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Autore: Shodaime    05/10/2012    3 recensioni
Eccovi la mia prima fic, siate clementi^^
Come dicono gli avvertimenti è un AU, ma non troppo AU, quindi non spaventatevi. Il titolo è abbastanza esplicativo da sè, quindi vi dirò semplicemente che ho deciso di pubblicarla sotto le 'leggerissime' pressioni della mia beta^^
Spero che vi piacerà e che in tal caso lascerete un commentino, anche solo qualche parola =)
Detto questo vi auguro buona lettura, e attenti all'ananas, è agitato per il matrimonio incombente!
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cercando di ignorare l’orrido arredamento che la circondava, Tsunia si rannicchiò in un angolino, tra il comodino istoriato di Hello Kitty e la piantana tempestata di lustrini arancioni.

Chiedendosi quanto tempo avrebbe passato in quella cella, si affidò alla sua unica possibilità di consolazione e speranza di poter uscire presto di li per poter riabbracciare finalmente la sua carissima mammina e il suo amato Mukurenzo che, ne era certa, in quel momento stavano facendo il diavolo a quattro per ritrovarla.

Così, piena di fiducia, la giovane fanciulla si frugò nelle tasche, gettò via cellulare e cercapersone e strinse tra le mani il santino di San Primo che le aveva dato Don Yamabbondio in occasione del quattordicesimo funerale della signorina Yuni.

Tra i preparativi per le nozze, le uscite in discoteca con Mukurenzo e il fatto che ogni volta che ritardava si ritrovava a correre con una fiamma in testa e dei boxer da uomo come unico capo d’abbigliamento, il che suscitava l’ira funesta della perpetua, la quale la cacciava fuori dalla chiesa a suon di calcioni, ultimamente Tsunia non aveva frequentato con costanza il catechismo, così che le sue capacità di preghiera erano abbastanza arrugginite.

Decise di tentare lo stesso. In fondo, non si era mai sentito che San Primo fosse rimasto sordo alle richieste di una giovane pulzella in preda alla disperazione, e Tsunia sperò ardentemente che il Santo  in quel momento non fosse in altre faccende affaccendato.

“Sa….San Primo che sei nei Vongola… Sia fatta la tua ultima volontà! Ma…Ti prego…Salvami da questa cella di disperazione e paliettes, e riportami sana e salva dal mio amato! Se…Esaudirai questo mio desiderio, io…”

La ragazza fece una pausa. In effetti non aveva pensato a cosa offrire in cambio per i servigi di San Primo. Ma l’idea la fulminò all’istante.

“Io…”Riprese “Faccio voto di castità permanente!” Esclamò risoluta.

Poi guardò il santino. “San…San Primo…Perché mi pare tu abbia assunto un’espressione alquanto scettica?”

San Primo non rispose, limitandosi ad accentuare il suo sguardo da“Mi prendi in giro?”  sul pezzetto di carta.

Tsunia si sentì offesa.

“Beh cosa credi, che una bella ragazza come me non riuscirebbe a tener fede a un giuramento? Mi sottovaluti, Altissimo, purissimo e Giottissimo!”

Preoccupata per quel suo improvviso eccesso di blasfemia, Tsunia mise via il santino. Le ci volle il tempo che impiegò per alzare lo sguardo per comprendere a cosa fosse dovuto lo scetticismo del Santo.

Davanti a lei, infatti, come nei peggiori dei suoi recenti incubi, illuminate dalla fioca luce di una lampada al neon semifulminata come prescritto dai migliori film horror, stavano due porte del bagno.

Una per le donne.

Una per gli uomini.

Le sagome che vi erano raffigurate sopra assunsero  per una frazione di secondo nell’immaginazione di Tsunia la faccia trolleggiante di San Primo e quella ancora più troll di sua madre.

Tsunia le guardò a lungo, con lo sguardo della mucca che guarda passare il treno.

Poi scoppiò a piangere.

Sarebbe stata una lunga nottata.
 


 
Sarebbe stata una lunga nottata.

Questo l’Imbianchettato lo capì da subito, quando scoprì che uno dei suoi millemila cuscini bianchi ripieni di bianche piume d’oca era stato rammedato con un filo celeste, cosa che, ovviamente, gli fece perdere il sonno e lo portò a girarsi e rigirarsi nel letto in preda a una furibonda irrequietezza.

Da fuori poteva sembrare che la vita di un supercattivo, superfigo,  superpotente e, quando andava a fare la spesa, anche supermercato  come lui fosse tutta rose e fiori, e invece non era così.

Innanzitutto perché era abbastanza difficile trovare rose e fiori completamente bianchi, e poi perché gli attacchi dei suoi nemici cromatici erano sempre dietro l’angolo. L’assalto del Barone Rosso, per esempio. O quello del Cavaliere Oscuro. I bastioni del palazzo erano appena stati rimessi in sesto dopo la sortita del malefico signore dell’Albero Azzurro.

Tutto questo lo stancava e turbava profondamente, tanto che l’Imbianchettato aveva più volte pensato di mollare tutto e andarsi a fare una bella vacanza. Idea che aveva scartato quando aveva scoperto che le bianche spiagge delle Maldive in realtà erano giallino chiaro e che in una settimana bianca può sempre capitare di vedere dei ciuffetti d’erba qua e là.

Il pensiero del malvagio signore andò alla ragazzina che aveva imprigionato per conto di Don Xanxigo. Certo, l’avrebbe trattata con tutto il rispetto che si conviene, ma per quanto tempo  l’avrebbe dovuta tenere lì, questo di certo era un interrogativo preoccupante.

Prima di poterla rilasciare, bisognava aspettare che Xanxigo trovasse moglie.

Il che era più improbabile che vedere un autoarticolato ballare la lap dance dopo essere uscito in bikini da una torta al limone.

Pensò alla sua pelle così candida rispetto a quella del fratello, a come si era scusata per l’oltraggio del fango… E per la prima volta nella sua vita, l’Imbianchettato, sentì la cupa nube del rimorso aleggiare sopra la sua candida capoccia.

Cupa.

Molto cupa.

L’Imbianchettato si alzò, deciso a spazzare via quella inestetica macchia scura nei suoi pensieri.  Sotto una catasta di marshmallows, scovò l’antico  libro della sapienza, della speranza e di tutte le risposte di cui un uomo potesse aver bisogno. Emanava una fulgida luce, come fosse una stella nella notte scura, irradiando sapienza al solo sfiorarlo.

L’Imbianchettato lo prese, usando il brillante splendore della saggezza per  farsi luce tra le scartoffie. Finalmente trovò l’elenco del telefono, lo scorse per un paio di secondi, e poi, tra il numero di Bianca e Bernie e quello di Barbabianca, trovò finalmente ciò che faceva al caso suo.

Il telefono squillò, la comunicazione partì, ma prima ancora che l’Imbianchettato potesse dire nulla, dall’altro capo del telefono provenne un suono sordo, seguito da quello di qualcosa che andava in frantumi, dal miagolio di un gatto e da un paio di colpi di pistola.

L’uomo attese pazientemente, allontanando la cornetta dall’orecchio per non rimanere sordo da un timpano.

“Pa…Pace a te, chiunque tu sia.” Mormorò una voce dolorante.

L’Imbianchettato sospirò. “Cardinal Cavalloneo. Da quanto tempo. Sempre quel piccolo problemino di deambulazione?” Domandò, cortese.

“Ognuno deve portare la sua croce, fratello. Sulla mia mi ci sono spaccato i denti più di una volta, ma se questa è la volontà…”

“Taglia corto, Cavalloneo. Ho bisogno di un consulto, e subito.” Lo interruppe l’Imbianchettato, impaziente.

Il Cardinale rise. “Sei fortunato! Giusto oggi sono arrivato in città. Che dici, ti passo a trovare?” Chiese allegro.

“No, vengo io da te.” Rispose l’Imbianchettato. Poi chiuse la conversazione. “Altrimenti saresti in grado di sfasciarmi il palazzo dopo tre minuti.” Pensò. Poi tornò a letto, ansioso per ciò che lgi avrebbe riservato il domani. 
   
 
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