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Autore: WilKia    05/10/2012    5 recensioni
Che cavolo ci faceva in quel posto dimenticato da Dio?
Ah, già.. non ho un posto migliore in cui andare.
Ricordò con una smorfia autoironica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Santana Lopez, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Family Portrait
 
 
 
 
Rain si guardò intorno, scrutando la strada buia, illuminata fiocamente dai lampioni e si domandò da che parte dirigersi per cercare Santana.
Guardò per un attimo la sua auto, parcheggiata davanti al vialetto, ma decise che prenderla fosse inutile. Dopotutto, Santana era uscita da poco, non poteva aver fatto molta strada.
Il fatto che fosse scappata via così rapidamente e a piedi le fece pensare che, probabilmente, la sua meta dovesse essere piuttosto vicina. Così decise di iniziare la sua ricerca dal luogo più vicino in cui Santana avrebbe potuto recarsi, anche se non vedeva per quale motivo avrebbe voluto andare là così improvvisamente.
Si avviò per la strada a passi rapidi, scrutando l’oscurità intorno a sé, mentre un vago senso di inquietudine l’avvolgeva lentamente, facendole formicolare la nuca e stringendole lo stomaco in una morsa. I suoi passi si fecero sempre più rapidi e prima ancora di rendersene conto, stava correndo, sfrecciando silenziosa attraverso il quartiere addormentato.
Il suo istinto si rivelò esatto ed una sensazione di déjà-vu la investì, quando il suo udito captò le grida in spagnolo provenienti da casa Lopez.
Solo che questa volta, la voce che urlava apparteneva senza dubbio a Santana.
Coprì la distanza che la separava da casa Lopez in poche, rapide falcate, e quella strana sensazione tornò ad invaderle il petto al ritmo dei suoi battiti accelerati, mentre i suoi occhi iniziavano a distinguere la scena che si stava svolgendo sul portico.
Santana si agitava urlando ai piedi degli scalini, fronteggiando sua madre che teneva lo sguardo fisso su un foglio stropicciato che Rain trovò fin troppo familiare.
“Non mi hanno mai voluta, sai? Sono solo un incidente di percorso.. stavano per lasciarsi quando mia madre ha scoperto di essere incinta. Allora si sono sposati perché altrimenti sai che scandalo..”
Perché quella frase di Santana aveva preso a rimbalzarle nella mente?
E all’improvviso un pensiero la colpì.
“La donna per cui ci aveva lasciate alla fine non era rimasta con lui, ma si era sposata con il suo fidanzato…”
Mormorò tra sé e sé, bloccandosi con la mano sul cancelletto della staccionata che delimitava il giardino dei Lopez, gli occhi sgranati in un’espressione incredula.
“Oh. Mio. Dio!”
Esalò.
Era lei… è sempre stata lei. Come ho potuto essere tanto cieca da non accorgermene?
Improvvisamente tutto acquistava senso.
Quello strano istinto protettivo che aveva avuto da subito per Santana. La facilità con cui si era adattata alla sua presenza costante accanto a lei. Il modo in cui riuscivano ad entrare in sintonia e a capirsi all’istante, sebbene si conoscessero da così poco tempo.
“Santana.”
Chiamò piano, riscuotendosi un poco dal suo stato di stupore, ma la ragazza era troppo impegnata ad urlare addosso a sua madre con tutto il fiato che aveva, per riuscire a sentirla.
“Santana.”
Riprovò a voce più alta e questa volta si voltò, puntando su di lei uno sguardo fiammeggiante.
“Tu!”
Ringhiò in tono d’accusa, puntandole addosso l’indice.
Avanzò minacciosa verso di lei e spalancò il cancelletto che le separava.
“Tu lo sapevi – urlò avventandosi su di lei ed iniziando a tempestarle il petto di pugni furiosi – sapevi tutto fin dall’inizio e per tutto questo tempo non hai fatto altro che prendermi per il culo!”
“San-Santana…”
Balbettò stupefatta alla sua accusa, mentre tentava di bloccare i suoi colpi senza farle male.
“Io mi fidavo di te e per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentire!”
Continuò ad urlare.
“No. Santana, io non sapevo niente fino ad un secondo fa – tentò di dire riuscendo finalmente a fermare i colpi che le piovevano addosso – come potevo sapere…?”
“Non mi toccare!”
Urlò Santana isterica allontanandosi da lei con uno scatto secco ed indietreggiando lontano dalla casa.
“Statemi lontane tutte e due. Sono stufa delle vostre balle.”
Mormorò voltandosi per scappare via.
“Santana, per favore – tentò Maribel – lasciami spiegare.”
“E ascoltare una nuova sfilza di bugie?”
Domandò Santana sarcastica, fermando la sua fuga attraverso la strada e voltandosi verso di loro, le braccia incrociate sul petto in atteggiamento di difesa.
“Avanti, mamma. Sentiamo – sputò sarcastica – cosa vuoi dirmi ancora? Vuoi raccontarmi di come sei accidentalmente inciampata sui piedi del padre di Rain e sei rimasta incinta?”
Continuò indicando con un gesto Rain, che la fissava con uno sguardo confuso e sbalordito.
“Tesoro, ti prego. Perché non venite dentro e ne parliamo con calma.”
“Adesso mi chiami tesoro? Adesso mi vuoi parlare?”
“Santana, per favore…”
La implorò di nuovo Maribel, ma Santana le voltò le spalle furiosa e confusa.
Non si aspettava di vedersi illuminare dal fascio di luce di una coppia di fanali, né di trovarsi sulla traiettoria di un’auto appena spuntata a tutta velocità da dietro la curva.
Non sentì il clacson suonare.
Avvertì solo l’urlo di sua madre, prima di chiudere gli occhi in attesa dell’impatto inevitabile, mentre la sua mente si svuotava completamente di ogni pensiero, tranne uno.
Brittany.
Si aggrappò al ricordo del suo abbraccio, mentre il suo corpo veniva travolto, iniziando a ruzzolare sull’asfalto e l’automobile spuntata all’improvviso si dileguava nella notte.
Non sapeva bene cosa si aspettava.
Forse il tunnel di luce bianca di cui si sentiva tanto parlare.
O il flashback di tutta la sua vita.
Magari anche solo il dolore dell’impatto con la macchina e la sensazione dura e ruvida dell’asfalto sotto il suo corpo.
Invece, niente.
Niente Flashback.
Niente tunnel.
Niente dolore.
Perfino l’asfalto non sembrava affatto duro e ruvido, anzi, stava abbastanza comoda.
La superficie su cui era distesa era decisamente confortevole e sorprendentemente morbida.
Aprì lentamente gli occhi, confusa dal senso di sicurezza in cui si sentiva avvolta.
“Ouch.”
Gemette una voce familiare al suo orecchio, mentre le braccia forti, strette protettive intorno alle sue spalle allentavano la presa, sollevandola leggermente.
“Stai bene?”
Gli occhi scuri di Rain la scrutarono preoccupati.
“Ragazzina stai bene?”
Santana annuì incerta, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, mentre lo spavento appena provato si mescolava al tumulto emotivo di cui era preda, scuotendo il suo corpo in tremiti violenti.
Affondò il volto nel petto di Rain, lasciandosi avvolgere di nuovo nel suo abbraccio, mentre le lacrime iniziavano a scorrere sul suo viso.
Rain sospirò sollevata, lasciando ricadere la testa sull’asfalto.
Ho una sorella… SANTANA È MIA SORELLA! Lo è per davvero.
Ancora non riusciva a crederci.
L’aveva trovata.
Si erano trovate.
Contro ogni probabilità, in qualche modo si erano trovate e riconosciute. Dovevano solo capirlo.
“State bene? Siete ferite?”
La voce preoccupata e scossa di Maribel Lopez la strappò ai suoi pensieri.
La donna si inginocchiò accanto a loro, facendo sollevare Santana per assicurarsi che non fosse ferita.
“Sto bene.”
Sentenziò Santana alzandosi e sottraendosi alla sua stretta.
Rain si sollevò subito dopo, solo per ritrovarsi di nuovo a terra, quando il suo ginocchio sinistro cedette sotto il suo peso.
“Rain! Che succede?”
“Sto bene.”
Si affrettò a rassicurarla, stringendosi il ginocchio tra le mani, la mascella contratta in una smorfia di dolore.
“Devo aver girato male il ginocchio, quando ti ho acchiappata e siamo ruzzolate a terra.”
Continuò tentando di alzarsi di nuovo e trovando Santana pronta a sorreggerla.
“Venite – offrì Maribel – entriamo in casa.”
“No grazie! Ce la caviamo benissimo da sole.”
Sbottò Santana rinsaldando la presa intorno alla vita di Rain.
“Avanti, Santana. Lo so che in questo momento ce l’hai a morte con me, più del solito, ma Rain dovrebbe mettere del ghiaccio su quel ginocchio.”
Insistette lei.
Santana si tormentò per un attimo il labbro inferiore tra i denti, indecisa.
“D’accordo.”
Sbuffò iniziando ad avanzare di nuovo verso casa Lopez, dopo essersi assicurata che non ci fossero auto in arrivo.
Fatti pochi passi, Maribel si portò all’altro fianco di Rain, per aiutare Santana a sostenerla, ma la ragazza l’allontanò con un gesto di stizza.
“Ce la facciamo da sole.”
Sibilò piccata.
Maribel sollevò le mani in un gesto di resa e le precedette sul portico tenendo aperta la porta perché potessero entrare.
La foto di famiglia esposta all’ingresso era sparita e al suo posto era stata appesa una riproduzione delle “Ninfee”di Monet.
Santana accompagnò Rain in salotto e la fece sedere sul divano, affrettandosi poi a farle sollevare la gamba infortunata.
“Ti fa male?”
“Sopravviverò.”
Rispose Rain con il suo mezzo sorriso.
“Mi dispiace, Rain. È colpa mia se…”
“Ehi. Tranquilla – la interruppe – hai notato che quando c’è in ballo mio padre, finisco sempre per sanguinare in qualche modo?!”
Ironizzò, indicando con un cenno le abrasioni sulle sue ginocchia e sui gomiti, dove la pelle era entrata in contatto con l’asfalto.
“Nostro padre…”
Mormorò Santana con un filo di voce ed evitando il suo sguardo.
“Già… così sembrerebbe.”
Confermò tenendo a sua volta lo sguardo basso, ancora puntato sulle sue escoriazioni.
“Grazie per avermi evitato uno spiacevole scambio di opinioni con quell’auto in corsa.”
Mormorò Santana, giocherellando nervosamente con le proprie dita.
La mano calda di Rain entrò nel suo campo visivo, prendendo delicatamente la sua.
Santana sollevò gli occhi ad incontrare finalmente quelli di Rain.
Già, come ho fatto a non accorgermi che hanno la stessa forma dei miei.
Si domandò incredula.
Le due ragazze si studiarono in silenzio, quasi fosse la prima volta che si vedevano.
E, in un certo senso, era davvero così.
Il loro momento di reciproco studio silenzioso, venne interrotto dall’arrivo di Maribel, che sedette cautamente accanto a Rain, prima di posarle con delicatezza un sacchetto di ghiaccio sul ginocchio infortunato.
Rain non diede alcun segno di provare dolore, ma Santana notò il leggero e rapido aggrottarsi della sua fronte, quando il ghiaccio entrò in contatto con la sua pelle lesionata.
Il silenzio nella stanza si fece pesante, mentre tutte e tre le donne si immergevano nei propri pensieri, incapaci di decidere quali domande porre, o da quali spiegazioni incominciare, o se rimanere ad ascoltare le verità scomode che erano rimaste celate per quasi diciotto anni.
Fu lo squillo del telefono di Santana a riscuoterle dai loro pensieri turbinosi.
La ragazza estrasse il telefono dalla tasca.
“È Britt.”
Mormorò senza dover guardare lo schermo, con l’espressione più serena che Rain le avesse visto quella sera.
“Beh, che aspetti? – domandò – corri a rispondere. Non ho bisogno che stai qui a farmi da babysitter.”
Santana le rivolse un piccolo sorriso, prima di alzarsi dal divano.
“Già che ci sei, dopo avverti Quinn che stiamo bene.”
La inseguì la voce di Rain, mentre si allontanava dal salotto.
San!
Esclamò Brittany, non appena rispose al telefono.
Santana salì rapidamente le scale ed entrò in quella, che fino a poco tempo prima, era stata la sua camera.
“Ciao Britt.”
Mormorò lasciandosi cadere sul materasso spoglio del suo vecchio letto, trovando un vago conforto nell’essere di nuovo in quella stanza.
Stai bene? – domandò Brittany inquieta – hai una voce strana.
“Ho solo avuto una serata un po’ pesante.”
Sospirò.
Sicura che vada tutto bene?
Chiese ancora Brittany, la voce sempre più preoccupata.
Oggi ho avuto tutto il giorno una brutta sensazione allo stomaco, come mi era successo quando la coach mi voleva sparare con il cannone.
Santana sorrise debolmente, prima di tirare su con il naso, appoggiando la fronte contro il materasso.
“Vorrei tanto che tu fossi qui…”
Bisbigliò tentando di trattenere i singhiozzi.
“Non sai quanto.”
 
Non appena Santana aveva lasciato la stanza, il silenzio si era fatto ancora più pesante, senza l’allegra melodia del suo cellulare.
Alla fine era stata Maribel a non sopportare più quel silenzio assordante e a pronunciare le prime, faticose parole.
“Sai, quando ti ho vista, la prima volta che sei stata qui e ti sei portata via Santana, ho da subito avuto la sensazione di conoscerti.”
Mormorò fissando il tappeto.
“Ma proprio non riuscivo a ricordare dove ti avessi vista. Non gli somigli molto. Anzi, non gli somigli quasi per niente. Ma d’altronde, anche Santana non ha preso quasi nulla da lui.”
“Questo lo considero un bene per entrambe.”
Esalò Rain, tentando di trattenere la rabbia.
Maribel sospirò, prima di continuare.
“Poi un giorno sono passata davanti all’officina del signor Hummel. Tu stavi lavorando, sembravi molto concentrata su un motore e ad un certo punto hai iniziato a tormentarti il labbro inferiore, prendendolo tra il pollice e l’indice. Esattamente come faceva sempre lui. Lo stesso tic. Lo stava facendo anche quando l’ho conosciuto. A volte anche Santana lo fa.”
Rain annuì tra sé e se, ricordando di averla vista farlo mentre faceva i compiti e di aver pensato che fosse una cosa curiosa.
“E a quel punto, ho capito.
Quando poi sei venuta a chiederci di diventare la tutrice legale di Santana, i miei sospetti hanno avuto conferma, più ti guardavo e più vedevo le piccole somiglianze con lui e con mia figlia. Questo mi ha convinto a firmare quei documenti. Questo e l’evidente affetto che hai dimostrato nei confronti di Santana.
Sono stata una pessima madre… speravo che con te Santana potesse conoscere la serenità che non ha mai avuto in questa casa.”
Concluse con un sorriso triste.
“E tuo marito…”
Rain lasciò la domanda in sospeso.
“Non mi ha mai chiesto niente, ma di sicuro sospettava che Santana non fosse sua, forse addirittura ne era certo, vista la velocità con cui ha firmato i tuoi documenti. In ogni caso, una settimana dopo ha fatto le valige e se ne è andato.”
“Ma se sapevi chi ero, perché non hai detto niente?”
Maribel alzò le spalle.
“Non volevo che Santana mi odiasse più di quanto non facesse di già.”
Mormorò amaramente.
“Santana non ti odia – disse piano – è certamente arrabbiata con te, forse addirittura furiosa, ma non ti odia. Dopotutto, sei sua madre.”
“Una madre che le ha mentito per tutta la sua vita, che le ha dato contro quando le ha confidato di essere innamorata della sua migliore amica e che poi ha firmato dei documenti per affidarla a qualcun altro.”
“Qualcuno che sapevi che le voleva bene…”
“Non starai tentando di farmi credere che non abbia visto la mia firma su quei pezzi di carta come il mio modo di sbarazzarmi di lei?!”
Rain abbassò lo sguardo.
“Visto? Non vedo come potrebbe non odiarmi. Io mi odierei.”
Concluse nascondendo il volto tra le mani.
Rain la osservò in silenzio per alcuni istanti.
“Mia madre – iniziò piano, facendo uno sforzo immane per pronunciare quelle parole – mi ha ignorata quasi completamente sin dal momento in cui mio padre ci lasciò, per poi abbandonarmi al mio destino, affidata ai servizi sociali, senza nessuno che mi volesse davvero bene, senza nessuno di cui potermi fidare. Eppure, nonostante tutto, non riesco ad odiarla. E non credere che non ci abbia provato.”
Concluse, con un sospiro stanco.
Non sapeva perché le stava dicendo quelle cose, forse voleva semplicemente che almeno Santana riuscisse a recuperare il rapporto con sua madre, prima che fosse troppo tardi.
“Ora Santana è arrabbiata e confusa, ma, quando si sarà calmata, vedrà che in tutti questi anni l’hai protetta da una verità scomoda e che quando hai firmato quei documenti, l’hai fatto con la convinzione di fare la cosa giusta per lei.”
A quelle parole, Maribel sollevò lo sguardo su di lei, con un’espressione incredula sul volto.
“Per quanto concerne la questione del suo amore per Brittany e della tua reazione al riguardo – aggiunse poi in tono più duro – temo dovrai impegnarti parecchio per rimediare.”
“Tu credi… credi che me lo permetterebbe?”
“Ne sono sicura.”
Rispose semplicemente, ottenendo un piccolo sorriso da lei.
“Come va il ginocchio?”
Domandò poi Maribel, dopo un lungo momento silenzioso.
Rain provò a muovere la gamba infortunata.
“Ho sofferto dolori peggiori, ma non posso certo dire che sia a posto.”
Sospirò.
“Allora è meglio che ti accompagni all’ospedale.”
Decretò Santana rientrando in salotto.
Rain la osservò avanzare verso di lei, gli occhi ancora rossi e gonfi a rivelare che aveva pianto.
“Il mio ginocchio può aspettare. Sono sicura che non è niente di grave. Ci sono cose più importanti da…”
“Direi che la priorità vada ai danni fisici – la interruppe Santana con fermezza – inoltre ti sei fatta male  a causa mia, quindi ora portarti all’ospedale mi sembra il minimo che io possa fare.”
Rain la scrutò in silenzio per alcuni istanti, finché Santana non alzò lo sguardo ad incontrare il suo.
Forse rimandare il discorso, sarebbe stata la cosa migliore, in fondo.
La serata era stata già abbastanza densa di avvenimenti ed emozioni e a tutte loro serviva tempo per digerirle. Soprattutto a Santana.
“D’accordo – si arrese, davanti allo sguardo con cui Santana la implorò per una tregua – andiamo a far vedere il mio ginocchio a qualche segaossa. Riprenderemo il discorso più avanti.”
Concluse all’indirizzo di Maribel.
Santana l’aiutò ad alzarsi dal divano.
“Ok, Ragazzina. Andiamo.”
Decretò Rain appoggiandosi alle sue spalle.
 
Santana aprì silenziosamente la porta di casa, permettendo così a Rain di entrare con le stampelle che le avevano dato all’ospedale. Se l’era cavata con una brutta distorsione, ma avrebbe dovuto tenere il ginocchio a riposo per almeno due settimane e fare riabilitazione.
Le due ragazze si sorpresero di trovare accesa la luce in salotto, dato che erano quasi le tre di notte.
Entrambe sorrisero, trovando Quinn addormentata sul divano, in una posizione che sembrava essere decisamente scomoda e con il cellulare stretto in una mano.
“Forse dovremmo portarla di sopra?”
Suggerì Rain in un sussurro.
“E come pensi di fare, Gambadilegno? Il dottore ha detto di tenere il ginocchio a totale riposo.”
Rain scrollò le spalle.
“Puoi sempre portarla di sopra tu…”
Santana inarcò le sopracciglia incrociando le braccia sul petto.
“Forse no?”
Si corresse rivolgendole il suo mezzo sorriso.
“Almeno sistemala, o domattina avrà anchilosati anche muscoli di cui ignorava l’esistenza.”
Santana sbuffò e si avvicinò al divano, per poi distendere il corpo addormentato di Quinn in una posizione più comoda.
“Possibile che tu non sappia nemmeno dormire senza aiuto, Fabray?!”
Sbuffò drappeggiandole addosso una leggera coperta, ma addolcì il suo commento acido scompigliando affettuosamente i suoi corti capelli biondi, poi spense la luce e raggiunse Rain su per le scale.
Si fermarono davanti alla porta della sua stanza, in imbarazzo per la prima volta da quando avevano lasciato casa Lopez.
Entrambe indecise su come comportarsi, più ancora del giorno in cui si erano conosciute.
“Ce la fai ad andare di sopra?”
Domandò Santana con un cenno verso la stanza di Rain.
“Sì nessun problema.”
Annuì lei.
“Bene. Allora… buonanotte, Rain.”
Aggiunse in fretta per poi rifugiarsi nella sua camera.
“Buonanotte, Santana.”
Mormorò alla porta chiusa, prima di voltarsi e zoppicare verso camera sua.
 
Rain sospirò pesantemente e si infilò con cautela sotto le lenzuola, facendo attenzione a non strattonare il ginocchio dolorante.
Osservò il lato del letto che di solito occupava Santana. Era la prima volta che non veniva occupato, a parte le notti in cui Brittany rimaneva da loro, chiaramente, ma non le era mai sembrato tanto vuoto in quelle occasioni.
Spense la luce e si adagiò sul cuscino con un altro sospiro.
Restò a lungo a fissare il soffitto, ancora incredula di non aver capito fino a quel momento che la ragazza che stava cercando fosse proprio Santana.
Eppure Fren gliel’aveva detto.
Tutte le informazioni che le servivano erano sempre state sotto il suo naso, ma lei non era pronta a vederle.
Persa nei suoi pensieri, non si accorse della porta che si apriva e richiudeva silenziosamente, né dei passi leggeri che si avvicinarono al letto.
Avvertì solo la coperta sollevarsi e il materasso cedere sotto il peso di un corpo, prima che un paio di braccia familiari si avvolgessero intorno alla sua vita, accompagnate dal tipico profumo di lavanda dei capelli di Santana.
Rain portò istintivamente il braccio sinistro intorno alle sue spalle, stringendola a sé, nel loro primo vero abbraccio di quella sera.
“Scusa se ti ho urlato contro prima – mormorò Santana contro la sua spalla – so che non sapevi nulla di questa storia, solo che in quel momento non ragionavo.”
“Non ti preoccupare. In quel momento anche io ero piuttosto fuori fase, mi ricordo a malapena quello che hai detto.”
“Intendi quello che ho urlato…”
La corresse Santana e Rain avvertì il suo viso aprirsi in un piccolo sorriso.
“Riesci a credere – riprese Santana dopo alcuni istanti di silenzio – che tutto questo tempo eravamo sorelle e non lo sapevamo?”
“Ancora non mi capacito di non averlo capito… ti è mai capitato di cercare i tuoi occhiali in giro per tutta casa solo per poi accorgerti di averli sul naso?”
“Un sacco di volte.”
“Beh, una sorella è un po’ più difficile da non notare, no? Eppure ti ho avuta al mio fianco fin dal primo giorno che ho passato qui a Lima, ma ho rivoltato mezzo Ohio prima di trovarti…”
“Britt l’aveva capito, sai?”
“Davvero?”
Santana annuì.
“Continuava a ripetere che abbiamo un sacco di cose in comune, che a volte quando canti e prendi certe note, la tua voce è molto simile alla mia e che le nostre espressioni minacciose sono praticamente uguali – spiegò – oh e anche che abbiamo le stesse orecchie.”
“Le stesse orecchie?”
Domandò Rain stupita.
Santana annuì.
“L’ho sempre detto che la tua ragazza è un fottuto genio.”
Mormorò Rain.
“È quello che ho sempre sostenuto anche io.”
Replicò Santana orgogliosa, prima di lasciarsi andare ad un lungo sbadiglio.
“Avremmo dovuto capirlo da quello. Non è da tutti riconoscere la genialità di Brittany.”
Santana sorrise.
“Già. Quello era un indizio davvero enorme da non notare.”
“Bene. Allora suggerisco di ricominciare da capo – esclamò Rain sollevandosi a sedere con un’espressione solenne – piacere, mi chiamo Rain e sono tua sorella.”
Disse porgendole la mano destra.
Santana scosse la testa e le prese la mano, intrecciando le dita alle sue.
“Non c’è bisogno di ricominciare. Ti ho considerata come una sorella da quando mi hai raccontato di Storm, dandomi così il coraggio di ammettere per la prima volta a voce alta i miei sentimenti a qualcuno che non fosse Britt.”
Spiegò piano.
“Da così tanto tempo?”
Bisbigliò Rain commossa.
Santana si limitò ad annuire, prima di abbracciarla di nuovo.
Si ridistesero sistemandosi sotto le lenzuola.
“Reneè non starà nella pelle quando glielo dirò.”
Ragionò Rain, per poi ridacchiare quando Santana sbadigliò sonoramente.
“Rain?”
Chiamò assonnata sistemandosi più comodamente nel suo abbraccio.
“Mhmm?”
“Pensi che Evy potrebbe chiamare anche me zia, ora?”
Le labbra di Rain si aprirono immediatamente in un vero sorriso.
“Senza dubbio.”
Rispose, già immaginando la vocina di Evy chiamare zia San.
“Non vedo l’ora che lo faccia.”
Sussurrò, ricevendo in risposta solo il respiro lento e regolare di Santana.
“Buonanotte sorellina.”
Bisbigliò posandole un bacio sulla fronte.
Si addormentò solo quando l’alba stava ormai per spuntare.
Un sorriso sereno sulle labbra e le dita nascoste tra i capelli corvini di Santana, ad accarezzare lievemente un orecchio identico al suo.
 
 
Angolo della pazza
 
SUUUURPRIIIIISEEEEE!
Ebbene sì, la sorella misteriosa di Rain altri non era che la nostra Sannie bella.
Manco fossimo a “Carramba che sorpresa” o a “C’è posta per te” (ma non temete, non sono la figlia segreta della Carrà e della De Filippi)
 
Complimenti a chi aveva capito, ora voglio sapere quanti di voi c’erano arrivati prima dello scorso capitolo, o almeno avevano il sospetto, se avevate trovato i vari indizi che ho sparpagliato un po’ in tutti i capitoli, in alcuni più che in altri.
 
E soprattutto voglio sapere che ne pensate, perciò non fatevi prendere dalla timidezza e fate fare un po’ di movimento ai vostri ditini su quelle tastiere, così si mantengono in forma per la prova costume della prossima estate.
 
Il titolo l’ho preso in prestito da una canzone della mia megadorata P!nk.
 
Se proprio la casellina commenti di EFP vi fa ribrezzo (poverina, è così tenera e simpatica) potete sempre mandare i vostri commenti e/o insulti su  -> Twitter
 
Alla prossima.
 
WilKia >.<
 
p.s. il mio PC purtroppo è entrato in sciopero, ma fortunatamente sono riuscita a recuperare il mio computerino da battaglia che nonostante gli acciacchi barcolla, ma non molla… ringraziamo lui se questo aggiornamento è stato possibile. 
   
 
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