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Autore: Banana_Mecha    04/10/2012    3 recensioni
"La signora Kim siede vicino alla vetrina, nella sua caffetteria.
La porta è stata chiusa dall'interno con una spessa catena allucchettata; eppure non è neanche il tramonto.
Dentro le luci sono accese, e diffondono un caldo bagliore arancione, ma adesso che questo locale è vuoto… Prima che scatti il coprifuoco c'è ancora chi si azzarda a venire a trovarla. Sono molte meno di prima, certo, però vengono quasi ogni giorno.
Le passano ancora le lettere. Alcune addirittura portano del cibo.
Le si avvicinano e le sussurrano: «Yesung sta bene?»
Gli occhi della signora Kim si riempiono di lacrime. Non lo so, vorrebbe rispondere, mi manca mio figlio e non so niente di lui da mesi. Però non dice niente. Annuisce, e cerca di sorridere."
Settembre 2013. E' bastata una notte, e nessuno poteva sospettare che sarebbe accaduto così. Il Nord ha attaccato il Sud e la capitale è in ginocchio. La musica viene bandita dalla legge.
Gli artisti vengono costretti a rifugiarsi e a combattere contro i traumi di una guerra crudele e la paura di essere trovati. Non saranno soli però. Presto nel sottosuolo di Seoul nascerà la ribellione.
SJ, SNSD, B1A4, B.A.P.
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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La signora Park strizza la garza nella bacinella e poi tampona il polpaccio di Hyukjae. Lui stringe i denti e serra i pugni, ma gli sfugge ugualmente un sibilo. La madre di Teuk fa finta di non sentire e continua.
«Come va la spalla?», gli domanda con la sua voce bassa e ruvida. Hyukjae prende un lungo respiro prima di parlare.
«Bene. Se non te ne fossi accorta tu probabilmente non l'avrei neanche notato».
«Questo polpaccio deve fare male se non ti sei reso conto di avere la spalla lussata…»
I discorsi con la mamma di Teuk sono sempre stati concisi. Da sempre ha avuto l'impressione di non piacergli. Non riuscirebbe a immaginarla nel ruolo di madre affettuosa, e non sa quale infanzia può aver dato a Leeteuk. Forse proprio per non assomigliare a lei, così chiusa e taciturna, lui ha sviluppato quel carattere apparentemente estroverso e loquace. Ovviamente sa che non è così, che in realtà mentre scherza dentro vorrebbe solo urlare: FATEMI DORMIRE!, e sbattere la porta in faccia a qualcuno.
La madre di Leeteuk è così diversa dalla sua. La sua ha i capelli neri non troppo lunghi, ma curati, porta occhiali con lenti rettangolari dalle punte stondate e si mette sempre un filo di rossetto color carne, anche se inizia a invecchiare e intorno agli occhi ha già delle rughe sottili. Si veste in modo semplice ma non è mai trasandata e con l'età che avanza ha iniziato ad avere un profilo più morbido e le guance più piene. Forse è tutto relativo, ma per lui le mamme dovrebbero essere tutte così. 
Quella di Teuk invece no. Ha i capelli corti, di chi non ha il tempo di occuparsene e il viso liscio e senza rughe, ma ugualmente tondo. Non cura il suo aspetto o l'abbigliamento e si veste sempre di tonalità tristi e cupe. La cosa che più lo disturba in effetti però sono gli occhi. Tondi e con le palpebre infossate. Non saprebbe dire se le ha così per la stanchezza perché li ha sempre viste in quel modo, ma sa che il padre di Teuk probabilmente la picchiava. Forse l'alone di dolore lasciato da quel periodo su di lei si è impresso scavandosi intorno ai suoi occhi.
Non ha mai chiesto agli altri membri dei Super Junior come si comportasse con loro, forse una volta che la donna se ne va, non gli rimane altro che un alone di tristezza addosso. 
«L'altro giorno ci ha chiamato Leeteuk». Nessuna reazione. La signora Park continua a disinfettargli la ferita con cura e non cambia espressione.
«Le solite cose. Il cibo che fa schifo e nell'ultimo mese ha perso un altro kilo. E' schizzinoso lui per il mangiare, lo sai… ci tornerà pelle e ossa…»
Hyukjae pensa che la prima preoccupazione di una madre sia che il figlio mangi bene. Almeno funziona così a casa sua. La signora Park però non sembra interessata.
«Poi mi ha detto… di passare a portarti il nostro ultimo album. Anche se non lo canta lui credeva che ti avrebbe fatto piacere. Forse si sbaglia…»
«Portamelo appena puoi».
Hyukjae non fa in tempo a finire che la signora Park, pur senza alzare lo sguardo dalla sua gamba, lo ha interrotto. Suo malgrado il ragazzo sorride…
«Okay. Te lo porto in settimana».
«Ti ha detto cosa vorrebbe mangiare?»
«Ha fatto un accenno ai tuoi frullati di banane».
La donna sorride, bagna di nuovo la garza e la ristrizza.
Hyukjae guarda fuori. Sono in salotto, e lui siede di fronte alla porta finestra che dà sul balcone. Non riesce a smettere di sbalordirsi per quante stelle ci siano. Il cielo è così luminoso che non c'è bisogno di luce artificiale per  vedere. Anche perché non c'è corrente. 
«Sai perchè sto sorridendo?»
«No», ammette Hyukjae. Effettivamente la signora Park non si è tolta quel sorriso di faccia un secondo.
«Ogni volta che Leeteuk passa un momento difficile o è sommerso di lavoro mangia pochissimo. Poi però viene a farmi visita e dice: "Ah, sono contento di quel che ho fatto!", e mi chiede di fargli il frullato di banane per brindare».
Forse ha sottovalutato la madre di Teuk. Forse anche se non lo mostra fuori, sa essere affettuosa e sa godere dei piccoli momenti felici che può avere con suo figlio. Forse prima non era così, ed è colpa del marito.
«Fatto», annuncia dopo averlo bendato. Si alza e porta via la bacinella dell'acqua. Incrocia Ryeowook che sta entrando in salotto. 
«Com'è?»
«Wook, che hai fatto?
«Qui?», domanda il ragazzo indicandosi un cerotto sulla fronte, «Mi è caduto un pezzo di grondaia in testa mentre uscivo. Verrà il bernoccolo…»
Hyukjae annuisce, mentre Ryeowook prende una sedia e la trascina accanto alla sua.
«Siamo gli unici due infortunati, dunque?»
«Grazie al cielo pare di sì».
I due rimangono qualche minuto in silenzio, guardando il cielo, fuori dalla finestra. 
«Sono almeno dieci anni che non mi fermo a guardare un cielo così. Sembra di stare nello spazio da quante stelle ci sono…», sussurra il più piccolino dei due, aprendo la porta finestra e lasciando entrare la brezza notturna.  Hyukjae annuisce.
«Dove sono nato io c'erano meno luci e bastava un quarto d'ora per raggiungere la campagna... mi ricordo che da piccolo con altri bambini montavamo le tende da campeggio e la sera uno dei nostri giochi era guardare le stelle. Quello è il carro dell'Orsa Maggiore se non sbaglio, e quella stella là che brilla più di tutte è Sirio. Non ricordo molto bene però… », bisbiglia Hyukjae guardando con attenzione il cielo. Gli sembra di aver dormito ore, quando forse sono due giorni che non chiude occhio. 
«Il mese scorso sono andato sulla montagna con la mia ragazza. Una notte sola, per vedere le stelle cadenti, ma anche lassù le luci della città erano troppo forti e non siamo riusciti a esprimere un desiderio.  Stasera era venuta a guardarmi, però non l'ho vista fuori. Forse c'era troppa gente…»
Hyukjae abbassa lo sguardo. Meglio che non dica a Ryeowook cosa ha visto. In fondo lo allarmerebbe e basta, e non è in grado di associare con sicurezza uno di quei cadaveri a Hyeyoung. 
«Sarà stata una delle prime a uscire ed è tornata a casa subito».
«No, avrebbe aspettato di vedere che stavo bene».
«Forse lo ha dato per scontato e ha pensato a mettersi subito in salvo».
«Forse».
Altro minuto di silenzio. Hyukjae può solo immaginare le conclusioni orribili a cui sta saltando il suo amico.
«Ah, mi ero scordato di dirti che ho visto la tua Cenerentola mentre uscivo. Era dietro di me, ma poi la gente l'ha sorpassata…»
Parla di Yangee. E' lei la Cenerentola di cui parla, e Hyuk avrebbe voluto renderla una principessa. Se Ryeowook però è stato uno degli ultimi a uscire Yangee… gli si para davanti l'immagine della ragazza morta. Le dita tese verso l'alto e la bocca spalancata. No.
«Non chiamarla più Cenerentola», Hyukjae si alza e va a distendersi sul divano. Pensa che non dormirà, invece come si adagia sull'imbottitura morbida e chiude gli occhi, il respiro gli si fa più lento e profondo e inizia subito a sognare.
Un sogno stupido. E' un collage di cose già vissute che gli balenano in testa senza un apparente filo logico. Episodi dell'infanzia, le litigate con sua sorella, le urla di un pubblico sconfinato e illuminato di blu. Lacrime, gioia. Poi tutto sfuma ed è nella sala prove dell'agenzia. Una ragazza alta e esile sta passando lo straccio sul parquet, e i lunghi capelli neri sono raccolti in una coda lente. Canticchia qualcosa a bassa voce, e indossa un camice blu di almeno tre misure troppo grande. Si gira, ma non appena lo vede si rabbuia. No, fermi. Finora è stato proprio tutto come nei miei ricordi, ma non è mai successo che mi guardasse così. Non qui. 
La ragazza posa il manico contro il muro e a grandi passi esce dalla stanza, urtandogli le spalle.
«Yangee, ferma!»
Niente, lei sta scappando in fondo al corridoio. Questa volta il ricordo appartiene all'ultima volta che l'ha vista. Il suo abito da sera sembra una nuvola e le si avvolge intorno alle gambe mentre imbocca le scale e sparisce. La rincorre fino in strada dove le vede girare l'angolo dell'incrocio. Continua a seguirla, stavolta non la lascerà scappare. Ma come volta l'angolo lui è in mezzo a una distesa di poltroncine bruciate e calcinacci. E Yangee gli tende la mano spellata, e lo supplica con uno sguardo inesistente. E' morta bruciata e non è riuscito a salvarla.
Hyukjae apre gli occhi alle prime luci dell'alba. Non ha dormito quasi dopo il suo incubo, ma è comunque rimasto disteso in silenzio a occhi chiusi. Durante la notte ha pensato a un sacco di cose. Intanto i suoi staranno bene? Sì, sicuramente. Lui e sua mamma sono collegati da una sorta di empatia. Quando uno dei due sta male l'altro lo sente anche a distanza di kilometri. Adesso saranno solo preoccupati per lui, dopo quel che è successo in tv ieri sera. 
Si issa a sedere mentre il piccolo salotto dell'appartamento della signora Park si tinge di rosa pallido. Pare che dopo tutto anche dopo una notte da incubo come quella il sole continui a sorgere come ogni mattina.
Ryeowook è disteso nel terrazzo senza neanche una coperta sotto. Sta ascoltando la musica con le cuffiette, ma forse si è addormentato… 
In cucina la signora Park sta riempiendo delle bottiglie di plastica dal lavandino. Hyukjae  non se la sente di indagare sulla loro funzione. 
«Vado ad aprire il locale», gli mormora, mentre raggruppa tutte le bottiglie sul piano della cucina. 
«Ok. Io pensavo di andare all'ospedale ora…», le risponde il ragazzo. La signora Park annuisce senza alzare gli occhi. La donna esce, chiudendo il portone a chiave dall'esterno. Hyukjae si abbandona su una sedia, alzando con il braccio sano il tovagliolo che copre il vassoio di biscotti sul tavolo, e ne sgranocchia uno sovrappensiero.
Mamma di Teuk, non ti capirò mai. Vai a lavorare anche in un giorno simile?

Le strade sono insolitamente deserte. Seul si è trasformata in una sola notte da metropoli caotica a deserto. Sungmin non si sente a suo agio a camminare da solo. 
L'elettricità è tornata un attimo prima che uscisse dalla casa della madre di Teuk, quando si è riaccesa la spia rossa della tv in standby e il frigo ha ricominciato a ronzare. Eunhyuk, Ryeowook è Kyuhyun se n'erano andati da un pezzo verso l'ospedale più vicino. Il rapper aveva respirato così tanto fumo che per quanto si fosse lavato il naso gli era rimasto nerastro, quindi oltre a farsi medicare la gamba dovrà fare qualche inalazione di ossigeno, pensa Sungmin. 
Ha provato a fare zapping sulla tv, ma nessun canale sta trasmettendo niente. Com'è possibile che di tutti quei canali neanche uno funzioni?
Le saracinesche dei negozi sono abbassate e i chioschi dei giornali chiusi: niente tg o giornali per sapere qualcosa dunque. Non c'è quasi nessuno per strada, specialmente in quelle larghe e invase dal sole, ma Sungmin potrebbe giurare di aver visto delle sagome muoversi nei vicoli secondari.
Affretta il passo mentre la sua ombra si distende lunga sul marciapiede illuminato dal sole mattutino. Non si è nemmeno cambiato di abiti, ha solo fretta di andare a casa, non importa che debba percorrere a piedi quasi un quarto di città. Vuole riabbracciare la sua famiglia e vedere che stanno tutti bene. 
Ha la fronte imperlata di sudore, l'estate non è ancora del tutto finita, e i suoi capelli sono in uno stato orribile, probabilmente. 
Ad un tratto si blocca: in lontananza c'è rumore di pneumatici. Si gira, parandosi il sole con una mano e osserva un puntino in fondo alla strada farsi sempre più grande fino ad assumere le fattezze di un camioncino verde militare. Si guarda intorno, poi si tuffa dietro una fioriera con un oleandro, e osserva in silenzio la vettura sorpassarlo. Sulle portiere c'è dipinto lo stemma del regime del Nord. Si sente mancare. Signore, a questo punto mi andavano bene anche i cinesi, o gli americani. Ma i nordcoreani no, ti supplico…
Rimane nascosto fino a che il camioncino non è del tutto scomparso, poi si alza e inizia a correre più veloce che può. 
Si è fermato ogni tanto per riprendere fiato, con i polmoni in fiamme, ma poi ha proseguito anche più veloce di prima. Mamma mamma mamma. Dimmi che stai bene.
Arrivato sotto il palazzo dei suoi, in una zona residenziale, respira come dopo un'apnea, e ha la maglietta completamente appiccicata al petto. I capelli sono attaccati sulla fronte, e si regge la cassa toracica che sembra voler scoppiare. Non ha il fiato per invocare i nomi dei suoi, ma non serve. Il portone d'ingresso si apre con uno scatto e un'esile donna dai capelli raccolti in uno chignon, seguita da un uomo un po' calvo corrono fuori urlando e gli si gettano al collo baciandolo, e piangendo. Sungmin chiude gli occhi riprendendo fiato, e lascia che sua madre lo inzuppi di lacrime. Che importa se sono in mezzo di strada, sotto gli sguardi indiscreti di vicini di casa ficcanaso e si stanno scambiando effusioni che mai e poi mai si sarebbero sognati di fare fra le loro quattro mura loro, figuriamoci fuori. 
Solitamente a sua madre era sempre stato a cuore di sembrare una donna raffinata, e ora sta urlando in mezzo alla carreggiata della strada.
«Dov'eri? Eravamo così in pensiero… hai mangiato?», lo assilla mentre insieme al marito lo aiutano a salire le scale. Sungmin annuisce perché non riesce ancora a parlare. Il suo cuore sta riprendendo un battito regolare però.
Sotto la doccia pensa se dirlo ai suoi o meno. Sungmin dal canto suo non capisce se stava meglio prima di sapere che i loro invasori erano nordcoreani, o dopo aver dissipato tale dubbio. 
La responsabilità del grande annuncio però evidentemente non spettava a lui. Quando esce dal bagno con i vestiti puliti, in salotto i suoi siedono sul divano davanti alla tv; suo padre stringe le piccole mani di sua madre, ed entrambi tengono le labbra serrate, fino a farle diventare bianche. In tv sulla sedia che abitualmente spetta al conduttore del telegiornale, siede una donna mai vista prima. E' magra, con le spalle ossute e indossa un tailleur verde militare con un ricamo rosso, blu e oro sulla tasca. I capelli neri sono corti a caschetto e lasciati sciolti; non ha un filo di trucco in viso, ma i suoi occhi riescono ugualmente a mettere in soggezione. Sungmin sospira, mentre qualcosa nel suo stomaco si capovolge e affonda.
«… E quindi,», prosegue la donna, che ha un accento duro e a tratti strascicato, «La nostra sarà una convivenza pacifica finchè le leggi del regime saranno rispettate.  Rimanete sintonizzati perché vi forniremo le direttive giorno per giorno. Oggi vi consigliamo di non uscire per alcuna ragione, a meno che non dobbiate recarvi agli ospedali. Rimanete chiusi in casa e non tentate alcun tipo di insurrezione. Al momento nella capitale ci sono seimila soldati, e circa millecinquecento sono presenti in tutte le principali città, tentare la ribellione è impossibile», conclude senza perdere mai il suo cipiglio cupo. Dalle labbra sigillate della madre di Sungmin esce un suono indistinguibile. E' bianca come un cadavere e non sbatte neanche più le palpebre. Senza emettere un fruscio più forte di quello di una foglia secca che cade, scivola distesa posando la testa sulle gambe di suo marito, e rimane così, a fissare il vuoto come una statua di sale.
Sungmin non avrebbe mai voluto vedere sua madre in una simile condizione, e sa che neanche lei avrebbe mai voluto che qualcuno la vedesse così. Ma ha appena saputo di non essere più una donna libera e questo la spaventa anche più di perdere la sua dignità.

Bani assottiglia gli occhi per guardare oltre i raggi della tapparella. Fuori sembra una giornata normale, ma il silenzio è innaturale. Il suo quartiere è intatto, ma ugualmente deserto. 
Sua madre ha riscaldato il ferro sui fornelli e le sta stirando la divisa, ma le ha già detto che oggi non la farà uscire di casa neanche per andare a scuola, quindi la ragazza siede a terra, sorseggiando una tazza di tè giapponese.
Suo padre era giapponese, ed è stato lui a insistere per metterle quel nome assurdo. La casa che ha lasciato loro pur essendo un umile appartamento di periferia è completamente arredata in stile nipponico. 
Bani ha un ricordo preciso di suo padre visto che se n'è andato da appena un anno. Nei tatami, nelle porte di carta di riso e nelle stampe blu, rosse, bianche e oro appese in ogni stanza si sente ancora impregnato il dolore del distacco. 
Sia Bani che sua madre amavano molto il papà. Da quando è morto parlano meno, e camminano più lentamente, come si fosse portato via anche parte della loro vita. 
Così, un bel giorno, niente più partita a koikoi del sabato mattina, né pranzi domenicali a base di zuppa di miso. Nell'ultimo anno non hanno quasi più indossato i loro kimono, quando invece con papà in casa ogni occasione, anche una cena sul piccolo balcone d'estate, era buona per metterlo. Non era un'imposizione di papà, era solo il loro modo di essere una famiglia.
Chissà che avrebbe detto lui vedendo sganciare tutte quelle bombe. Sicuramente avrebbe avuto un'idea brillante delle sue, o le avrebbe portate entrambe alla casa di Kyoutango-shi.
Loro invece si sono tappate in casa come tartarughe, aspettando in silenzio che la soluzione piova loro dal cielo. Le uniche cose che sono piovute finora però erano ordigni esplosivi. 
Bani striscia i piedi in cucina e mette la tazza nell'acquaio, soffermandosi a guardare la foto di suo padre, sull'altarino. 
Di lui ha preso gli occhi, grandi e poco affilati tipici dei giapponesi, mentre l'incarnato pallido è sicuramente il gene coreano ereditato da sua madre. I capelli invece sono un mix perfetto fra i due; i riflessi rossastri di sua madre e la morbidezza di suo padre.
Bani tutto sommato è fiera di questi tratti e riconosce di essere bella, ma a scuola nessuno le si è mai confessato.  Per via del fatto che suo padre era alto quasi un metro e novanta, è più alta di molti dei suoi compagni. Considerando che poi ha un carattere schivo e taciturno ( il primo anno di superiori ci mise quasi una settimana prima che la compagna di banco sentisse finalmente la sua voce un po' roca) teme di incutere una sorta di timore nei ragazzi. Specialmente quelli bassi, che non vorrebbero mai dover uscire per un appuntamento con una stangona di venti centimetri più alta di loro. 
Non importa, si dice, quando mi piacerà davvero un Oppa, troverò il modo per mostrargli quanto sono interessante. Al momento l'unico Oppa che le interessa però è Kim Nam Min, della seconda sezione. Le dà ripetizioni di matematica gratis e a Bani non importa se c'è o meno un secondo fine, fintanto che riesce a prendere la sufficienza.
Bani vuol dire farfalla. Non crede che le sia stato attribuito quel nome come l'auspicio di diventare bella. Suo padre ha sempre avuto una filosofia diversa, meno materiale e al tempo stesso semplice. Tante volte le è capitato, durante le ricreazioni da sola, magari, di interrogarsi sul significato di tale scelta, senza mai trovare una risposta soddisfacente e ora si pente di non averglielo mai chiesto quand'era in vita. Forse sua madre lo sa. Appoggiata sullo stipite della porta la guarda stirare in silenzio, con gli occhi bassi. Ha i capelli più secchi e sembra invecchiata di dieci anni. Non può chiederglielo.
In casa sua sembra quasi che il bombardamento non abbia aggiunto nient'altro che un'altra macchia nera alla loro macabra quotidianità. Bani non si sente così inquieta, complice anche il fatto che le bombe sono esplose lontane dal suo appartamento di periferia, o che forse la sua esistenza è così inutile che da tempo ormai non prova neanche un'emozione. Sa che quando tornerà a sentire qualcosa, quando sorriderà per qualcosa di bello, o succederà un avvenimento così brutto da farla scoppiare in lacrime, sarà più devastante di una tempesta, ma fino ad allora le piacerà essere uno zombie. E' come se avesse sepolto il suo cuore tra dei cuscini perché andando a sbattere non si faccia più male.
Sua madre ha reagito diversamente. Dopo vent'anni di matrimonio, amava Rui come il primo giorno. Si guardavano ancora con lo sguardo imbarazzato e sognante di due ragazzini, che a volte era così melenso da infastidire Bani. Perdere lui è stato come se le avessero strappato il cuore dal petto e l'avessero gettato nella pattumiera.
Bani pensa che così però si è dimenticata di sua figlia sedicenne che non ha amici e va male a scuola, e ora non è minimamente preoccupata di rischiare di esplodere da un momento all'altro.

Jinyoung sente che il suo corpo non oppone una resistenza maggiore di quella di una maglietta sporca gettata su una sedia. Si sente così abbandonato da qualsiasi energia che anche tenere gli occhi aperti gli costa fatica. Quando finalmente è passata una macchina ed è arrivato all'ospedale, era così affollato che il tempo di far ricoverare sua sorella, ed era già morta. Non sarebbero comunque riusciti a salvarla, gli ha detto un medico.
Bene, lo sapeva già. E' che una parte di lui fino all'ultimo aveva continuato a credere che ci fosse qualche speranza. Se n'è andata, dopo ventun anni che ovunque girasse lo sguardo lei era lì, con le sue stranezze e i suoi colpi di genio, e le sue frasi sdolcinate dette di punto in bianco quando meno se le aspettava. 
Dietro quella porta, il corpo di sua sorella giace freddo e insanguinato insieme a tanti altri corpi, cristallizzato nei suoi venticinque anni. Ha passato la notte in piedi a piangere, da solo.
I suoi genitori ancora neanche lo sanno, i cellulari non prendono. Devono aver tagliato le linee telefoniche per ostacolare l'organizzazione di qualche contrattacco, suppone.
Ma se anche li chiamasse come potrebbe annunciargli che la loro figlia è appena morta?
«Hey ragazzo», un infermiere che passava l'ha notato e si dev'essere mosso a compassione. In effetti Jinyoung ha l'aspetto di un cucciolo abbandonato, con gli occhi lucidi, la maglia sporca di sangue secco e i capelli arruffati.
«E' già la terza volta che passo e stai sempre qui da stanotte. Torna a casa…»
Jinyoung lo guarda, senza cambiare espressione. Muove solo lo sguardo arrossato, e l'infermiere non può fare a meno di sospirare.
«Lo vuoi un tè caldo?»
Jinyoung annuisce appena. Sì, un tè caldo. Non si era reso conto di quanto ne volesse uno finchè qualcuno non glielo ha chiesto. Dopo un tè caldo riuscirà anche ad alzarsi, tornare a casa e dire a mamma e papà quello che è successo.
  
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