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Autore: Francy_92    04/10/2012    8 recensioni
Gaia e Andrea sono compagni di scuola ma in classi diverse. Entrambi devono iniziare il quinto. Lei linguistico, lui scientifico. Prima che finisse l'anno prima, è stato annunciato un progetto scolastico che prevede un soggiorno di tre settimane in Inghilterra. Lui, rubacuori e bello, è conosciuto da tutti; lei, riservata e con un peso sul cuore, non conosce praticamente nessuno. Sin dal viaggio di andata cominciano a litigare, fin quando... qualcosa cambierà gli eventi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''A true love story never ends''
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Salve gente!! Avrei dovuto pubblicare questo capitolo giorno nove, martedì prossimo, ma oggi è San Francesco e faccio un regalo a chi segue la mia storia e si chiama così! xD Quindi, chi di voi ha questo nome... AUGURI!!! :D :D
Adesso, vi lascio alla lettura, sperando che il mio capitolo vi piaccia e che continuerete a seguire la mia storia. Intanto, ci vediamo martedì, con il secondo capitolo :D
:* :*


Let's blame it on September

-Capitolo 1-
*Aria nuova, vita nuova... Gaia nuova?*

 
«Tesoro stai attenta, ok?»
«Si certo, mamma» dico sorridendole.
Non dice altro da almeno una settimana e adesso la serie di raccomandazioni sta per finire davanti alla mia valigia e al borsone, mentre tutti gli altri cominciano ad occupare i loro posti sul pullman.
«Bianchi, andiamo!» vengo chiamata dalla professoressa e mi volto ad annuire.
«Chiamo appena arrivo» dico a mia madre abbracciandola.
Mi mancherà tanto, ma ce la farò anche senza di lei. Devo farcela senza di lei!
«Ciao mamma» dico prima di salire in autobus: l’autista ha già sistemato il mio bagaglio al suo posto.
«Ti voglio bene» mi dice e le sorrido.
Da quando mio padre ci ha lasciate, lei è rimasta l’unica su cui io possa veramente contare. E io sono lo stesso per lei. 
Per questo motivo non avrei dovuto lasciarla da sola.
Spero che stia bene senza di me, come lo spero per me.
I posti sull’autobus sono quasi tutti occupati.
«Ehi Bianchina! Perché non ti siedi qui?!» esclama il re degli idioti.
Lo ignoro e prendo posto dietro la mia insegnante.
«Sempre secchiona, eh?!» grida dal retro dell’autobus.
Lo ignoro ancora, mentre prendo le cuffie del cellulare. La mia compagna di viaggio sta parlando con un’altra ragazza, quindi, non le dispiacerà se mi isolo ascoltando un po’ di musica. Mi appoggio al finestrino e premo  “play”.
Sento subito le note della mia canzone preferita: Hall of fame dei The Script
Le sensazioni che mi fa provare questa canzone sono indescrivibili. Metto l’opzione “ripeti” e l’ascolto senza sosta.
Immagino me stessa a Londra: indipendente, libera, sicura di me; capace di vivere in un città come quella.
Mi piace immaginarmi così, ma magari sceglierò un’altra città inglese e non proprio quella.
«Bianchina!! Tutta sola soletta?!» esclama quell’idiota di Andrea strappandomi l’auricolare dall’orecchio.
«Mi lasci in pace?!» chiedo esasperata.
«Ma come siamo simpatiche» risponde lui ironico.
«Tu lasciami in pace e io sarò simpatica con te» rispondo a mia volta rimettendomi l’auricolare.
Lo guardo storto e, dopo qualche secondo, ritorna al suo posto.
“Hall of fame” continua ancora e noi, nel frattempo, siamo quasi arrivati in aeroporto.
«Ragazzi» annuncia la professoressa alzandosi dal suo posto per essere visibile a tutti «Quando scendiamo dovrete aspettare tutti davanti all’entrata dell’aeroporto, intesi? Non dovete allontanarvi» dice calcando il verbo “dovere”.
Dopo vari “si” e imprecazioni di ogni genere, scendiamo tutti dal pullman.
Quando ho deciso di partire speravo di fare nuove amicizie, ma non so se questo avverrà. L’unica cosa che otterrò da questo viaggio sarà ancora più odio da parte di Andrea. Ma a questo c’è rimedio: lui mi odia, io odio lui e siamo pari!
 
Per la serie “la sfiga non arriva mai da sola” dovrò sorbirmi un’ora e trenta di viaggio in aereo con Mister Simpatia. Ho fatto il check-in dopo di lui e, ovviamente, il mio posto è vicino al suo.
Che stupida a non averci pensato prima. Inoltre la cosa più bella è che saremo io, lui e la professoressa; quindi, quasi sicuramente, non perderà occasione di prendermi in giro, perché sa che io non gli risponderò davanti a lei.
«Nervosa?!» mi chiede lui venendomi incontro. Siamo davanti al gate e aspettiamo l’imbarco.
«Per quale motivo dovrei esserlo?!» chiedo alzando le sopracciglia.
«Passerai un’ora e mezza con me» spiega sorridendo «So che ti piaccio, quindi, ho immaginato tu fossi nervosa»
Lo guardo con la bocca spalancata. Non posso credere che lo abbia detto sul serio.
«Quindi è vero» chiede ancora sedendosi accanto a me.
«Assolutamente no. Come può piacermi un idiota come te?!»
«Perché sono bellissimo ed irresistibile?»
Trattengo a stento le risate. Credo sia meglio non ridergli in faccia.
«Bellissimo ed irresistibile. Certo, come no!» lo prendo in giro alzandomi per raggiungere delle panchine più lontane.
Non ho mai pensato ad Andrea come ad un ragazzo bellissimo ed irresistibile, ma senza dubbio lo è. Bellissimo almeno…
Irresistibile… beh, se fossi una delle ragazze che lui frequenta, magari lo troverei irresistibile; per fortuna il mio cervello funziona benissimo, quindi, non mi lascio abbindolare da lui, che sa soltanto farmi saltare i nervi!!
Da quando l’aereo è arrivato e noi abbiamo cominciato ad entrare, Andrea non ha smesso di importunarmi. Forse vuole vendicarsi per quella cosa che gli ho detto poco fa. Sono sicura che scenderò da questo aereo con i nervi a pezzi.
«Mi dai fastidio» dico spingendolo con una spalla, ma ovviamente non lo sposto di molto.
«Te l’ho detto che non mi ricordo mai come ti chiami?! Ormai Bianchina non me lo tolgo più di mente»
Non rispondo. Guardo l’hostess che controlla i documenti dei miei compagni prima che prendano posto.
«Aspetta… ti chiami Greta. No, non è Greta. Chiara?!»
Lo guardo storto e lui fa segno di no con la testa «Non è nemmeno questo» dice sorridendo. «E’ Ghiaia. Ecco!! Mi sono ricordato il tuo nome»
«Fottiti» mormoro e porgo il mio documento all’hostess, insieme al biglietto. Lo sento ridere, mentre entro in aereo; cerco di respirare profondamente e mantenere la calma.
Ora lo avrò vicino per i prossimi novanta minuti e dovrò sopportarlo perché sicuramente non chiuderà bocca un attimo.
Prendo posto e, velocemente, prima che lui arrivi, metto le cuffie e guardo fuori.
Non vedo l’ora di arrivare. So che dovrò comunque sopportarlo per le prossime tre settimane ma, in confronto ai quattro anni di liceo trascorsi, non saranno niente.
In questi quattro anni non ha perso occasione per prendermi in giro. Lo ha fatto continuamente. 
Diciamo che Andrea è stato il mio incubo delle superiori.
Spero di non dover frequentare anche l’università con lui, ma per fortuna, con il corso che ho in mente di fare io, lui non c’entra proprio niente.
Lui farà sicuramente Architettura, poiché i genitori sono già nel settore.
Meglio!!
«Mi piace di più Bianchina, lo sai?» dice lui sedendosi vicino a me.
Mi volto di nuovo e lo ignoro.
«Non potrai ignorarmi a lungo, Bianchina» dice ancora.
«Piantala, idiota!! Lasciami in pace. Non ho chiesto io di sedermi accanto a te, quindi lasciami in pace» dico trattenendomi dall’urlare.
«Adesso basta!!» ci rimprovera la Vietti, insegnante di inglese. «Fate silenzio e smettetela di litigare, almeno per il tempo che trascorreremo in aereo» dice sospirando e sedendosi.
Fulmino con lo sguardo colui che mi ha fatto rimproverare dalla professoressa e mi immergo nuovamente nella mia playlist; interrompo l’ascolto quando sento la voce metallica dell’hostess annunciare l’imminente decollo dell’aereo e l’obbligo per tutti i passeggerei di allacciarsi le cinture.
Mentre allaccio la mia, distrattamente, mi guardo intorno e vedo tutti i miei compagni di viaggio parlare tra di loro. Io, invece, decido di leggere un po’.
«Sei una sfigata» mormora qualcuno al mio orecchio ma, purtroppo per me, so chi è questo qualcuno.
«Lasciami in pace» rispondo io sottovoce cercando di non farmi sentire dalla professoressa.
«Perché sei venuta?! Tanto rimarrai da sola tutto il tempo»
«Sparisci» mormoro di nuovo voltandomi verso il finestrino.
Molte volte ho pensato di rimanere a casa e rinunciare a quest’opportunità; so che Andrea ha ragione, ma non voglio dargli questa soddisfazione; e poi, prima di tutto, devo soddisfare me stessa. Chi cavolo è lui per condizionarmi così?!
Se penso a quanto lo odio… DIO!!
Non vedo l’ora di scendere dall’aereo e arrivare a casa della famiglia dove abiterò nelle prossime settimane
Voglio dormire perché, oltre alla stanchezza fisica, Andrea è capace di prosciugarmi l’energia mentale con una sola parola.
È troppo spossante.
Per tutto il viaggio non ha fatto altro che stuzzicarmi. Mi ha preso in giro mentre cercavo di leggere; mi ha anche preso il libro dalle mani e cominciato a passarlo ai suoi amici, mentre io cercavo di riprendermelo, scatenando l’ira della mia professoressa e degli altri passeggeri.
«ANDREA!!» urlo zittendo tutti all’interno dell’aereo.
Soddisfatta del risultato ottenuto dal mio tono di voce, mi ricompongo riprendendo il libro dalle mani di uno dei suoi amici: Luigi, mi pare si chiami.
«Piantala di prendermi in giro»
«Questo viaggio non sarebbe divertente altrimenti»
Veniamo rimproverati di nuovo dalla professoressa e, da quel momento in poi, non parliamo più.
Ho capito dal suo ghigno che, per le prossime tre settimane, continuerò ad essere la sua vittima. Sono veramente stanca di tutto questo, ma cosa posso fare?!
Se gli rispondo per le rime, lui mi prende in giro; se non gli rispondo, lui lo fa ugualmente… che mi resta da fare?!
Vorrei tanto picchiarlo, ma non sono mai stata una persona violenta; al contrario, sono sempre stata tranquilla, pacata, la classica ragazza che pensa dieci volte prima di agire. Ma lui, Andrea Ferrari, è capace di tirare fuori il mio lato oscuro; quello che vorrebbe ucciderlo.
Poi mi rendo conto che non ne vale la pena, così faccio un bel respiro profondo  e mi calmo, cercando di non pensare a tutte le cose brutte che mi dice.
So che ricorda perfettamente il mio nome, ma vuole esasperarmi, quindi continuerà a chiamarmi “Ghiaia”. Lo odio con tutta me stessa.
Si dice che non è bene odiare una persona; soprattutto quando non la si conosce, ma come faccio a non odiare Andrea anche non conoscendolo?!
È la classica persona che ti squadra al primo sguardo. Non hai possibilità.
È il tipo di persona che non ti da la possibilità di farti conoscere ma che si basa soltanto sull’aspetto esteriore, che ti considera una sfigata se non hai più di due amici.
I miei pensieri vengono interrotti dalla voce dell’hostess che annuncia ai passeggeri che l’aereo si sta preparando per l’atterraggio.
«Finalmente» mormoro allacciando la cintura.
«Stanca di stare con me, dolce Ghiaia?!»
«Non ti stanchi mai di essere così stronzo?!» sbotto io guardandolo storto.
Andrea scoppia a ridere e ritorna a guardare il suo I-phone.
Penso proprio che lo faccia apposta. Prima mi stuzzica, io gli rispondo e poi mi lascia senza una risposta; a bocca aperta, come mi lasciano certe sue battute del cavolo.
Forse sono troppo ingenua per rispondere alle sue provocazioni. Probabilmente la mia amica mi direbbe come comportarmi, ma posso sempre contare su di lei?!
Per fortuna non impieghiamo molto a scendere dall’aereo e a prendere le nostre valigie.
Sono in Inghilterra; sono a Londra e ci passerò tre settimane.
Dopo aver recuperato il mio bagaglio mi allontano e attendo che gli altri escano.
«Ciao» mi volto e una ragazza minuta, con i capelli biondi e gli occhi verdi – la classica bellissima ragazza – mi sorride.
«Ciao» rispondo sorridendo a mia volta.
«Tu sei Gaia, vero?!»
Wow, qualcuno che pronuncia il mio nome correttamente.
Sorrido e annuisco «Si, sono io»
«Tu sei l’unica che frequenta il linguistico nella nostra scuola»
«Si, è vero. Le mie compagne non sono volute partire perché avevano paura di avere difficoltà tornando a scuola già iniziata» spiego.
«Ma così sarai tu ad avere dei problemi»
«Pazienza. Me la caverò» rispondo con un’alzata di spalla.
«Io sono Alessia, comunque» dice prendendo la mia mano.
«Piacere» rispondo stringendo la sua.
«Perché perdi tempo con lei, Alessia?!»
«Perché non ti fai gli affari tuoi, eh Andrea?!»
«Sprechi il tuo tempo parlandole»
«Anche tu lo stai sprecando parlando adesso, quindi sparisci»
Ghignando, Andrea se ne va.
«Devi scusarlo, ma non è mai stato gentile con le ragazze, soprattutto quelle… si insomma, quelle…» è in imbarazzo, ma so cosa vuole dire.
«Quelle sfigate come me»
«Eh» dice lei annuendo.
Sorrido amaramente e abbasso la testa.
«Scusa Gaia, ma tutti lo pensano»
«Non preoccuparti, sul serio» rispondo io cercando di rassicurarla.
«Dovresti far cambiare l’opinione che hanno di te»
«Non m’ importa…Dopo il liceo non li rivedrò più, quindi a che serve?!»
«Sei molto coraggiosa Gaia, lo sai?»
«Dici?! Io ho sempre l’impressione di evitare i problemi e  nascondermi… che ne so, nello studio, nella lettura o nella musica»
«No. Affronti a testa alta ogni giornata. Non ti preoccupi di quello che dicono gli altri di te e, nonostante tu qui non conosca nessuno, sei venuta ugualmente»
«Non è per la compagnia che sono venuta. Spero, ovviamente, di farmi degli amici, ma sono qui soprattutto per la lingua e per le lezioni»
«Fai bene» dice; veniamo interrotte dall’insegnante che ci comunica che l’autobus è arrivato.
Scambiamo ancora qualche battuta, ma quasi subito veniamo divise per salire sull’autobus.
 
«Bianchi, tu sarai con Marotti» annuncia la professoressa.
Siamo arrivati, dopo un’ora e mezzo di autobus, a scuola. A dire il vero è un college; frequenteremo qui le lezioni per le prossime tre settimane.
«Greco e Scala, voi due insieme» dice ancora riferendosi a due ragazzi.
«Ferrari e Marotti Luigi, voi due siete insieme» annuncia ancora guardandoli male.
«Evvai!» esclama sottovoce Luigi dando una pacca amichevole ad Andrea.
La professoressa li guarda malamente un’altra volta e un altro professore lì vicino schiaffeggia entrambi sulla nuca.
Ridacchio e mi volto a guardare la mia compagna di stanza.
Sembra triste. Oddio, che ha?!
«Ciao» dico avvicinandomi a lei.
«Ciao» risponde sorridendomi appena. Lei si chiama Elena, ed è la cugina di Luigi, il migliore amico di Andrea. Elena è mora, quasi nera, anche se sarebbe una finta nera, e anche lei ha gli occhi verdi. A scuola la conoscono tutti per i suoi occhi stupendi.
«Ragazze, è arrivata la signora che vi ospiterà» dice la Vietti sorridendo a sessantadue denti.
È molto più entusiasta lei di tutti noi.
In silenzio e, salutando Elena che mi sorride, prendo la mia valigia e il borsone.
All’esterno una signora sui quaranta anni con le mani giunte mi sorride.
«Ciao!» esclama in un marcato accento inglese.
«Salve» rispondo un po’ intimidita.
Sono sempre stata discreta in inglese ma, ovviamente, vivere per tre settimane in una famiglia inglese sarà leggermente diverso. Un minimo errore e loro lo noteranno subito.
Impallidisco davanti a questa consapevolezza.
«Sono felice di conoscerti. Sono Michelle» continua.
«Sono felice anch’ io. Mi chiamo Gaia»
Sorride e prova un paio di volte a pronunciare il mio nome. Non se la cava benissimo e un po’ mi fa ridere, ma alla fine ci riesce. Mi congratulo con lei, ci voltiamo perché è appena arrivata anche Elena.
Dopo le presentazioni lei sembra essere più tranquilla.
«Stai bene?» le chiedo una volta in macchina. Avrei voluto farmi gli affari miei, ma passeremo i prossimi ventuno giorni insieme, quindi, meglio creare un minimo di rapporto sin da subito.
«Si» risponde velocemente lei.
«Ok» dico a mia volta sorridendo a malapena. Sono un po’ delusa della sua risposta.
Insomma, sto cercando di fare amicizia e lei mi liquida così.
Ok, non sono “popolare”, però uno sforzo per conoscermi potrebbe farlo anche lei, no?!
«Scusa se non sono così amichevole, ma è la prima volta per me. Se penso che starò tre settimane da sola e lontana da casa, mi viene un po’ d’ansia e, soprattutto, sento la malinconia»
«Ma non sarai sola. Non ci siamo mai presentate prima, e non ci conosciamo, ma ti prometto che starai bene con me»
«Ne sono sicura, ma è sempre difficile i primi giorni»
«Posso capirti» rispondo ricordando la prima volta lontana da casa: ero in Grecia. Posto fantastico, ma tanta nostalgia di casa.
La conversazione con Elena finisce lì, almeno fin quando Michelle comincia a parlare di suo marito e dei suoi tre figli.
Lui si chiama Paul e fa il postino; i bambini sono Finlay di otto anni e ama giocare a calcio; Talia di sei che ama dipingere e Anise di quattro che sta cominciando la sua carriera nel mondo della danza.
Abbiamo parlato un po’ durante il tragitto e per tutto il tempo Elena è rimasta in silenzio.
L’ho guardata un paio di volte e credo di averla anche vista piangere.
«Eccoci qua, ragazze» annuncia Michelle entrando in un vialetto. Esco dall’auto e mi guardo intorno. Non c’è praticamente nessuno per strada e ho l’impressione che sarà sempre così. Deserto, dalle sette di sera in poi, e magari anche prima.
Sento Michelle fare qualche domanda ad Elena, ma lei fa un sorrise forzato e la ringrazia. Non so cosa le abbia chiesto la nostra “mamma inglese”.
All’improvviso Michelle urla qualcosa e, dopo aver messo giù le nostre valigie, esce quello che deve essere suo marito Paul.
«Buonasera Paul» lo saluto subito sorridendo.
«Buonasera» risponde lui porgendomi la mano. «Com’è andato il viaggio?!» chiede mentre prende la mia valigia e la porta in casa. «Abbastanza bene» rispondo cercando di non pensare al fastidioso Mr Bellissimo ed Irresistibile.
«Avete fame?!» chiede Michelle portando dentro l’altra valigia.
«Io vorrei andare a dormire» dice velocemente Elena.
Tutti la guardiamo un po’ straniti, ma Paul, dopo un colpo di tosse, dice che ci farà vedere la loro casa, così lei potrà andare a dormire.
Poco gentile da parte di Elena, devo dire.
La nostra camera è la prima stanza a sinistra partendo dall’ingresso. Di fronte alla porta di ciliegio, credo, chiaro c’è un armadio, accanto un finto camino in ceramica su cui è posato un grande specchio; accanto al comodino una cassettiera e una televisione. Di fronte a tutto il mobilio due letti. Uno ad una piazza e mezza, vicino alla grande vetrata coperta da pesanti tende, e uno ad una piazza.
Accanto la porta della nostra camera, c’è quella che porta al piccolo salone.
Varcando un’altra porta, di fronte a quella d’entrata, si accede alla cucina, all’interno della quale, sulla sinistra, è installata un’altra porta, che conduce alla lavanderia e al piccolo bagno di servizio.
Il pavimento della cucina è ricoperto di finto parquet. Penisola con grande frigorifero; distributore di ghiaccio all’esterno. Proprio come piace a me.
«E’ bellissima» dico sorridendo.
«Grazie cara» risponde Michelle.
Credo di esserle simpatica.
Proprio accanto al bancone della cucina si apre una grande vetrata. Il giardino che intravedo è stupendo. Pieno di giocattoli buttati qua e là, ma stupendo.
Di fronte alla vetrata, c’è il tavolo e il piccolo salone di poco prima. Due divani e una tv a schermo piatto.
Dopo aver finito il tour del piano terra Paul ci fa vedere quello di sopra, al quale si arriva grazie ad una scala di fronte alla porta d’entrata.
La prima porta bianca conduce al bagno con doccia, vasca e sanitari, ovviamente; la seconda camera è quella delle bambine che Paul ci mostrerà il giorno dopo.
La terza è la loro camera da letto e l’ultima, di fronte al bagno, è la camera di Finlay.
«Non vedo l’ora di conoscerli» dico scendendo al piano di sotto.
«Domani mattina li conoscerai sicuramente. Volevano rimanere alzati per conoscervi, ma il sonno ha avuto la meglio» mi informa Michelle mentre entra in cucina.
«Io vado a dormire» dice di nuovo Elena.
«Ok» mormoriamo io e Michelle.
«Resto ancora un po’» aggiungo io.
«Ok» risponde Elena voltandosi senza ringraziare o salutare.
«Tu hai fame, vero Gaia?!» chiede Paul con la testa dentro il frigorifero.
«Certo» rispondo accomodandomi su una delle sedie del bancone.
«Cosa vuoi mangiare?!» chiede «Abbiamo pizza surgelata, pesce surgelato, patatine fritte, lasagne o…»
«Andrà bene la pizza, grazie» rispondo sorridendo.
Paul annuisce e ne tira fuori una scatola.
«Domani mattina vi accompagnerò alla fermata dell’autobus, così poi non avrete problemi»
«Certo, grazie» rispondo. «Vi dispiace se chiamo mia madre? Ci metto un secondo»
«Fai pure. Immagino attenderà tue notizie»
«Si» rispondo sorridendo.
«Vai pure. Ti chiamiamo quando è pronto»
«Grazie» rispondo sorridendo e scendendo dalla sedia.
Velocemente estraggo il cellulare dalla tasca e faccio il numero di casa.
«Gaia?!» chiede mia madre rispondendo praticamente subito. È inutile dire che aspettava con ansia la mia chiamata.
«Ciao mamma»
«Oh tesoro! Com’è andata il viaggio?! Sei arrivata?! Sei a casa?!» Sorrido per la raffica di domande che mi ha appena fatto.
«Si mamma, sono a casa e le persone che mi ospitano sono gentilissime. Hanno tre bambini che conoscerò domani»
«Grande! Sono contenta. Spero che ti troverai bene»
«Si, mi troverò sicuramente bene»
Resto ancora qualche minuto a parlare con mia madre sulle scale. Le racconto del viaggio super stressante, del fatto che ho fatto la mia prima amicizia e che spero duri; le ho raccontato anche della mia compagna di famiglia che non è per niente cordiale e che il suo comportamento è causato dalla mancanza dei suoi familiari.
Mia madre mi manda i saluti della mia migliore amica, ma non accenna ad altro. Speravo che mio padre la chiamasse per chiederle qualcosa di me ma, a quanto pare, la sua nuova famiglia è più importante di sua figlia che va in Inghilterra per la prima volta.
«Gaia, la cena è pronta» annuncia Michelle.
«Mamma devo andare»
«Va bene tesoro. Buona cena e stai sempre attenta»
«Certo. Ciao mamma. Ti voglio bene»
«Te ne voglio anch’ io»
Quando ritorno in cucina, Michelle e Paul sono seduti a tavola davanti a un bella pizza fumante.
Chissà se il sapore è buono come il suo bell’aspetto?!
Gli inglese non sono proprio famosi per la loro cucina. Chi lo sa…
Dopo aver assaggiato il primo pezzettino di pizza e decretato che non è affatto male, a parte il condimento troppo piccante, parliamo del più e del meno, soprattutto del perché ho deciso di fare quest’esperienza.
Mi hanno chiesto del viaggio e, dopo una veloce spiegazione del perché Elena si sia comportata in quel modo, mi dicono loro stessi di andare a dormire perché, a detta loro, si vede lontano un miglio che sono stanca.
«Grazie» dico e loro annuiscono.
Si dice che gli inglesi non siano grandi manifestatori d’affetto; beh, hanno ragione, ma sono sicura che andremo d’accordo. Non lo sono nemmeno io, quindi…
Quando torno in camera, vedo che Elena ha preso il letto ad una piazza.
Strano, credevo di aver detto addio a quello ad una piazza e mezzo.
La sento singhiozzare e vorrei poter fare qualcosa se solo lei me lo permettesse. Mi dico che sarebbe comunque inutile, perché quello che avrei da dirle non servirebbe a nulla, perché è stato così anche per me, quando sono stata all’estero per la prima volta.
Sospiro e mi avvicino alla cassettiera per accendere la lampada; porto la mia valigia davanti al letto e la apro, cercando di fare il meno rumore possibile.
Dopo aver fatto un salto in bagno ed aver indossato il pigiama, punto la sveglia del cellulare e mi metto a letto.
La mia prima sera in Inghilterra non è andata male e mi sono trovata magnificamente.
Chissà se domani Elena starà meglio…


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Eccoci giunti alla fine. Che ne pensate?! Premetto che i primi capitoli non mi piacciono molto, quindi, potete anche dire che fanno schifo! Posso capirlo! Anyway... sperando che continuiate a leggere anche il prossimo, io vi do la buonanotte e vi dico... vi lascio uno spoiler xD
"
Esco dal negozio e, dando un’occhiata in giro, scorgo delle panchine di legno vuote. Mi siedo e tiro fuori le cuffie e il mio libro del momento.
“When everything falls back down” degli Action Item riempie il rumore della vita attorno a me.
Non voglio sentire nulla, tranne le note della canzone.
Continuo a guardarmi intorno e mi rendo conto che qui io potrei viverci benissimo.
Mi piace tutto e forse un giorno succederà.
Senza neanche accorgermene vedo Andrea avvicinarsi e sedersi accanto a me.
Restiamo in silenzio per un po’. Io metto in pausa la canzone e aspetto che sia lui a parlare. Per essersi seduto qui un motivo ci sarà, no?!
“Magari era solo stanco” suggerisce la mia vocina interiore.
Passano dei minuti di totale silenzio, così decido di fare il primo passo.
«Perché sei qui?» chiedo.
«Perché non c’erano più posti liberi nella panchina dei miei amici» risponde lui trattenendo un mezzo sorriso.
«Perché ti comporti così?» chiedo togliendomi gli occhiali da sole per guardarlo meglio. Stranamente oggi la giornata è soleggiata.
«Così come?!» chiede a sua volta.
«Da stronzo» rispondo guardandolo storto.
«Perché tu ti sei vista? O sentita?!»
"

Piaciuto?! xD Ok, non uccidetemi :D Spero vi abbia incuriosito almeno un pò :*
Adesso non mi resta altro da dirvi, tranne... a martedì xD


   
 
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