare ciò che era successo, anzi non poteva.
“Non dovrei dirtelo” esordì Elizabeth un po’ titubante attirando l’attenzione del ragazzo che lo fissò, scosse la testa e prese di nuovo parola. “Molto probabilmente Chelsea non si è suicidata” continuò pentendosi immediatamente di averlo detto; sapeva che non doveva, ma nel vedere Matthew in quelle condizioni non riuscì a trattenersi.
“Che vuoi dire?” le chiese, non capendo il senso delle parole dell’amica.
“Chelsea è stata uccisa. Pensaci bene, non hai mai mostrato neanche un minimo segno d’infelicità ed improvvisamente si suicida? È estremamente improbabile” affermò Elizabeth sedendosi sulla panchina del cortile accanto a Matthew.
“Ma tu ne sei sicura?” domandò il ragazzo.
“È ciò che mi ha detto mio padre. La sua squadra sta analizzando il caso” spiegò annuendo energicamente.
“Sono sicura che loro riusciranno ad andare in fondo a questa faccenda, se c’è qualcuno responsabile di quanto successo, la pagherà” esclamò Elizabeth con tono di sfida.
“In ogni caso le cose non cambieranno, Chelsea non tornerà” ribadì il ragazzo con gli occhi inumiditi.
“Scusami, ma ora devo andare”
Si alzò dalla panchina, dopodiché si avviò verso la porta da dove erano passati prima e si voltò di nuovo verso Elizabeth lo guardava. “Grazie di tutto comunque…” aggiunse e lasciò il cortile rientrando a scuola.
  
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